Italia: il governo Renzi all’attacco contro la classe operaia

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1. Bilancio di un anno: da Bersani a Letta, da Letta a Renzi

In un precedente articolo[1] di giugno 2013 abbiamo mostrato come la borghesia italiana abbia attraversato un periodo di grandi difficoltà, con una perdita crescente di controllo sull’elettorato e con la difficoltà a garantire un esecutivo stabile e credibile. Nel frattempo le cose sono andate avanti e sono cambiate in maniera significativa. Una situazione politica che sembrava dover portare necessariamente a nuove elezioni, con una crescente incertezza per il futuro, si è tramutata in una situazione di relativa stabilità politica, con la prospettiva di portare addirittura la legislatura attuale fino alla fine del mandato. Come è stato possibile un tale miracolo? Facciamo un piccolo passo indietro per ricordare le condizioni economiche, sociali e politiche in cui versa il Paese in questo momento.

Dopo la recessione del 2007-08, l'Italia non si è mai rialzata. Dal 2007-8, il PIL, tranne che nel 2010 quando è stato leggermente positivo, è stato sempre negativo o nullo. La produzione industriale del 2014 è stata del 30% inferiore a quella del 2007, con una discesa continua del volume e con tutto l'aumento della disoccupazione che ne consegue. Dal punto di vista del bilancio statale, nonostante l'aumento delle tasse e i tagli alle spese - anzitutto di quelle sociali - questo debito ha continuato ad aumentare. Il problema evidentemente non è la spesa, ma la crisi di sovrapproduzione, cioè la difficoltà da parte dell’Azienda Italia ad averla vinta sui concorrenti. Per cui i tagli alla spesa non riescono a compensare le mancate entrate fiscali legate alla riduzione del PIL. Ed è qui che l'Italia ha difficoltà perché il suo apparato produttivo ha perso competitività da decenni a questa parte, da prima dell’avvento dell’euro. Solo che prima dell'euro si poteva “recuperare” competitività ogni tanto con la svalutazione della moneta, cosa che oggi non si può più fare se non a livello europeo. Di qui gli attriti continui con la Germania.

Ciò detto, non bisogna pensare che la borghesia se ne stia con le mani in mano e che non sia capace di avere dei piani, sia a livello economico che politico. Apparentemente il governo Renzi sembra non avere cambiato nulla rispetto a quello Letta nella misura in cui la maggioranza governativa e le opposizioni sono esattamente le stesse, mentre invece è cambiato molto.

Anzitutto Renzi ha implementato la dimensione del populismo. Mentre Letta si presentava con il grigiore del vecchio staff politico e aveva scarse capacità di presa sul popolo italiano, Renzi si presenta oggi come un Superman che ha le idee buone, è energico, sa quello che vuole e lo impone, contrapponendosi in questo modo al Berlusconi con le sue stesse armi.

Ma c’è anche da dire che l’azione del governo Renzi tende a incidere concretamente sulla situazione economica, ma non solo. Per capire come, passiamo anzitutto in rivista il pacchetto di leggi in approvazione in parlamento in questi giorni per vedere come si è sviluppato l’attacco della borghesia.

2. Il pacchetto di leggi in approvazione in parlamento: un attacco alle condizioni di vita della classe operaia

Di fronte all’aggravarsi inarrestabile della crisi economica, i tentativi della borghesia tendono a mascherare il fatto che questa è una crisi storica, di sistema, e perciò senza vie d’uscita, senza soluzione. Di conseguenza ogni governo nuovo cerca di tirare qualche coniglio dal cappello per far credere che, cambiando le alleanze o solo le persone fisiche, ci possa essere un vero miglioramento, creando così nella popolazione una situazione di attesa, di accettazione dei sacrifici in vista di un futuro migliore. E questo è probabilmente il motivo maggiore della formazione del nuovo governo Renzi, con un leader che ricorda il Berlusconi della prima ora, capace com’è di promettere tanto, di sembrar credibile nelle sue promesse, soprattutto se accompagna le promesse con qualche misura di sicuro effetto mediatico, come gli 80 euro in busta paga per un buon numero di lavoratori, o la voce grossa verso la politica di austerità della UE. Ma in realtà il governo Renzi, rispetto a quelli immediatamente precedenti, sta andando anche più a fondo in una politica di attacco non solo sul piano economico, ma anche su quello della stessa coscienza operaia.

Legge di stabilità (finanziaria 2015)

La manovra finanziaria, che per quest’anno si aggira sui 36 miliardi di euro, prevede misure che puntano al taglio del costo del lavoro agendo con sgravi dell’IRAP per 3 miliardi di euro, uno all’anno, con cui ridurre i contributi previdenziali che le aziende devono versare in caso di assunzione, a tempo indeterminato, di nuovi addetti. Così un nuovo assunto costerà all’azienda 8mila euro in meno all’anno, per tre anni consecutivi. E’ questo che ha spinto il governo a dichiarare, tramite il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, di attendersi molto dall’entrata in vigore di questa manovra. Se per il presidente del Consiglio,“ora gli imprenditori non hanno più scuse per non assumere”, il responsabile del Tesoro si è addirittura augurato che entro pochi mesi vengano creati 800mila nuovi posti di lavoro.[2] C’è poi il rinnovo dei bonus IRPEF in busta paga da 80 euro per i dipendenti, che per le fasce minime di reddito (sotto i 24.000 euro) non sono da buttare via. L’introduzione della possibilità di anticipo di parte del TFR, fino al 50%, in busta paga è un’idea da veri strozzini. Infatti, profittando delle condizioni disagiate di gran parte della popolazione, si porta avanti una doppia fregatura perché: a) quello che percepisci viene tassato più di quanto sarebbe stato come TFR; b) i lavoratori che sono costretti ad accettare questa cosa perdono in maniera secca dei soldi arrivando poi a fine rapporto di lavoro con un TFR più basso. Si prevede poi una spending review di circa 10-12 miliardi, che si ripercuoteranno su ministeri, istruzione ed enti pubblici, particolarmente sulle province (6 miliardi fino al 2017) condannate ormai a scomparire. Ovviamente tutto questo si accompagna con il prolungamento del blocco degli stipendi dei dipendenti statali, condannati ormai all’erosione continua del proprio stipendio da parte dell’inflazione, blocco che però non si applica a Polizia, Carabinieri e ad altri corpi dello Stato che dovrebbero vedersi confermato lo sblocco dei salari a partire da gennaio (un miliardo per l’intervento). Sono infine previste 150mila assunzioni nelle scuole con uno stanziamento di un miliardo per procedere alla prima tranche.

Jobs Act

La legge-delega sul lavoro, quella che per qualche motivo viene chiamata Jobs Act, comporta un ulteriore attacco alle condizioni di vita dei proletari. “Dal prossimo anno, per i lavoratori neo-assunti, rimarrà l'obbligo di reintegro soltanto quando un licenziamento è discriminatorio, cioè legato a pregiudizi ideologici, razziali, sessuali o politici nei confronti del lavoratore. Se invece il dipendente viene lasciato a casa per ragioni economiche (per esempio in caso di crisi aziendale) non ci sarà il reintegro. Nel caso in cui il licenziamento risulti ingiustificato, il lavoratore avrà diritto soltanto a un indennizzo in denaro, proporzionale agli anni di carriera che ha alle spalle.”[3] C’è poi anche lo “scarso rendimento” del lavoratore che rientrerà con tutta probabilità nella categoria dei licenziamenti economici, per i quali cioè si prevede solo l’indennizzo, e viene eliminata la possibilità del reintegro. In questa stessa legge si tende inoltre a introdurre dei meccanismi di verifica dell'operatività nell'azienda, anche attraverso strumenti telematici, che oggi sono in molti casi proibiti dalla legge. I controlli non riguarderanno i singoli lavoratori ma soltanto i reparti e gli impianti, per non ledere il diritto alla privacy dei dipendenti.

La buona scuola

La legge che enfaticamente viene chiamata della “buona scuola” non è altro che un’azione di propaganda basata sul nulla. Intanto le 150mila assunzioni di cui tanto si vanta il governo non sono altro che la stabilizzazione di lavoratori che già lavorano da diversi anni, ma che venivano finora licenziati anno per anno, senza alcuna garanzia per l’anno successivo. Se il governo si è deciso ad assumere a tempo indeterminato questi lavoratori, oltre ad una razionalizzazione evidente che risulta per il settore scuola (non più supplenze ad ogni inizio anno che si prolungano a volte per mesi …), è soprattutto perché forzato da una sentenza della Corte Europea che aveva messo in mora il governo italiano proprio per la perpetuazione del tutto illegittima di un rapporto di lavoro precario nelle scuole italiane, ma anche da alcuni ricorsi vincenti fatti da singoli lavoratori. In secondo luogo le scuole, come le università e tutto quanto una volta costituiva un valore di cultura nel nostro paese, nella misura in cui lo era, sono ormai diventate delle aziende dove il dirigente scolastico è costretto a cercare le risorse per tirare avanti attraverso contratti con strutture di vario tipo del territorio. In ogni caso quello che resta è una struttura scolastica con insegnanti completamente demotivati perché mal pagati e operanti in un’istituzione che materialmente cade a pezzi.

Italicum

Per finire la nuova legge elettorale in dirittura di arrivo per il 7 gennaio prossimo. Nonostante tutte le critiche, soprattutto da sinistra, questa è una legge che, per gli scopi della borghesia, funziona. Qual è infatti il problema più grosso per la borghesia rispetto alle elezioni? Avere la garanzia che, qualunque sia l’esito delle elezioni, possa uscire da queste un quadro politico che garantisca la governabilità. L’esperienza delle ultime elezioni politiche è stata fin troppo traumatica con l’esito elettorale che vedeva come primo partito a livello nazionale il M5S e una maggioranza che sembrava impossibile da realizzare. C’è voluta tutta la maestria del vecchio Napolitano, fine manovratore della politica borghese, per uscire da un’impasse piuttosto pericolosa. Perciò adesso l’Italicum, cui Renzi tiene tanto, costituisce la soluzione a tutti questi problemi. Il criterio è quanto mai semplice: al primo turno si presentano tutti i partiti, senza alleanze. Se un partito al primo turno riesce a raggiungere una percentuale del 40%, accede al premio di maggioranza che consente di conquistare 340 deputati su 617. Altrimenti le prime due liste accedono al secondo turno e chi vince conquista il 53% dei seggi e può governare in monocolore con 327 deputati su 617.

L’Italicum ha pensato non solo alla governabilità, ma anche a garantire comunque una rappresentanza delle minoranze in parlamento. Sensibile com’è la borghesia a garantire la presenza di una opposizione in parlamento che simuli la difesa degli interessi dei proletari, questo progetto di legge si è preoccupato di abbassare la soglia di eleggibilità dei parlamentari dall’8% inizialmente proposto al 3% attuale (nella precedente legge elettorale, detta Porcellum, erano del 4% alla Camera e dell’8% al Senato).

C’è poi la questione delle preferenze su cui, come ricordiamo, è stato montato un falso dibattito cercando di far credere che alla gente veramente potesse importare qualcosa votare per Tizio piuttosto che per Caio quando ormai non esiste più, e da anni ormai, alcuna fidelizzazione degli elettori neanche nei confronti dei partiti. La stessa sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune parti della legge Calderoli (il famoso Porcellum) anche per l’impossibilità dell’elettore di fornire una preferenza, ha partecipato a questa messa in scena. E’ evidente che la borghesia ha promosso questa propaganda per contrastare la diserzione che si manifesta con sempre maggiore frequenza alle urne. Così l’Italicum ha anche il merito di riportare nelle urne il voto di preferenza, ma con un trucco, anzi due. Il primo è che il capolista, scelto dalla segreteria del partito, è il primo ad essere eletto, comunque siano distribuite le preferenze all’interno della lista. Il secondo è che le circoscrizioni passano da 27 a 100, quattro volte tanto, il che permette ai vari partiti di piazzare in posizione sicura i propri uomini, come capolista, meglio di prima avendo adesso 4 posti sicuri contro 1 solo posto se fossero rimaste le vecchie circoscrizioni. Questo fa capire quanto sia importante per la borghesia avere il controllo più minuzioso possibile sull’esito delle elezioni politiche.

3. La politica della borghesia: un attacco continuo alla coscienza dei lavoratori

Naturalmente tutte queste misure, benché mascherate e presentate in maniera mistificata, corrono il rischio di produrre delle reazioni nella classe operaia. E’ per questo che i sindacati hanno preventivamente creato una mobilitazione, occupando tutto il terreno della lotta e lasciando ai proletari in apparenza come unica alternativa quella di partecipare allo sciopero oppure di restare al lavoro seguendo l’indirizzo della CISL secondo cui “lo sciopero generale non è la soluzione adatta per fronteggiare i temi del lavoro” (Anna Maria Furlan, CISL). Così il 12 dicembre, giorno della protesta indetta da Cgil, Uil e Ugl, si è visto un milione e mezzo di persone in piazza nei vari cortei organizzati in 54 città. I leader sindacali hanno attaccato l'esecutivo di Matteo Renzi come non avevano fatto neanche con i governi Berlusconi, senza fare alcuno sconto: “Nel Jobs Act ci sono norme da anni '20”; “Non trovo nulla di moderno in una condizione in cui chi lavora è ricattabile”; “Se il messaggio di Renzi è 'tiriamo dritto' sappia che sappiamo tirare dritto anche noi. Non abbiamo bisogno di sentirci minacciati”. (Susanna Camusso, CGIL); “La lotta continuerà. Non ci fermiamo, Renzi può mettere tutte le fiducie che vuole, anche una al giorno, la lotta continuerà”; “Quando la logica è che il lavoro lo puoi scambiare con i soldi, allora il lavoro diventa una merce.” (Landini, leader FIOM); “Blocchiamo il Paese per farlo ripartire. Faremo una nuova Resistenza” (Carmelo Barbagallo, UIL). Va anche segnalato che una parte della minoranza del PD, tra cui Stefano Fassina, ha scelto di scendere in piazza con i sindacati e lo stesso Massimo D’Alema, ex premier della guerra contro la Iugoslavia, si schiera dalla parte dei manifestanti e invita l’esecutivo a fermarsi: “La situazione del Paese è grave e spero che il governo ascolti questa piazza e tenga conto della richiesta che viene dai lavoratori”.

E non è mancata neanche l’alternativa dello scontro di piazza, con una serie di tafferugli con la polizia in varie piazze come Milano e Torino dove le forze dell'ordine hanno caricato studenti e manifestanti in genere.

E’ chiaro che c’è da rimanere confusi da questo incrocio di canti delle sirene, tutte quante che fanno appello alla lotta, ma alla loro maniera, tutte quante alla maniera sbagliata.

In questa fase certamente non sono le lotte che mancano, anzi si stanno anche intensificando, ma queste lotte sono: 1) molto divise tra loro; 2) molto localizzate mancando di qualunque dimensione politica. E, poiché la situazione dei lavoratori sta peggiorando, in questi ultimi mesi assistiamo anche ad una più forte presenza dei sindacati che hanno l'obiettivo, da una parte, di incanalare le lotte e, dall'altra, di aumentare le divisioni in queste lotte. C'è una grossa mobilitazione del sindacalismo di base, che è sfociato nello sciopero sociale del 14 novembre, ma anche dei sindacati storici che si sono mobilitati e della FIOM che ha proclamato 2 giorni di sciopero generale, il 14 al nord ed il 21 al sud.

Come si vede l’attacco alla classe operaia viene condotto su due versanti diversi: da parte del governo e delle “opposizioni”, ed è un attacco che, mentre tende a far passare degli attacchi sul piano economico, punta anche a far fronte alla ribellione che cresce tra i proletari, a domare le coscienze dei lavoratori. Per esempio Craxi nel 1984 fece cadere il tabù della scala mobile, Renzi oggi vuole far crollare quello dell'art. 18 e con esso il concetto di qualunque garanzia residua sul diritto al lavoro. Quindi, al di là dell'effetto immediato, certe misure costituiscono anche un attacco alla coscienza. Da questo punto di vista è interessante l'esistenza di tutte queste opposizioni a Renzi, innanzitutto da parte dei sindacati. Landini, che mette in guardia contro il pericolo che il lavoro diventi una merce, lo fa per nascondere il fatto banale che il lavoro, nel capitalismo, è già di per sé una merce. Ma anche le convulsioni interne al PD, se sono per certi versi la manifestazione di difficoltà interne, sono anche l'espressione della necessità di avere qualcuno all’interno dell’apparato che si assume il compito di chi recepisce le insoddisfazioni della classe sfruttata.

Non va poi dimenticato che la borghesia, contrariamente alla classe operaia, nonostante le sue divisioni nazionali, nei confronti del suo nemico storico – il proletariato – si muove sempre sul piano internazionale. Così spesso lo stesso malessere che potrebbe mettere insieme i proletari di più paesi viene presentato dalle varie borghesie con delle letture “nazionali” in modo da smussare completamente questo potenziale fattore di aggregazione. Così ad esempio se i proletari greci o italiani o spagnoli si lamentano delle forti misure di austerità, il governo di turno si accalora ad insistere che purtroppo è tutta colpa della Germania che si è fissata con una linea di austerità a tutti i costi. (Non è un caso che Renzi abbia riscosso non pochi consensi proprio perché si è mostrato come uno che parla faccia a faccia con la Merkel). Ma allo stesso tempo va detto che in Germania, dove le condizioni di vita non sono più quelle che venivano decantate fino a poco tempo fa, viene fatto giusto il discorso opposto, cioè che se il governo deve ridurre i benefici e l’assistenza alla popolazione è proprio perché occorre soccorrere paesi come la Grecia, l’Italia e la Spagna.

4. Le difficoltà della classe a reagire

Tutto questo ci deve far riflettere quando ascoltiamo in giro che la classe operaia si è addormentata, o che è insensibile a tutti gli attacchi che riceve. Il problema per i proletari non è quello di una mancanza di sensibilità agli attacchi che si ripetono sempre più in profondità, tanto che le lotte non sono scomparse. Il problema è che i proletari non sanno più che fare. Una volta c’erano i partiti di sinistra, c’erano i sindacati che, sebbene già completamente imborghesiti, avevano ancora un’aura proletaria che faceva colpo sulla gran parte della classe operaia. Oggi i “partiti della classe operaia” non esistono più, i sindacati sono ancora più manifestamente asserviti al padronato, per cui i proletari fanno fatica a capire come muoversi in alternativa. In più il crollo dello stalinismo alla fine degli anni ’80 ha permesso lo sviluppo di tutta una serie di propagande contro il comunismo (identificato con il terrore stalinista) e sulla fine della lotta di classe e della stessa classe operaia che ha eroso non soltanto la coscienza di classe, ma anche la stessa identità di classe nel proletariato. Di qui delle reazioni timide, localizzate e prive di forza.

Tuttavia va ricordato che la crisi resta il miglior alleato della classe operaia e che la presa di coscienza è un processo che si sviluppa anche nelle fasi di rallentamento della combattività operaia. La classe non è ferma, ma è come se fosse in ascolto, a percepire i segnali provenienti da questa società per capire come muoversi. Questo è dunque il momento in cui tutti i proletari che hanno sviluppato un minimo di coscienza non solo devono evitare di scoraggiarsi, ma devono mettersi a lavorare per fare loro stessi un’analisi critica della situazione e capire quali sono i problemi che in questo momento vanno affrontati e risolti. Di fronte a questa situazione non esistono soluzioni miracolose. D’altra parte le difficoltà e le esitazioni che la classe esprime oggi nell’affrontare questa sfida vanno rapportate all’opera titanica a cui è chiamata oggi. La classe ha infatti di fronte a sé un compito di non poco conto: per la prima volta nella storia plurimillenaria della civiltà moderna, la classe sfruttata della società è chiamata a cancellare per sempre la società divisa in classi e a instaurare una società libera, una società comunista.

Ezechiele 28 dicembre 2014

 


[1] La crisi politica in Italia è un’espressione del fallimento della società capitalista, Rivoluzione Internazionale n°179, giugno 2013.

[2] www.leggioggi.it/legge-stabilita-2015-tutte-misure-manovra-renzi

[3] https://www.panorama.it/economia/jobs-act-articolo-18 (sottolineatura nostra).

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