Iraq. Il massacro continua

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L’estate del 2007 è stata ancora una volta marcata dal crescente caos militare e dall’orrore nella maggior parte del mondo. Mentre in Libano la situazione si è momentaneamente calmata (con l’eccezione della carneficina nel campo profughi di Nahr el-Bared dopo una lunga tregua tra l’esercito e gli islamici), in Afghanistan si è avuta una netta ascesa nello scontro e negli attacchi terroristici da parte dei Talebani. Nel frattempo il massacro in Iraq è continuato senza tregua. A dozzine muoiono ogni giorno, sia nei conflitti armati che negli attentati suicidi, la maggior parte dei quali diretti sulla popolazione inerme. Questa insana violenza si è diffusa in tutto il paese in modo crescente ed incontrollato. Cinquecento persone della comunità Yazidi¹ sono state uccise con quattro attacchi successivi esplosi in agosto, mentre Curdi, Sunniti e Sciiti erano contemporaneamente sotto attacco. Nel solo mese di luglio 1650 civili iracheni sono morti e i dati di agosto sono probabilmente peggiori.

Dal 2003, centinaia di migliaia di iracheni hanno perso la vita come diretta conseguenza della guerra. La popolazione è affamata, privata di assistenza medica, l’elettricità e l’acqua sono un lusso. Bagdad è trasformata in una serie di ghetti murati, con famiglie divise a metà, e gestiti da ogni tipo di bande rivali tra loro.

Più di due milioni di persone sono fuggite attraverso il paese cercando di sfuggire al massacro, lo stesso numero ha invece lasciato il paese per la stessa ragione.

L’esercito americano ha avuto ufficialmente più di 3.000 perdite; alcune fonti dicono 10.000, senza contare il numero crescente di suicidi (100 solo nel 2006) e tra i ranghi ci sono rumori di rivolta.

Questa è l’immediata eredità della grande guerra al terrorismo dell’amministrazione Bush. Secondo i recenti sondaggi il 58% degli americani adesso pensa che la guerra è stato un errore.

Una nuova accelerazione del caos mondiale

La crociata anti-terrorismo degli Stati Uniti è stata un fallimento totale ed ha lasciato Washington in una vera impasse. Le varie opzioni che può prendere in considerazione oggi le sono tutte sfavorevoli. Bush è stato incapace di insediare un governo iracheno che avesse un minimo di credibilità e che non rappresentasse la semplice espressione del dissenso tra sciiti e sunniti. Le rappresentanze di questo governo si sono spartite le armi concesse alle autorità irachene dal Pentagono negli ultimi tre anni, formando quindi gli arsenali per le rispettive cricche. Per non parlare delle forze di polizia che frequentemente permettono l’accesso dei terroristi-kamikaze nei campi militari americani. Ciò per quanto riguarda l’affidabilità delle istanze e degli uomini messi in piazza dagli Stati Uniti. La loro permanenza in Iraq non cambia la situazione se non aggravarla ancora di più sul posto ed aumentare l’opposizione alla guerra negli Stati Uniti.

D’altra parte abbandonare l’Iraq (operazione che richiede parecchi mesi trattandosi 150.000 uomini) potrebbe essere molto costoso in termini di sicurezza per l’esercito statunitense ed aprire la strada ad esplosioni di violenza ulteriori, con l’Iran che attende ai cancelli. Questo non può essere certo controbilanciato dai 90 uomini che l’ONU ha intenzione di mandare in Iraq, al posto dei 65 già presenti sul posto.

Tuttavia, la prospettiva di un ritiro quanto meno parziale è ormai prevista dall’amministrazione Bush. In questa ottica e per controbilanciare le ambizioni egemoniche di Teheran, gli Stati Uniti stanno cercando di costruire un blocco di paesi arabi pro-americani tra gli stati Arabi offrendosi di rinforzare i loro apparati militari: 20 miliardi di dollari spesi negli ultimi dieci anni in armamenti ultra sofisticati per l’Arabia Saudita, Qatar, Bahrain, Kuwait e Emirati Arabi, e tredici miliardi per l’Egitto nello stesso periodo. Naturalmente Israele ha reclamato la propria parte dato che non ha intenzione di veder sminuire la propria superiorità militare nella regione. La cifra ammonta a 30 miliardi di dollari in armi, vale a dire un aumento del 25% dei rifornimenti militari Usa al governo Israeliano. In altre parole gli Stati Uniti stanno concentrando scorte di armi in una regione già altamente instabile. Nel caso dell’Arabia Saudita è come rimpinzare un paese da sempre sospettato di appoggiare i terroristi sunniti in Iraq, incluso Al Qaeda.

In un mondo dove la regola è “ognuno per sé”, la risposta della potenza alla guida del mondo è esasperare ancora di più il caos.

La corsa agli armamenti nucleari

Dalla fine del 2006 assistiamo ad una febbrile crescita nella corsa agli armamenti. Ottenere armi nucleari è diventato il principale obbiettivo per molti Stati. Questo non può sorprenderci. I test nucleari della Corea del Nord sono iniziati nel 2006, i ripetuti acquisti di tecnologia nucleare e missili russi da parte dell’Iran nell’ultimo anno, le ambizioni di paesi come il Brasile di riattivare i propri programmi nucleari, … questi sono tutti segnali di come tutti i paesi non si accontentano più di stare sotto “ombrello nucleare” di questa o quella grande potenza, ma vogliono avere le proprie armi.

Gli stessi Stati Uniti hanno giocato un ruolo importante in questa corsa. A seguito della collisione tra il satellite meteorologico americano ed il missile cinese avvenuta nel gennaio del 2007 – un evento che ha evidenziato la potenziale debolezza degli USA nel controllare le proprie forze terrestri, aeree e navali a grande distanza – la risposta è stata di rafforzare il proprio scudo anti-missili alle porte della Russia. Quest’ultima ha risposto con la vaga minaccia di puntare verso le città europee e con quella più concreta di installare missili a Kaliningrad sul Baltico, proprio tra Polonia e Lituania, in prossimità dello scudo americano.

Ma la corsa all’armamento nucleare non è una prerogativa delle grandi potenze. Stiamo infatti assistendo allo sviluppo di una cintura nucleare che corre dal medio all’estremo Oriente, da Israele alla Corea del Nord, passando per India, Cina e Pakistan, il tutto sovrastato dall’arsenale russo. In breve, una polveriera atomica, localizzata in regioni che già sono teatro di ogni sorta di tensioni e conflitti aperti. Una spada di Damocle sulle nostre teste che non sarà sollevata dai trattati di non proliferazione che non valgono neanche la carta su cui sono scritti. Solo il massiccio sviluppo della lotta di classe e l’abbattimento del capitalismo porrà fine della minaccia della guerra e darà un futuro all’umanità.

Mulan

(basato su un articolo apparso in Revolution Internationale 382, Settembre 2007).

1. Gli Yazidi sono una comunità religiosa vista come eretica dall’islam sunnita ortodosso. Molti di loro sono Curdi.

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