L’economia mondiale sempre più sull’orlo del baratro

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Giorni sempre più neri aspettano i lavoratori. Il governo di sinistra continua a lavorare per rendere le nostre condizioni ancora più precarie. Oltre ai tagli già previsti, è degli ultimi giorni la notizia che le province, le regioni ed anche i comuni potranno applicare nuove tasse per far fronte alle esigenze di gestione locale. Che significherà per i lavoratori? Ancora più soldi da togliere ad un salario che già non basta ad assicurare lo stretto necessario, tanto più quando con questo salario bisogna far vivere anche i “giovani” figli trentenni e quarantenni che non riescono a trovare uno straccio di lavoro decente. Cosa si può fare? Espatriare alla ricerca di un lavoro come facevano i nostri nonni e bisnonni? Neanche questo è più possibile perché anche in Francia, in Germania, in Inghilterra e nella stessa America milioni di proletari si trovano nelle nostre identiche condizioni, davanti alla stessa mancanza di prospettiva. La crisi economica non è un problema solo italiano, ma di tutto il capitalismo mondiale, come mostra il seguente articolo.

Ieri Wall Street ha sofferto la sua più grande caduta dopo gli strascichi immediatamente successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre, con una giornata di pesanti cadute del mercato azionario mondiale culminata in una conseguente svendita a ribasso dei titoli a New York.

Le quotazioni del Down Jones relative all’industria hanno chiuso con più di 400 punti di ribasso nella paura che Stati Uniti e China – le locomotive gemelle dell’economia globale – fossero prossime ad una recessione e che la Casa Bianca si stesse preparando ad un attacco aereo contro il potenziale nucleare iracheno”. (Guardian, 28/2/07)

Le cadute del mercato azionario vanno e vengono e gli esperti economici hanno una visione molto limitata. Il giorno del crollo (27/2/07), un guru americano dell’economia avvertiva che “questa potrebbe essere la quiete prima della tempesta”. Altrove Andre Bakhos, presidente del Princeton Financial Group, ha detto “passato il pomeriggio, sembrava che ci fosse un senso di panico tra alcuni investitori di mestiere… Un’aria di insicurezza, come se non ci fosse un posto dove andare e come se le persone stessero girando in tondo come nel solo luogo sicuro”.

Due giorni dopo, “Dominic Rossi, capo degli azionisti mondiali alla Threadneedle Investment Services, ha valutato l’indifferenza della città dopo la più grande scossa dei mercati mondiali dal 9/11: ‘non è successo niente nelle ultime 48 ore che influenzasse la nostra visione del mondo e la buona prospettiva per i mercati azionari’” (Guardian, 1/3/7).

La scossa del 27/2 potrebbe non rappresentare una imminente recessione globale, ma ci dà un’idea di quello che realmente si prepara a livello di economia mondiale.

Per anni ci hanno detto che l’economia americana era solida, forte, che era una locomotiva per il mondo. Quello che non ci hanno detto è che questa “ripresa”, dopo la recessione degli anni ottanta, si è basata su una montagna sempre più grande di debiti. In altre parole, l’economia USA (e quella mondiale) è attualmente in bancarotta, sprofondata in una profonda crisi di sovrapproduzione, anche se riesce ad ogni modo a tirare avanti con la creazione di un grande mercato artificiale, con l’aiuto di una economia-casinò dove le persone sono impiegate in una serie di lavori artificiali. In Gran Bretagna, per esempio, il più grande contributo al prodotto nazionale lordo viene da… i proprietari terrieri, una categoria economica che non produce assolutamente nulla.

Per anni ci hanno anche detto che il sorprendente boom della Cina rappresentava la via da seguire. Quattro anni consecutivi di crescita al 10% e oltre, un incremento del 67% del suo surplus commerciale. Sicuramente questo prova che il su citato Dominic Rossi fa bene ad essere ottimista sulle prospettive future del mercato mondiale. Se può farlo la Cina, perché non potrebbe farlo anche il resto del mondo?

E’ semplice: la Cina può farlo proprio perché i paesi già sviluppati non possono. L’industrializzazione della Cina è basata sulla deindustrializzazione dell’America, della Gran Bretagna e della maggior parte dell’Europa. Vasti profitti possono essere fatti in Cina perché la classe operaia cinese sta pagando per questo “miracolo economico” con delle condizioni di sfruttamento mostruose – basse retribuzioni, lunghe giornate di lavoro, protezione minima da infortuni sul lavoro e dall’inquinamento. Livelli di sfruttamento che i lavoratori nei paesi capitalisti centrali non accetterebbero, troppo alti rispetto al desiderio della borghesia.

La Cina così fa volentieri da spugna per tutti quei capitali che non avrebbero più un investimento produttivo nella maggior parte dei vecchi paesi capitalisti. Ma, contrariamente a quanto si dice sulla creazione di un “nuova classe media” e di una dilagante “cultura consumista”, la maggior parte della popolazione cinese rimane disperatamente povera e la maggior parte della produzione industriale cinese è diretta all’esportazione. Il mondo è invaso da prodotti cinesi a basso prezzo e i limiti alla sua capacità di assorbirli non sono difficili da percepire. Se il “boom dei consumi” in paesi come la Gran Bretagna è basato su trilioni di sterline di debito pubblico, cosa succederebbe se i debiti (o gli interessi sui debiti) fossero ritirati e le persone e le società non potessero più spendere?

Questo è il motivo per cui il “surriscaldamento” dell’economia cinese desta timori. I recenti ribassi nelle quotazioni sono stati generati da cause banali – l’annuncio che il governo stava per usare la mano pesante sullo scambio illegale nelle quotazioni nella sua economia. Ma il vero incubo che spaventa la borghesia è che l’economia cinese, “surriscaldando” la macchina che vomita questa serie infinita di merci, sta andando verso una crisi aperta di sovrapproduzione che avrebbe conseguenze devastanti sullo stato dell’economia mondiale.

In breve, la “prosperità” dell’economia mondiale è costruita sulla sabbia e la sabbia comincia a cedere. Il capitalismo mondiale, che è stato in declino per un centinaio di anni, ha trovato numerose misure per manipolare le sue stesse leggi economiche e frenare il crollo nel baratro, ma sempre col rischio di generare nuove e sempre più pericolose convulsioni.

Un altro aspetto molto significativo della recente caduta dei prezzi dei listini è stato che ha dato luogo a una nuova serie di speculazioni su un possibile attacco americano all’Iran. La crisi dell’economia capitalistica ha sempre spinto il sistema verso la folle “soluzione” della guerra. Senza dubbio le oscillazioni del mercato azionario sono incrementate da quando l’amministrazione Bush ha tagliato corto con le sue minacce di guerra annunciando di voler aprire il dialogo con Iran e Siria per cercare di stabilizzare la situazione in Iraq. Ma gli espedienti diplomatici non contraddicono la deriva fondamentale del capitale verso la guerra e l’autodistruzione.

Se aggiungiamo che la crescita gonfiata e malata del capitalismo sta rappresentando senza dubbio una minaccia profonda per l’ambiente del pianeta, è evidente che la prospettiva che questo sistema ci serba è una catastrofe senza precedenti – economica, militare ed ecologica.

La borghesia, contrariamente alle sue ottimistiche aspettative, è ben consapevole che le cose possono solo peggiorare. Ragione per cui il ministro del tesoro inglese Gordon Brown ha appena annunciato che un milione di lavoratori del settore pubblico in Gran Bretagna avranno gli stipendi ribassati del 2%. L’economia-casinò ha “nascosto” l’inflazione degli ultimi anni con il boom immobiliare, ma le pressioni inflazionistiche continuano a svilupparsi nell’economia e i lavoratori, come al solito, sono chiamati a pagarne le spese.

Negli anni ’70, l’inflazione è stato il prezzo da pagare per evitare la recessione. Negli anni ’80, è stato giudicato che la recessione fosse la migliore delle alternative. Ma oggi siamo di fronte ad entrambe le minacce contemporaneamente. Questo ci spiega perché, ad esempio, il grande “modello” della modernizzazione e della crescita, l’Airbus, ha annunciato migliaia di licenziamenti in Francia, Germania e Gran Bretagna. Questo annuncio è stato salutato dallo sciopero spontaneo di migliaia di lavoratori tra Francia e Germania.

Di fronte all’aumento dei prezzi, ai tagli degli stipendi, alla perdita del posto di lavoro, di fronte alla prospettiva di un cataclisma futuro se si lascia perdurare la società capitalista, l’unica strada percorribile per la classe operaia mondiale è quella della lotta.

3 marzo 2007

(da World Revolution n. 302, Marzo 2007)

Questioni teoriche: