Inviato da RivoluzioneInte... il
“Finalmente abbiamo cacciato Berlusconi!”, hanno gridato in tanti una volta accertatisi che il risultato delle elezioni politiche dell’aprile scorso si fosse definitivamente consolidato, esprimendo un risicato vantaggio per il centro-sinistra. Effettivamente quello di Berlusconi è stato uno dei peggiori governi della Repubblica italiana. Perseguendo una politica fortemente partigiana a favore di alcune famiglie di imprenditori, questo governo ha finito per scontentare la stessa borghesia – vedi lo scontro pre-elettorale del presidente del Consiglio al convegno di Vicenza con la Confindustria - lasciando peraltro una pesantissima eredità sul piano finanziario. Ma allora come ha fatto per andare al potere? Una spiegazione si trova sicuramente nell’appoggio che la borghesia americana ha concesso incondizionatamente a qualunque governo italiano si mostrasse obbediente e in riga, come ha saputo fare Berlusconi per tutto il suo mandato. E sappiamo bene quanto l’America abbia contato e conti sulla docile obbedienza italiana come punto di appoggio, tanto per fare un esempio, per le sue operazioni imperialistiche nel vicino e medio oriente (1). In questo senso il capo del governo si è fatto il punto di riferimento dell’insieme di forze che a vario titolo concorrono a mantenere un controllo degli interessi americani in Italia, tra cui la stessa mafia. Non è un caso infatti che proprio all’indomani del risultato elettorale sia stato arrestato il boss dei boss, Provenzano, latitante da oltre 40 anni e pescato a pochi passi da casa sua. L’altro elemento è la necessità - per la classe dei padroni - di cambiare ogni tanto le compagini politiche da mettere al governo, per far vedere che “cambiare si può”, che “la democrazia la vince sempre!” In particolare un governo di sinistra non può stare per troppo tempo al potere perché, nell’impossibilità di realizzare un benché minimo miglioramento reale delle condizioni materiali dei lavoratori in un periodo di crisi permanente del capitalismo, le forze di sinistra finirebbero per perdere ogni credibilità come forze schierate “a fianco dei lavoratori”.
Come dicevamo prima, questo governo ha fatto veramente del suo peggio scontentando tutti e rendendo indifferibile un cambio della guardia. Ma qui viene fuori un ulteriore elemento che comincia a pesare sulla politica italiana e internazionale e che si traduce nella difficoltà della borghesia a controllare il suo gioco elettorale. In una situazione in cui la crisi economica del capitalismo non trova nessuno sbocco a qualunque livello, si crea una empasse che si fa sentire nella vita stessa della borghesia che diventa sempre più disunita, con la conseguente difficoltà ad avere una presa sulla società. Ciò si è tradotto ad esempio nella creazione e nel comportamento del tutto anacronistico di un partito come la Lega Nord e ugualmente nell’intemperanza di un capo di governo del tutto anomalo come Berlusconi, senza che i poteri forti del paese potessero veramente farci qualcosa. Questa difficoltà della borghesia si è prodotta più recentemente nella sua incapacità ad orientare il voto delle politiche del 2006 in maniera netta verso una maggioranza di centro-sinistra, subendo anche qui la viscosità del berlusconismo e la sua voglia di rimanere aggrappato al potere. Ciò si è tradotto in un tragico risultato di quasi parità tra centro-destra e centro-sinistra, che ha consentito, solo grazie al premio di maggioranza alla camera e il “responsabile” voto dei senatori a vita, di formare un governo con un minimo di margini di manovra. Ma questa situazione, come tutti gli osservatori di politica nazionale e internazionale hanno fatto subito notare, taglia le gambe al governo Prodi e lo rende molto più debole nei confronti di centomila ricatti da parte della disunita e variegata compagine partitica di centro sinistra di cui ogni singola componente risulta ugualmente indispensabile alla maggioranza. Basti vedere già la pletorica composizione del governo, più gonfio di ministri e sottosegretari del necessario, come alcuni ministri hanno incautamente confessato, e le beccate che si sono cominciati a dare tra neoministri e ancora tra questi e i rispettivi sottosegretari. Imporre la propria leader-ship ad un governo simile non sarà per niente facile, tanto più che Prodi non ha dietro di sé la forza di un partito ma solo un carisma personale che, per quanto sia importante, non è abbastanza di questi tempi.
Se la borghesia ha trovato difficoltà a orientare nel verso giusto il risultato elettorale, non ne ha avuto invece nel rinnovare la mistificazione elettorale, ovvero l’illusione che la partecipazione al voto possa veramente cambiare qualcosa. Un anno di fatto di campagna elettorale in Italia e un continuo duello tra Berlusconi e la sinistra a chi disegnava più diabolicamente l’avversario sono valsi alla fine a invertire la tendenza che da anni portava ad una riduzione dei votanti, passando dal 75,1% del 2001 all’81,4 di quelle di aprile scorso. Inoltre le stesse schede bianche e nulle si sono ridotte da tre milioni a un solo milione. Insomma molta gente che in passato aveva espresso un voto di protesta o semplicemente era andato a votare solo per annullare, si è passato la fatidica mano sulla coscienza e, turandosi il naso, ha deciso di schierarsi.
Ma siamo proprio sicuri di non essere caduti dalla padella nella brace? Per capirlo, vediamo cosa si accinge a fare questo nuovo governo e cosa ci attende. Abbiamo parlato prima della pesante eredità lasciata dal governo Berlusconi, che si è mostrata anche più pesante del previsto. Secondo l’Istat il deficit ha raggiunto il 4,4% sul PIL ed è stato azzerato l’avanzo primario. (La Repubblica del 6 aprile 2006). La crescita del Prodotto Interno Lordo è esigua (1,3%). Giornali come il Financial Times affermano che l’Italia rischia di uscire dall’area dell’euro a causa di “circostanze economiche” che sono, sempre per il Ft, il fatto che l’Italia, a differenza di Francia e Germania, non soffre soltanto di scarsa crescita e alta disoccupazione, ma pure di un costo del lavoro del 20% superiore a quello tedesco e una competitività ai più bassi livelli del continente” (La Repubblica del 18 aprile 2006). Rodrigo Rato, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, dichiara ancora (La Repubblica del 21 aprile 2006) che “non possiamo nascondere che le prospettive a medio termine dell’Italia sono problematiche; se non si agisce subito peggioreranno”. Su questa ultima affermazione sono praticamente d’accordo tutti: bisogna agire e in fretta, altrimenti … Appunto. Ma che significa agire in questo caso? Che il governo Prodi deve ricorrere ad una manovra finanziaria straordinaria - si parla di 30 miliardi di euro – che non è certo roba da poco. Se poi qualcuno si lamenterà, potrà sempre essere zittito con l’accusa di fare il gioco di Berlusconi e di non capire che è quest’ultimo che ha creato questo bel casino. D’altra parte i numeri non lasciano alcun margine di ambiguità: negli ultimi anni l’impoverimento della popolazione italiana (ma non solo italiana) è un fatto che, più che dalle statistiche ufficiali, la gente ha avvertito a fior di pelle. Il che significa che certamente i lavoratori non hanno goduto né di aumenti salariali significativi né di incrementi di aiuti sociali e assistenziali, tutt’altro. Eppure a fronte di ciò le statistiche dicono che il costo dei lavoratori è aumentato significativamente e che la competitività è scesa nei confronti della comunità europea. E’ ovvio che questo significa, per la borghesia, che bisogna agire e in fretta! Ma come pensate che agirà il nuovo governo di centro-sinistra: dandoci più soldi, più serenità, più assistenza?
C’è poi la questione della scelta imperialista. Con il governo Prodi termina la tresca con il governo americano e l’Italia torna a una politica più orientata al filoeuropeismo. Ma, al contrario della politica fin troppo servile di Berlusconi, quella di Prodi non sarà una politica di stretta osservanza filo-tedesca o decisamente anti-americana perché all’Italia, potenza di minore calibro rispetto a paesi come Francia, Gran Bretagna e Germania, è tradizionalmente più congeniale una politica con cui cercare di trarre qualche profitto da un ruolo di mediazione. Così lo schieramento imperialista dell’Italia per i prossimi anni sarà, rispetto al governo Berlusconi, meno accentuato e appariscente, ma non per questo meno imperialista e guerrafondaio. Basti solo tenere presente che al ministero degli esteri del nuovo esecutivo si trova un D’Alema che ha fatto, come capo di uno scorso governo, direttamente la guerra alla Serbia mandando i propri soldati a bombardare la povera gente di Belgrado. Tutto ciò si riflette nel fatto che il famoso ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, nonostante le promesse della vigilia, si profila molto meno veloce di quanto non sia accaduto per la Spagna di Zapatero. Inoltre è probabile che la missione, da militare, si trasformi in un programma civile di ricostruzione – come d’altra parte l’Italia è abituata a fare, vedi la stessa presenza in Afghanistan – portando ad una riduzione drastica della presenza militare in Iraq, ma conservando sul posto una delegazione per difendervi gli interessi imperialisti nazionali.
Se tutto questo è vero, il governo Prodi riuscirà a portare avanti il suo programma solo grazie ad una grande mistificazione facendo credere, sul piano economico, che occorre tirarsi su le maniche per risanare la situazione disastrosa lasciata da Berlusconi e che su altri piani, come quello imperialista, non si tratta più di fare le guerre ma di andare sul posto a portare direttamente la solidarietà alla gente. Da questo punto di vista il grande battage orchestrato dai mass-media sul fatto che la comunità europea pretende subito un raddrizzamento nei conti pubblici italiani sembra in verità – benché naturalmente corrisponda ad una situazione obiettivamente disastrosa – più un favore fatto al nuovo governo Prodi per aiutarlo a promuovere la manovra finanziaria bis senza problemi sul piano sociale che una reale preoccupazione da parte della stessa UE. Tutto questo ha un solo grande difetto: nella misura in cui la borghesia ha dovuto impegnare anche Rifondazione Comunista – classico partito di opposizione – all’interno della maggioranza e del governo, significa che nel momento in cui il governo comincerà ad attaccare, non ci sarà uno straccio di forza di sinistra che possa fingere di fare l’opposizione parlamentare e cercare di convogliare lo scontento dei lavoratori su dei falsi obiettivi. Questa è una debolezza molto importante che potrà mettere in difficoltà la borghesia, cosa di cui questa sembra essere cosciente, tanto che ha anche cercato di porvi rimedio. Infatti, se vediamo come sono stati assegnati i ministeri ai vari partiti ci rendiamo conto che Rifondazione è stata alquanto penalizzata per aver avuto, con il suo 5,8 e 7,4% tra Camera e Senato, un solo ministero - e di quelli di scarso peso - come tutti i partiti minori che superano di poco, quando lo raggiungono, il 2%. Al tempo stesso può sembrare sovrastimato il peso di RC per l’occupazione di una delle cariche istituzionali più ambite dello Stato, quella di presidente della Camera. In realtà ciò risponde ad una logica precisa, quella di non impegnare RC in ministeri chiamati a prendere misure antipopolari, lasciandole tuttavia la responsabilità della presidenza di uno dei rami del parlamento che permetterà di poter dire che Bertinotti avrà saputo dare ai lavoratori tutte le occasioni di uso democratico delle istituzioni. Se poi si dovesse arrivare a una situazione di malcontento popolare estremo, Rifondazione potrebbe sempre ritirare dal governo quell’unico ministro (tanto che ci sia o no fa pochissima differenza) in modo da mantenere un appoggio esterno, critico beninteso.
I mesi che verranno saranno perciò particolarmente importanti dal punto di vista dello scontro sociale, con la borghesia impegnata a cercare nuove strategie di mistificazione contro la classe operaia, e quest’ultima sempre meno disponibile a farsi abbindolare. L’esperienza di lotte e di solidarietà che sta vivendo in questo momento il proletariato a livello internazionale costituirà l’humus appropriato in cui questo scontro di classe potrà arrivare ad un’appropriata maturazione.
Ezechiele, 31 maggio 2006
1. A parte la partecipazione italiana alla “seconda fase” della guerra in Iraq, basti ricordare la libertà data all’esercito americano di arrestare senza alcuna autorizzazione della magistratura, anzi, diciamo più propriamente, di rapire dal suolo italiano cittadini di altri paesi sospettati di terrorismo e ancora di usare gli aeroporti italiani come scalo per i famosi aerei-prigione