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1. Alternativa di società (2)
Partiamo naturalmente dalla posizione maggioritaria di Bertinotti (59,2%) per poi passare alle varie minoranze. In aggiunta agli elementi già sviluppati nello scorso articolo, possiamo osservare che le posizioni della maggioranza sono caratterizzate dalla mancanza più assoluta di riferimenti di classe. Si parla di crisi, ma non si propone nessuna analisi dei motivi di questa crisi. Si propone una alternativa di società, ma il modello proposto è esplicitamente ritagliato per un’Italia più egualitaria che dovrebbe sorgere dalla buona volontà di tutti i cittadini e dalla vittoria di una consultazione elettorale. Per quanto riguarda la politica internazionale, si porta avanti un’ipotesi mistificatoria secondo cui "la guerra alimenta il terrorismo, che è figlio e fratello della guerra" (Mozione n.1, Tesi n.7), per cui si tratterebbe ancora una volta di convincere gli animi di buona volontà a rompere questa spirale perversa per raggiungere la pace. Di qui una conseguente esaltazione del pacifismo, della non violenza, dell’ecologismo, ecc. come parole d’ordine per cui battersi. Infine la Rifondazione maggioritaria è esplicitamente nazionalista e quindi difensore dell’imperialismo italiano, come abbiamo mostrato nello scorso numero attraverso le dichiarazioni di Bertinotti sul caso Calipari (3). D’altra parte, che Rifondazione abbia esplicitamente rinunciato a considerarsi partito operaio lo si evince anche dalle sue recenti dichiarazioni precongressuali: "Il movimento operaio è stato il grande protagonista del secolo ma è stato sconfitto in primo luogo per il fallimento laddove si è costituito in stato nelle società post-rivoluzionarie nelle quali le istanze di liberazione per cui era nato si sono anche rovesciate in forme di oppressione drammatica." (Mozione n.1, Tesi n.6) Così Rifondazione partecipa in prima persona alla grande mistificazione secondo cui i paesi dell’est europeo, e in primo luogo la stessa Unione Sovietica, sarebbero stati - fino al crollo del muro di Berlino del 1989 - dei paesi sotto il controllo di una classe operaia degenerata, una classe che sarebbe stata protagonista (e non vittima, come invece è stato!) di forme di oppressione drammatica. In conclusione si vede che, se Rifondazione dovesse basare la sua attrattiva solamente sulle posizioni maggioritarie, avrebbe a disposizione le carte di un partito democratico di sinistra, più o meno radicale, ma niente di più. In realtà quello che fa di Rifondazione un partito che attrae molti elementi in ricerca, giovani e meno giovani, è la presenza al suo interno di una costellazione di realtà, di minoranze e di attività che, pur criticando e contestando le posizioni di Bertinotti, finiscono per dargli forza e per ricevere esse stesse una cornice di partito all’interno della quale si sentono gratificate e riescono a meglio lavorare. E’ perciò importante prendere in considerazione una per una queste componenti per capire il ruolo specifico di ognuna di esse all’interno del partito.
2. Essere comunisti
Dopo quella di Bertinotti, la componente Essere comunisti capeggiata da Claudio Grassi è quella più importante all’interno del partito potendo contare su un seguito del 26,2% e su una rivista dal titolo significativo, l’Ernesto. Da questa mozione in poi il linguaggio si fa progressivamente più "radicale", "di sinistra", il che non corrisponde necessariamente a posizioni realmente più di sinistra e, soprattutto, al fatto che sussistano posizioni di classe, come cercheremo di mostrare via via in questa nostra analisi. Questa seconda mozione non esclude l’appoggio ad una alternativa governativa di sinistra, ma a condizione che ci sia un accordo preventivo nella coalizione. Sulla guerra c’è una posizione molto più dura rispetto a Bertinotti, con una denuncia della guerra in Iraq e un appoggio alla resistenza irachena (che manca del tutto nella prima mozione) e a quella palestinese, che rendono questa posizione "più di sinistra". Si critica la posizione maggioritaria pacifista e non violenta, ci si dichiara solidali con quelli che fanno resistenza all’oppressione. E quando si arriva al paese di appartenenza si dice: "L’Italia non dovrà mai più partecipare ad interventi militari (nemmeno sotto copertura ONU, né indirettamente tramite la concessione di basi militari, spazi aerei, strutture logistiche) se non in difesa del proprio territorio da un’invasione straniera" (Mozione n.2, Tesi n.5). Detto in altri termini, si è contro una guerra di aggressione, ma se la guerra è camuffata come difesa del territorio dei propri padroni, (che sia in Iraq, in Palestina o in Italia), allora sì che questi servi dei padroni sono pronti a chiamare i lavoratori al massimo sacrificio (4).
Sull’Europa la mozione dice che questa non è quella struttura omogenea che si vorrebbe far credere e mette in guardia contro il ruolo emergente di questo continente dal punto di vista imperialista. Per inciso va detto che tutte le mozioni minoritarie sono critiche nei confronti della costituzione del partito della sinistra europea (a cui Rifondazione Comunista ha garantito l’adesione) perché avrebbe raccolto a livello europeo solo i partiti più moderati.
C’è anche una critica alla maggioranza per i cedimenti al revisionismo storico: "E’ necessario porre un argine al revisionismo storico, che da tempo ha conquistato posizioni anche a sinistra, cancella o riduce le colpe della borghesia e del capitalismo e criminalizza la storia del movimento operaio e comunista". (…) La critica netta degli errori e dei processi degenerativi che hanno macchiato alcuni momenti della storia del movimento comunista e del "socialismo reale" fa irreversibilmente parte del nostro patrimonio culturale, politico e morale. Siamo consapevoli della loro portata e delle gravi conseguenze che ne sono derivate anche per chi non ha disertato la lotta nel nome del comunismo". (…) Rivendicando la storia del movimento operaio e comunista, riconoscendola come la nostra storia. L’Ottobre bolscevico e la costruzione dell’Urss, la rivoluzione cinese, quella vietnamita e quella cubana – per limitarci ad alcune tra le più importanti esperienze del movimento comunista – hanno consentito la liberazione di sterminate masse di donne e di uomini da condizioni di fame e di miseria e hanno rappresentato il tentativo di costruire società alternative al capitalismo e orientate verso il socialismo" (Mozione n.2, Tesi n.18). Più in particolare si critica la recente ipotesi di accettare, per i combattenti della Repubblica di Salò - i cosiddetti "ragazzi di Salò" – lo stesso trattamento adottato per i partigiani.
Si rivendica ancora il vecchio PCI dispiacendosi per il fatto che sia stato sciolto, anche se si parla di errori nel vecchio PCI, ma non si capisce quali siano: "Dopo essere stato la colonna della liberazione del Paese dal fascismo e la fucina di una coscienza democratica di massa, il PCI ha saputo imporre la centralità dei diritti del lavoro e dei diritti sociali, impedendo che la rapida modernizzazione del Paese comportasse enormi costi sociali e integrando i più alti risultati della civiltà borghese. (…) Il processo di graduale mutazione in senso socialdemocratico che ha segnato l’ultima fase della storia del PCI, non cancella i meriti storici complessivi dell’esperienza del comunismo italiano. Per questo appaiono gravissime le responsabilità dei gruppi dirigenti che hanno favorito lo scioglimento del PCI" (Mozione n.1, Tesi n.19).
In realtà non si capisce dove si collocano gli errori e quali siano stati i processi degenerativi. E’ certo comodo fare riferimento a Marx, Engels e a Lenin e fermarsi a Gramsci per poi saltare a piè pari al femminismo e quanto altro di oggi. E tutti gli altri 70-80 anni di storia? E poi, per quanto riguarda il tanto glorificato PCI a cui si rimprovera solamente la graduale mutazione in senso socialdemocratico che (avrebbe) segnato l’ultima fase (sic!), è evidente che o non sanno di che parlano, o più probabilmente lo sanno benissimo e cercano in tutti i modi di nasconderlo. In effetti non è questo il luogo per ricordare il ruolo controrivoluzionario del PCI giocato dalla fine degli anni ’20 fino al suo scioglimento dopo il 1989. Ma tanto per rinfrescare la memoria vogliamo solo ricordare:
- tutte le calunnie e le denunce politiche mosse dal PCI contro la sinistra comunista a partire dagli anni ’20 per scalzarla dalla direzione, metterla in minoranza e ridurla a niente;
- il ruolo svolto da Togliatti all’interno della direzione dell’Internazionale Comunista - divenuta ormai strumento dello stato sovietico e dello stalinismo - contro tutte le minoranze a livello internazionale;
- l’assassinio degli internazionalisti Atti e Acquaviva ad opera degli stalinisti del PCI;
- la coscrizione obbligatoria voluta e portata avanti in prima persona dal PCI nel sud liberato dopo il ‘43 nei confronti di soldati già fortemente provati da 3 anni di guerra e di ritorno alle loro case dopo l’armistizio in nome della lotta antifascista;
- il ruolo svolto da Togliatti in qualità di ministro della giustizia all’interno dei primi governi del II dopoguerra contro i cosiddetti "sbandati", ex soldati rimasti disoccupati e privi di ogni risorsa, contro cui il neo-ministro stalinista si scaglia con una ferocia inaudita.
Di fatto questa corrente si caratterizza come una corrente cripto-stalinista, che svolge all’interno di Rifondazione la "benefica" funzione di offrire una sponda a tutti i nostalgici del vecchio periodo stalinista che male hanno digerito la svolta operata nei primi anni ’90 prima da Occhetto e poi da D’Alema.
Prima di chiudere una curiosità: questa mozione fa un fugace e strano riferimento alla questione sarda. Forse che questa componente ha dei debiti nei confronti di un consistente elettorato sardo a cui ha bisogno di promettere qualche cosa?
3: Per un progetto comunista
La terza mozione, il cui leader è il trotskista Marco Ferrando, è molto più caratterizzata a sinistra e vanta il 6,51% di consensi all’interno del partito. Come si sa le organizzazioni trotskiste hanno adottato, dai tempi della IV Internazionale, la politica dell’entrismo, che consiste nel confluire in massa nei ranghi di organizzazioni della sinistra borghese nel tentativo di acquisire un’influenza tra i suoi militanti fino a prenderne il controllo. Il problema è che, ammesso che l’organizzazione trotskista avesse le caratteristiche di una organizzazione proletaria - cosa che noi escludiamo del tutto dopo l’appoggio dato dalla corrente trotskista al fronte imperialista sovietico durante la II guerra mondiale – il dato di fatto è che è l’organizzazione borghese che finisce inevitabilmente per fagocitare i militanti proletari che hanno l’illusione - aderendovi - di avere una più ampia platea cui rivolgersi.
Sul piano interno questa corrente spara a zero contro il centro sinistra, contro il governo di unità nazionale e critica Rifondazione ricordando che un programma alternativo serio deve cancellare le riforme di Berlusconi, ma anche quelle di Dini e quelle fatte dalla sinistra (vedi nota n.1). Quindi c’è una presa di distanza dai governi di sinistra e da quello che la stessa RC ha fatto in questi governi. Sono per una posizione elettorale autonoma e di opposizione, anche se non resistono alla tentazione di raggiungere un accordo particolare in seconda istanza con le forze di sinistra per buttare giù Berlusconi. In particolare avvertono la necessità di una svolta sul terreno locale, dove sentono che ancora una volta il PRC è stato corresponsabile di politiche antiproletarie: "L’esperienza di oltre dieci anni ci dice che il coinvolgimento del PRC nelle Giunte dell’Ulivo ha corresponsabilizzato il partito nella gestione locale delle politiche nazionali (in una logica, nel migliore dei casi, di "limitazione del danno"): in parte rilevante del paese siamo compartecipi di scelte di privatizzazione, di tagli della spesa, di patti concertativi con le organizzazioni del padronato, alla coda di sindaci o governatori ulivisti" (Mozione n.3, pag. 22).
Sul piano internazionale si parla degli interessi imperialisti dell’Italia in Iraq e del ruolo criminale dell’esercito italiano: "Più in generale il PRC deve rivendicare il ritiro immediato e incondizionato delle truppe da ogni teatro coloniale, inclusi i Balcani e l’Afghanistan. E deve sviluppare una vera campagna di massa che denunci il ruolo criminale delle truppe italiane in Irak e gli affari dell’imperialismo italiano (vedi gli interessi dell’ENI a Nassiria, i lauti affari delle aziende italiane coinvolte nel business della ricostruzione). Parallelamente il nostro partito deve sostenere, senza ambiguità, il diritto incondizionato di resistenza e sollevazione del popolo irakeno contro l’occupazione coloniale (americana, inglese, italiana)" (Mozione n.3, pag.21). Anche se questa posizione si presenta in apparenza particolarmente tagliente e coraggiosa, di fatto non è altro che l’altra faccia della stessa medaglia della difesa dell’imperialismo nostrano, cioè un’esaltazione del fronte della resistenza irakena dietro il quale si nascondono tutte le forze imperialiste che oggi hanno interesse a osteggiare se non a combattere apertamente i padroni del mondo e i loro alleati: Usa e potenze alleate. Oggi come oggi, non essendo ancora mature le condizioni perché scoppi un nuovo conflitto imperialista mondiale, le tensioni tra le grandi potenze si scaricano attraverso una serie di conflitti locali dove i paesi minori fanno da capro espiatorio delle stesse tensioni. La prima guerra del Golfo, quella contro la Serbia, e poi l’Afghanistan e ancora la seconda guerra del Golfo, per non citare che le più importanti degli ultimi 15 anni, sono state tante occasioni in cui gli Usa da una parte e le potenze europee dall’altra, in una cinica quanto falsa alleanza, si sono confrontati per definire la reciproca influenza sullo scacchiere mondiale. Battersi dunque per sostenere il diritto incondizionato di resistenza e sollevazione del popolo irakeno contro l’occupazione coloniale, significa fare il gioco di un fronte imperialista contro l’altro, mentre la posizione di classe consiste nel sostenere la componente proletaria all’interno del popolo irakeno (come di qualunque altro paese centrale o periferico che sia) contro la borghesia locale e internazionale.
E’ infine interessante il rammarico che la corrente di Ferrando prova per la chiusura negativa dei rapporti con il movimento alter-mondialista rispetto al quale si accusa la direzione di aver tirato i remi in barca perché, di fronte alle azioni forti di piazza, si sarebbe fatta indietro per non compromettere la scelta governista. In realtà è ancora una volta la corrente di Ferrando che mostra essa stessa la sua natura borghese facendo riferimento in particolare al settore dei Disobbedienti che, per quanto possano essere incazzati e combattivi, sono pur sempre uno strato sociale indistinto mosso da velleità piccolo-borghesi e pertanto disomogenei ad una collocazione autenticamente di classe. La cosiddetta "spesa proletaria" non è una pratica proletaria, ma una pagliacciata organizzata da Casarini e compagni per rilanciare un movimento momentaneamente in ribasso!
Chiudiamo qui questa seconda parte del nostro contributo su Rifondazione Comunista. Abbiamo visto finora che né le posizioni di maggioranza, né quelle di due mozioni di minoranza, sono espressione degli interessi degli operai. La prossima volta ci toccherà però analizzare le altre due posizioni, tra cui si esprimono posizioni particolarmente radicali. Troveremo forse qui le tanto agognate posizioni di classe? Lo scopriremo nella prossima puntata.
Ezechiele, 17 maggio 2005
1. Giusto per rinfrescare la memoria, riportiamo da capo una delle citazioni più significative: "In un contesto storico segnato dall’esaurimento dello spazio riformistico l’ingresso dei partiti comunisti nei governi borghesi significa il loro coinvolgimento nelle politiche di attacco ai lavoratori. Così è stato per il PCF nel governo Jospin nel 97-2001, e per il nostro partito nella maggioranza del primo governo Prodi del 96-98. (…) La cancellazione della controriforma pensionistica di Berlusconi è doverosa: ma va combinata con la cancellazione della riforma Dini voluta dall’Ulivo che ha abbattuto le pensioni future dei giovani per fare largo al capitale finanziario. La cancellazione della legge 30 è una necessità: ma va congiunta all’abolizione del pacchetto Treu, imposto dal governo Prodi col voto del PRC, che ha introdotto la piaga del lavoro interinale. La cancellazione della "Bossi-Fini" è drammaticamente urgente: ma non può risparmiare i campi di detenzione (CPT) imposti dall’Ulivo agli immigrati, col voto favorevole del PRC, e tutte le loro brutture." (mozione n. 3, pag. 20, sottolineature nostre).
2. Il titolo di questo paragrafo, come dei prossimi quattro, fa riferimento al titolo della mozione della corrispondente componente di Rifondazione.
3. "La politica chiede che questa uccisione sia assunta per quella che è: una questione nazionale. Le prime reazioni del presidente del Consiglio sembravano incoraggiare questa speranza. (…) C’è in discussione l’autonomia dello Stato nazionale. La possibilità di intraprendere iniziative politiche e diplomatiche, con l’obiettivo di salvare la vita a propri concittadini, può essere messa in discussione da una potenza che, peraltro, si dice nostra alleata. A Berlusconi chiedo uno scatto d’orgoglio nazionale, come avvenne a Sigonella. (Al governo c’era Craxi, ricorda il giornalista). Non l’ho mai avuto in simpatia, ma a Sigonella vi fu uno scatto di orgoglio del suo governo. In quell’atto si rilevò la dote di uno statista" (La Repubblica dell’8 marzo 2005).
4. Il carattere controrivoluzionario di questa posizione è stata già ampiamente sconfessata nella storia del movimento operaio e da noi ribadita nella brochure internazionale "Nazione o classe".
Nell’articolo pubblicato nello scorso numero del giornale abbiamo mostrato come Rifondazione Comunista, il partito che vorrebbe farsi passare come il difensore e il continuatore della tradizione comunista in Italia, non sia altro che un partito borghese, di sinistra borghese, cioè un partito che difende gli interessi del capitale e non quelli dei lavoratori. Per dimostrare questa semplice verità non c’è stato bisogno di ricorrere a ricerche particolari, di rovistare in archivi segreti, ma semplicemente di leggere quello che le stesse componenti minoritarie di Rifondazione dicono della maggioranza la quale esprime - a pieno titolo - il partito stesso (1). In questo secondo articolo – e in un terzo che seguirà - ci proponiamo di dimostrare che, fatta salva la buona fede di quanti si fanno delle illusioni al riguardo, le stesse minoranze sono del tutto funzionali alla politica controrivoluzionaria del partito a cui appartengono ed esprimono, ognuna per proprio conto, delle posizioni del tutto antioperaie. Per comodità passeremo in rassegna le varie componenti di Rifondazione facendo riferimento alle mozioni presentate all’ultimo congresso di marzo scorso.