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Gli avvenimenti che si sono svolti in Argentina da dicembre 2001 a febbraio 2002 hanno suscitato un grande interesse tra gli elementi politicizzati del mondo intero. Discussioni e riflessioni hanno avuto luogo un po’ dovunque tra gli operai combattivi sul posto di lavoro. Certi gruppi trotzkisti hanno parlato finanche di “inizio della rivoluzione”.
Nel campo della Sinistra comunista, il BIPR ha dedicato numerosi articoli a questi avvenimenti e ha affermato, in una dichiarazione che: “In Argentina, i danni dovuti alla crisi economica hanno messo in moto un proletariato forte e determinato sul terreno della lotta e dell'auto-organizzazione, proprio ad esprimere una rottura di classe” (1)
L'interesse che ha suscitato la situazione di effervescenza sociale in Argentina è completamente legittimo e comprensibile. Difatti, dal crollo del blocco dell'Est nel 1989, la situazione internazionale non è stata segnata da grandi movimenti proletari di massa come invece era accaduto precedentemente, per esempio, con lo sciopero in Polonia nel 1980 o con le lotte come quelle di Cordoba in Argentina nel 1969. Lo scenario successivo è stato invece dominato dalla barbarie guerriera (la guerra del Golfo nel 1991, in Iugoslavia, in Afghanistan, nel Medio Oriente...), dagli effetti quotidiani sempre più profondi dell’avanzamento della crisi economica mondiale (licenziamenti massicci, disoccupazione, abbassamento degli stipendi e delle pensioni), e dalle differenti manifestazioni della decomposizione del capitalismo (distruzione dell’ambiente naturale, moltiplicazione delle catastrofi “naturali” e “accidentali”, sviluppo del fanatismo religioso, razziale, della criminalità, ecc.).
Questa situazione, di cui abbiamo analizzato le cause dettagliatamente (2), rappresenta il motivo per cui gli elementi politicizzati prestano un’attenzione particolare agli avvenimenti che si sono svolti in Argentina e che sembrano rompere con questo ambiente dominante “di cattive notizie”: in Argentina, le proteste di strada hanno provocato un cambio senza precedenti di presidenti (5 in 15 giorni), hanno preso la forma di numerose assemblee “auto-convocate” ed espresso rumorosamente il loro rigetto verso “tutti i politici”.
I rivoluzionari hanno il dovere di seguire attentamente i movimenti sociali per prendere posizione ed intervenire dovunque la classe operaia si manifesti. Certamente gli operai hanno partecipato alle mobilitazioni che si sono avute in Argentina e, in alcune lotte isolate, hanno anche formulato chiare rivendicazioni di classe scontrandosi con il sindacalismo ufficiale. Evidentemente noi siamo solidali con queste lotte, ma il nostro contributo più importante, in quanto gruppo rivoluzionario, è prima di tutto fare la più grande chiarezza nell’analisi di questi avvenimenti. È da questa chiarezza che dipende la capacità delle organizzazioni rivoluzionarie di condurre un intervento adeguato, facendo riferimento al quadro storico ed internazionale definito dal metodo marxista. In effetti, il peggiore errore che le avanguardie del proletariato mondiale possano fare è alimentare le illusioni all’interno della classe operaia, incoraggiandola nelle sue debolezze e facendole scambiare sconfitte per vittorie. Un tale errore, piuttosto che contribuire ad aiutare il proletariato a riprendere l’iniziativa, a sviluppare le lotte sul suo terreno di classe, ad affermarsi come sola forza sociale contro il capitale, può solo rendere il suo compito ancora più difficile.
Da questo punto di vista, la domanda che poniamo è: qual è stata la natura di classe degli avvenimenti in Argentina? È proprio vero che in questo movimento, come pensa il BIPR, il proletariato ha sviluppato la sua “auto-organizzazione” e la sua “rottura” con il capitalismo? La nostra risposta è chiara e netta: no! Il proletariato in Argentina si è trovato immerso e diluito in un movimento di rivolta interclassista. Questo movimento di protesta popolare, in cui la classe operaia è stata sommersa, non ha espresso la forza del proletariato ma la sua debolezza. Perciò la classe non è stata in grado di affermare né la sua autonomia politica, né la propria auto-organizzazione.
Il proletariato non ha bisogno di consolarsi né di aggrapparsi a illusorie chimere. Quello di cui ha bisogno è ritrovare la strada della propria prospettiva rivoluzionaria, di affermarsi sulla scena sociale come unica classe capace di offrire un avvenire all’umanità e, sulla base di questa posizione, trascinare con sé gli altri strati sociali non sfruttatori. Per tale motivo il proletariato ha bisogno di guardare la realtà in faccia, senza avere paura della verità. Per sviluppare la sua coscienza ed elevare le sue lotte all’altezza della posta in gioco della attuale situazione storica, non può risparmiare critiche alle sue debolezze, facendo una riflessione di fondo sugli errori commessi e le difficoltà incontrate. Gli avvenimenti d’Argentina serviranno al proletariato mondiale - ed a quello argentino in particolare se le sue capacità di lotta non si sono esaurite nel frattempo - a trarre una chiara lezione: cioè che la rivolta interclassista non indebolisce il potere della borghesia, ma principalmente lo stesso proletariato.
Il collasso dell'economia argentina manifestazione eclatante dell'aggravamento della crisi.
Non entreremo qui in un’analisi dettagliata della crisi economica in Argentina. Rinviamo per questo alla nostra stampa territoriale (3).
Particolarmente significative della situazione sono comunque la crescita brutale della disoccupazione, che è passata del 7% nel 1992 al 17% nell’ottobre 2001 e che ha raggiunto il 30% in tre mesi (dicembre 2001), e la comparsa, per la prima volta dall’epoca della colonizzazione spagnola, del fenomeno della fame in un paese considerato, appena recentemente, di “livello europeo” e la cui produzione principale è, precisamente, la carne ed il grano.
Lungi dal costituire un fenomeno locale, provocato da cause come la corruzione o la volontà di “vivere come gli europei”, la crisi argentina costituisce un nuovo episodio dell’aggravamento della crisi economica del capitalismo. Questa crisi è mondiale e riguarda tutti i paesi. Ma ciò non significa che li colpisce tutti allo stesso modo ed allo stesso livello. “Se non risparmia nessun paese, la crisi mondiale esercita i suoi effetti più devastanti non tanto nei paesi più evoluti, più potenti, ma in quelli che sono arrivati troppo tardi nell’arena economica mondiale e la cui strada verso lo sviluppo è sbarrata definitivamente dalle potenze più vecchie”. (“Il proletariato dell'Europa occidentale al centro della generalizzazione della lotta di classe” Revue Internationale n° 31).
Inoltre, di fronte all’aggravarsi ulteriore della crisi, i paesi più forti prendono delle misure per difendersi contro i suoi colpi e riversare questi sui paesi più deboli (“liberalizzazione” del commercio mondiale, “mondializzazione” delle transazioni finanziarie, investimenti nei settori chiave dei paesi più deboli che utilizzano le privatizzazioni, le politiche del FMI, ecc.), quello che in una sola parola si chiama “mondializzazione”. Si tratta di un insieme di misure di capitalismo di stato applicate all’economia mondiale dai grandi paesi per proteggersi dalla crisi e rovesciare i suoi effetti peggiori sulle economie più deboli (4). I dati forniti dalla Banca mondiale (5) sono eloquenti: nei venti anni tra il 1980 e il 2000, i creditori privati ricevono dall’insieme dei paesi dell’America latina 192 miliardi di dollari in più dell’importo che avevano prestato, ma in soli due anni tra il 1999 e il 2000, questa differenza ammonta, niente di meno, a 86 miliardi di dollari, praticamente la metà della differenza prodotta in 20 anni. Da parte sua, il FMI, tra il 1980 e il 2000, ha concesso ai paesi sudamericani dei crediti di un importo di 71,3 miliardi di dollari nello stesso momento in cui questi ultimi gli rimborsavano 86,7 miliardi!
Ciononostante, la situazione in Argentina è solo la punta dell’iceberg: dietro questo paese ce ne sono altri, di grande importanza come fornitori di petrolio o per la loro posizione strategica (Venezuela, la Turchia, il Messico, il Brasile, l'Arabia saudita...), che sono candidati potenziali a subire lo stesso crollo economico e politico.
Movimento autonomo di classe o rivolta interclassista cieca e caotica?
Come afferma in modo lapidario il BIPR nella sua pubblicazione italiana, il capitalismo risponde alla fame con ancora più fame. Il BIPR mostra così chiaramente l’assenza di alternative presente nelle molteplici misure di “politica economica” proclamate dai governi, dalle opposizioni o dai “movimenti alternativi” come il Social Forum di Puerto Alegre. I rimedi ingegnosi che prescrivono questi demagoghi sono stati squalificati gli uni dopo gli altri dagli stessi fatti, in 30 anni di crisi (6). Il BIPR conclude a giusta ragione: “non bisogna farsi illusioni: a questo punto, il capitalismo non ha niente altro da offrire se non la generalizzazione della miseria e della guerra. Solo il proletariato può fermare questa tragica deriva”. (7)
Tuttavia, i movimenti di protesta in Argentina sono valutati dal BIPR nel seguente modo: “[il proletariato] è sceso spontaneamente nella strada, trascinandosi i giovani, gli studenti, e parti importanti della piccola borghesia proletarizzata e depauperata come lui. Tutti insieme, hanno esercitato la loro rabbia contro i santuari del capitalismo, le banche, gli uffici e soprattutto i supermercati ed altri negozi che sono stati presi di assalto come i forni del pane nel Medioevo. Nonostante il governo che, nella speranza di intimidire i ribelli, non ha trovato niente di meglio che scatenare una repressione selvaggia, facendo numerosi morti e feriti, la rivolta non ha cessato di estendersi a tutto il paese, assumendo sempre più delle caratteristiche classiste”.
Nelle mobilitazioni sociali che hanno avuto luogo in Argentina, possiamo distinguere tre componenti:
Anzitutto, gli assalti contro i supermercati condotti essenzialmente dagli emarginati, dalla popolazione sottoproletarizzata e dai giovani disoccupati.
Questi movimenti sono stati repressi ferocemente dalla polizia, dalle guardie private e dagli stessi commercianti. In numerosi casi sono degenerati con il saccheggio di abitazioni nei quartieri poveri o di uffici, negozi (8), ecc. La principale conseguenza di questa “prima componente” del movimento sociale è che esso ha condotto a tragici scontri tra gli stessi lavoratori, come illustrato dal sanguinoso scontro tra i piqueteros che volevano impadronirsi di alimenti e gli impiegati del Mercato centrale di Buenos Aires l’11 gennaio (9).
Per la CCI, le manifestazioni di violenza all’interno della classe operaia (che sono in questo caso un’illustrazione dei metodi propri degli strati sottoproletarizzati), non sono per niente un'espressione della sua forza, ma al contrario della sua debolezza. Questi scontri violenti tra differenti parti della classe operaia costituiscono un ostacolo alla sua unità ed alla sua solidarietà e possono servire solo gli interessi della classe dominante.
La seconda componente è stata “il movimento delle cacerolas (casseruole)”
Questa è stata incarnata essenzialmente dalle “classi medie”, esasperate dal cattivo colpo ricevuto dal sequestro e dalla svalutazione dei loro risparmi, quello che si chiama corralito. La situazione di questi strati è disperata: “Da noi, la povertà si allea ad una disoccupazione elevata; a questa povertà si aggiungono i “nuovi poveri”, vecchi membri della classe media che hanno raggiunto questa posizione a causa di una mobilità sociale declinante, al contrario dell'emigrazione argentina fiorente degli inizi del ventesimo secolo”. (10) Gli impiegati del settore pubblico, i pensionati, certi settori del proletariato industriale ricevono, allo stesso modo della piccola borghesia, la pugnalata del corralito: le loro magre economie, acquisite grazie allo sforzo di tutta una vita, si trovano praticamente ridotte a nulla; questi supplementi alle pensioni di miseria si sono volatilizzati. Tuttavia, nessuna di queste caratteristiche conferisce un carattere di classe al movimento dei cacerolas, che resta una rivolta popolare interclassista, dominata da prese di posizione nazionaliste e “ultrademocratiche”.
La terza componente è formata da tutta una serie di lotte operaie
Si tratta in particolare degli scioperi di insegnanti nella grande maggioranza delle 23 province argentine, del movimento combattivo di ferrovieri a livello nazionale, dello sciopero dell’ospedale Ramos Mejias a Buenos Aires o della lotta della fabbrica Bruckmann nella Grande Buenos Aires (durante la quale hanno avuto scontri sia con la polizia in uniforme che con la polizia sindacale), della lotta degli impiegati di banca, di numerose mobilitazioni di disoccupati che, da due anni, fanno marce attraverso l’intero paese (i famosi piqueteros).
I rivoluzionari non possono evidentemente che salutare l’enorme combattività di cui ha dato prova la classe operaia in Argentina. Ma, come abbiamo sempre affermato, la combattività, per tanto forte sia, non è il solo e principale criterio che permette di avere una visione chiara del rapporto di forze tra le due classi fondamentali della società: la borghesia ed il proletariato. La prima domanda cui dobbiamo rispondere è la seguente: queste lotte operaie che sono esplose ai quattro angoli del paese ed in numerosi settori, si sono inserite in una dinamica che può sfociare in un movimento unito di tutta la classe operaia, un movimento massiccio capace di rompere il controfuoco messo in campo dalla borghesia (particolarmente le sue forze di opposizione democratica ed i suoi sindacati)? A questa domanda, la realtà dei fatti ci obbliga a rispondere chiaramente: no! Proprio perché questi scioperi operai sono rimasti sparpagliati e non hanno potuto sfociare in un gigantesco movimento unificato di tutta la classe operaia, in Argentina il proletariato non è stato in grado di stare alla testa del movimento di protesta sociale e di trascinare nella sua scia, dietro i suoi metodi di lotta, l’insieme degli strati non sfruttatori. Al contrario, a causa della sua incapacità a stare alla testa del movimento, le sue lotte sono state immerse, diluite ed inquinate dalla rivolta senza prospettiva degli altri strati sociali che, benché siano loro stessi vittime del crollo dell’economia argentina, non hanno nessuno avvenire storico. Per i marxisti, il solo modo che permette di non perdere la bussola e potersi orientare in una tale situazione si riassume nella domanda: chi dirige il movimento? Qual è la classe sociale che ha l’iniziativa e segna la dinamica del movimento? Solo se saranno capaci di dare una risposta corretta a questa domanda i rivoluzionari potranno contribuire all’avanzamento del proletariato verso la prospettiva della sua emancipazione e, di conseguenza, a quello dell’umanità tutta intera, liberandola della deriva tragica in cui porta il capitalismo.
A tale riguardo il BIPR commette un grave errore di metodo. Contrariamente alla sua visione fotografica ed empirista, non è il proletariato che ha trascinato gli studenti, i giovani e parti importanti della piccola borghesia, ma è precisamente l’inverso che è accaduto. È la rivolta disperata, confusa e caotica di un insieme di strati popolari che ha sommerso e diluito la classe operaia. Un esame sommario delle prese di posizione, delle rivendicazioni e del tipo di mobilitazione delle assemblee popolari di quartiere che hanno proliferato a Buenos Aires e si sono estese a tutto il paese, lo dimostra in tutta la sua crudezza. Cosa chiede l’appello a manifestare del cacerolazo mondiale del 2 e 3 febbraio 2002, appello che ha trovato un’eco in vasti settori politicizzati, in più di venti città di quattro continenti? Questo: “Cacerolazo globale, noi siamo tutta l’Argentina, tutti nella strada, a New York, Puerto Alegre, Barcellona, Toronto, Montreal, (aggiungi la tua città ed il tuo paese). Che tutti vadano via! FMI, Banca mondiale, Alca, multinazionali ladre, governanti e politici corrotti! Che non ne resti uno! Viva l'assemblea popolare! In piedi popolo argentino”! Questo “programma”, nonostante tutta la collera che esprime contro “i politici”, è ciò che questi ultimi difendono tutti i giorni, dall’estrema sinistra all’estrema destra, perché i governi “ultra-liberali” sanno portare essi stessi dei colpi “critici” all’ultra-liberismo, alle multinazionali, alla corruzione, ecc.
D’altra parte, questo movimento di protesta “popolare” è stato particolarmente segnato dal più estremo e reazionario nazionalismo. In tutte le assemblee di quartiere è stato ripetuto fino alla nausea che l’obiettivo è “creare un’altra Argentina”, “ricostruire il nostro paese sulle sue proprie basi”. Sui siti Internet delle differenti assemblee di quartiere si trovano dibattiti di tipo riformistico e nazionalista, come: dobbiamo pagare il debito estero? Qual è la migliore soluzione, imporre il peso o il dollaro? Su un sito Internet viene proposto, in modo lodevole, di lavorare alla “formazione ed alla presa di coscienza” delle persone e, a questo scopo, di aprire un dibattito su Il contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau (11) ed viene anche chiesto un ritorno ai classici argentini del diciannovesimo secolo come San Martin o Sarmiento.
Bisogna essere particolarmente miopi (o avere voglia di rassicurarsi raccontandosi delle favole) per non vedere che questo nazionalismo esagerato ha contaminato anche le lotte operaie: i lavoratori della TELAM hanno messo alla testa delle loro manifestazioni delle bandiere argentine; in un quartiere operaio della Grande Buenos Aires, l’assemblea, tenuta contro il pagamento di una nuova tassa municipale, ha intonato all’inizio ed alla fine l’inno nazionale.
Per il suo carattere interclassista, questo movimento popolare e senza prospettiva non poteva fare niente altro che raccomandare le stesse soluzioni reazionarie che hanno condotto alla situazione tragica in cui è caduta la popolazione, e i cui partiti politici, i sindacati, la chiesa, ecc. - e cioè le forze capitaliste contro cui questo movimento voleva lottare - hanno la bocca piena. Ma quest’aspirazione al ritorno alla situazione precedente, questa ricerca della poesia del passato, è una conferma molto eloquente del carattere impotente e senza avvenire di questa rivolta sociale. Come viene espresso, con grande sincerità, da un partecipante alle assemblee: “Molti dicono che non abbiamo proposte da fare, che tutto quello che sappiamo fare è opporci. E noi possiamo dire con orgoglio che sì, noi ci opponiamo al sistema stabilito dal neoliberismo. Come un arco teso dall'oppressione, siamo le frecce lanciate contro il pensiero unico. La nostra azione sarà difesa, passo su passo, dai nostri abitanti per esercitare il diritto più vecchio dei popoli, la resistenza popolare” (12).
Nella stessa Argentina, nel 1969-73, il Cordobazo, lo sciopero di Mendoza, l’ondata di lotte che ha inondato il paese, hanno costituito la chiave dell’evoluzione sociale. Pur senza avere un carattere insurrezionale, queste lotte hanno segnato il risveglio del proletariato che, a sua volta, ha condizionato tutte le richieste politiche e sociali del paese. Ma la situazione in Argentina nel dicembre 2001 non è la stessa a causa dell’aggravamento della decomposizione della società capitalista. Il proletariato deve far fronte a nuove difficoltà, a ostacoli che ancora deve superare per potersi affermare, per poter sviluppare la sua identità e la sua autonomia di classe. Contrariamente al periodo dell’inizio degli anni ‘70, la situazione sociale in Argentina è stata caratterizzata da un movimento interclassista che ha diluito il proletariato e non ha segnato la scena politica se non in modo effimero ed impotente. Certo, il movimento dei cacerolas ha realizzato una prodezza degna del Guiness dei primati, col cambiamento consecutivo di 5 presidenti in 15 giorni. Ma tutto questo non è altro che fuoco di paglia. Attualmente, i siti web delle Assemblee popolari constatano amaramente che il movimento è svanito come per incanto, così che l’astuto Duhalde è riuscito a ristabilire l’ordine senza avere ridotto in nessun modo la miseria galoppante, né fatto in modo che il suo piano economico porti ad una qualsivoglia soluzione.
La lezione degli avvenimenti dell'Argentina
Nel periodo storico attuale che abbiamo definito come fase di decomposizione del capitalismo (13), il proletariato corre un rischio molto grave: quello di perdere la sua identità di classe, la fiducia in sé stesso, nella sua capacità rivoluzionaria ad ergersi come forza sociale autonoma e determinante nell’evoluzione della società. Questo pericolo è il prodotto di tutta una serie di fattori legati tra loro:
- il colpo portato alla coscienza del proletariato dal crollo del blocco dell’Est, che la borghesia ha potuto presentare facilmente come “il crollo del comunismo” e “l’insuccesso storico del marxismo e della lotta di classe”;
- il peso della decomposizione del sistema capitalista che erode i legami sociali e favorisce un’atmosfera di competizione irrazionale, anche negli stessi settori proletari;
- la paura nei confronti della politica e della politicizzazione che è una conseguenza della forma che ha preso la controrivoluzione (attraverso lo stalinismo, vale a dire dall’interno dello stesso bastione proletario e dei partiti dell’Internazionale Comunista) e dell’enorme colpo che ha rappresentato storicamente per la classe operaia la degenerazione, in maniera consecutiva e in meno di una generazione, delle due migliori creazioni della sua capacità politica e di presa di coscienza: prima dei partiti socialisti ed appena dieci anni dopo, dei partiti comunisti.
Questo pericolo può finire per impedirgli di prendere 1'iniziativa di fronte alla disgregazione profonda di tutta la società, conseguenza della crisi storica del capitalismo. L'Argentina mostra con chiarezza questo potenziale pericolo: la paralisi generale dell'economia e le convulsioni importanti dell'apparato politico borghese non sono state utilizzate dal proletariato per elevarsi come forza sociale autonoma, per lottare per i suoi obiettivi e guadagnare attraverso ciò gli altri strati della società. Sommerso da un movimento interclassista, tipico della decomposizione della società borghese, il proletariato si è trovato trascinato in una rivolta sterile e senza avvenire. Per questa ragione, le speculazioni che hanno attizzato gli ambienti trotskisti, anarchici, autonomi, ed in generale, il campo "anti-mondializzazione" a proposito degli avvenimenti in Argentina, presentandoli come "l'inizio di una rivoluzione", un "nuovo movimento", la "dimostrazione pratica che un'altra società è possibile", sono estremamente pericolose.
Più preoccupante ancora è che il BIPR si è fatto eco di queste confusioni, portando il suo contributo alle illusioni su "la forza del proletariato in Argentina". (14)
Queste speculazioni disarmano le minoranze che il proletariato secerne e che oggi sono alla ricerca di un'alternativa rivoluzionaria di fronte a questo mondo che crolla. Ed è anche per questo che ci sembrava importante chiarire le ragioni del perché il BIPR crede vedere dei giganteschi "movimenti di classe" in quelli che non sono niente di più che mulini a vento di rivolte interclassiste.
In primo luogo, il BIPR ha sempre rigettato il concetto di corso storico con cui noi cerchiamo di comprendere l'evoluzione dei rapporti di forza tra il proletariato e la borghesia nella situazione storica presente che si è aperta con la ripresa storica del proletariato sulla scena sociale nel 1968. Tutto ciò appare al BIPR come puro idealismo che fa “cadere nelle predizioni e nei pronostici” (15). Il suo rigetto di questo metodo storico lo porta ad avere un visione immediatista ed empirica, tanto di fronte ai fatti di guerra che nei confronti della lotta di classe. E’ utile, a questo proposito ricordare l'analisi che ha fatto il BIPR sulla guerra del Golfo, presentata come "inizio della 3a guerra mondiale”. Sulla base di questo stesso metodo fotografico la rivolta di palazzo che mise fine al regime di Ceaucescu è stata presentata quasi come una "rivoluzione": “La Romania è il primo paese nelle regioni industrializzate in cui la crisi economica mondiale ha dato nascita ad una reale ed autentica insurrezione popolare il cui risultato è stato il capovolgimento del governo... in Romania, tutte le condizioni obiettive e quasi tutte le condizioni soggettive erano riunite per trasformare l'insurrezione in una reale ed autentica rivoluzione sociale" ("Ceaucescu è morto, ma il capitalismo vive ancora”, Battaglia Comunista di gennaio 1990)
E’ chiaro che il rigetto di ogni analisi del corso storico può condurre solamente a lasciarsi sballottare dagli avvenimenti immediati. L’assenza di metodo di analisi della situazione storica mondiale e del rapporto di forze reali tra le classi porta il BIPR a considerare che siamo ora alle soglie di una terza guerra mondiale, ora alle soglie della rivoluzione proletaria. Resta per noi un mistero come, secondo il "metodo" di analisi del BIPR, il proletariato passa dalla situazione di reclutamento dietro le bandiere nazionali che preparano una terza guerra mondiale alla situazione dove è pronto all'assalto rivoluzionario, e siamo sempre in attesa che il BIPR ci dia una spiegazione coerente di queste oscillazioni.
Per parte nostra, di fronte a tale andirivieni demoralizzante, riteniamo che solo l’orientamento derivante da una visione globale e storica può permettere ai rivoluzionari di non essere in balia degli avvenimenti ed evitare di ingannare la loro classe facendole prendere lucciole per lanterne.
In secondo luogo, il BIPR continua ad ironizzare sulla nostra analisi della decomposizione del capitalismo affermando che essa ci serve "a spiegare" tutto. Tuttavia, il concetto di decomposizione è molto importante per fare la distinzione tra rivolta e lotta di classe del proletariato. Questa distinzione è cruciale nella nostra epoca. La situazione attuale del capitalismo si evolve infatti verso la protesta, il tumulto, gli scossoni tra le classi, gli strati ed i settori della società. La rivolta è il frutto cieco ed impotente delle convulsioni della società agonizzante. Non contribuisce al superamento di queste contraddizioni ma al loro deterioramento ed aggravamento. È l’espressione di una delle conclusioni della prospettiva generale della lotta delle classi nel corso della storia che delinea il Manifesto comunista, secondo il quale "si finisce sempre o con la trasformazione rivoluzionaria della società o con il crollo delle classi presenti". Questo ultimo termine dell'alternativa è quello che fornisce la base del concetto stesso di decomposizione. Di fronte a ciò, c'è la lotta di classe del proletariato che, se è capace di esprimersi sul proprio terreno di classe, mantenendo la sua autonomia ed avanzando verso la sua estensione e la sua auto-organizzazione, può convertirsi in "un movimento dell'immensa maggioranza in favore dell'immensa maggioranza" (ibid.). Tutto lo sforzo degli elementi più coscienti del proletariato e, in modo più generale, degli operai in lotta, è di non confondere la rivolta con la lotta autonoma della classe, di combattere affinché il peso della decomposizione generale della società non trascini la lotta del proletariato nello stallo della rivolta cieca. Mentre il terreno di quest’ultima porta alla progressiva usura delle capacità del proletariato, il terreno della lotta di classe lo conduce verso la distruzione rivoluzionaria dello Stato capitalista in tutti i paesi.
La prospettiva del proletariato
Se in Argentina, i fatti mostrano chiaramente il pericolo che corre il proletariato se si lascia trascinare sul campo viziato della rivolta "popolare" interclassista, l’esito dell'evoluzione della società verso la barbarie o verso la rivoluzione non si gioca là ma nell'epicentro delle grandi concentrazioni operaie del mondo e, più in particolare, in Europa occidentale.
“Una rivoluzione sociale non consiste semplicemente nella rottura di una catena, nello scoppio della vecchia società. È ancora e simultaneamente un'azione per l'edificazione di una nuova società. Non è un fatto meccanico, ma un fatto sociale indissolubilmente legato agli antagonismi di interessi umani, alla volontà ed alle aspirazioni delle classi sociali e della loro lotta". (Revue internationale n° 31 op. cit) Le visioni meccanicistiche e materialiste volgari vedono nella rivoluzione proletaria solo l'aspetto esplosione del capitalismo, ma sono incapaci di cogliere l'aspetto più importante e decisivo: la sua distruzione rivoluzionaria attraverso l'azione cosciente del proletariato, ciò che Lenin e Trotzkij chiamavano "il fattore soggettivo". Queste visioni materialiste volgari costituiscono un ostacolo ad una presa di coscienza della gravità della situazione storica caratterizzata dall'entrata del capitalismo nella fase estrema della sua decadenza: quella della sua decomposizione, del suo deterioramento dalle fondamenta. Di più, un tale materialismo meccanico e contemplativo si accontenta di "soddisfarsi" "dell'aspetto obiettivamente rivoluzionario": l'aggravamento inesorabile della crisi economica, le convulsioni della società, il deterioramento della classe dominante. I pericoli che rappresentano le manifestazioni della decomposizione del capitalismo (e l’uso ideologico che ne fa la classe dominante) per la coscienza del proletariato, per lo sviluppo della sua unità e della fiducia in sé, sono spazzati via con un gesto di mano dal materialismo volgare! (16)
Ma la chiave di una prospettiva rivoluzionaria nella nostra epoca risiede precisamente nella capacità del proletariato a sviluppare nelle sue lotte quest’insieme di elementi "soggettivi", la sua coscienza, la fiducia nel suo diventare rivoluzionario, la sua unità e la solidarietà di classe) che gli permetteranno di contrastare progressivamente e poi mettere fine, superandolo, al peso della decomposizione ideologica e sociale del capitalismo. Le condizioni più favorevoli per questo sviluppo, si trovano proprio nelle grandi concentrazioni operaie dell'Europa occidentale, dove "le rivoluzioni sociali non si producono dove la vecchia classe dominante è più debole e dove la sua struttura è meno evoluta, ma al contrario là dove la sua struttura ha raggiunto il suo più grande completamento compatibile con le forze produttive e dove la classe portatrice dei nuovi rapporti di produzione, chiamata a sostituirsi ai vecchi diventati caduchi, è più forte... Marx ed Engels hanno cercato e puntato là dove il proletariato è più forte, più concentrato e più adatto ad operare la trasformazione sociale. Perché, se la crisi colpisce in primo luogo e più brutalmente i paesi sottosviluppati in ragione stessa della loro debolezza economica e della loro mancanza di margine di manovre, non bisogna perdere mai di vista che la crisi ha la sua sorgente nella sovrapproduzione e dunque nei grandi centri di sviluppo del capitalismo. Questa è un'altra ragione per la quale le condizioni per una risposta a questa crisi ed al suo superamento risiedono fondamentalmente in questi grandi centri." (ibid.)
In effetti, la visione deformata del BIPR sul contenuto di classe degli avvenimenti in Argentina è da mettere in relazione con la sua analisi delle potenzialità del proletariato dei paesi della periferia che si esprime particolarmente nelle sue "Tesi sulla tattica comunista nei paesi della periferia capitalista" adottata dal 6° congresso di Battaglia comunista (pubblicata in italiano in Prometeo n° 13, serie V, giugno 1997). Secondo queste tesi le condizioni che prevalgono nei paesi della periferia determinano in questi ultimi "un potenziale di radicalizzazione delle coscienze più elevate piuttosto che nelle formazioni sociali delle grandi metropoli" ciò implica che "resta la possibilità che la circolazione del programma comunista tra le masse sia più facile ed il “livello di attenzione” ottenuto dai comunisti rivoluzionari più elevati, rispetto alle formazioni sociali del capitalismo avanzato". Nella Revue internationale n° 100 ("La lotta della classe operaia nei paesi della periferia del capitalismo") confutiamo nei dettagli una tale analisi per cui non è necessario ritornarci qui. Ciò che dobbiamo segnalare è che la visione falsata del BIPR del significato delle recenti rivolte in Argentina costituisce non solo un'illustrazione della sua incapacità di integrare la nozione di corso storico e di decomposizione del capitalismo, ma anche del carattere erroneo di queste tesi.
La nostra analisi non significa affatto che disprezziamo o sottovalutiamo le lotte del proletariato in Argentina o in altre zone dove il capitalismo è più debole. Significa semplicemente che i rivoluzionari, come avanguardia del proletariato, avendo una visione chiara della marcia generale del movimento proletario nel suo insieme, hanno la responsabilità di contribuire a fare in modo che il proletariato e le sue minoranze rivoluzionarie abbiano, in tutti i paesi, una visione più chiara e più esatta delle proprie forze e limiti, di chi sono i suoi alleati e di come orientare le lotte.
Contribuire a questa prospettiva è il compito dei rivoluzionari. Per compierlo, essi devono resistere con tutte le forze alla tentazione opportunista di vedere, per impazienza, per immediatismo e mancanza di fiducia storica nel proletariato, un movimento di classe là dove -come in Argentina- non c’è stata che un rivolta interclassista.
Adalen (10 marzo 2002)
1. Si può trovare questa Dichiarazione sul sito Internet del BIPR (https://www.internationalist.net) e si intitola: “Dall’Argentina, una lezione: o il partito rivoluzionario ed il socialismo, o la miseria generalizzata e la guerra”. Se dedichiamo una buona parte di questo articolo a confutare le analisi del BIPR, non è a causa di un’ostilità particolare da parte nostra verso questa organizzazione, ma perché questa rappresenta, insieme alla nostra, la principale componente del campo politico proletario, ciò che ci dà la responsabilità di combattere quelle concezioni che noi consideriamo sbagliate e quindi fattori di confusione nei confronti di elementi che si avvicinano alle posizioni della Sinistra comunista.
2. Vedi i seguenti articoli della Rivista Internazionale (disponibile in inglese, francese e spagnolo): “Crollo del blocco dell’Est, difficoltà aumentate per il proletariato” n° 60; “Perché il proletariato non ha rovesciato ancora il capitalismo?” n° 103 e 104; “Rapporto sulla lotta di classe” n°107.
3. Vedi in particolare i nn. 319 e 320 del nostro giornale in lingua francese Revolution Internationale.
4. Vedi il “Rapporto sulla crisi economica” pubblicato nella Rivista Internazionale n°106 (disponibile in inglese, francese e spagnolo).
5. Fonte: Banca mondiale, World Development indicator 2001.
6. Vedi il “Rapporto sulla crisi economica” nella Rivista Internazionale n°106 e l’articolo “30 anni di crisi del capitalismo” nella Rivista Internazionale da n° 96 a 98 (disponibile in inglese, francese e spagnolo).
7. Presa di posizione del BIPR sull’Argentina.
8. Il giornale Pagina del 12 gennaio 2000 riportava: “il fatto, senza precedenti, che in certi quartieri di Buenos Aires, i saccheggi sono passati dai centri commerciali alle case”.
9. Vedi Revolution Internationale n° 320, organo della CCI in Francia.
10. Ripreso da un Sito Web che presenta delle sintesi della stampa argentina.
11. Studiare opere di pensatori anteriori al movimento operaio non è negativo in sé, poiché il proletariato integra e supera nella sua coscienza rivoluzionaria tutta l'eredità storica dell'umanità. Tuttavia partire da Rousseau non è precisamente un punto di partenza adeguato per affrontare i gravi problemi attuali.
12. Estratto dal forum Internet, www.cacerolazo.org
13. Leggi le “Tesi sulla decomposizione” sulla Rivista Internazionale n° 14 (edizione italiana)
14. In compenso, il PCI nel n° 460 del suo giornale, Le Proletaire, adotta una presa di posizione chiara fin dal titolo del suo articolo (“I cacelorazos hanno potuto rovesciare i presidenti. Per combattere il capitalismo, occorre la lotta operaia!”), e denuncia il carattere interclassista del movimento difendendo che: “esiste solamente una via per opporsi a questa politica: la lotta contro il capitalismo, la lotta operaia che unisce tutti i proletari su degli obiettivi non popolari ma di classe, la lotta non nazionale ma internazionale, la lotta che si fissa lo scopo finale non della riforma ma della rivoluzione”.
15. Per conoscere la nostra concezione del corso storico, si possono leggere i nostri articoli nella Rivista Internazionale n° 15, 17 e 107 (disponibili in inglese, francese e spagnolo). Abbiamo fatto delle polemiche col BIPR su questo argomento nella Rivista Internationale n° 11 (edizione italiana)
16. “i diversi elementi che costituiscono la forza del proletariato cozzano direttamente contro le differenti facce di questa decomposizione ideologica:
l'azione collettiva, la solidarietà trovano di fronte ad esse l'atomizzazione, il “ciascuno per sé”, la soluzione individuale;
il bisogno di organizzazione si confronta alla decomposizione sociale, alla disarticolazione dei rapporti alla base di ogni vita sociale;
la fiducia nell'avvenire e nelle proprie forze è scalzata continuamente dalla disperazione generale che invade la società attraverso il nichilismo, il “no future”;
la coscienza, la lucidità, la coerenza del pensiero, il gusto per la teoria, devono aprirsi una strada difficile nel mezzo della fuga nelle chimere, la droga, le sette, il misticismo, il rigetto della riflessione, la distruzione del pensiero che caratterizza la nostra epoca”. (“La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo”, Rivista Internazionale n° 107, (disponibile in inglese, francese e spagnolo) e Rivista Internazionale n° 14 (in italiano).