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Si è tenuto l'11° Congresso internazionale della CCI. Nella misura in cui le organizzazioni comuniste sono una parte del proletariato, un prodotto storico di questo e allo stesso tempo parte pregnante e fattore attivo della lotta per la sua emancipazione, i congressi di queste, che ne rappresentano le istanze supreme, sono un momento di primaria importanza per la classe operaia. Per questo i comunisti hanno il dovere di render conto di questo momento essenziale della vita della propria organizzazione.
Le delegazioni venute da 12 paesi (1), che rappresentano più di un miliardo e mezzo di abitanti e soprattutto le maggiori concentrazioni proletarie del mondo (Europa occidentale e America del nord), hanno discusso, tirato delle lezioni e tratto degli orientamenti sulle questioni essenziali alle quali è confrontata la nostra organizzazione. L'ordine del giorno di questo congresso comprendeva essenzialmente due punti: le attività ed il funzionamento della nostra organizzazione, la situazione internazionale (2). Ma il primo punto è quello che senza dubbio ha occupato maggiore spazio e suscitato i dibattiti più appassionati. Ciò è dovuto anche al fatto che la CCI è stata confrontata a delle difficoltà di tipo organizzativo molto importanti che necessitavano una mobilitazione di tutte le sezioni e di tutti i militanti.
I problemi organizzativi nella storia del movimento operaio...
L'esperienza storica delle organizzazioni rivoluzionarie del proletariato dimostra che le questioni relative al funzionamento sono questioni politiche a tutti gli effetti e pertanto meritano la più grande attenzione e riflessione.
Sono numerosi nel movimento operaio gli esempi che dimostrano l'importanza della questione organizzativa ma possiamo evocare in particolare quello dell'AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori, chiamata anche più tardi I Internazionale) e quello del 2° Congresso del Partito Operaio Social Democratico Russo (POSDR) tenuto nel 1903.
L'AIT era stata fondata nel settembre del 1864 a Londra per iniziativa di un certo numero di operai inglesi e francesi. Essa si era data fin dall'inizio una struttura di centralizzazione, il Consiglio centrale che, dopo il congresso di Ginevra del 1866, si chiamerà Consiglio generale. All'interno di questo organo Marx giocherà un ruolo di primo piano poiché sarà incaricato di scrivere un gran numero di testi fondamentali, come l'Indirizzo Inaugurale dell'AIT, i suoi statuti e l'Indirizzo sulla Comune di Parigi (La guerra civile in Francia) del maggio 1871. Rapidamente l'AIT ("Internazionale" come la chiamavano allora gli oprerai) è divenuta una "potenza" nei paesi avanzati (soprattutto quelli dell'Europa occidentale). Fino alla Comune di Parigi del 1871, essa ha raggruppato un numero crescente di operai ed ha costituito un fattore di primo piano nello sviluppo delle due armi essenziali del proletariato: la sua organizzazione e la sua coscienza. Per questo motivo essa sarà l'oggetto di attacchi feroci da parte della borghesia: calunnie sulla stampa, infiltrazioni di spie, persecuzioni contro i suoi membri, ecc. Ma ciò che ha fatto correre il maggior pericolo all'AIT sono stati gli attacchi di alcuni dei suoi propri membri contro il modo di organizzazione dell'Internazionale stessa.
Già al momento della fondazione dell'AIT gli statuti provvisori, di cui si era dotata, vengono tradotti dalle sezioni parigine, fortemente influenzate dalle concezioni federaliste di Proudhon, in modo tale da attenuare considerevolmente il carattere centralizzato dell'Internazionale. Ma gli attacchi più pericolosi verranno più tardi con l'entrata nei ranghi dell'AIT dell'"Alleanza della democrazia socialista", fondata da Bakunin e che troverà terreno fertile in alcuni settori importanti dell'Internazionale per le debolezze che pesavano ancora su di essa dovute all'immaturità del proletariato dell'epoca, un proletariato che non si era ancora liberato delle vestigia della tappa precedente del suo sviluppo.
"La prima fase della lotta del proletariato contro la borghesia è marcata dal movimento settario. Esso ha la sua ragione d'essere in una epoca in cui il proletariato non si è ancora sviluppato abbastanza da agire come classe. Dei pensatori individuali fanno la critica degli antagonismi sociali e ne danno soluzioni fantastiche che la massa degli operai non ha che da accettare, propagandare e mettere in pratica. Per la loro stessa natura le sette formate da questi iniziatori sono astensioniste, estranee ad ogni azione reale, alla politica, agli scioperi, alle coalizioni, in una parola, ad ogni movimento di insieme. La massa del proletariato resta sempre indifferente o anche ostile alla loro propaganda... Queste sette sorte dal movimento alle sue origini, gli fanno da ostacolo quando questo le sorpassa; allora esse diventano reazionarie... Infine, esse rappresentano l'infanzia del movimento proletario come l'astrologia e l'alchimia rappresentano l'infanzia della scienza. Perché fosse possibile la fondazione dell'Internazionale era necessario che il proletariato superasse questa fase.
Di fronte alle organizzazioni cervellotiche ed antagoniste delle sette l'Internazionale è l'organizzazione reale e militante della classe dei proletari in tutti i paesi, legati gli uni agli altri, nella loro lotta comune contro i capitalisti, i proprietari fondiari e il loro potere di classe organizzato nello Stato. Per questo gli statuti dell'Internazionale non riconoscono che semplici società "operaie" che perseguono tutte lo stesso scopo e accettano tutte lo stesso programma che si limita a tracciare le grandi linee del movimento proletario e ne lascia l'elaborazione teorica all'impulso dato dalle necessità della lotta pratica ed allo scambio di idee che si fa, nelle sezioni, ammettendo indistintamente tutte le convinzioni socialiste nei loro organi ed i loro congressi.
Così come in ogni nuova fase storica i vecchi errori riappaiono un istante per scomparire subito dopo; allo stesso modo l'Internazionale ha visto rinascere al suo interno delle sezioni settarie..." (Le pretese scissioni nell'Internazionale, capitolo IV, circolare del Consiglio generale del 5 marzo 1872).
Questa debolezza era particolarmente accentuata nei settori più arretrati del proletariato europeo, là dove esso era appena uscito dall'artigianato e dal lavoro nei campi, in particolare nei paesi latini. Sono queste debolezze che Bakunin, entrato nell'Internazionale solo nel 1868, dopo il fallimento della "Lega della Pace e della Libertà" (di cui era uno dei principali animatori e che raggruppava dei repubblicani borghesi), ha utilizzato per tentare di sottometterla alle sue concezioni "anarchiche" e per prenderne il controllo. Lo strumento di questa operazione era l'"Alleanza della democrazia socialista", che lui aveva fondato come minoranza della "Lega della Pace e della Libertà". Questa era una società contemporaneamente pubblica e segreta e che si proponeva in realtà di formare una internazionale nell'Internazionale. La sua struttura segreta e la concertazione che permetteva tra i suoi membri doveva assicurargli la "enucleazione" di un massimo di sezioni dell'AIT, quelle dove le concezioni anarchiche avevano più eco. In sé l'esistenza di più correnti di pensiero all'interno dell'AIT non era un problema (3). Al contrario l'azione dell'Alleanza che tendeva a sostituirsi alla struttura ufficiale dell'Internazionale, ha costituito un grave fattore di disorganizzazione di questa ed un pericolo per la sua sopravvivenza. L'Alleanza aveva tentato di prendere il controllo dell'Internazionale al Congresso di Basilea nel settembre del 1869. E' in vista di questo obiettivo che i suoi membri, in particolare Bakunin e James Guillaume, avevano appoggiato calorosamente una mozione amministrativa che rafforzava il potere del Consiglio generale. Ma l'Alleanza, che per parte sua si era dotata di statuti segreti basati su di una centralizzazione estrema, avendo fallito cominciò a fare campagne contro la "dittatura" del Consiglio generale che essa voleva ridurre al ruolo di "un ufficio di corrispondenza e di statistiche" secondo i termini dell'Alleanza), di una "buca per lettere" (come rispondeva Marx). Contro il principio della centralizzazione come espressione dell'unità internazionale del proletariato, l'Alleanza preconizzava il "federalismo", la completa "autonomia delle sezioni" ed il carattere non obbligatorio delle decisioni dei congressi. Nei fatti essa voleva poter fare il proprio comodo nelle sezioni dove era riuscita a prendere il controllo. Ciò era la porta aperta alla disorganizzazione totale dell'AIT.
Il Congresso dell'Aia del 1872 dovette correre ai ripari contro questo pericolo. Esso dibattè della questione dell'Alleanza sulla base del rapporto di una commissione d'inchiesta e alla fine decise l'esclusione di Bakunin e di James Guillaume, principale responsabile della federazione del Giura dell'AIT che si trovava completamente sotto il controllo dell'Alleanza. Questo congresso fu contemporaneamente motivo d'orgoglio per l'AIT (tanto per capirne l'importanza, è il solo congresso al quale Marx abbia partecipato) e il suo canto del cigno, dato lo schiacciamento della Comune di Parigi e la demoralizzazione che questo provocò nel proletariato. Di questa realtà Marx ed Engels erano coscienti. E' per questo che, oltre alle misure che miravano a sottrarre l'AIT dalla presa dell'Alleanza, proposero lo spostamento del Consiglio generale a New York, lontano dai conflitti che dividevano sempre di più l'Internazionale. Era anche un modo per permettere all'AIT di morire di propria morte (sancita dalla conferenza di Philadelphia del luglio 1876) senza che il suo prestigio fosse recuperato dagli intriganti bakuninisti.
Questi ultimi, insieme agli anarchici, hanno in seguito perpetuato questa leggenda sostenendo che Marx ed il Consiglio generale avevano buttato fuori Bakunin e Guillaume per la loro diversa posizione sulla questione dello Stato (5) (quando non sono arrivati a piegare lo scontro tra Marx e Bakunin sulla base di problemi di personalità). Insomma, Marx avrebbe voluto regolare un disaccordo su di una questione teorica generale attraverso delle misure amministrative. Niente di più falso.
Al congresso dell'Aia non fu richiesta alcuna misura contro i membri della delegazione spagnola che pure condividevano la visione di Bakunin, avevano fatto parte dell'Alleanza ma avevano assicurato di non farvi più parte. Allo stesso modo l'AIT "anti-autoritaria" che si è formata dopo il congresso dell'Aia con le federazioni che avevano rigettato le sue decisioni, non erano costituite da soli anarchici dato che vi si trovavano, affianco a questi, dei lassalliani tedeschi strenui difensori del "socialismo di Stato", secondo i termini usati da Marx. In realtà la vera lotta all'interno dell'AIT era tra quelli che preconizzavano l'unità del movimento operaio (e di conseguenza il carattere obbligatorio delle decisioni dei congressi) e quelli che rivendicavano il diritto di fare quello che meglio gli pareva, ciascuno per proprio conto, considerando i congressi come delle semplici assemblee dove ci si doveva contentare di "scambiare delle opinioni" ma senza prendere decisioni. Con questo tipo di organizzazione informale l'Alleanza poteva assicurarsi, segretamente, la vera centralizzazione tra tutte le federazioni, come del resto era detto esplicitamente in alcune lettere di Bakunin. Spingere per delle concezioni "anti-autoritarie" nell'AIT era il modo migliore per dare spazio all'intrigo, al potere occulto ed incontrollato dell'Alleanza, cioè degli avventurieri che la dirigevano.
Il 2° Congresso del POSDR doveva essere l'occasione di uno scontro simile tra i partigiani di una concezione proletaria dell'organizzazione rivoluzionaria ed i partigiani di una concezione piccolo-borghese.
Ci sono delle similitudini tra la situazione del movimento operaio in Europa occidentale ai tempi dell'AIT e quella del movimento in Russia all'inizio del secolo. Nei due casi ci troviamo ad una tappa "infantile" di questo, il divario di tempo tra i due si spiega con il ritardo dello sviluppo industriale della Russia. L'AIT aveva voluto raggruppare in un'unica organizzazione le differenti associazioni operaie che lo sviluppo del proletariato aveva fatto sorgere. Il 2° congresso del POSDR aveva come obiettivo quello di una unificazione dei differenti comitati, gruppi e circoli, sviluppatisi in Russia ed in esilio, che si richiamavano alla Socialdemocrazia. Tra queste differenti formazioni non esisteva praticamente alcun legame formale dopo la scomparsa del comitato centrale uscito dal 1° congresso del POSDR nel 1897. Nel 2° congresso, come per l'AIT, si scontrarono una concezione dell'organizzazione che rappresentava il passato del movimento operaio, quella dei "menscevichi" (minoritaria), e una concezione che esprimeva le sue nuove esigenze, quella dei "bolscevichi" (maggioritari):
"Sotto il nome di minoranza si sono raggruppati nel Partito degli elementi eterogenei che hanno in comune il desiderio, cosciente o meno, di mantenere i rapporti di circolo, le forme di organizzazione anteriori al Partito. Alcuni compagni eminenti dei vecchi circoli, non essendo abituati a restrizioni in materia di organizzazione, che si impongono in ragione della disciplina di Partito, sono inclini a confondere macchinalmente gli interessi generali del Partito ed i loro interessi di circolo i quali, nel periodo dei circoli, potevano effettivamente coincidere" (Lenin, Un passo avanti e due indietro).
Come è stato confermato anche da esperienze successive (al momento della rivoluzione del 1905 e ancor più durante la rivoluzione del 1917, ad esempio, quando i menscevichi si sono posti al fianco della borghesia), la dinamica dei menscevichi era determinata dalla penetrazione, nella Social-democrazia russa, dell'influenza delle ideologie borghesi e piccolo-borghesi. In particolare, come nota Lenin: "Il grosso dell'opposizione (i menscevichi) è stata formata dagli elementi intellettuali del nostro Partito" che hanno costituito dunque un veicolo per le concezioni piccolo-borghesi in materia di organizzazione. Per questo motivo tali elementi "... alzano lo stendardo della rivolta contro le restrizioni indispensabili che esige l'organizzazione ed ergono il loro anarchismo spontaneo in principio di lotta, chiamando a torto questo anarchismo... rivendicazioni in favore della tolleranza, ecc." (Lenin, Un passi avanti e due indietro). In effetti, esistono molte similitudini tra il comportamento dei menscevichi e quello degli anarchici nell'AIT (a più riprese Lenin parla dell'"anarchismo da gran signori" dei menscevichi).
I menscevichi, come avevano fatto gli anarchici dopo il congresso dell'Aia, si rifiutarono di riconoscere e di applicare le decisioni del 2° congresso affermando che "il congresso non è una divinità" e che "le sue decisioni non sono sacrosante". In particolare, nello stesso modo in cui i seguaci di Bakunin entrarono in guerra contro i principi della centralizzazione e la "dittatura del Consiglio generale" quando i loro tentativi di prenderne il controllo fallirono, così una delle ragioni per cui i menscevichi, dopo il congresso, cominciarono a rigettare la centralizzazione sta nel fatto che alcuni di loro furono estromessi dagli organi centrali nominati a questo congresso. Ci sono delle somiglianze anche nel modo in cui i menscevichi condussero campagne contro la "dittatura personale" di Lenin, il suo "pugno di ferro" che fa eco alle accuse di Bakunin contro la "dittatura" di Marx sul Consiglio generale.
"Quando prendo in considerazione la condotta degli amici di Martov dopo il congresso (...) io posso solo dire che si tratta di un tentativo insensato, indegno dei membri del Partito, di dilaniare il Partito... E perché? Unicamente perché non si è contenti della composizione degli organi centrali, perché obiettivamente è unicamente questa questione che ci ha separati, gli apprezzamenti soggettivi (come offesa, insulto, espulsione, messa da parte, disonore, ecc) non erano altro che il frutto di un amor proprio ferito e di una immaginazione malata. Questa immaginazione malata e questo amor proprio ferito portano di filato al pettegolezzo più vergognoso: senza aver preso conoscenza dell'attività dei nuovi centri, nè averli ancora visti all'opera, si spargono voci sulle loro "carenze", sul "pugno di ferro" di Ivan Ivanovitch, sul "polso" di Ivan Nikiforovitch, ecc. (...). Alla socialdemocrazia russa resta un'ultima e difficile tappa da superare: dallo spirito di circolo allo spirito di partito; dalla mentalità piccolo-borghese alla coscienza del suo divenire rivoluzionario: dal pettegolezzo e dalla pressione dei circoli, considerati strumenti di azione, alla disciplina." ("Relazione del 2° congresso del POSDR").
Con l'esempio dell'AIT e quello del 2° congresso del POSDR, si può vedere tutta l'importanza delle questioni legate al modo di organizzazione delle formazioni rivoluzionarie. In effetti, è proprio intorno a queste questioni che si produceva una decantazione decisiva tra, da una parte la corrente proletaria e, dall'altra, le correnti piccolo-borghesi o borghesi. Questo non è casuale, ma deriva dal fatto che uno dei canali privilegiati per l'infiltrazione all'interno di queste formazioni delle ideologie delle classi estranee al proletariato, borghesia e piccola-borghesia, è proprio quello del loro modo di funzionamento.
La storia del movimento operaio è ricca di esempi di questo tipo. Se abbiamo evocato solo questi è evidentemente per una questione di spazio ma anche perché esistono delle somiglianza importanti, come vedremo, tra le circostanze storiche della costituzione dell'AIT, del POSDR e della CCI stessa.
...e nella storia della CCI
La CCI si è già soffermata più volte con attenzione su questo tipo di questione. Alla conferenza di fondazione, per esempio, nel gennaio 1975, dove fu esaminata la questione della centralizzazione internazionale (vedi il "Rapporto sulla questione dell'organizzazione della nostra corrente", Revue Internationale n.1). Un anno dopo, in occasione del suo primo congresso, la nostra organizzazione ci è ritornata su con l'adozione degli statuti (vedi l'articolo "Gli statuti delle organizzazioni rivoluzionarie del proletariato" Revue Internationale n.5). Infine, la CCI nel gennaio 1982 ha dedicato una conferenza internazionale straordinaria a questa questione in seguito alla crisi che essa aveva attraversato nel 1981 (6). Di fronte alla classe operaia ed all'ambiente politico proletario la CCI non ha nascosto le difficoltà incontrate agli inizi degli anni 80. Così ne parlava la risoluzione adottata al 5° congresso e citata nella Revue Internationale n.35:
"Dopo il 4° congresso (1981) la CCI ha conosciuto la crisi più grave da quando esiste. Una crisi che, al di là delle peripezie particolari dell'"affare Chénier" (7) ha scosso profondamente l'organizzazione, le ha fatto sfiorare l'esplosione, ha provocato direttamente o indirettamente l'uscita di una quarantina di membri, ha ridotto alla metà i militanti della sua seconda sezione territoriale. Una crisi che si è tradotta in un accecamento, un disorientamento che la CCI non aveva mai conosciuto dalla sua creazione. Una crisi che, per essere superata, ha richiesto la mobilitazione di mezzi eccezionali: la tenuta di una Conferenza internazionale straordinaria, la discussione e l'adozione di testi di orientamento di base sulla funzione e sul funzionamento dell'organizzazione rivoluzionaria, l'adozione di nuovi statuti."
Una tale trasparenza rispetto alle difficoltà che incontrava la nostra organizzazione non corrispondeva affatto ad un qualche "esibizionismo" da parte nostra. L'esperienza delle organizzazioni comuniste è parte integrante dell'esperienza della classe operaia. E' per questo che un grande rivoluzionario come Lenin ha potuto consacrare tutto un libro, Un passo avanti e due indietro, alle lezioni politiche tratte dal 2° Congresso del POSDR. E' per questo che noi portiamo a conoscenza dei nostri lettori larghi estratti della risoluzione adottata alla fine del nostro 11° Congresso. Rendendo conto della propria vita organizzativa, la CCI non fa altro che assumersi le sue responsabilità di fronte alla classe operaia.
Evidentemente la messa in piazza da parte delle organizzazioni rivoluzionarie dei propri problemi e discussioni interne può costituire un ottimo terreno per tutti i tentativi di denigrazione da parte degli avversari. Questo è vero anche, ed in particolar modo, per la CCI. Certo non è nella stampa borghese che si trovano le esclamazioni di giubilo quando diamo conto delle difficoltà che la nostra organizzazione può incontrare oggi, siamo ancora troppo modesti come taglia e come influenza tra le masse operaie perché i mezzi di propaganda borghese abbiano interesse a parlare di noi per screditarci. Per la borghesia è meglio innalzare un muro di silenzio intorno alle posizioni e all'esistenza delle organizzazioni rivoluzionarie. E' per questo che il lavoro di denigrazione e di sabotaggio dell'intervento di queste organizzazioni è preso in carica da tutta una serie di gruppi ed elementi parassitari la cui funzione è di allontanare dalle posizioni di classe quegli elementi che si avvicinano a queste, di farli disgustare di ogni partecipazione al difficile lavoro di sviluppo di un campo politico proletario.
L'insieme dei gruppi comunisti è stato confrontato all'azione del parassitismo, ma tocca alla CCI, dato che è oggi l'organizzazione più importante dell'ambiente proletario, essere l'oggetto di una attenzione tutta particolare da parte della marea parassitaria. In questa si trovano dei gruppi ben definiti quali il "Groupe Communiste Internationaliste" (GCI) e le sue scissioni (come "Contre le Courant"), il defunto "Communist Bulletin Group" (CBG) o l'ex-"Frazione Esterna della CCI" (FECCI) che si sono tutti costituiti da scissioni della CCI. Ma il parassitismo non si limita solo a questo tipo di gruppi. Esso è veicolato da elementi non organizzati o che si trovano in certi momenti in circoli di discussione effimeri, la cui preoccupazione principale consiste nel far circolare ogni sorta di pettegolezzo a proposito della nostra organizzazione. Questi elementi sono spesso vecchi militanti che, cedendo alla pressione della piccola-borghesia, non hanno avuto la forza di mantenere un impegno militante nell'organizzazione, che sono stati frustrati dal fatto che questa non ha "riconosciuto i loro meriti" allo stesso livello dell'idea che si erano fatti di loro stessi o che non hanno sopportato le critiche a loro mosse. Si tratta anche di vecchi simpatizzanti che l'organizzazione non ha voluto integrare perché riteneva che non avevano la chiarezza necessaria o non si sono voluti impegnare per paura di perdere la loro "individualità" in un quadro collettivo (è questo il caso, ad esempio, del defunto "collettivo Alptraum" del Messico o del "Kamunist Kranti" in India). In tutti i casi si tratta di elementi la cui frustrazione derivante dalla loro propria mancanza di coraggio, dalla loro ignavia e della loro impotenza si è trasformata in una ostilità sistematica verso l'organizzazione. Evidentemente questi elementi sono assolutamente incapaci di costruire un qualcosa. Al contrario, sono spesso molto efficaci, con le loro piccole agitazioni ed i pettegolezzi da servetta, nello screditare e distruggere quello che l'organizzazione cerca di costruire.
Tuttavia non è il gracidare del parassitismo che impedisce alla CCI di far conoscere all'insieme del campo proletario gli insegnamenti della propria esperienza. Nel 1904 Lenin scriveva, nella prefazione di Un passo avanti due passi indietro:
"Costoro (gli avversari della social-democrazia) si agitano e manifestano una gioia maligna dinanzi alle nostre polemiche; costoro tenderanno naturalmente ad utilizzare ai loro fini singoli passi del mio opuscolo, consacrato ai difetti ed alle lacune del nostro partito. I socialdemocratici russi sono già sufficientemente temprati alle battaglie per non lasciarsi commuovere da queste punture di spillo, per continuare, nonostante ciò, la loro opera di autocritica e di denuncia spietata dei propri difetti, che saranno sicuramente e inevitabilmente superati con lo sviluppo del movimento operaio. Si provino invece i signori avversari a presentarci il quadro della reale situazione esistente nei loro "partiti", un quadro che si avvicini anche solo da lontano a quello offerto dagli atti del nostro secondo congresso!" (Opere scelte)
E' esattamente con lo stesso spirito che noi portiamo qui a conoscenza dei nostri lettori larghi estratti della risoluzione adottata alla fine del nostro 11° Congresso. Questo non è una manifestazione di debolezza della CCI ma, al contrario, una testimonianza della sua forza.
I problemi affrontati dalla CCI nell'ultimo periodo
"L'11° congresso della CCI afferma dunque chiaramente: la CCI si trovava in una situazione di crisi latente, una crisi ben più profonda di quella che ha colpito l'organizzazione agli inizi degli anni 80, una crisi che, se non fosse stata identificata la radice delle debolezze, rischiava di travolgere l'organizzazione" (Risoluzione d'attività. punto 1)
"Le cause della gravità del male che rischiava di inghiottire l'organizzazione sono molteplici, ma se ne possono mettere in evidenza le principali:
- il fatto che la conferenza straordinaria del gennaio 82, destinata a farci risalire la china dopo la crisi del 1981, non è andata fino in fondo nell'analisi delle debolezze che colpivano la CCI;
- ancor più, il fatto che la CCI non aveva pienamente integrato le acquisizioni di questa stessa conferenza (...);
- il rafforzamento della pressione distruttrice che la decomposizione del capitalismo fa pesare sulla classe operaia e sulle sue organizzazioni comuniste.
In questo senso il solo modo in cui la CCI poteva affrontare efficacemente il pericolo mortale che la minacciava, consisteva:
- nell'identificazione dell'importanza di questo pericolo (...);
- nella mobilitazione dell'insieme della CCI, dei militanti, delle sezioni e degli organi centrali rispetto alla priorità della difesa dell'organizzazione;
- nella riappropriazione delle acquisizioni della conferenza del 1982;
- nell'approfondimento di queste acquisizioni sulla base del quadro che queste avevano dato." (ibidem, punto 2).
La lotta per il raddrizzamento della CCI è iniziata nell'autunno del 1993 con la messa in discussione in tutta l'organizzazione di un testo di orientamento che ricordava ed attualizzava gli insegnamenti del 1982, soffermandosi sull'origine storica delle nostre debolezze. Al centro del nostro procedere si trovavano dunque le seguenti preoccupazioni: la riappropriazione delle acquisizioni della nostra propria organizzazione e dell'insieme del movimento operaio, la continuità con le lotte di questo ed in particolare con la sua lotta contro la penetrazione al suo interno delle ideologie estranee, borghesi e piccolo-borghesi.
"Il quadro di comprensione che si è data la CCI per mettere a nudo l'origine delle sue debolezze si inscriveva nella lotta storica condotta dal marxismo contro le influenze delle ideologie piccolo-borghesi che pesano sulle organizzazioni del proletariato. Più precisamente esso si rifaceva alla lotta del Consiglio generale dell'AIT contro l'azione di Bakunin e dei suoi fedeli, come di quella di Lenin e dei bolscevichi contro le concezioni opportuniste e di tipo anarchico dei menscevichi durante e dopo il 2° Congresso del POSDR. In particolare era necessario per l'organizzazione mettere al centro delle sue preoccupazioni, come lo fecero i bolscevichi a partire dal 1903, la lotta contro lo spirito di circolo e per lo spirito di partito. Questa priorità derivava dalla natura stessa delle debolezze che pesavano sulla CCI data la sua origine a partire da circoli apparsi nel solco della ripresa storica del proletariato alla fine degli anni 1960; dei circoli fortemente marcati dal peso delle concezioni affinitarie, contestatarie, individualiste, in una parola dalle concezioni di tipo anarchico, particolarmente marcate dalle rivolte studentesche che hanno accompagnato e inquinato la ripresa proletaria. E' in questo senso che la constatazione del peso particolarmente forte dello spirito di circolo nelle nostre origini era parte integrante dell'analisi generale elaborata da lungo tempo e che vedeva la base delle nostre debolezze nella rottura organica delle organizzazioni comuniste per la contro rivoluzione che si era abbattuta sulla classe operaia a partire dalla fine degli anni 1920. Tuttavia questa constatazione ci permetteva di andare più lontano e di andare più a fondo nell'analisi delle radici delle nostre difficoltà. Ci permetteva in particolare di comprendere il fenomeno, già constatato nel passato ma insufficientemente chiarito, della formazione dei clan all'interno dell'organizzazione. : questi clan erano in realtà il risultato dell'incancrenimento dello spirito di circolo che si era mantenuto anche al di là del periodo in cui i circoli avevano costituito una tappa della riformazione dell'avanguardia comunista. In questo modo i clan divenivano, a loro volta, un fattore attivo e il miglior garante della conservazione dello spirito di circolo nell'organizzazione." (ibidem, punto 4).
Qui la risoluzione fa riferimento ad un punto del testo di orientamento dell'autunno '93 che mette in evidenza la seguente questione:
"In effetti uno dei gravi pericoli che minacciano in permanenza l'organizzazione, che rimette in causa la sua unità e rischia di distruggerla, è la costituzione, anche se non deliberata o cosciente, di "clan". In una dinamica di clan le pratiche comuni non partono da un reale accordo politico ma da legami di amicizia, di fedeltà, dalla convergenza di interessi "personali" specifici o da frustrazioni condivise. Spesso una tale dinamica, nella misura in cui essa non si basa su di una reale convergenza politica, si accompagna all'esistenza di "guru", di "capo banda" garanti dell'unità del clan, il cui potere può derivare o da un carisma particolare, che può anche schiacciare le capacità politiche e di giudizio di altri militanti, o dal fatto che questi sono presentati, o si presentano, come "vittime" di questa o quella politica dell'organizzazione. Quando appare una tale dinamica i membri o i simpatizzanti del clan non agiscono più, nei loro comportamenti o nelle decisioni che prendono, in funzione di una scelta cosciente e ragionata basata sugli interessi generali dell'organizzazione, ma in funzione del punto di vista e degli interessi del clan, i quali tendono a porsi in contraddizione a quelli del resto dell'organizzazione."
Questa analisi era basata su dei precedenti storici nel movimento operaio (per esempio, l'atteggiamento dei vecchi redattori dell'Iskra, raggruppati intorno a Martov e che, scontenti delle decisioni del 2° congresso del POSDR, avevano formato la frazione dei menscevichi), ma anche su dei precedenti nella storia della CCI. Non possiamo qui entrare in dettaglio ma possiamo affermare che le "tendenze" che ha conosciuto la CCI (quella che si scinde nel 1978 per formare il "Groupe Communiste Internationaliste", la "tendenza Chénier" nel 1981, la "tendenza" che ha lasciato l'organizzazione al suo 6° congresso per formare la "Frazione esterna della CCI") corrispondevano molto di più ad una dinamica di clan che a delle reali tendenze basate su un orientamento positivo alternativo. In effetti il motore principale di queste "tendenze" non era costituito dalle divergenze che i loro membri potevano avere con gli orientamenti dell'organizzazione (queste divergenze erano le più eteroclite, come dimostrato dalla traiettoria successiva delle "tendenze") ma da un assemblaggio di malcontenti e di frustrazioni contro gli organi centrali e dalla fedeltà personale verso gli elementi che si considerano "perseguitati" o insufficientemente riconosciuti.
Il raddrizzamento della CCI
Anche se non più tanto spettacolare come nel passato, l'esistenza di clan continuava a minare in sordina ma drammaticamente il tessuto organizzativo. In particolare, l'insieme della CCI (compresi i militanti direttamente implicati) ha messo in evidenza che essa era confrontata ad un clan che occupava un posto di primo piano nell'organizzazione e che, anche se non era un "semplice prodotto organico delle debolezze della CCI" aveva "concentrato e cristallizzato un gran numero di caratteristiche deleterie che infettavano l'organizzazione ed il cui denominatore comune era l'anarchismo (visione dell'organizzazione come somma di individui, approccio di tipo psicologico e affinitario nei rapporti politici tra militanti e nelle questioni di funzionamento, disprezzo o ostilità verso le concezioni politiche marxiste in materia di organizzazione)" (Risoluzione d'attività, punto 5).
E' per questo che:
"... il Congresso constata il successo globale della lotta ingaggiata dalla CCI dall'autunno 1993 (...) il raddrizzamento, talvolta spettacolare, delle sezioni più toccate dalle difficoltà di tipo organizzativo nel '93 (...), gli approfondimenti che sono venuti da numerose parti della CCI (...), tutti questi fatti confermano la piena validità della lotta intrapresa, del suo metodo, delle sue basi teoriche così come dei suoi aspetti concreti (...). Il congresso sottolinea in particolare gli approfondimenti realizzati dall'organizzazione nella comprensione di tutta una serie di questioni alle quali si sono confrontate e si confrontano le organizzazioni della classe: avanzamenti nella conoscenza della lotta di Marx e del Consiglio generale contro l'Alleanza, della lotta di Lenin e dei bolscevichi contro i menscevichi, del fenomeno dell'avventurismo politico nel movimento operaio (rappresentato in particolare dalle figure di Bakunin e di Lassalle), proprio di elementi declassati, che non lavorano a priori al servizio dello Stato capitalista ma finiscono per essere più pericolosi degli agenti infiltrati da questo." (ibidem, punto 10).
"Sulla base di questi elementi l'11° Congresso constata dunque che la CCI è oggi ben più forte di quanto non lo fosse al precedente congresso, che è incomparabilmente meglio armata per affrontare le sue responsabilità di fronte al futuro ritorno della classe sulla scena, anche se, evidentemente, essa è ancora in convalescenza" (ibidem, punto 11).
La constatazione dell'esito positivo della lotta condotta dall'organizzazione non ha tuttavia creato nessun sentimento di euforia nel congresso. La CCI ha imparato a diffidare degli impeti momentanei che sono più che altro il tributo della penetrazione nei ranghi comunisti dell'impazienza piccolo-borghese piuttosto che espressione di una dinamica proletaria. La lotta delle organizzazioni e dei militanti comunisti è una lotta a lungo termine, paziente, spesso oscura ed il vero entusiasmo che sta nei militanti non si misura dalle impennate euforiche ma dalla capacità di tenere, contro venti e maree, di resistere di fronte alla pressione deleteria che l'ideologia della classe nemica fa pesare sulle loro teste. E' per questo che la constatazione del successo che ha coronato la lotta della nostra organizzazione nel corso di questo ultimo periodo non ci ha portato a nessun trionfalismo:
"Questo non significa che la lotta che abbiamo condotto sia finita. (...) La CCI dovrà continuarla attraverso una vigilanza in ogni istante, la determinazione ad identificare ogni debolezza e ad affrontarla senza attendere. (...) In realtà la storia del movimento operaio, ivi compresa quella della CCI, esige, ed il dibattito l'ha ampiamente confermato, che la lotta per la difesa dell'organizzazione sia permanente, senza sosta. In particolare la CCI deve avere in mente che la lotta fatta dai bolscevichi per lo spirito di partito contro lo spirito di circolo è proseguita per lunghi anni. Sarà lo stesso per la nostra organizzazione che dovrà essere vigile per affrontare ed eliminare ogni demoralizzazione, ogni sentimento di impotenza derivante dalla lunghezza della lotta." (ibidem, punto 13)
Prima di concludere questa parte sulle questioni di organizzazione che sono state discusse al congresso è importante precisare che le discussioni fatte dalla CCI per un anno e mezzo non hanno dato luogo ad alcuna scissione (contrariamente a quello che era accaduto, per esempio, al 6° Congresso o nel 1981). Ciò è dovuto anche al fatto che l'organizzazione da subito si è ritrovata d'accordo con il quadro teorico che era stato dato per la comprensione delle difficoltà che aveva. L'assenza di divergenze su questo quadro ha permesso il fatto che non si cristallizzasse una qualche "tendenza" o anche una qualche "minoranza" che teorizzasse le proprie particolarità. In gran parte le discussioni vertevano su come concretizzare questo quadro nel funzionamento quotidiano della CCI, avendo costantemente la preoccupazione di legare queste concretizzazioni all'esperienza storica del movimento operaio. Il fatto che non ci sono state scissioni è una testimonianza della forza della CCI, della sua maggiore maturità, della volontà dimostrata dalla grande maggioranza dei suoi militanti di condurre in modo risoluto la lotta per la sua difesa, per risanare il suo tessuto organizzativo, per superare lo spirito di circolo e tutte le concezioni anarchiche che considerano l'organizzazione come una somma di individui o di piccoli gruppi affini.
Le prospettive della situazione internazionale
Evidentemente l'organizzazione comunista non esiste per sé stessa. Essa non è spettatrice ma protagonista delle lotte della classe operaia e la sua difesa intransigente significa giustamente permetterle di conservare il suo ruolo. E' con questo obiettivo che il Congresso ha consacrato una parte del suo dibattito all'esame della situazione internazionale. Esso ha discusso ed approvato differenti rapporti su questa questione così come una risoluzione che ne fa la sintesi e che è pubblicata in questo stesso numero della Rivista Internazionale. Non ci estenderemo quindi su questo aspetto dei lavori del congresso. Ci contentiamo qui di evocare, brevemente, l'ultimo dei tre aspetti della situazione internazionale (evoluzione della crisi economica, conflitti imperialisti e rapporti di forza tra le classi) che sono stati affrontati al congresso.
Questa risoluzione l'afferma chiaramente:
"Più che mai la lotta del proletariato rappresenta la sola speranza per l’avvenire della società umana." (punto 14)
Tuttavia il Congresso ha confermato ciò che la CCI aveva annunciato nell'autunno del 1989:
"Questa lotta, che era risorta con vigore alla fine degli anni '60 ponendo fine alla peggiore contro-rivoluzione che ha conosciuto la classe operaia, ha subito un riflusso considerevole con il crollo dei regimi stalinisti, le campagne ideologiche che l'hanno accompagnato e l'insieme degli avvenimenti che sono seguiti (guerra del Golfo, guerra in Yugoslavia, ecc.)" (ibidem)
Ed è principalmente per questa ragione che oggi:
"E' in modo sinuoso, con degli avanzamenti e dei passi indietro, in un movimento a zig-zag che si sviluppano le lotte operaie." (ibidem)
Tuttavia la borghesia sa molto bene che l'aggravamento degli attacchi contro la classe operaia non potrà che dare impulso a nuove lotte sempre più coscienti. E si prepara sviluppando tutta una serie di manovre sindacali e al tempo stesso dando incarico ai suoi agenti di rinnovarsi con discorsi che incensano la "rivoluzione", il "comunismo" o il "marxismo". E' perciò che:
"Tocca ai rivoluzionari, nel loro intervento, denunciare col maggior vigore possibile sia le manovre vergognose dei sindacati che questi presunti discorsi "rivoluzionari". Tocca a loro mettere in avanti la vera prospettiva della rivoluzione proletaria e del comunismo come unica uscita che può salvare l'umanità e come risultato ultimo delle lotte operaie." (punto 17).
Dopo aver ricostituito e riunito le sue forze la CCI è di nuovo pronta, dopo il suo 11° Congresso, ad assumere questa responsabilità.
CCI.
1. Germania, Belgio, Stati Uniti, Spagna, Francia, Gran Bretagna, India, Italia, Messico, Paesi Bassi, Svezia, Venezuela.
2. Era anche previsto un punto sull'esame del campo politico proletario che costituisce una preoccupazione permanente della nostra organizzazione. Per mancanza di tempo abbiamo dovuto sopprimerlo, ma questo non significa affatto un allentamento della nostra attenzione su questa questione. Al contrario, superate le nostre difficoltà organizzative possiamo apportare il nostro migliore contributo allo sviluppo dell'insieme del campo proletario.
3. "Dato che le sezioni della classe operaia nei differenti paesi si trovano in condizioni differenti di sviluppo, necessariamente anche le loro opinioni teoriche, che riflettono il movimento reale, sono divergenti. Tuttavia la comunità d'azione stabilita dall'Associazione Internazionale dei lavoratori, lo scambio di idee facilitate dalla propaganda fatta dagli organi delle differenti sezioni nazionali, infine le discussioni dirette ai congressi generali, non mancheranno di far uscire gradualmente un programma teorico comune." (Risposta del Consiglio generale alla domanda di adesione dell'Alleanza, 9 marzo 1869). Bisogna notare che l'Alleanza aveva fatto una prima domanda di adesione con degli statuti dove era previsto che essa di dotava di una struttura internazionale parallela a quella dell'AIT (con un comitato centrale e la tenuta di congressi separati da quelli dell'AIT). Il Consiglio generale aveva rifiutato questa domanda facendo valere il fatto che gli statuti dell'Alleanza erano in contraddizione con quelli dell'AIT. Essa aveva precisato che era pronta ad ammettere le differenti sezioni dell'Alleanza se questa avesse rinunciato alla sua struttura internazionale. L'Alleanza aveva accettato questa condizione ma aveva mantenuto la sua struttura in conformità ai propri statuti segreti.
4. In un "Appello agli ufficiali dell'esercito russo", Bakunin vanta i meriti dell'organizzazione segreta "che trova la sua forza nella disciplina, nella devozione e l'abnegazione appassionata dei suoi membri e nell'obbedienza cieca ad un Comitato unico che conosce tutto e non è conosciuto da nessuno."
5 Gli anarchici sono per l'abolizione immediata dello Stato sin dall'indomani della rivoluzione. E' una differenza di principio: il marxismo ha messo in evidenza che lo Stato si manterrà, sotto delle forme evidentemente diverse da quelle dello Stato capitalista, fino alla scomparsa completa delle classi sociali.
6. Vedi gli articoli "La crisi del campo proletario", "Rapporto sulla struttura ed il funzionamento dell'organizzazione dei rivoluzionari e "Presentazione del 5° Congresso della CCI" nei numeri 28, 33 e 35 della Révue Internationale.
7. Chénier, sfruttando la mancanza di vigilanza della nostra organizzazione, era divenuto membro della nostra sezione in Francia nel 1978. A partire dal 1980 aveva iniziato tutto un lavoro sotterraneo tendente alla distruzione della nostra organizzazione. Per fare questo aveva sfruttato molto abilmente sia la mancanza di rigore organizzativo della CCI che le tensioni esistenti nella sezione in Gran Bretagna. Questa situazione aveva portato alla formazione di due clan antagonisti in questa sezione, bloccando il suo lavoro e conducendo alla perdita della metà di questa ed anche alla perdita di molti militanti in altre sezioni. Chénier fu escluso dalla CCI nel settembre 1981 e noi abbiamo pubblicato nella stampa un comunicato che metteva in guardia il campo politico proletario contro questo elemento "torbido e losco". Poco dopo Chénier ha iniziato una carriera nel sindacalismo, il Partito Socialista e l'apparato dello Stato per il quale lavorava, molto probabilmente, già da lungo tempo.