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Secondo la storia ufficiale nel 1949, in Cina avrebbe trionfato una "rivoluzione popolare". Questa idea, diffusa tanto dalla democrazia occidentale, che dal maoismo, fa parte della mostruosa mistificazione mesa in atto con la controrivoluzione staliniana sulla sedicente creazione degli "stati socialisti". E' vero che la Cina, dal 1919 al 1927 ha conosciuto un imponente movimento della classe operaia, parte integrante dell'ondata rivoluzionaria internazionale che ha scosso il mondo capitalista in quegli anni; questo movimento però si concluse con un massacro della classe operaia. Per contro, ciò che gli ideologi della borghesia presentano come il "trionfo della rivoluzione cinese" non è altro che l'instaurazione di un capitalismo di Stato nella sua variante maoista, il culmine del periodo di conflitti imperialisti in territorio cinese, periodo aperto dal 1928, dopo la disfatta della rivoluzione proletaria.
In questo articolo esporremo le condizioni nelle quali è sorta la rivoluzione proletaria in Cina, traendo alcune delle principali lezioni. Tralasceremo, per il momento, l’analisi del periodo dei conflitti imperialisti, durante i quali è apparso il maoismo, e la denuncia degli aspetti fondamentali di questa forma di ideologia borghese.
La III Internazionale e la rivoluzione in Cina
L'evoluzione dell'Internazionale Comunista e la sua azione in Cina hanno avuto un ruolo cruciale nel corso della rivoluzione in questo paese. L'IC rappresenta il più grande sforzo realizzato fino a quel momento dalla classe operaia per dotarsi di un partito mondiale capace di guidare la sua lotta rivoluzionaria. Però la sua tardiva formazione nel corso stesso dell'ondata rivoluzionaria mondiale, senza avere avuto in anticipo il tempo sufficiente per consolidarsi organicamente e politicamente, l'ha condotta , malgrado la resistenza delle sue frazioni di sinistra (1), verso una deriva opportunista. In effetti di fronte al riflusso della rivoluzione e all'isolamento della Russia sovietica, il Partito bolscevico - il più influente in seno all'Internazionale - ha cominciato ad esitare fra la necessità di sistemare le basi per una nuova crescita rivoluzionaria in futuro, anche a prezzo di sacrificare il trionfo in Russia, e quella di difendere lo Stato russo sorto dalla rivoluzione , a prezzo di accordi e di alleanze concluse con le borghesie nazionali. Questi accordi e queste alleanze hanno rappresentato un'enorme fonte di confusione per il proletariato internazionale e hanno contribuito ad accelerare la sua disfatta in numerosi paesi. La deriva opportunista dell'IC, l'abbandono degli interessi storici della classe operaia a favore di una politica di collaborazione fra le classi l'hanno condotta ad una progressiva degenerazione che nel 1928 è culminata con l'abbandono dell'internazionalismo proletario in nome della pretesa "difesa del socialismo in un solo paese".(2)
La perdita di fiducia nella classe operaia ha condotto progressivamente l'IC, diventata sempre di più uno strumento del governo russo, a voler creare una barriera di protezione contro la penetrazione delle grandi potenze imperialiste con l'appoggio alle borghesie dei "paesi oppressi" dell'Europa Orientale, del Medio ed Estremo Oriente. Questa politica si è dimostrata disastrosa per la classe operaia internazionale: In effetti , per tutto il periodo in cui l'IC ed il governo russo sostenevano politicamente e materialmente le borghesie nazionaliste presunte "rivoluzionarie" della Turchia, della Persia, della Palestina, dell'Afghanistan .. e infine della Cina, queste stesse borghesie, che ipocritamente accettavano l'aiuto sovietico senza rompere i loro legami con le potenze imperialiste né con la nobiltà fondiaria che pretendevano di combattere, schiacciavano le lotte operaie e annientavano le organizzazioni comuniste con le stesse armi che forniva loro la Russia. Ideologicamente, questo abbandono delle posizioni proletarie trovava la sua giustificazione nelle “Tesi sulla questione nazionale e coloniale” del 2° Congresso dell'IC (alla cui redazione Lenin e Roy ebbero un ruolo importante). Queste tesi contengono sicuramente un'ambiguità teorica di principio operando una falsa distinzione fra borghesie "imperialiste" e "antimperialiste", cosa che avrebbe aperto la strada a più grandi errori politici. Di fatto, a quell'epoca, la borghesia cessava di essere rivoluzionaria e aveva assunto in ogni parte un carattere imperialista, compresi i "paesi oppressi": non solo attraverso i numerosi legami con l'una o l'altra delle grandi potenze imperialistiche, ma anche perché a partire dalla presa del potere della classe operaia in Russia, la borghesia internazionale aveva formato un fronte comune contro ogni movimento di massa. Il capitalismo era entrato nella sua fase di decadenza e l'apertura dell'epoca della rivoluzione proletaria aveva definitivamente chiuso l'era delle rivoluzioni borghesi.
Le Tesi, malgrado questo errore, erano state però capaci di impedire certi scivolamenti opportunisti che, sfortunatamente, si sarebbero generalizzati poco tempo dopo. Il rapporto presentato da Lenin riconosceva che, nel nuovo periodo, "un certo avvicinamento si verifica fra la borghesia dei paesi sfruttatori e quella dei paesi coloniali, in maniera tale che molto frequentemente la borghesia dei paesi oppressi, pur appoggiando i movimenti nazionali, è al tempo stesso in accordo con la borghesia imperialista, cioè essa lotta con questa contro i movimenti rivoluzionari" (3). E' per questo che le Tesi chiamano ad appoggiarsi essenzialmente sui contadini e insistevano sulla necessità per le organizzazioni comuniste di mantenere la loro indipendenza organica e di principio di fronte alla borghesia: "L'Internazionale Comunista deve sostenere i movimenti rivoluzionari nelle colonie e nei paesi arretrati solo a condizione che gli elementi dei più puri partiti comunisti - e comunisti nei fatti - siano raggruppati e istruiti sui loro compiti particolari, cioè del compito di combattere il movimento borghese e democratico (...) conservando sempre il carattere indipendente del movimento proletario anche nella sua forma embrionale" (4). Ma il sostegno incondizionato, ignominioso dell'IC al Kuomintang in Cina avrebbe dimostrato che tutto questo sarebbe stato dimenticato: tanto per il fatto che la borghesia nazionale non era più rivoluzionaria e si trovava strettamente legata alle potenze imperialiste, quanto in rapporto alla necessità di forgiare un partito comunista in grado di lottare contro la democrazia borghese e di mantenere l'indispensabile indipendenza del movimento della classe operaia.
La "Rivoluzione" del 1911 e il Kuomintang
Lo sviluppo della borghesia cinese e il suo movimento politico durante i primi decenni del 20° secolo, lungi dal mostrare presunti aspetti "rivoluzionari", ci dà piuttosto l'illustrazione dell'estinzione del carattere rivoluzionario della borghesia e della trasformazione dell'ideale nazionale e democratico in pura mistificazione, nel momento in cui il capitale entra nella fase di decadenza. L'insieme dei fatti ci mostra non una classe rivoluzionaria ma una classe conservatrice, conciliante, il cui movimento politico non tendeva né a espellere completamente la nobiltà né a rigettare gli "imperialisti", ma piuttosto a crearsi uno spazio al loro fianco.
Gli storici sono soliti sottolineare le differenze di interessi che sarebbero esistite fra le differenti frazioni della borghesia cinese. Così, in genere, è d’uso identificare la frazione speculatrice e commerciale come alleata della nobiltà e degli "imperialisti", mentre la borghesia industriale e l'intelligentsia costituirebbero la frazione "nazionalista", "moderna", "rivoluzionaria". In realtà queste differenze non erano così marcate; non solo perché queste frazioni erano intimamente legate, per questioni d’affari o per legami familiari, ma soprattutto perché gli atteggiamenti, tanto della frazione commerciale che di quella industriale e dell'intelligentsia, non erano molto differenti: tutte cercavano in permanenza l'appoggio dei "signori della guerra", legati alla nobiltà fondiaria, e quello dei governi delle grandi potenze.
Verso il 1911, la dinastia manciù era già completamete in putrefazione e sul punto di cadere. E questo non era il prodotto di una qualunque azione rivoluzionaria della borghesia nazionale, ma la conseguenza della divisione della Cina fra le grandi potenze imperialiste che aveva condotto alla divisione del vecchio impero. La Cina tendeva a restare sempre più divisa in regioni controllate da militaristi in possesso di eserciti mercenari più o meno potenti, sempre pronti a vendersi al migliore offerente e dietro i quali si trovava l'una o l'altra grande potenza. La borghesia, da parte sua, si sentiva chiamata a prendere il posto della dinastia in quanto elemento unificatore del paese, ma non allo scopo di spezzare il modo di produzione nel quale si mescolavano gli interessi dei proprietari fondiari con i suoi propri, ma piuttosto con lo scopo di mantenerli. E' in questo quadro che si sono svolti gli avvenimenti che partono da quella che viene chiamata la "Rivoluzione del 1911" fino al "Movimento del 4 maggio 1919".
La "Rivoluzione del 1911" iniziò con una cospirazione di militari conservatori sostenuti dall'organizzazione borghese nazionalista di Sun Yat-sen, la Tung Meng-hui. I militaristi conservatori rinnegarono l'imperatore e proclamarono un nuovo regime a Wu-Ciang. Sun Yat-sen, che si trovava negli Stati Uniti alla ricerca di un sostegno finanziario per la sua organizzazione, fu chiamato ad occupare la presidenza di un nuovo governo. Iniziarono negoziati fra i due governi e, in capo ad alcune settimane, si decise la rinuncia contemporanea dell'imperatore e di Sun Yat-sen in cambio di un governo unificato con a capo Yuan Che-kai che era il capo delle truppe imperiali, il vero uomo forte della dinastia. Tutto questo significava che la borghesia lasciava da parte le sue pretese "rivoluzionarie" e "antimperialiste" in cambio del mantenimento dell'unità del paese.
Alla fine del 1912 si forma il Kuomintang, nuova organizzazione di Sun Yat-sen, rappresentante di questa borghesia. Nel 1913, il Kuomintang partecipa alle elezioni presidenziali ristrette alle classi sociali possidenti, dalle quali esce vincitore. Il nuovo presidente Sun Ciao-yen viene assassinato e Sun Yan-sen tenta di formare un nuovo governo alleandosi con alcuni militaristi secessionisti del centro sud del paese, ma è sconfitto dalle forze di Pechino.
Come si può vedere, le velleità nazionaliste della borghesia cinese erano sottomesse ai voleri dei signori della guerra e, conseguentemente, a quelli delle grandi potenze. Lo scoppio della prima guerra mondiale assoggettò maggiormente il movimento politico della borghesia cinese al gioco degli interessi imperialisti. Nel 1915 parecchie province divennero "indipendenti", i signori della guerra si suddivisero il paese, sostenuti dall'una o dall'altra grande potenza. Nel nord, il governo di Anfu - sostenuto dal Giappone - disputava il posto a quello di Chili - sostenuto dalla Gran Bretagna e dagli USA -. Da parte sua la Russia zarista tentava di fare della Mongolia un protettorato. Ci si disputava anche il sud. Sun Yat-sen realizzò nuove alleanze con alcuni signori della guerra. La morte dell'uomo forte di Pechino acuì ancora di più le lotte fra i militaristi.
E' in questo contesto, alla fine della guerra in Europa , che nacque in Cina il "Movimento del 4 maggio 1919", tanto vantato dagli ideologi come un “movimento autenticamente antimperialista”. In realtà, questo movimento della piccola borghesia non era diretto contro l'imperialismo in generale, ma piuttosto contro il Giappone in particolare: in effetti, questo, durante la Conferenza di Versailles (quella in cui i paesi democratici vincitori si spartirono il mondo), era riuscito ad ottenere la provincia cinese di Ciang-Tong, cosa a cui gli studenti cinesi si opponevano. Tuttavia occorre notare che l'obiettivo di non cedere dei territori cinesi al Giappone corrispondeva proprio agli interessi di un'altra potenza rivale, gli Stati Uniti che, nel 1922, arrivarono a "liberare" le province di Cian-Tong dalla dominazione esclusivamente giapponese. Indipendentemente dall'ideologia radicale del movimento del 4 maggio, questo resta ugualmente nel quadro dei conflitti imperialisti. Né poteva essere diversamente.
Per contro, occorre sottolineare che durante il movimento del 4 maggio, in un senso differente, la classe operaia fece la sua prima apparizione nelle manifestazioni, scandendo non solo le parole d'ordine nazionaliste del movimento, ma anche proprie rivendicazioni di classe.
La fine della guerra in Europa non aveva messo fine né alle guerre fra i militaristi, né alle contese fra le grandi potenze per la spartizione della Cina. Tuttavia, a poco a poco, prendono forma due governi più o meno instabili: uno nel nord con sede a Pechino, agli ordini del militarista Wu Pei-fu; l'altro nel sud con sede a Canton con Sun Yat-sen e il Kuomintang alla testa. La storia ufficiale presenta il governo del nord come espressione delle forze "reazionarie", della nobiltà e degli imperialisti e il governo del sud come espressione delle forze nazionaliste e "rivoluzionarie", cioè la borghesia, la piccola borghesia e i lavoratori. Si tratta di una scandalosa mistificazione.
In realtà Sun Yat-sen e il Kuomintang sono sempre stati sostenuti dai signori della guerra del sud : nel 1922 Cien Ciung-ming, che aveva occupato Canton, aveva invitato Sun Yat-sen a formare un altro governo. Nel 1922 Sun Yat-sen seguendo la tendenza dei militaristi del sud, tentò, per la prima volta, di avanzare verso il nord; sconfitto fu espulso dal governo ma, nel 1923, ritornò a Canton con l'appoggio dei militaristi. D'altra parte si parla molto dell'alleanza del Kuomintang con l'URSS. In realtà questa intratteneva relazioni e alleanze con tutti i governi proclamati della Cina, compresi quelli del nord. Fu la svolta definitiva del nord verso il Giappone ad obbligare l'URSS a privilegiare le relazioni con il governo di Sun Yat-sen, il quale, d'altra parte, non abbandonò mai il gioco consistente nel chiedere aiuto a diverse potenze imperialiste. Così nel 1925, poco prima della sua morte e mentre andava al nord per negoziare, Sun Yat-sen, passò per il Giappone alla ricerca di un appoggio per il suo governo.
E' questo partito, il Kuomintang, rappresentante della borghesia nazionale (commerciale, industriale e intellettuale), integrato nel gioco delle grandi potenze imperialistiche e dei signori della guerra, che l'Internazionale Comunista arrivò a dichiarare "partito simpatizzante". E' a questo partito che dovranno sottomettersi giorno dopo giorno i comunisti in Cina a nome della "rivoluzione nazionale" e fare, per lui, i "coolies" (5).
Il Partito Comunista di Cina al crocevia
La storia ufficiale presenta la nascita del Partito Comunista in Cina come un sottoprodotto del movimento dell'intellettualità borghese degli inizi del secolo. Il marxismo sarebbe stato importato dall'Europa fra altre "filosofie" occcidentali e la formazione del partito comunista avrebbe fatto parte della nascita di molte altre organizzazioni letterarie, filosofiche e politiche di quell'epoca. Con questo genere di idee gli storici borghesi creano un ponte fra il movimento politico della borghesia e quello della classe operaia per dare, infine, alla formazione del partito comunista un significato specificamente nazionale. In realtà la nascita del Partito Comunista in Cina - come in molti altri paesi all'epoca - non è fondalmentalmente legato allo sviluppo dell'intelligentsia cinese ma all'avanzata del movimento rivoluzionario internazionale della classe operaia.
Il Partito Comunista di Cina (PCC) fu creato nel 1920-21 a partire da piccoli gruppi marxisti, anarchici e socialisti che simpatizzavano per la Russia sovietica. Come tanti altri partiti il PCC nacque direttamente in quanto componente dell'IC e la sua crescita era legata allo sviluppo delle lotte operaie che non mancarono di sorgere secondo l'esempio dei movimenti insurrezionali in Russia e in Europa Occidentale. E' così che da poche decine di militanti nel 1921, il partito si svilupperà in pochi anni per contarne un migliaio; durante l'ondata degli scioperi del 1925, raggiunse 4.000 membri e al culmine del periodo insurrezionale del 1927, ne contava circa 60.000. Questo rapido accrescimento numerico esprime, in una certa maniera, la volontà rivoluzionaria che animava la classe operaia cinese durante il periodo dal 1919 al 1927 (in quel periodo la maggior parte dei militanti erano operai di grandi citta industriali). Occorre, però, dire che l'accrescimento numerico non corrispondeva ad un equivalente rafforzamento del partito. L'ammissione affrettata di militanti contraddiceva la tradizione del partito bolscevico di formare una organizzazione solida, ben temprata dell'avanguardia della classe operaia piuttosto che un'organizzazione di massa. Ma la cosa peggiore fu l'adozione, al 2° congresso, di una politica opportunista della quale non sarebbe più riuscito a disfarsi.
Verso la metà del 1922, su richiesta dell'Esecutivo dell'IC, il PCC lancia la sventurata parola d'ordine del "fronte unico antimperialista con il Kuomintang" e dell'adesione individuale dei comunisti a quest'ultimo. Questa politica di collaborazione di classe (che cominciò ad estendersi in Asia a partire dalla Conferenza dei popoli d'Oriente del gennaio 1922) era il risultato di negoziati, iniziati segretamente, fra l'URSS e il Kuomintang. Nel giugno 1923 (3° Congresso del PCC) viene votata la politica di adesione dei membri del partito al KMT. Il KMT stesso viene ammesso nell'IC nel 1926 come organizzazione simpatizzante e partecipa al 7° Plenum mentre l'Opposizione Unificata (Trotsky, Zinovev, ...) non viene autorizzata a parteciparvi. Nel 1926, mentre il Kuomintang prepara il colpo finale contro la classe operaia, a Mosca si elaborava l'infame teoria secondo la quale il Kuomintang era un "blocco antimperialista comprendente quattro classi" (il proletariato, i contadini, la piccola borghesia e la borghesia).
Questa politica ebbe le più funeste conseguenze sul movimento della classe operaia cinese. Mentre si sviluppava spontaneamente e impetuosamente il movimento di scioperi e di manifestazioni, il PCC, annegato nel KMT, si dimostrava incapace di orientare la classe operaia e di dare prova di una politica di classe indipendente. La classe operaia, a sua volta sprovvista di organizzazioni unitarie finalizzate alla lotta politica come i consigli operai, si mise nelle mani del KMT - su richiesta del PCC stesso - accordando cioè la fiducia alla borghesia.
E' però certo che la politica opportunista di subordinazione al KMT ha incontrato, fin dall'inizio, una costante resistenza in seno al PCC (come fu il caso della corrente rappresentata da Chen Tu-hsiu). Già al 2° Congresso si era alzata una opposizione contro le tesi difese dal delegato dell'IC Sneevliet, secondo le quali il KMT non sarebbe stato un partito borghese ma un fronte di classe al quale il PCC avrebbe dovuto sottomettersi. Durante tutto il periodo di unità col KMT, in seno al PCC non sono mancate voci che denunciavano i preparativi antiproletari di Ciang Kai-scek, domandando ad esempio che le armi fornite dalla Russia fossero destinate all'armamento degli operi e dei contadini piuttosto che andare a rafforzare l'esercito di Ciang Kai-scek come stava accadendo, affermando infine le necessità di uscire dalla trappola che il KMT costituiva per la classe operaia: "La rivoluzione cinese ha due vie possibili: una è quella che può tracciare il proletariato e attraverso la quale noi potremo raggiungere i nostri obiettivi rivoluzionari; l'altra è quella della borghesia e quest'ultima tradirà la rivoluzione nel corso del suo sviluppo". (6)
Tuttavia fu impossibile per un partito giovane e senza esperienza superare le direttive erronee dell'Esecutivo dell'IC ed esso vi ricadde dentro. Il risultato fu che, mentre il proletariato si impegnava in una lotta contro le frazioni delle classi possidenti avversarie al KMT, questo gli stava preparando la pugnalata alla schiena: cosa che la classe operaia non poté impedire in quanto il suo partito non l'aveva prevenuta. E se è vero che in Cina la rivoluzione aveva poche possibilità di trionfare - in effetti a livello internazionale la spina dorsale della rivoluzione mondiale, il proletariato tedesco, era spezzata dopo il 1919 - l'opportunismo della III Internazionale precipitò la disfatta.
La classe operaia si solleva
Il maoismo ha preso a pretesto la debolezza della classe operaia in Cina per giustificare lo spostamento del PCC verso le campagne a partire dal 1927. Certo, la classe operaia in Cina, a partire dall'inizio del secolo era numericamente molto piccola rispetto ai contadini (in proporzione di 2 a 100), ma il suo peso politico non seguiva le stesse proporzioni.
Da una parte c'erano già circa 2 milioni di operai urbani altamente concentrati nel bacino del fiume Yang-Tse - con la città costiera di Shangai e la zona industriale di Wu-Han (con la triplice città di Han-Keu, Wu-Ciang, Han-Yang) -, nel complesso Canton-Hong-Kong e nelle miniere della provincia di Yunnan (senza contare i 10 milioni di artigiani più o meno proletarizzati che popolavano le città). Questa concentrazione dava alla classe operaia una forza straordinaria, in grado di paralizzare e prendere in mano i centri vitali della produzione capitalista. Di più, nelle province del sud (soprattutto a Kuang-Tong) esisteva un contadiname strettamente legato agli operai: in effetti esso era il serbatoio di forza lavoro per le città industriali e poteva costituire una forza d'appoggio per il proletariato urbano.
D'altra parte sarebbe erroneo considerare la forza della classe operaia in Cina basandosi esclusivamente sul suo peso numerico in rapporto alle altre classi del paese. Il proletariato è una classe storica che trae la sua forza nella sua esistenza mondiale e l'esempio della rivoluzione cinese ne è una prova concreta. Il movimento degli scioperi non aveva il suo epicentro in Cina, ma in Europa, era una manifestazione dell'onda di espansione della rivoluzione mondiale. Gli operai cinesi, come quelli di altre parti del mondo, si lanciavano nella lotta di fronte all'eco della rivoluzione trionfante in Russia e ai tentativi insurrezionali in Germania e in altri paesi dell'Europa.
All'inizio, dato che la maggior parte delle fabbriche cinesi erano di origine straniera, gli scioperi avevano una vernice xenofoba e la borghesia nazionale pensava di servirsene come una strumento di pressione. Però il movimento degli scioperi prenderà sempre di più un deciso carattere di classe, contro la borghesia in generale, sia essa nazionale o straniera. Gli scioperi rivendicativi si succedono in maniera crescente a partire dal 1919 malgrado la repressione (non era raro che degli operai fossero decapitati o bruciati nelle caldaie delle locomotive). Verso la metà del 1921, scoppia uno sciopero fra i tessili di Hu-Nan. All'inizio del 1922, uno sciopero di marinai di Hong-Kong prosegue per tre mesi fino al soddisfacimneto delle rivendicazioni. Nei primi mesi del 1923 scoppia un'ondata di centinaia di scioperi ai quali prendono parte più di 300.000 operai; in febbraio il militarista Wu Pei-fu ordina la repressione dello sciopero delle ferrovie nel corso del quale 35 operai vengono assassinati e numerosi altri feriti. Nel giugno 1924 scoppia uno sciopero generale a Canton - Hong-Kong che durerà tre mesi. Nel gennaio 1925 scendono in sciopero gli operai del cotone di Shanghai: è il preludio del gigantesco movimento di scioperi che avrebbero percorso tutta la Cina durante l'estate del 1925.
Il movimento del 30 maggio
Nel 1925, la Russia sosteneva fermamente il governo di Canton del KMT. L'alleanza fra l'URSS e il KMT era già stata dichiarata apertamente dal 1923; una delegazione militare del KMT comandata da Ciang-Kai scek si era recata a Mosca e, nello stesso tempo, una delegazione dell'IC dava al KMT degli statuti e una struttura organizzativa e militare. Nel 1924, il 1° congresso ufficiale del KMT approvò l'alleanza e, in maggio, viene creata l'Accademia Militare di Whampoa con armi e consiglieri militari sovietici diretta da Ciang-Kai scek. Nei fatti, ciò che faceva il governo russo era formare un esercito moderno al servizio della frazione della borghesia raggruppata attorno al KMT, cosa che le era fino ad allora mancato. Nel marzo 1925, Sun Yat-sen va a Pechino (l'URSS contnuava a mantenere relazioni anche col governo di Pechino) per cercare di costruire un'alleanza mirante ad unificare il paese ma muore di malattia prima di avere raggiunto il suo scopo.
E' in questo contesto di alleanza idilliaca che sorge, con tutte le sue forze, il movimento della classe operaia ricordando alla borghesia del KMT e agli opportunisti dell'IC l'esistenza della lotta di classe.
All'inizio del 1925 inizia a lievitare un'ondata di agitazioni e di scioperi. Il 30 maggio la polizia inglese di Shanghai apre il fuoco su una manifestazione di studenti e di operai: 12 morti. Fu il detonatore di uno sciopero generale a Shanghai che iniziò a estendersi rapidamente ai principali porti commerciali del paese. Il 19 giugno scoppia uno sciopero generale a Canton; quattro giorni più tardi le truppe britanniche della concessione britannica di Shameen (nei pressi di Canton) aprirono il fuoco contro un'altra manifestazione. In risposta gli operai di Hong-Kong si misero in sciopero e il movimento si estese arrivando fino alla lontana Pechino dove, il 30 luglio, ebbe luogo una manifestazione di circa 200.000 lavoratori, e rafforzando l'agitazione contadina nella provincia di Kuang-Tong.
A Shanghai gli scioperi durarono tre mesi, a Canton scoppiò uno sciopero con boicottaggio che finì ad ottobre dell'anno seguente. In quel momento cominciarono a crearsi milizie operaie: migliaia di operai raggiusero i ranghi del Partito comunista. La classe operaia cinese si mostrava per la prima volta come forza realmente in grado di minacciare il regime capitalistico nel suo insieme.
Malgrado il fatto che il movimento del 30 maggio ebbe come conseguenza diretta il consolidamento e l'estensione nel Sud del potere del governo di Canton, questo stesso movimento svegliò l'istinto di classe della borghesia nazionalista raggruppata nel KMT e che fino ad allora aveva "lasciato fare" gli scioperanti fintanto essi indirizzavano le loro lotte contro le fabbriche e le concessioni straniere. Gli scioperi dell'estate del 1925 avevano preso un carattere antiborghese senza "rispettare" i capitalisti nazionali. Così la borghesia nazionalista e "rivoluzionaria" con alla testa il KMT (sostenuto dalle grandi potenze e con l'appoggio cieco di Mosca) si lanciò rabbiosamente prima di tutto nella lotta con quello che aveva identificato come il suo nemico mortale: il proletariato.
Il colpo di forza e la spedizione al nord di Ciang Kai-scek
Fra gli ultimi mesi del 1925 e i primi del 1926 si svolge quella che gli storici sono soliti chiamare la "polarizzazione tra la sinistra e la destra del KMT", quella che secondo loro avrebbe comportato il frazionamento della borghesia in due parti: una fedele al nazionalismo, l'altra che si sarebbe voltata verso un'alleanza con l'imperialismo. Abbiamo, però, già visto che anche le frazioni della borghesia più "antimperialiste" non cessarono mai le loro relazioni con gli imperialisti. Ciò che stava accadendo, in realtà, non era il fatto che la borghesia si frazionasse, ma che si preparava ad affrontare la classe operaia sbarazzandosi degli elementi che davano fastidio in seno al KMT (i militanti comunisti, una parte della piccola borghesia e qualche generale fedele all'URSS). Così, dunque, il KMT, sentendosi sufficientemente forte politicamente e militarmente, si toglieva la maschera del "blocco delle classi" e appariva per ciò che era sempre stato: il partito della borghesia.
Alla fine del 1925, il capo della "sinistra", Liao Cing-hai fu assassinato e cominciarono le persecuzioni contro i comunisti. Questo fatto costituì il preludio del colpo di forza di Ciang Kai-scek, divenuto l'uomo forte del KMT, che segnò l'inizio della reazione della borghesia contro il proletariato. Il 20 marzo, Ciang Kai-scek alla testa dei cadetti dell'Accademia di Whampoa, proclama la legge marziale a Canton, chiude i locali delle organizzazioni operaie, disarma i picchetti di sciopero e fa arrestare numerosi militanti comunisti. Nei mesi seguenti, i comunisti saranno espulsi da tutti i posti di responsabilità del Kuomintang..
L'Esecutivo dell'Internazionale, sotto il tallone di Bucharin e di Stalin, rimane "cieco" di fronte alla reazione del KMT e, malgrado l'opposizione insistente di una parte del PCC, dà l'ordine di mantenere l'alleanza, nascondendo gli avvenimenti ai membri dell'Internazionale e dei PC (7). Rassicurato, Ciang Kai-scek esige dall'URSS un sostegno militare nella spedizione verso il nord che comincia nel luglio 1926.
Come tante altre azioni della borghesia, la spedizione nel nord è falsamente presentata dalla storia ufficiale come un "avvenimento rivoluzionario", come un tentativo per estendere il regime “rivoluzionario” e unificare la Cina. Ma le intenzioni del KMT di Ciang Kai-scek erano lungi dall’essere così altruiste. Il suo grande sogno (alla stessa stregua di altri militaristi) consisteva nell’appropriarsi del porto di Shangai e ottenere dalle grandi potenze l’amministrazione della sua ricca dogana. Per fare questo, esso poteva contare su uno strumento di pressione molto potente: la sua capacità di contenere e sottomettere il movimento operaio.
Fin dall’inizio della spedizione militare il Kuomintang decreta la legge marziale nelle zone già sotto il suo controllo. Così, nel momento stesso in cui i lavoratori del nord preparano con entusiasmo l’appoggio alle forze del Kuomintang, questo vietava formalmente gli scioperi operai nel sud.
In settembre una forza della sinistra del KMT prende Han-Keu, ma Ciang Kai-scek rifiuta di sostenerla e si stabilisce a Nanciang. In ottobre, viene dato l’ordine ai comunisti di frenare il movimento contadino nel sud e l’esercito mette fine allo sciopero-boicottaggio a Canton-Hong-Kong. Questo ultimo atto diede alle grandi potenze (in primo luogo alla Gran Bretagna) la prova più tangibile che l’avanzata verso il nord del Kuomintang non aveva nessuna pretesa antimperialista e, poco tempo dopo, cominciarono dei negoziati segreti con Ciang Kai-scek.
Alla fine del 1926, il bacino industriale del fiume Yang-Tzé ribolliva di agitazioni. In ottobre, il militarista Sia-ciao (che si era unito al Kuomintang) avanza verso Shangai, ma si ferma a qualche chilometro dalla città lasciando le truppe “nemiche” del nord (agli ordini di Sun Ciuan-fang) entrare per prime nella città e soffocare così un imminente sollevamento. Nel gennaio 1927, le masse lavoratrici occuparono con azioni spontanee le concessioni britanniche di Han-Keu (nella tripla città di Wu-Han) e di Jiujiang. Allora l’esercito del Kuomintang rallentò la sua avanzata per permettere, nella più pura tradizione degli eserciti reazionari, che i signori della guerra locali potessero reprimere il movimento operaio e contadino. Allo stesso tempo Ciang Kai-scek attacca pubblicamente i comunisti e il movimento contadino del Kuang-Tong (nel sud) è soffocato. Ecco lo scenario all’interno del quale si sviluppò il movimento insurrezionale di Shangai.
L’insurrezione di Shangai
Il movimento insurrezionale di Shangai è il punto culminante di un decennio di lotte costanti e crescenti della classe operaia. Esso costituisce il punto più elevato raggiunto dalla rivoluzione in Cina. Tuttavia le condizioni in cui esso maturava non potevano essere più sfavorevoli per la classe operaia. Il partito comunista si trovava legato mani e piedi, disarticolato, colpito e sottomesso dal Kuominang. La classe operaia, ingannata dalla mistificazione del blocco delle “quattro classi” non si era più dotata di organismi unitari, incaricati di centralizzare effettivamente la sua lotta, come i consigli operai (8). Durante questo periodo, le cannoniere delle potenze imperialiste erano puntate sulla città, e il Kuomintang stesso si avvicinava a Shangai, apparentemente brandendo la bandiera della “rivoluzione antimperialista”, ma con lo scopo vero di schiacciare gli operai. Solo la volontà rivoluzionaria e l’eroismo della classe operaia possono spiegare la sua capacità di impadronirsi in tali condizioni, anche se solo per qualche giorno, della città che rappresenta il cuore del capitalismo in Cina.
Nel febbraio 1927 il Kuomintang riprende la sua avanzata. Il 18 l’esercito nazionalista si trova a Chiaching, a 60 chilometri da Shangai. In questo momento, davanti alla sconfitta imminente di Sun Ciuan-fang, scoppia lo sciopero generale a Shangai:
“...il movimento del proletariato di Shangai, dal 19 al 24 febbraio, costituì oggettivamente un tentativo del proletariato di Shangai di assicurare la sua egemonia. Alle prime notizie della sconfitta di Sun Ciuan-fang, a Zejiang, l’atmosfera di Shangai divenne bollente e per due giorni scoppiò con la potenza di una forza naturale uno sciopero di 300.000 lavoratori che si trasformò irresistibilmente in insurrezione armata per ricadere rapidamente nel niente, per mancanza di direzione...” (9)
Il Partito comunista, preso di sorpresa, esistava a lanciare la parole d’ordine dell’insurrezione mentre questa si sviluppava già per le strade. Il 20 Ciang Kai-scek ordinò di colpo di sospendere l’attacco contro Shangai. Fu il segnale per le forze di Sun Ciuan-fang per scatenare la repressione nella quale decine di operai furono assassinati e che arrivò a contenere momentaneamente il movimento.
Durante le settimane seguenti Ciang Kai-scek manovrò abilmente per evitare di essere sostituito al comando dell’esercito e per far tacere le indiscrezioni su un’alleanza con la destra e le altre potenze, e sui preparativi antioperai.
Infine, il 21 marzo 1927 scoppia il tentativo insurrezionale finale. Quel giorno, viene proclamato uno sciopero generale a cui partecipano praticamente tutti gli operai di Shangai: 800.000 operai. “Tutto il proletariato era in sciopero, come pure la maggior parte della piccola borghesia (piccoli commercianti, artigiani, ecc.) (...) in una decina di minuti tutta la polizia fu disarmata. Alle due gli insorti possedevano già quasi 1.500 fucili. Immediatamente dopo le forze insorte si diressero verso i principali edifici governativi e si misero a disarmare le truppe. Seri combattimenti si svilupparono nel quartier generale di Tchapei... Finalmente, il secondo giorno dell’insurrezione, alle quattro del pomeriggio, il nemico (circa 3.000 soldati) era definitivamente sconfitto. A questo punto tutta Shangai (eccetto le concessioni e il quartiere internazionale) si trovava nelle mani degli insorti.” (10)
Questa azione, dopo la rivoluzione in Russia e i tentativi insurrezionali in Germania e in altri paesi europei, costituì una nuova scossa contro l'ordine capitalista mondiale. Essa mostrò tutto il potenziale rivoluzionario della classe operaia. La macchina repressiva della borghesia, però, era già in marcia ed il proletariato non era in grado di affrontarla.
La borghesia "rivuluzionaria" massacra il proletariato
Gli operai presero la città di Shanghai ... solo per aprirne le porte all'esercito nazionale "rivoluzionario" del KMT che finì per entrare nella città. Si era appena installato a Shanghai quando Ciang Kai-scek cominciò a preparare la repressione in accordo con la borghesia speculatrice e le bande mafiose della città. Iniziò così un ravvicinamento aperto con i rappresentanti delle grandi potenze e con i signori della guerra del nord. Il 6 aprile Cian Tso-lin (in accordo con Ciang Kai-scek) attaccò l'ambasciata russa a Pechino arrestando dei militanti del PCC che furono, in seguito, assassinati.
Il 12 aprile si scatenava a Shanghai la repressione massiccia preparata da Ciang Kai-scek: le bande del sottoproletariato delle società segrete, che avevano sempre avuto un grande ruolo nello spezzare gli scioperi, furono mandate contro gli operai. Le truppe del KMT - i pretesi "alleati" del proletariato - furono direttamente utilizzate per disarmare ed arrestare le milizie proletarie. Il giorno seguente il proletariato tentò di reagire mettendosi in sciopero, ma i contingenti dei manifestanti furono intercettati dalla truppa provocando numerose vittime. Immediatamente fu applicata la legge marziale e tutte le organizzazioni operaie proibite. In pochi giorni furono assassinati 5.000 operai, fra i quali numerosi militanti del PCC. Le retate e gli assassinii continuarono per mesi.
Simultaneamente, con una manovra congiunta, i militari del KMT che erano restati a Canton scatenarono un altro massacro, sterminando ulteriormente migliaia di operai.
La rivoluzione proletaria, annegata nel sangue degli operai di Shanghai e di Canton, resisteva ancora in maniera precaria a Wou-Han; però, ancora una volta, il KMT e in particolare la sua ala sinistra, si toglieva la maschera "rivoluzionaria" e, in luglio, raggiungeva i ranghi di Ciang Kai-scek scatenando anche là la repressione. Le orde militari si lanciarono al massacro e alla distruzione nelle campagne delle province del centro e del sud. I lavoratori furono assassinati a decine di migliaia in tutta la Cina.
L'Esecutivo dell'IC, tentando di mascherare la sua politica nefasta e criminale di collaborazione di classe, scaricò tutte le responsabilità sul PCC ed i suoi organi centrali e, in particolare, sulla corrente che, giustamente si era opposta a questa politica (la corrente di Chen Tu-hsiu). Per completare il lavoro, l' Esecutivo ordina al PCC di impegnarsi in una politica avventurista che termina con la cosiddetta "insurrezione di Canton". Questo assurdo tentativo di un colpo di forza “pianificato” non è seguito dal proletariato di Canton e finì solo col sottomettere definitivamente quest'ultimo alla repressione. Questo fatto segna definitivamente la fine del movimento operaio in Cina, di cui non si vedrà più nessuna espressione significativa durante i successivi quaranta anni.
La politica dell'IC verso la Cina, fu uno degli assi di denuncia dello stalinismo in crescita, che si trova all'origine dell'Opposizione di Sinistra, la corrente incarnata da Trotsky (nella quale lo stesso Chen Tu-hsiu finì per impegnarsi). Questa corrente confusa e tardiva di opposizione alla degenerazione dell'IC, benché si fosse mantenuta su un terreno di classe proletario a proposito della Cina - denunciando la sottomissione del PCC al KMT come causa della disfatta della rivoluzione - non arrivò mai a superare il quadro erroneo delle Tesi del 2° Congresso dell'IC sulla questione nazionale. Sarà questo uno dei fattori che la condurranno - a sua volta - ad una deriva opportunista (per ironia della storia Trotsky sosterrà il nuovo fronte di classe uscito fuori, in Cina, dalle lotte imperialiste a partire dagli anni '30), fino al suo passaggio nel campo della controrivoluzione nel corso della 2a guerra mondiale (11). In una maniera o nell'altra tutto ciò che aveva qualcosa di rivoluzionario e internazionalista in Cina fu chiamato "trotskysmo" (anni successivi, Mao Tse-tung perseguiterà come "agenti trotskysti dell'imperialismo giapponese" i pochi internazionalisti che si opponevano alla sua politica controrivoluzionaria).
Quanto al PCC, esso fu letteralmente annientato, dopo che 25.000 militanti furono assassinati dal KMT e altri imprigionati o perseguitati. Senza dubbio dei rifugiati del partito comunista, così come alcuni distaccamenti del KMT, poterono rifugiarsi in campagna. Ma a questo dislocamento geografico corrispondeva un dislocamento politico sempre più profondo: negli anni successivi il partito adottò un'ideologia borghese, la sua base - diretta dalla piccola borghesia e dalla borghesia - diventò a predominanza contadina e partecipò a campagne e guerre imperialiste. A prezzo del mantenimento delle sue dimensioni, il PCC cessò di essere un partito della classe operaia e si convertì in partito della borghesia; questa, però, è un'altra storia, oggetto di una eventuale seconda parte di questo articolo.
Segnaliamo, in guisa di conclusione, alcuni insegnamenti dal movimento rivoluzionario in Cina:
* La borghesia cinese non cessò di essere rivoluzionaria nel momento in cui essa si lanciò contro il proletariato nel 1927. Già dalla "rivoluzione del 1911", la borghesia nazionalista aveva mostrato il suo atteggiamento a dividersi il potere con la nobiltà, ad allearsi con i militaristi e a sottomettersi alle potenze imperialiste. Le sue aspirazioni democratiche, "antimperialiste" e perfino "rivoluzionarie", erano solo la maschera che nascondeva i suoi interessi reazionari; questi vennero alla luce quando il proletariato cominciò a rappresentare una minaccia. Nel periodo di decadenza, le borghesie dei paesi deboli sono altrettanto reazionarie e imperialiste di quelle delle grandi potenze.
* La lotta di classe del proletariato in Cina dal 1919 al 1927 non può essere analizzata in un contesto puramente nezionale. Essa costituisce un momento dell'ondata rivoluzionaria mondiale che scosse il capitalismo all'inizio del secolo. La forze elementare con la quale si sollevò il movimento operaio in Cina, settore del proletariato modiale considerato allora debole, al punto di essere in grado di prendere spontaneamente in mano le grandi città, mostra il potenziale che la classe operaia possiede per abbattere la borghesia, anche se per fare questo ha bisogno della coscienza e dell'organizzazione rivoluzionarie.
* Il proletariato non può più allearsi con nessuna frazione della borghesia. Per contro, può trascinare nel suo movimento settori della piccola borghesia urbana e contadina (come mostrano l' insurrezione di Shanghai e il movimento contadino di Kuang-Tong). In ogni caso il proletariato non deve fondersi con questi settori in nessun fronte di sorta ma deve mantenere in ogni momento la sua autonomia di classe.
* Il proletariato, per vincere, ha bisogno di un partito politico che lo orienti nei momenti determinanti, così come di un'organizzazione unitaria in consigli operai. Deve, particolarmente, dotarsi in tempo del suo Partito Comunista mondiale, fermo nei principi e temprato nella lotta prima che scoppi la successiva ondata rivoluzionaria internazionale. Questo partito deve essere in grado di combattere in permanenza l'opportunismo che sacrifica l'avvenire della rivoluzione in nome dei "risultati immediati".
Leonardo
NOTE
1. Nel quadro di questo articolo non possiamo dilungarci sulla lotta condotta dalle Frazioni di sinistra dell’Internazionale contro l’opportunismo e la degenerazione di questa, lotta che si sviluppava nello stesso periodo degli avvenimenti cinesi. A nostra conoscenza esse furono le sole a esprimere un manifesto firmato in comune da tutta l’Opposizione, compresa la Sinistra italiana. Si tratta del Manifesto “Ai comunisti cinesi e del mondo intero!” (La Verité, 12 settembre 1930). Su questa questione vedere il nostro libro La Sinistra Comunista d’Italia e, nella edizione francese della Révue Internationale, la serie di articoli sulla Sinistra Olandese.
2. Questa degenerazione procedeva di pari passo con quella dello Stato sorto dalla rivoluzione, che portò alla costituzione dello Stato capitalista nella sua forma stalinista. Vedi il Manifesto del 9° Congresso della CCI.
3. Lenin, Rapporto della Commissione nazionale e coloniale per il II Congresso dell’Internazionale Comunista, 26 luglio 1920. Riportato in “La question chinoise dans l’Internationale communiste”, presentazione e compilazione di Pierre Broué.
4. “Tesi e tesi integrative sulla questione nazionale e coloniale”, in A. Agosti: La Terza Internazionale, Editori Riuniti.
5. Detti anche i portatori d’acqua. Espressione utilizzata da Borodin, delegato dell’I.C. in Cina nel 1926. Vedi E. H. Carr: Il socialismo in un solo paese, Einaudi
6. Chen Tou-hsiou: citato da lui stesso nella sua “Lettera a tutti i membri del PCC”, riportato in La question chinoise, opera citata.
7. Ciang Kai-scek era stato nominato membro onorario qualche settimana prima, e il Kuomintang “partito simpatizzante” dell’Internazionale. Anche dopo il colpo di forza, i consiglieri russi rifiutarono di fornire 5.000 fucili agli operai e contadini del sud, riservandoli all’esercito di Ciang Kai-scek.
8. Si parla molto del ruolo di organizzazione giocato dai sindacati nel movimento in Cina. E’ vero che durante questo periodo i sindacati sorgono e si sviluppano di pari passo con lo sviluppo del movimento di scioperi. Tuttavia, quando essi non cercano di contenere il movimento nel quadro delle rivendicazioni economiche, la loro politica resta sottomessa al Kuomintang (compresa quella dei sindacati influenzati dal PCC). Il movimento di Shangai si darà così come obiettivo di aprire la via all’esercito nazionalista. Nel dicembre del 1927 i sindacati del Kuomintang arriveranno a partecipare alla repressione contro gli operai. Che le sole organizzazioni di massa di cui dispongono gli operai siano i sindacati non costituisce evidentemente un vantaggio, ma traduce la loro debolezza.
9. Lettera da Shangai dei tre membri della missione dell’I.C. in Cina, datata 17 marzo 1927. Riportata in “La question chinoise”, op. cit.