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Nostra presentazione
Anche in Russia, fin dal 1918, comparvero in seno al partito bolscevico alcune frazioni di sinistra[3] espressioni dei differenti disaccordi con la politica di quest’ultimo[4]. Ciò era una prova del carattere proletario del bolscevismo. Proprio perché era un’espressione vivente della classe operaia, unica classe che può fare una critica radicale e continua della sua pratica, il partito bolscevico generò continuamente delle frazioni rivoluzionarie. Ad ogni tappa di degenerazione, si sollevavano al suo interno voci che protestavano, si formavano gruppi dentro al partito o se ne separavano per denunciarne l’abbandono del programma iniziale del bolscevismo. Solo quando il partito venne definitivamente seppellito dai suoi becchini stalinisti non si produssero più frazioni. I comunisti di sinistra russi erano tutti dei bolscevichi. Erano loro a difendere la continuità col bolscevismo degli anni eroici della rivoluzione, mentre quelli che li hanno calunniati, perseguitati ed assassinati, per quanto celebri siano stati, avevano rotto con l’essenza del bolscevismo.
Il ritiro di Lenin dalla vita politica fu uno dei fattori che provocò lo scoppio di una crisi aperta nel partito bolscevico.
Da un lato, la frazione burocratica, un blocco instabile costituito inizialmente dal “triumvirato” Stalin, Zinoviev, Kamenev il cui principale collante era la volontà di isolare Trotsky, andava consolidando il suo ascendente sul partito. In questo periodo Trotsky, nonostante molte esitazioni, fu costretto ad evolvere apertamente verso una posizione di opposizione in seno al partito.
Allo stesso tempo, il regime bolscevico era confrontato a nuove difficoltà sul piano economico e sociale. Durante l’estate 1923, la prima crisi de “l’economia di mercato” instaurata dalla NEP minacciava l’equilibrio di tutta l’economia. Se la NEP era stata introdotta per bloccare l’eccessiva centralizzazione da parte dello Stato del Comunismo di guerra risultato nella crisi del 1921, diventava evidente che la liberalizzazione dell’economia esponeva la Russia ad alcune delle più classiche difficoltà della produzione capitalista. Queste difficoltà economiche e soprattutto la risposta che dava il governo - una politica di tagli rispetto all’impiego e sui salari come in qualsiasi Stato capitalista “normale” - aggravavano a loro volta la condizione di una classe operaia già al limite della miseria. Nell’agosto-settembre 1923, scioperi spontanei cominciarono ad estendersi ai principali centri industriali.
Il triumvirato, interessato innanzitutto al mantenimento dello status quo, aveva cominciato a considerare la NEP come la via reale al socialismo in Russia; questo punto di vista era teorizzato principalmente da Bukharin che era passato dall’estrema sinistra del partito all’estrema destra e che aveva preceduto Stalin nella teoria del socialismo in un solo paese, sebbene a “passo di lumaca” a causa dello sviluppo di un’economia di mercato “socialista”. Trotsky, da parte sua, aveva cominciato già a chiedere più centralizzazione e pianificazione statale per rispondere alle difficoltà economiche del paese. Ma la prima presa di posizione chiara dell’opposizione emanata dall’interno dei circoli dirigenti del partito fu la Piattaforma dei 46, sottoposta all’Ufficio politico nell’ottobre 1923. I 46 erano composti sia da compagni vicino a Trotsky come Piatakov e Préobrajensky, che da elementi del gruppo Centralismo democratico come Sapranov, V. Smirnov ed Ossinski. E’ significativo che il documento non portò la firma di Trotsky: il timore di essere considerato come facente parte di una frazione (dal momento che le frazioni erano state vietate nel 1921) certamente influenzò il suo atteggiamento. Tuttavia, la sua lettera aperta al Comitato centrale, pubblicata nella Pravda del dicembre 1923 ed il suo opuscolo Corso nuovo esprimevano delle preoccupazioni molto simili a quelle dell’Opposizione e lo ponevano definitivamente nelle fila di quest’ultima.
Originariamente la Piattaforma dei 46 era una risposta ai problemi economici in cui si trovava il regime. Sosteneva una maggiore pianificazione statale contro il pragmatismo dell’apparato dominante e la sua tendenza ad elevare la NEP al rango di principio immutabile. Questo sarà un tema costante dell’opposizione di sinistra intorno a Trotsky e, come vedremo, non uno dei suoi punti di forza. Più importante era l’allerta lanciata riguardante il soffocamento della vita interna del partito[5].
Allo stesso tempo la Piattaforma prendeva le distanze da quelli che chiamava gruppi di opposizione “malsana”, anche se li considerava come espressione della crisi del partito facendo sicuramente riferimento alle correnti come Il Gruppo operaio intorno a Miasnikov e La Verità operaia intorno a Bogdanov che erano sorti nello stesso periodo. Poco dopo Trotsky adotterà un punto di vista simile: il rigetto delle loro analisi perché troppo estreme, pur considerandole come manifestazioni della cattiva salute del partito. Tantomeno Trotsky voleva collaborare con i metodi di repressione che avevano per scopo l’eliminazione di questi gruppi.
Nei fatti, questi gruppi non possono assolutamente essere scartati come fenomeni “malsani”. È vero che La Verità operaia esprimeva una certa tendenza al disfattismo ed anche al menscevismo; come la maggior parte delle correnti della Sinistra tedesca ed olandese, la sua analisi dello sviluppo del capitalismo di Stato in Russia era indebolita dalla tendenza a mettere in discussione la stessa rivoluzione d’Ottobre ed a considerarla come una rivoluzione borghese più o meno progressista[6].
Questa non era affatto la posizione del Gruppo operaio del Partito comunista russo (bolscevico), diretto da operai bolscevichi di lunga data come Miasnikov, Kuznetsov e Moiseev. Il gruppo si fece subito conoscere nell’aprile-maggio 1923 con la distribuzione del suo Manifesto, giusto dopo il 13° Congresso del partito bolscevico. L’esame di questo testo conferma la serietà del gruppo, la sua profondità e la sua perspicacia politica.
Il testo non è privo di debolezze. In particolare, esso si lascia prendere dalla “teoria dell’offensiva”, la quale non vedeva il riflusso della rivoluzione internazionale e la conseguente necessità di lotte difensive della classe operaia. Questa era l’altra faccia della medaglia rispetto all’analisi dell'Internazionale Comunista che vedeva il riflusso dal 1921 ma ne traeva conclusioni largamente opportuniste. Allo stesso modo, il Manifesto adotta un punto di vista erroneo sul fatto che nell’epoca della rivoluzione proletaria le lotte per aumenti salariali non avrebbero più un ruolo positivo.
Malgrado ciò, i punti di forza di questo documento pesano ben più che le debolezze:
- il suo internazionalismo risoluto. Contrariamente al gruppo de L’Opposizione operaia della Kollontaï, non c’è traccia di localismo russo nella sua analisi. Tutta la parte introduttiva del Manifesto tratta della situazione internazionale, individuando chiaramente le difficoltà della rivoluzione russa nel ritardo della rivoluzione mondiale, ed insistendo sul fatto che la salvezza della prima risiedeva sull’avvento della seconda: “Il lavoratore russo (…) ha imparato a considerarsi come soldato dell’esercito mondiale del proletariato internazionale ed a vedere nelle sue organizzazioni di classe le truppe di questo esercito. Ogni volta dunque che è sollevata la domanda inquietante del destino delle conquiste della rivoluzione d’Ottobre, rivolge il suo sguardo laggiù, al di là delle frontiere dove sono riunite le condizioni per una rivoluzione, ma dove, tuttavia, la rivoluzione non viene”
- la sua critica acuta della politica opportunista del Fronte unico e dello slogan del Governo operaio; la precedenza accordata a questa questione costituisce una conferma supplementare dell’internazionalismo del gruppo poiché si trattava innanzitutto di una critica della politica dell’Internazionale Comunista. La sua posizione non era neanche macchiata di settarismo: affermava la necessità dell’unità rivoluzionaria tra le differenti organizzazioni comuniste (come il KPD ed il KAPD in Germania) ma rigettava completamente l’appello dell’Internazionale a fare blocco con i traditori della socialdemocrazia ed il suo ultimo falso argomento secondo il quale la rivoluzione russa aveva avuto un esito vittorioso proprio perché i bolscevichi avevano utilizzato in modo intelligente la tattica del fronte unico: “... la tattica che doveva condurre il proletariato insorto alla vittoria non poteva essere quella del fronte unico socialista ma quella della lotta mortale, senza riguardo, contro le frazioni borghesi dalla terminologia socialista confusa. Solo questa lotta poteva portare la vittoria e fu così. Il proletariato russo ha vinto non alleandosi ai socialisti-rivoluzionari, ai populisti ed ai menscevichi, ma lottando contro di essi. (…) È necessario abbandonare la tattica della “Fronte unico socialista” ed avvertire il proletariato che “le frazioni borghesi dalla fraseologia socialista ambigua” - attualmente tutti i partiti della Seconda internazionale - marceranno al momento decisivo armi alla mano per la difesa del sistema capitalista”.
- la sua interpretazione dei pericoli che affrontava lo Stato sovietico - la minaccia della “sostituzione della dittatura del proletariato da parte di un’oligarchia capitalista”. Il Manifesto descrive l’ascesa di una élite burocratica e la perdita dei diritti politici della classe operaia e reclama la restaurazione dei comitati di fabbrica e soprattutto che i soviet prendano la direzione dell’economia e dello Stato[7]. Per il Gruppo operaio rinnovare la democrazia operaia costituiva il solo mezzo per bloccare l’ascesa della burocrazia ed esso rigettava esplicitamente l’idea di Lenin secondo la quale un mezzo per andare avanti consisteva nello stabilire una Ispezione operaia, mentre questa avrebbe solo rappresentato un tentativo di controllare la burocrazia attraverso dei mezzi burocratici.
- il suo profondo senso di responsabilità. Contrariamente alle note critiche aggiunte dal KAPD quando pubblicò il Manifesto in Germania (Berlino 1924) che esprimevano da parte della la Sinistra tedesca la sentenza prematura di morte della rivoluzione russa e dell’Internazionale comunista, il Gruppo operaio fu molto prudente prima di proclamare il trionfo definitivo della controrivoluzione in Russia o la morte dell’Internazionale. Durante la “crisi di Curzon” del 1923, nel momento in cui sembrava che la Gran Bretagna stesse per dichiarare guerra alla Russia, i membri del Gruppo operaio si impegnarono a difendere la repubblica sovietica in caso di guerra e, soprattutto, in essi non c’era la minima traccia di ripudio della rivoluzione d’Ottobre e dell’esperienza bolscevica. In effetti, l’attitudine adottata dal gruppo sul proprio ruolo corrisponde precisamente alla nozione di frazione di sinistra come sarà elaborata più tardi dalla Sinistra italiana in esilio. Riconosceva la necessità di organizzarsi indipendentemente ed anche clandestinamente, ma il nome del gruppo (Gruppo operaio del Partito comunista russo - bolscevico) come anche il contenuto del suo Manifesto dimostrano che esso si considerava in totale continuità con il programma e gli statuti del partito bolscevico. Chiamava dunque tutti gli elementi sani in seno al partito, della direzione e dei differenti raggruppamenti di opposizione come La Verità operaia, l’Opposizione operaia ed il Centralismo democratico a raggrupparsi ed a condurre una lotta decisa per rigenerare il partito e la rivoluzione. E sotto certi aspetti, era una politica ben più realistica rispetto alla speranza che avevano i “46” di far abolire il regime di fazioni nel partito “in primo luogo” da parte della stessa fazione dominante.
Insomma, non c’era niente di malsano nel progetto del Gruppo operaio ed esso non era una semplice setta senza influenza nella classe. Alcune stime valutano a circa 200 il numero dei suoi membri a Mosca, ed era totalmente coerente quando diceva di trovarsi affianco al proletariato nella sua lotta contro la burocrazia. Cercò dunque di condurre un intervento politico attivo negli scioperi selvaggi dell’estate e dell’autunno 1923. Nei fatti, è proprio per questa ragione ed anche a causa dell’influenza crescente del gruppo all’interno del partito che l’apparato gli scatenò contro la sua repressione. Come lui stesso aveva previsto, Miasnikov subì anche un tentativo di assassinio “durante un tentativo di evasione”. Miasnikov sopravvisse e sebbene incarcerato e forzato all’esilio, dopo essere scappato, proseguì la sua attività rivoluzionaria all’estero per due decenni. Il gruppo in Russia fu alquanto destabilizzato dagli arresti di massa, sebbene emerga con chiarezza da L’enigma russo, il prezioso rapporto di A. Ciliga sui gruppi di opposizione in prigione alla fine degli anni 1920, che non sparì completamente e continuò ad influenzare “l’estrema sinistra” del movimento di opposizione. Tuttavia questa prima repressione non presagiva proprio niente di buono: era la prima volta che un gruppo apertamente comunista subiva direttamente la violenza dello Stato sotto il regime bolscevico.
Manifesto del Gruppo Operaio del Partito Comunista Russo (bolscevico)
In luogo di prefazione
Ogni operaio cosciente, al quale non siano estranei i dolori, le sofferenze e la titanica, straordinaria lotta della propria classe, ha assai spesso meditato sulla sorte della nostra rivoluzione in tutti i suoi successivi sviluppi. Ognuno sa che il suo destino è legato strettamente a quello del movimento proletario mondiale.
Ancora si legge nel vecchio programma socialdemocratico che “lo sviluppo degli scambi crea una stretta unione fra tutti i paesi del mondo civile” e che “il movimento proletario deve diventare ed è già divenuto internazionale”. Da allora anche l’operaio russo ha imparato a considerarsi un soldato nell’esercito mondiale del proletariato internazionale, a considerare le sue organizzazioni di classe come reparti di quell’esercito. Ogni volta, quindi, che viene posta l’inquietante questione sul destino delle conquiste dalla Rivoluzione d’Ottobre, egli volge lo sguardo ancora là, oltre le frontiere, dove sono le condizioni obiettive per una rivoluzione, che, tuttavia, tarda, tarda ancora a venire.
Ma, anche se la rivoluzione non è ancora avvenuta, il proletario non deve lamentarsi, non deve piegare il capo; invece, deve porsi in tal caso la domanda: che bisogna fare perché la rivoluzione si realizzi?
Se egli volge lo sguardo alla sua terra, vede che la classe operaia russa, che ha guidato la rivoluzione socialista e ha affrontato le difficilissime prove della NEP (Nuova Politica Economica), osservando i sempre più grassi eroi di quest’ultima e raffrontando le condizioni di costoro con le proprie, chiede inquieta: dove stiamo veramente andando?
Gli vengono così amari pensieri. Il lavoratore, che ha sopportato tutto il peso delle guerre borghesi e imperialiste, che da tutti i giornali russi è stato esaltato come un eroe, che nella lotta proletaria ha versato il proprio sangue, conduce ora una vita miserabile, a pane e acqua; invece, coloro che sfruttano la timorosa soggezione e la miseria dei lavoratori che hanno deposto le armi con cui combatterono, conducono ora una vita magnifica e lussuosa. Dove stiamo andando? Che accadrà in seguito? Invero, è possibile che la NEP, da Nuova Politica Economica” si converta in nuovo sfruttamento del proletariato? Che occorre fare per stornare da noi questo pericolo?
Quando d’improvviso queste domande si presentano alla mente dell’operaio, questi si volge spontaneamente indietro per stabilire un legame tra il presente e il passato, per capire come egli sia potuto arrivare a tal punto. Ma per quanto amare ed istruttive siano le sue esperienze, l’operaio non sempre riesce ad orientarsi nella complessa rete degli avvenimenti storici che si presentano ai suoi occhi.
Perciò noi vogliamo aiutarlo, secondo le nostre forze, a capire gli eventi e, se possibile, indicargli la via per la vittoria del proletariato. Non pretendiamo affatto di essere dei maghi o profeti dalla parola sacra ed infallibile; al contrario, vogliamo che tutto quanto diremo sia sottoposto alla critica più severa e alle necessarie correzioni.
Ai compagni comunisti di tutti i paesi!
Lo stato attuale delle forze di produzione nei paesi progrediti, e particolarmente in quelli a più alto sviluppo capitalistico, dà al movimento proletario di questi paesi l’aspetto di una lotta per la rivoluzione comunista, per il potere delle mani callose, per la dittatura del proletariato. O l’umanità, attraverso inaudite guerre borghesi nazionali, sarà immersa nel proprio sangue e scivolerà nella barbarie, oppure il proletariato compirà la sua storica missione: conquistare il potere e una volta per sempre porre fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, alle guerre borghesi e di classe fra popoli e nazioni, e alzare il vessillo della pace, del lavoro e della fratellanza.
Il precipitoso potenziamento delle flotte aeree inglese, francese, statunitense, giapponese, ecc., minaccia una nuova guerra, una guerra mai vista, nella quale periranno milioni di uomini e saranno distrutte le ricchezze accumulate nel mondo in tanto tempo, le fabbriche, le imprese, le attività, tutto ciò che operai e contadini hanno costruito nei secoli con faticoso lavoro.
In ciascun paese questo è il compito del proletariato: abbattere la propria borghesia nazionale. Quanto più presto il proletariato rovescerà la borghesia del proprio paese, tanto più presto il proletariato mondiale attuerà il suo compito storico.
Per porre fine allo sfruttamento, all’oppressione, alle guerre, il proletariato non deve lottare per più alti salari, per la diminuzione del tempo di lavoro: ciò è stato necessario in una prima fase, oggi occorre lottare per il potere.
La borghesia e gli altri oppressori di tutte le razze e sfumature sono particolarmente soddisfatti dei socialtraditori di tutti i paesi, perché essi distolgono l’attenzione del proletariato dai principali obiettivi della lotta contro il potere e lo sfruttamento della borghesia perseguendo spicciole e meschine rivendicazioni, senza poter offrire alcuna resistenza all’assoggettamento e alla violenza. I socialisti di tutti i paesi sono a un certo momento i veri salvatori della borghesia di fronte alla rivoluzione proletaria: poiché la massa innumerevole degli operai accoglie abitualmente con diffidenza ciò che le viene detto dai suoi sfruttatori, ma quando le stesse cose le sono presentate come ispirate al suo interesse ed abbellite con frasi socialistiche, allora essa, confusa da queste frasi, crede ai traditori ed impegna le sue forze in una lotta inutile. La borghesia ha e avrà nei socialisti i suoi migliori avvocati.
Le avanguardie comuniste del proletariato devono innanzitutto eliminare il sudiciume borghese dalle menti dei loro compagni di classe, dei quali devono conquistare le coscienze per condurli alla lotta vittoriosa.
Ma per bruciare questo ciarpame borghese bisogna essere uno dei loro, dei proletari, condividere tutti i loro mali e le pene. Quando questi proletari che hanno finora seguito gli ordini della borghesia iniziano a lottare, a fare scioperi non bisogna respingerli rimproverandoli con disprezzo - bisogna, al contrario, restare con loro nella loro lotta spiegando senza sosta che questa lotta serve soltanto alla borghesia. Inoltre per dire loro una parola di verità, si è talvolta costretti a salire sulla merda (presentarsi alle elezioni) sporcandosi le oneste scarpe rivoluzionarie.
Certo, tutto dipende dal rapporto di forze in ogni paese. E potrebbe darsi che non sia necessario né presentarsi alle elezioni, né partecipare agli scioperi, ma impegnarsi direttamente in una battaglia. Non si possono mettere tutti i paesi in uno stesso sacco.
Si deve naturalmente cercare di conquistare la simpatia del proletariato con ogni mezzo e maniera, ma non col cedimento, la negligenza, la rinuncia dei fondamentali principi. Bisogna combattere chi, per desiderio di successi immediati, abbandona questi principi, non guida e non cerca di guidare le masse ma piuttosto le imita, non le conquista ma si mette al loro rimorchio.
Non si può stare sempre a guardare, ad attendere che -la rivoluzione proletaria scoppi contemporaneamente in tutti i paesi; non si può giustificare la propria esitazione con l’immaturità del movimento proletario mondiale, e neanche si può parlare in questo modo: “Noi siamo pronti per la rivoluzione e anche abbastanza forti, ma gli altri non sono maturi, e se noi rovesciamo la nostra borghesia e gli altri no, che cosa allora accadrà?”
Poniamo che il proletariato tedesco rovesci la borghesia del suo paese e quanti socialmente si schierano con essa. Che accadrà allora? Accadrà che la borghesia e i socialtraditori di tutti i paesi tedeschi fuggiranno lontano dalla collera proletaria, verso la Francia e il Belgio e, supplicando Poincaré e compagni di regolare i conti col proletariato tedesco, prometteranno ai Francesi di rispettare il Trattato di Versailles, magari offrendo in aggiunta i territori del Reno e della Ruhr: cioè si comporteranno come si comportarono e si comportano la borghesia russa e i suoi alleati socialtraditori. Naturalmente Poincaré sarà molto lieto di interessarsi a questo buon affare, di salvare la Germania dal suo proletariato, così come fanno i delinquenti di tutto il mondo con la Russia sovietica. Ma la sfortuna di Poincaré e compagni sta nel fatto che il loro esercito, composto di operai e contadini, appena capirà di dover aiutare la borghesia tedesca e i suoi alleati contro il proletariato tedesco, contro i Consigli operai della Germania, rivolgerà le armi contro la propria borghesia, contro Poincaré. Questi, per salvare la propria pelle e quella dei borghesi francesi, richiamerà le truppe e abbandonerà al loro destino la povera borghesia tedesca e i suoi alleati socialisti. Questo avverrà anche se il proletariato tedesco romperà il trattato di Versailles, scaccerà Poincaré dal Reno e dalla Ruhr e proclamerà la pace senza annessioni ed indennità, sulla base della autodeterminazione dei popoli. Non sarà difficile per Poincaré accordarsi con Cuno e i fascisti, ma la Germania dei Consigli gli spezzerà le ossa. Quando si dispone della forza, bisogna servirsene e non girare in tondo.
Un altro pericolo minaccia la rivoluzione tedesca: lo sparpagliamento delle sue forze. Nell’interesse della rivoluzione proletaria mondiale, l’intero proletariato rivoluzionario deve unire i suoi sforzi. Se la vittoria del proletariato è impensabile senza una decisiva rottura e una lotta implacabile contro i nemici della classe operaia - i socialtraditori della Seconda Internazionale che a mano armata schiacciano il movimento rivoluzionario proletario nei loro cosiddetti liberi paesi - questa vittoria del proletariato è impensabile anche senza l’unione di tutte le forze che mirano alla rivoluzione comunista e alla dittatura del proletariato. E perciò noi, Gruppo Operaio del Partito Comunista Russo (bolscevico), organizzativamente e idealmente annoverato tra i partiti aderenti alla III Internazionale, ci rivolgiamo a tutti i proletari comunisti rivoluzionari con l’appello a unire le loro forze per l’ultima e decisiva battaglia. Noi chiamiamo a costituire un fronte unito tutti i partiti della III Internazionale, i partiti aderenti alla IV Internazionale comunista operaia[8] e anche quelle singole organizzazioni che non appartengono ad alcuna Internazionale, ma che perseguono il nostro stesso scopo. Un fronte unito per la lotta e la vittoria.
La fase iniziale si è compiuta. Il proletariato russo, attenendosi alle regole dell’arte rivoluzionaria proletaria e comunista, ha abbattuto la borghesia e i suoi alfieri di ogni specie e sfumatura (socialrivoluzionari, menscevichi, ecc.) che la difendevano con tanto vigore. E come vedete, esso, benché più debole del proletariato tedesco, ha respinto l’intera borghesia mondiale negli attacchi che questa ha condotto sull’incitamento della borghesia, dei proprietari fondiari e dei rinnegati socialisti della Russia.
Ora tocca al proletariato occidentale agire, riunire le proprie forze e cominciare la lotta per il potere. Com’è ovvio, sarebbe grave chiudere gli occhi dinanzi ai pericoli che minacciano nel cuore della Russia sovietica la Rivoluzione d’Ottobre e la stessa rivoluzione mondiale. La Russia sovietica sta passando attualmente uno dei suoi momenti più difficili: vi sono tali e tante deficienze che potrebbero riuscire fatali al proletariato russo e a quello del mondo intero. Queste deficienze derivano dalla debolezza della classe operaia russa e del movimento operaio mondiale. Il proletariato russo non è ancora in grado di opporsi alle tendenze che da un lato portano alla degenerazione burocratica della Nuova Politica Economica e dall’altro mettono in gran pericolo sia all’interno che all’estero le conquiste della rivoluzione proletaria russa.
Il proletariato di tutto il mondo è direttamente e immediatamente interessato a che le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre siano difese contro ogni pericolo. L’esistenza di un paese come la Russia quale base della rivoluzione comunista mondiale significa già una garanzia di vittoria: quindi l’avanguardia dell’esercito proletario internazionale - i comunisti di tutti i paesi - deve dar voce all’inespressa convinzione del proletariato sulle deficienze e sui mali di cui soffrono la Russia sovietica e il suo esercito di proletari comunisti, il PCR(bolscevico). Il Gruppo Operaio del PCR, che è il meglio informato sulla situazione russa, intende avviare l’azione. Non condividiamo l’opinione secondo la quale noi, proletari comunisti, non potremmo parlare dei nostri difetti, perché vi sono nel mondo social traditori e delinquenti che - così si sostiene - potrebbero utilizzare le nostre parole contro la Russia sovietica e il comunismo. Tutti questi timori sono infondati. Che i nostri nemici siano palesi o nascosti è del tutto indifferente: essi restano dei disgraziati che non potrebbero comunque vivere senza nuocere a noi, proletari e comunisti, che vogliamo liberarci dal giogo del capitalismo. Che cosa ne consegue? Dobbiamo noi nascondere allora i nostri mali e le nostre deficienze, non discuterne e non prendere le misure per eliminarli? Che cosa avverrà se noi ci lasciamo mettere nel sacco dai social traditori e ce ne stiamo zitti? In volizione d’Ottobre rimanga solo il ricordo. Ciò sarà molto utile per i socialtraditori, ma per il movimento internazionale proletario comunista sarà il colpo di grazia. E’ proprio nell’interesse della rivoluzione proletaria mondiale e della classe operaia russa se noi, Gruppo operaio del PCR (bolscevico), senza temere l’opinione dei social traditori, affrontiamo le questioni decisive del movimento proletario internazionale e di quello russo considerandone tutta la portata. Noi abbiamo già osservato al riguardo che l manchevolezze possono essere chiarite considerando le debolezze sia del proletariato internazionale sia di quello russo, e che il miglio aiuto che il proletariato degli altri paesi può dare a quello russo è la rivoluzione nei propri paesi, anche soltanto in uno o due paesi a capitalismo avanzato. Anche se al presente le forze non fossero sufficienti a questo scopo, esse sarebbero in ogni caso tali da essere in grado di aiutare la classe operaia russa a conservare le posizioni conquistate con la Rivoluzione d’Ottobre fino a che gli operai degli altri paesi non insorgano e vincano il nemico. Invero, la classe operaia russa, fiaccata dalla guerra mondiale imperialista, dalla guerra civile e dalla fame, non è forte, ma di fronte ai pericoli che attualmente incombono, essa può prepararsi proprio perché ha già conosciuto questi pericoli e farà ogni sforzo possibile per superarli, e ci riuscirà con l’aiuto dei proletari degli altri paesi. Il Gruppo operaio del PCR (bolscevico) ha dato l’allarme ed il suo appello trova larga eco un tutta la Russia sovietica. Quanti nel PCR hanno una sincera coscienza proletaria vanno raccogliendosi e iniziano la lotta. Riusciremo sicuramente a destare nella mente di tutti i proletari russi coscienti la preoccupazione per la sorte delle conquiste della Rivoluzione d’Ottobre. La lotta è difficile, essendo costretti ad una attività clandestina: noi operiamo nell’illegalità. Il nostro Manifesto non può essere pubblicato in Russia: noi lo abbiamo scritto e lo diffondiamo illegalmente. I compagni sospettati di aderire al nostro Gruppo sono esclusi dal partito e dai sindacati, arrestati e confinati, in base al semplice sospetto.
Al 12° Congresso del PCR, il compagno Zinoviev, in seguito alle intese intercorse tra il partito ed i burocrati sovietici, ha dettato una nuova formula per reprimere ogni critica da parte della classe operaia, dicendo: “Ogni critica al Comitato Centrale del PCR, non importa se da destra o da sinistra, è menscevismo” (suo ultimo discorso al 12° Congresso”. Che significa ciò? Significa che se a un qualsiasi operaio comunista la linea del Comitato Centrale non sembrerà giusta, ed egli nella sua proletaria semplicità, esprimerà le sue critiche, verrà escluso dal partito e dal sindacato, verrà semplicemente dichiarato un menscevico e consegnato alla Ghepeù. Il Comitato Centrale del partito non tollera alcuna critica, poiché si ritiene infallibile come il papa romano. La nostra preoccupazione, la preoccupazione dell’operaio russo, per il destino delle conquiste della Rivoluzione d’Ottobre, viene dichiarata controrivoluzionaria. Noi, Gruppo operaio del PCR (bolscevico), di fronte al proletariato i tutto il mondo, affermiamo che la Russia sovietica è una delle più grandi conquiste del movimento
Proletario internazionale. E proprio per questo noi lanciamo il grido d’allarme, perché il potere sovietico, il potere del proletariato, la vittoria d’Ottobre della classe operaia russa minacciano di trasformarsi in un’oligarchia capitalista. Noi dichiariamo che impediremo con tutte le nostre forze il tentativo di rovesciare il potere dei soviet. Noi faremo questo anche se sappiamo che, in nome del potere dei soviet, potremo essere imprigionati ed uccisi. Se il gruppo dirigente del PCR dichiara che la nostra preoccupazione per le sorti della Rivoluzione d’Ottobre è illegale e controrivoluzionaria, voi potete, proletari rivoluzionari di tutti i paesi, e prima i tutti voi che aderite alla III Internazionale, esprimere il vostro decisivo giudizio in base alla conoscenza del nostro Manifesto. Su di voi, compagni, è rivolto lo sguardo di tutti i proletari russi, inquieti per i pericoli che minacciano il grande Ottobre. Noi non vi avanziamo grosse pretese, o compagni. Chiediamo solo che nelle vostre riunioni discutiate sosteniate il nostro Manifesto e che i delegati dei vostri paesi al V Congresso della III Internazionale sollevino la questione delle frazioni all’interno del Partito e della politica del PCR verso i soviet. Discutete, compagni, il nostro Manifesto e votate le vostre risoluzioni. Sappiate, compagni, che in questo modo voi avrete aiutato la indebolita e martoriata classe operaia russa a salvare le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre, la quale è una parte della rivoluzione mondiale!
Al lavoro, compagni!
Viva le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre del proletariato russo!
Viva la Rivoluzione mondiale!
Segue …
Il seguito del Manifesto, che sarà pubblicato sul nostro sito web, comprende i seguenti argomenti:
- I principali compiti di oggi
- I Saul e Paolo nella rivoluzione russa
- Il fronte unico socialista
- La questione del fronte unico nel paese in cui il proletariato è al potere (democrazia operaia)
- La questione nazionale
- La Nuova politica economica (NEP)
- La NEP e la campagna
- La NEP e la politica semplicemente
- La NEP e la gestione dell'industria.
[1] Gavril Ilyich Myasnikov, operaio degli Urali, si era distinto nel partito bolscevico nel 1921 quando, subito dopo il cruciale X Congresso, aveva reclamato “la libertà di stampa, dai monarchici agli anarchici inclusi”, (citato da Carr, L’interregno). Malgrado gli sforzi di Lenin per dissuaderlo dal condurre un dibattito su questa questione, non indietreggiò e fu espulso dal partito all’inizio del 1922. A marzo del 1923 si raggruppò con altri militanti per fondare il “Gruppo Operaio del Partito comunista russo (bolscevico)” e quest’ultimo pubblicò e distribuì il suo Manifesto al XII Congresso del PCR. Il gruppo cominciò a fare del lavoro illegale tra gli operai, che appartenessero o no al partito, e sembra essere stato presente in modo significativo nell’ondata di scioperi dell’estate 1923, chiamando alle manifestazioni di massa e provando a politicizzare un movimento di classe essenzialmente difensivo. La sua attività in questi scioperi fu sufficiente a convincere la Ghepeù che rappresentava una vera e propria minaccia ed un’ondata di arresti di dirigenti assestò un colpo severo al gruppo. Tuttavia proseguì il suo lavoro clandestino fino all’inizio degli anni 1930 sebbene a livello ridotto. La storia ulteriore di Myasnikov è la seguente: dal 1923 al 1927, passò gran parte del tempo in esilio o in prigione a causa delle sue attività clandestine; evaso dalla Russia nel 1927 fuggì in Persia ed in Turchia, dove conoscerà anche qui la prigione; nel 1930 si istallerà definitivamente in Francia. Durante questo periodo provò sempre ad organizzare il suo gruppo in Russia. A fine guerra chiese a Stalin il permesso di tornare in URSS. Stalin mandò un aereo a prelevarlo. A partire dal giorno in cui tornò nel suo paese non si hanno più sue notizie. Ed è normale! Dopo un giudizio segreto emesso da un tribunale militare, fu fucilato in una prigione di Mosca il 16 novembre 1945.
[2] Leggi il nostro articolo La sinistra comunista e la continuità del marxismo, https://fr.internationalism.org/icconline/1998/gauche-communiste
[3] La CCI ha da tempo pubblicato in inglese ed in russo l’opuscolo La sinistra comunista russa dedicato allo studio delle differenti espressioni della Sinistra comunista in Russia. La versione inglese includeva il Manifesto del Gruppo operaio ma quella che qui riproduciamo ne è una nuova versione più completa recuperata solo recentemente in Russia. Il testo che riproduciamo è quello pubblicato nel libro “Mjasnokov e la rivoluzione russa”, R. Sinigaglia, edizione Jaca Book rivisto alla luce della traduzione dal francese del Manifesto nella versione integrale.
[4] Leggi il nostro articolo La Sinistra comunista in Russia nella Rivista Internazionale n°2, https://it.internationalism.org/rint/2_sinistrarussa.
[5] “I membri del partito che non sono soddisfatti di questa o quella decisione del comitato centrale, che hanno in mente questo o quel dubbio, che rilevano in privato questo o quell’errore, questa o quella irregolarità o questa o quella confusione, hanno paura di parlarne nelle riunioni del partito ed hanno anche paura di parlarne in una conversazione. (...) Oggi, non è il partito, non le sue larghe masse che promuovono e scelgono i membri dei comitati provinciali e del comitato centrale del Partito comunista della Russia. Al contrario, è sempre più la gerarchia della segreteria del partito che recluta i membri delle conferenze e dei congressi che diventano sempre più a loro volta le assemblee esecutive di questa gerarchia. (...) La posizione che si è creata si spiega per il fatto che il regime è la dittatura di una fazione in seno al partito. (...) Il regime di fazione deve essere abolito e questo deve essere fatto, in primo luogo, da quelli che l’hanno creato; deve essere sostituito da un regime di unità fraterna e di democrazia interna del partito”.
[6] Vedi nota 3.
[7] Tuttavia, il Manifesto sembra anche difendere che i sindacati debbano diventare degli organi della centralizzazione della direzione economica - vecchia posizione dell’Opposizione operaia che Miasnikov aveva criticato nel 1921.
[8] Si tratta del KAI (Internazionale degli operai comunisti, 1921-22) fondata per iniziativa del KAPD, da non confondere con la IV Internazionale trotzkista.