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La risoluzione adottata dal 24° Congresso CCI (2021, Rivista Internazionale n.36) ha fornito un quadro adeguato per orientare l’organizzazione sul piano dell’evoluzione della crisi economica.
In essa si affermava che: “L’ampiezza e l’importanza della pandemia, prodotto dell’agonia di un sistema in piena decomposizione e diventato completamente obsoleto, illustrano il fatto senza precedenti che il fenomeno della decomposizione capitalista intacca ormai anche l’insieme dell’economia capitalista in maniera massiccia e su scala mondiale. Questa irruzione degli effetti della decomposizione nella sfera economica influenza direttamente l’evoluzione della nuova fase di crisi aperta, inaugurando una situazione totalmente inedita nella storia del capitalismo. Gli effetti della decomposizione, alterando profondamente i meccanismi del capitalismo di Stato messi in atto finora per “accompagnare” e limitare l’impatto della crisi, introducono nella situazione un fattore di instabilità e di fragilità, e di incertezza crescente” (punto 14).
Si riconosceva inoltre il ruolo predominante dell’ognuno per sé nelle relazioni tra le nazioni e lo “scivolamento delle fazioni borghesi considerate più ‘responsabili’ verso una gestione sempre più irrazionale e caotica del sistema, e soprattutto l’avanzata senza precedenti della tendenza al ciascuno per sé, [che] rivelano una crescente perdita di controllo sul proprio sistema da parte della classe dominante” (punto 15). Questo ognuno per sé “Provocando un caos crescente in seno all’economia mondiale (con la tendenza alla frammentazione delle catene produttive e la frammentazione del mercato mondiale in zone regionali, al rafforzamento del protezionismo e alla moltiplicazione delle misure unilaterali), questo movimento totalmente irrazionale di ogni nazione a salvare la propria economia a detrimento di tutte le altre è controproduttivo per ogni capitale nazionale e un disastro a livello mondiale, un fattore decisivo di deterioramento dell’insieme dell’economia mondiale” (punto 15).
Sottolineava anche che “Le conseguenze della distruzione sfrenata dell’ambiente da parte di un capitalismo in decomposizione, i fenomeni risultanti dai cambiamenti climatici e dalla distruzione della biodiversità (…) toccano sempre più tutte le economie, quelle dei paesi sviluppati in testa (…), perturbano il funzionamento dell’apparato produttivo industriale e indeboliscono anche la capacità produttiva dell’agricoltura. La crisi climatica mondiale e la disorganizzazione crescente del mercato mondiale dei prodotti agricoli che ne risultano minacciano la sicurezza ambientale di numerosi Stati” (punto 17).
D’altra parte, pur non prevedendo lo scoppio di una guerra tra le nazioni, la risoluzione affermava: “non possiamo escludere il pericolo di fiammate militari unilaterali o anche di incidenti spaventosi che segnerebbero una nuova accelerazione allo scivolamento verso la barbarie” (punto 13).
E poteva quindi prospettare che: “La crisi che si sviluppa ormai da decenni è destinata a diventare la più grave del periodo di decadenza, e la sua portata storica supererà anche la prima crisi di questa epoca, quella iniziata nel 1929. Dopo più di 100 anni di decadenza capitalista, con un’economia devastata dal settore militare, indebolita dall’impatto della distruzione ambientale, profondamente alterata nei suoi meccanismi di riproduzione dal debito e dalla manipolazione dello Stato, in preda alla pandemia e che soffre sempre più tutti gli altri effetti della decomposizione, è illusorio pensare che in queste condizioni ci sarà una ripresa durevole dell’economia mondiale”[1].
Pertanto:
- L’accelerazione della decomposizione e l’ampliarsi dell’impatto dei suoi effetti combinati sull’economia capitalista già gravemente degradata;
- Lo scoppio della guerra e l’accelerazione del militarismo su scala globale, che peggiorano drasticamente la situazione;
- Lo sviluppo a oltranza del ciascuno per sé tra le nazioni, sullo sfondo della competizione sempre più acuta tra Cina e Stati Uniti per la supremazia mondiale;
- L’abbandono di un minimo di regole e di cooperazione tra le nazioni per gestire le contraddizioni e le convulsioni del sistema;
- L’assenza di una forza trainante in grado di rivitalizzare l’economia capitalista;
- il fatto che la prospettiva di un impoverimento assoluto per il proletariato dei paesi centrali sia ormai all’ordine del giorno;
costituiscono i principali indicatori della gravità storica della crisi attuale e illustrano il processo di “disintegrazione interna” del capitalismo mondiale, annunciato dall'Internazionale Comunista nel 1919.
I. La concatenazione dei fattori di decomposizione
A. Le conseguenze della guerra
Come ha detto un importante industriale francese: “Ciò che è eccezionale dagli ultimi due anni è che le crisi iniziano ma non si fermano. C’è un vero e proprio effetto di accumulo. La crisi Covid è iniziata nel 2020, ma è ancora con noi! Da allora, abbiamo dovuto affrontare tensioni estreme e interruzioni nelle catene di approvvigionamento, un rapporto profondamente cambiato con il lavoro, una guerra ai confini dell’Europa, la crisi energetica e il ritorno dell’inflazione, e infine la crescente consapevolezza del cambiamento climatico (...) Gli shock si stanno sommando. Stanno emergendo rapidamente e violentemente” (Les Échos, 21-22/10). In una situazione storica in cui i vari effetti di decomposizione si combinano, si compenetrano e interagiscono in un effetto vortice devastante, il riscaldamento globale e la crisi ecologica, il ciascuno per sé nelle relazioni tra gli Stati e, più in generale, le contraddizioni fondamentali del capitalismo, la guerra e le sue ripercussioni sono il fattore centrale che aggrava la crisi economica:
- Annientamento economico dell’Ucraina. L’economia nazionale si è ridotta del 40% rispetto alle sue dimensioni precedenti. Secondo il suo Primo Ministro, “i danni sono stati stimati, quest’autunno, a 350 miliardi di dollari. Ma queste stime sono destinate a raddoppiare entro la fine dell’anno, fino a 700 miliardi di dollari, a causa dei massicci attacchi effettuati da Mosca contro le nostre infrastrutture. (...) Le attuali interruzioni di corrente dovrebbero rappresentare una perdita tra il 3% e il 9% del PIL”[2]. Lo sforzo militare sta assorbendo il 30% delle risorse del paese; le entrate di bilancio insufficienti stanno costringendo il governo a indebitarsi e a stampare moneta.
- Inflazione in Ucraina. Questa sta facendo impennare l’inflazione mondiale: 7,2% nei paesi avanzati, 9,8% nei paesi emergenti, 13,8% in Medio Oriente e Asia centrale e 14,4% nell’Africa sub-sahariana. Nell’UE è del 10%, anche se in alcuni paesi la media è più alta: Lettonia e Lituania sono al 22%, i Paesi Bassi al 17%. Le cifre hanno raggiunto un picco del 9% a metà del 2022, per poi scendere al 7,1% alla fine del 2022.
- Aggravarsi della crisi alimentare e della fame nel mondo. Mettendo l’uno contro l’altro due produttori essenziali di cereali e fertilizzanti, la guerra ha provocato un aumento della fame nel mondo senza “alcun precedente, (...), dalla seconda guerra mondiale”[3]. “Lo shock è aggravato da altri grandi problemi che avevano già causato l’aumento dei prezzi e la diminuzione delle forniture, tra cui la pandemia da Covid-19, i vincoli logistici, gli alti costi energetici e le recenti siccità, inondazioni e incendi”[4]. La produzione mondiale di cereali è in declino: la Cina, dopo le gravi inondazioni del 2021, sta affrontando il peggior raccolto di grano da decenni, mentre in India ondate di calore senza precedenti “hanno portato a notevoli perdite di raccolto quest’anno”. L’aumento dei prezzi e le “minacce alla sicurezza alimentare” hanno scatenato “un’ondata di protezionismo alimentare”, con il divieto di esportazione di grano in India e l’introduzione di quote (in Argentina, Kazakistan, Serbia, ecc.) per garantire l’approvvigionamento interno”. Con il grano invernale americano “in cattive condizioni” e le riserve francesi “in via di esaurimento”, “il mondo sta iniziando a esaurire il grano”[5].
- L’anarchia capitalistica raggiunge nuove vette. L’organizzazione delle catene di produzione e di approvvigionamento espone ogni capitale nazionale a molteplici dipendenze che, fino ad ora, non avevano conseguenze, dal momento che il commercio e gli scambi mondiali potevano essere effettuati senza alcuna restrizione. Ma la pandemia e poi la guerra hanno cambiato tutto. Le serrate in Cina, le sanzioni contro la Russia e gli effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina hanno portato a numerosi blocchi e interruzioni sia della produzione che del commercio, seminando caos e anarchia; le carenze si sono estese in molti settori: ad esempio, microchip, prodotti medici e materie prime.
- Sviluppo del militarismo e della produzione di armi. Una delle principali conseguenze della guerra è stato l’incremento a livelli abissali della spesa per gli armamenti in tutti gli Stati. Il peso dell’onere militare (una perdita secca per il capitale) sulla ricchezza nazionale, il ritmo accelerato della produzione di armi, la conversione di settori strategici all’industria militare, l’indebitamento provocato e il calo degli investimenti in altri settori dell’economia modificheranno notevolmente l’economia e il commercio mondiale.
B. Quale impatto hanno avuto le sanzioni sull’economia russa?
Mirando a “dissanguare” l’ottava economia mondiale, le sanzioni occidentali contro la Russia hanno aperto un vero e proprio “buco nero” nell’economia globale, con conseguenze ancora sconosciute. Anche se l’economia russa non è crollata né dimezzata (come aveva promesso Biden), intrappolata nella guerra in corso e strangolata dalle misure di ritorsione imposte dagli Stati Uniti, l’economia russa viene soffocata e portata alla rovina. Con un PIL in calo dell’11% e un’inflazione del 22%, le sanzioni economiche hanno indebolito lo sforzo bellico russo[6] e causato carenze paralizzanti nell’industria. Inoltre, l’embargo sui semiconduttori sta limitando la produzione di missili di precisione e carri armati[7].
Dopo il ritiro dei produttori stranieri, il settore automobilistico è crollato quasi completamente (del 97%). I settori dell’aerospaziale (un settore strategico) e del trasporto aereo (centrale per un paese così vasto), totalmente dipendenti dalle tecnologie occidentali, sono stati duramente colpiti.
Con la fuga di centinaia di migliaia di russi all’estero, l’economia russa ha subito una massiccia perdita di manodopera, in particolare nel settore informatico, dove 100.000 specialisti informatici hanno lasciato il paese.
L’alternativa offerta dalla Cina e da altri paesi refrattari alle sanzioni occidentali (India, Turchia - acquirenti di energia russa) può aver fornito una tregua temporanea, ma è ben lungi dal compensare la scomparsa dei mercati occidentali. L’entrata in vigore, a inizio dicembre 2022, dell’embargo europeo sul petrolio russo ridurrà notevolmente questa “boccata d'ossigeno”.
Mentre le importazioni cinesi dalla Russia sono aumentate, le esportazioni verso la Russia sono diminuite in proporzioni simili a quelle dei paesi occidentali (a causa della cauta applicazione da parte della Cina della maggior parte delle sanzioni occidentali[8]). La tenuta del valore del rublo e persino il suo aumento rispetto al dollaro, che riflette questo massiccio squilibrio tra l’elevato volume di esportazioni di petrolio e gas e il parallelo crollo delle importazioni in seguito alle sanzioni, non è affatto un segno di forza. Le sanzioni finanziarie, il congelamento del 40-50% delle riserve russe e la messa al bando del sistema SWIFT stanno colpendo sempre più la capacità di pagamento della Russia all’estero e la credibilità della sua solvibilità.
Nonostante la loro apparente resilienza, le sanzioni sono una formidabile arma da guerra e avranno un forte impatto sull’economia russa nel medio termine: a causa del loro effetto “ritardato”, il prolungamento della guerra sarà il mezzo nelle mani degli Stati Uniti per raggiungere l’obiettivo di “distruggere” l’economia russa.
C. Lo shock destabilizzante della guerra del gas
Il terremoto della guerra ha rappresentato un grande “cambiamento epocale”, non solo per quanto riguarda la situazione delle singole nazioni, soprattutto europee, ma anche a livello internazionale.
La guerra è un abisso dal costo economico esorbitante “(da marzo ad agosto) l’Ucraina ha ricevuto 84 miliardi di euro da 40 Stati partner e istituzioni dell’UE - gli alleati più importanti sono gli Stati Uniti, le istituzioni dell’UE, il Regno Unito, la Germania, il Canada, la Polonia, la Francia, la Norvegia, il Giappone e l’Italia”. “L’Ucraina potrebbe ricevere fino a 30 miliardi di dollari tra settembre e dicembre 2022. L’UE svolge un ruolo centrale nel ‘mantenere la stabilità macro finanziaria dell’Ucraina (fornendole 10 miliardi di euro tra marzo e settembre 2022)”[9]. L’onda d’urto economica della guerra non impatta allo stesso modo, nell’immediato e nel medio termine, sulle principali aree del pianeta. Le capitali europee stanno subendo l’impatto più brutale. Per loro si tratta di una destabilizzazione senza precedenti del proprio modello “economico”.
A seguito delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti alla Russia, le aziende europee che sono più coinvolte in Russia rispetto a quelle americane sono più direttamente colpite dalla rottura delle relazioni economiche con la Russia.
L’embargo sul gas russo sta causando un enorme shock con effetti a cascata in tutta Europa: “Le vere bombe stanno cadendo in Ucraina, ma è quasi come se anche l’infrastruttura industriale dell’UE fosse stata distrutta. Il continente sta per vivere una violenta crisi industriale. Sarà uno shock terribile per le finanze pubbliche e per le classi medie e povere dei paesi europei”[10] Come ha detto J. Borrell: “Gli Stati Uniti si sono occupati della nostra sicurezza. La Cina e la Russia hanno fornito la base per la nostra prosperità. Quel mondo non esiste più (...) La nostra prosperità si basava sull’energia proveniente dalla Russia, sul suo gas, ritenuto economico, stabile e privo di rischi. Tutto questo era sbagliato (...) Questo porterà a una profonda ristrutturazione della nostra economia”. Ogni capitale si trova di fronte a contraddizioni e dilemmi quasi insolubili, con scelte economiche e strategiche drastiche da compiere con urgenza, che riguardano la sovranità nazionale e la salvaguardia della loro posizione nel mondo.
1. In un momento in cui la crescita stava già rallentando, l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia (il prezzo del gas è aumentato di 20 volte dal 2010) sta già portando all’indebolimento di interi settori industriali fortemente dipendenti dall’energia importata, con vaste fasce di attività che non sono né redditizie né competitive. Alcuni settori (chimica, vetro, altiforni dell’industria siderurgica, alluminio, ecc.) sono costretti a ridurre la produzione per contenere i costi esorbitanti, mentre molti stanno fallendo a causa della radicale perdita di redditività.
2. Di fronte alla gravità della situazione, lo Stato è intervenuto in modo massiccio nazionalizzando le principali aziende energetiche, come Uniper in Germania e EDF in Francia, e istituendo “scudi finanziari o tariffari” per sostenere le aziende e attutire l’impatto su imprese e privati.
3. I paesi europei corrono un rischio reale di deindustrializzazione e di declino economico, a causa del persistente differenziale di prezzo dell’energia tra l’Europa e gli Stati Uniti e l’Asia. In questo clima di “si salvi chi può”, sta emergendo la tendenza, per chi può, a delocalizzare le imprese europee, la cui sopravvivenza è minacciata, in aree americane o asiatiche dove i prezzi dell’energia sono più bassi.
4. Oltre all’esaurimento delle fonti di gas russe, si teme di dover limitare la produzione nei settori più esposti, come la chimica, la metallurgia, il legno e la carta, l’industria della plastica e della gomma, o addirittura di interromperla durante l’inverno. In Francia, ad esempio, si aggiunge il problema dell’elettricità: scarsità di investimenti e lo stato di degrado delle centrali nucleari potrebbero portare a interruzioni di corrente, con il rischio di ridurre o addirittura bloccare la produzione industriale a partire dal prossimo gennaio, gettando nel caos la quinta economia mondiale in settori come i trasporti, l’agroalimentare e le telecomunicazioni[11].
L’indebolimento del capitale tedesco. E’ la Germania in particolare a concentrare in modo esplosivo tutte le contraddizioni di questa situazione senza precedenti. La fine delle forniture di gas russo pone il capitale tedesco in una situazione di fragilità strategica ed economica senza precedenti: è in gioco la competitività di tutta la sua industria[12]. Il capitale tedesco (e l’Europa) rischia di dover passare dalla dipendenza dal gas russo a quella del LNG americano, che gli Stati Uniti intendono imporre al continente europeo, sostituendo il ruolo finora svolto dalla Russia. La fine del multilateralismo, di cui il capitale tedesco ha beneficiato più di ogni altra nazione (risparmiandosi anche parte del peso delle spese militari per il “dividendo della pace” dal 1989), ha un impatto più diretto sul suo potere economico che si basa sulle esportazioni. Infine, la pressione esercitata dagli Stati Uniti per costringere i suoi “alleati” a partecipare alla guerra economico-strategica contro la Cina e a rinunciare ai mercati cinesi pone la Germania di fronte a un enorme dilemma, data l’importanza vitale del mercato cinese. A causa della sua posizione di leader nell’UE, il vacillare del potere tedesco si ripercuote su tutta l’Europa, segnata in varia misura dalle stesse contraddizioni e dagli stessi dilemmi.
La Cina e le Vie della seta sono direttamente toccate. Uno degli obiettivi della guerra e dell’indebolimento della Russia è quello di colpire la Cina. La guerra sta vanificando l’obiettivo principale delle Vie della Seta di fare dell’Ucraina una pota di accesso per il mercato europeo; il caos sta tagliando fuori la Cina da uno dei suoi principali mercati. Questo obiettivo deve trovare un’alternativa attraverso il Medio Oriente.
D. La crisi climatica
Sebbene le grandi potenze riconoscano che “il cambiamento climatico si sta affermando come una forza destabilizzante, anche economicamente distruttiva”, la COP27 di Sharm El Sheikh si è spaccata sulla questione di “chi deve pagare”. Oltre all’incapacità congenita del capitalismo di frenare la distruzione della natura, ciò che suona la campana a morto per l’impegno delle grandi potenze a ridurre la produzione di gas serra è il ritorno e la preparazione di tutti gli Stati a una guerra “ad alta intensità”. Infatti: “Non ci può essere guerra senza petrolio. Senza petrolio, è impossibile fare la guerra (...) Rinunciare alla possibilità di ottenere forniture di petrolio abbondanti e poco costose equivale semplicemente al disarmo. Le tecnologie di trasporto [che non necessitano di petrolio, idrogeno ed elettricità] sono totalmente inadatte agli eserciti. I carri armati elettrici a batteria pongono così tanti problemi tecnici e logistici che devono essere considerati impossibili, come tutto ciò che funziona su terra (veicoli corazzati, artiglieria, macchine ingegneristiche, fuoristrada leggeri, camion). Il motore a combustione interna e il suo carburante sono così efficienti e flessibili che sarebbe un suicidio sostituirli”[13].
Il capitalismo è destinato a subire sempre più gli effetti del cambiamento climatico (incendi giganteschi, inondazioni, ondate di calore, siccità, fenomeni meteorologici violenti, ecc.), che colpiscono l’economia capitalista in modo sempre più significativo e la penalizzano sempre più pesantemente. Il fattore climatico (già fattore dell’implosione dei Paesi arabi negli anni 2010) è di per sé una causa del collasso di paesi particolarmente vulnerabili alla periferia del capitalismo. La “carneficina climatica su scala senza precedenti” (A. Guterres, ONU) in Pakistan ha causato danni stimati a due volte e mezzo il suo PIL - una catastrofe impossibile da superare economicamente[14]. La portata dello shock climatico sta ora avendo un impatto diretto sui paesi centrali del capitalismo e l’insieme delle loro attività economiche su tutti i piani:
- Il costo delle perdite dovute a fattori climatici nei paesi centrali continua a crescere: solo negli Stati Uniti “negli anni '80, il costo totale dei disastri naturali ammontava a 3 miliardi di dollari all’anno. Tra il 2000 e il 2010, questa cifra è salita a più di 20 miliardi di dollari all’anno. (...) Dal 2011 e 2012 (...) questi costi hanno cominciato a raddoppiare” per raggiungere nel 2018 “300 miliardi di danni materiali che corrispondono ai ¾ del servizio annuale del debito americano”.
- Il commercio delle infrastrutture produttive (così come la loro distribuzione) è direttamente colpito, minando e mettendo a rischio la stabilità delle economie nazionali a causa del cambiamento climatico: tra gli altri esempi, la combinazione di siccità e sfruttamento eccessivo dell’acqua in America, Europa e Cina sta interrompendo la produzione di energia nucleare e idroelettrica; disorganizzando e riducendo il traffico fluviale delle merci; questo pone “un grande rischio per la capacità agricola americana. (...) Uno stato permanente di disastro idrico, irto di conflitti e migrazioni interne, sta prendendo piede nell’Ovest americano”. La Cina è minacciata da “una nuova insicurezza alimentare indotta dalla fragilità climatica, idrica e biologica dell’agricoltura”.
Gli effetti “sempre più rapidi e intensi” dell’innalzamento del livello del mare pongono i governi di fronte a sfide colossali. La salinizzazione del suolo sta sterilizzando i terreni coltivabili (come in Bangladesh). Questi minacciano sia le megalopoli costiere (come quelle sulla costa orientale e occidentale degli Stati Uniti e molte città della Cina) sia le industrie costiere, come l’industria petrolifera intorno al Golfo del Messico e nella regione di Shenzhen, cuore della produzione elettronica cinese, dove “le autorità urbane cinesi stanno già iniziando a evacuare centinaia di migliaia di persone”.
Negli ultimi due anni, i diversi effetti della decomposizione che avevano già iniziato a colpire l’economia capitalista hanno assunto una qualità nuova, inedita nella loro interazione su una scala finora sconosciuta e che si è andata rafforzando in una sorta di “vortice” infernale in cui ogni catastrofe alimenta la virulenza delle altre: la pandemia ha sconvolto l’economia mondiale; questa, a sua volta, ha aggravato la barbarie della guerra e della crisi ambientale. La guerra e la crisi ambientale continueranno ad avere un impatto considerevole, colpendo ormai il cuore delle grandi potenze e aggravando notevolmente la crisi economica che fa da sfondo a questo sviluppo catastrofico.
II. Un modo di produzione indebolito e minato dalle sue contraddizioni
Il sistema capitalistico già indebolito nel suo complesso dalle convulsioni derivanti dalle sue contraddizioni e dalla sua decomposizione è stato ulteriormente colpito dalla guerra.
A. Indebolimento della produzione industriale
Le onde d’urto della guerra si abbattono su un’economia indebolita, con alcuni settori resi molto fragili dalla pandemia: “nel 2022 la produzione mondiale di automobili sarà ancora inferiore a quella del 2019. In Cina è aumentata del 7%, ma in Europa è ancora in calo del 25% e negli Stati Uniti dell’11%. L’industria ha perso volumi e i suoi costi stanno aumentando...”[15].
B. L’inflazione
“Le cause fondamentali dell’inflazione vanno ricercate nelle condizioni operative specifiche del modo di produzione capitalistico nella sua fase decadente. In effetti, l’osservazione empirica ci permette di constatare che l’inflazione è fondamentalmente un fenomeno di questo periodo del capitalismo e si manifesta in modo più acuto durante i periodi di guerra (1914-18, 1939-45, guerra di Corea, 1957-58 in Francia durante la guerra d’Algeria (...), cioè quelle in cui la spesa improduttiva è più elevata. È quindi logico ritenere che è a partire da questa caratteristica specifica della decadenza, la quota considerevole di armamenti e più in generale di spese improduttive nell’economia, che dobbiamo cercare di spiegare il fenomeno dell’inflazione”[16].
Scatenata dall’aumento del peso delle spese improduttive, dall’indebitamento a oltranza messo in atto dagli Stati nei loro vari piani di salvataggio di fronte alla pandemia e poi per assumere la politica di sviluppo dell’economia di guerra e del riarmo generale delle nazioni capitaliste, l’inflazione[17] non può che aumentare sempre di più a causa della necessità di ogni capitale nazionale di sostenere colossali spese improduttive, con:
- la spesa per gli armamenti a livelli abissali, mettendo l’economia più che mai al servizio della guerra e della produzione sfrenata di strumenti di distruzione senza la minima razionalità economica;
- gli effetti del ricorso alla stampa di moneta, che alimenta l’indebitamento, in risposta alle contraddizioni del suo sistema;
- il costo esorbitante delle devastazioni, generate dalla decomposizione, sulla società e l’infrastruttura produttiva: pandemie, gravi eventi climatici, ecc.;
- l’invecchiamento della popolazione in tutti i paesi (compresa la Cina), che riduce drasticamente la parte della popolazione in età lavorativa sulla popolazione totale.
Anche l’inflazione ad un livello alto e duraturo, che il capitalismo non è più in grado di controllare come finora (la borghesia ha rinunciato a un ritorno al 2%, ritenuto irrealistico), segna una tappa dell’aggravamento della crisi. La crisi avrà un impatto sempre più negativo sull’economia, destabilizzando il commercio mondiale e privando la produzione della visibilità di cui ha bisogno, diventando al contempo un vettore essenziale di instabilità monetaria e finanziaria.
C. Tensioni finanziarie e monetarie
La fragilità del sistema capitalistico è illustrata dai “crescenti rischi per la stabilità finanziaria in alcuni segmenti chiave dei mercati finanziari e del debito sovrano”. (K. Georgieva, FMI) e da nuove crepe.
- L’indebolimento e le tensioni sulle valute delle grandi potenze stanno diventando un fattore sempre più importante della situazione. Con il dollaro precipitato al livello più basso della storia e la sterlina che ha perso il 17% del suo valore, la svalutazione dello yen (- 21%) al livello più basso dal 1990, lo yuan che è sceso al livello più basso da 14 anni a questa parte rispetto al dollaro, il crollo senza precedenti dell'euro fino alla parità con il dollaro…, tanto da necessitare l’intervento delle banche centrali per sostenere le loro valute, prospettano una instabilità monetaria crescente.
- Lo scoppio della bolla delle criptovalute (con il crollo delle valutazioni in borsa del mercato dei bitcoin di 3 volte in un anno) e i clamorosi fallimenti in questo settore (come quello di FTX, il secondo operatore mondiale di criptovalute) fanno temere alla borghesia il contagio ad altri attori della finanza tradizionale. L’instabilità finanziaria in questo settore è foriera di prossimi crolli, come quello del settore immobiliare (50% in valore delle transazioni mondiali), iniziato in Cina e che minaccia di apparire altrove.
- Analogamente, “L’economia tecnologica sta vacillando, (...) Negli ultimi dieci anni circa abbiamo assistito all’emergere di una bolla finanziaria alimentata dall’abbondanza di liquidità creata dalle banche centrali. (...) Questa bolla è scoppiata dopo l’inizio della guerra russo-ucraina e l’avvento dell’inflazione. La valutazione del settore tecnologico sul mercato azionario è crollata. Amazon è diventata la prima azienda della storia a perdere 1.000 miliardi di dollari di valore in borsa. Una perdita di 200 miliardi di dollari in sei mesi per Meta. (...) Questo brutale ritorno alla realtà ha scatenato vasti piani di licenziamento, soprattutto negli Stati Uniti. È probabile che nel 2022 vengano distrutti 130.000 posti di lavoro nell’industria tecnologica”[18].
D. La continuazione della politica di indebitamento
Sebbene la massa del debito (260% del PIL mondiale) stia già indebolendo l’intero sistema[19], nonostante l’evoluzione della natura del debito sia sempre meno basata sul valore già raggiunto e sia alimentata dalla stampa di moneta e il debito sovrano degli Stati, la continuazione della politica di indebitamento resta un obbligo al quale sono soggetti tutti ii capitali nazionali, nonostante gli effetti deleteri sulla stabilità sempre più aleatoria del sistema capitalistico. Tutti gli Stati, nessuno escluso, sono sempre più impegnati ad affrontare le contraddizioni generate dal sistema capitalista. Lo dimostra la sospensione del Patto di stabilità dell’UE, che sarà ripristinato solo all’inizio del 2023 dopo essere stato significativamente modificato con un allentamento delle sue regole applicative, e senza dubbio per consentire alla BCE di svolgere il ruolo di ultima spiaggia per un prestito.
E. Il caos politico all’interno della classe dominante, un fattore che aggrava la crisi
L’irresponsabilità e la disattenzione della classe dominante, manifestatesi nella crisi sanitaria come in quella energetica, o di fronte ai fenomeni climatici, costituiscono un potente fattore di aggravamento della crisi.
A questi fattori si aggiungono il caos politico e l’influenza del populismo all’interno della classe dominante. Questi stanno avendo effetti catastrofici sull’economia del Regno Unito, la più antica borghesia del mondo. La Brexit illustra l’irrazionalità del ciascuno per se sul piano economico; “Invece della prosperità, della sovranità e dell’influenza internazionale che pretendevano di portare con la rottura con i loro vicini, i conservatori hanno raccolto solo il rallentamento delle loro esportazioni, il deprezzamento della sterlina, le peggiori previsioni di crescita dei paesi sviluppati, tranne la Russia, e isolamento diplomatico.”[20] (Le Monde 18-19/12). L’incompetenza e il clientelismo elettorale del governo di Lizz Truss, succeduto a Johnson in un fugace periodo di potere, spiegano le sue decisioni irresponsabili, condannate dal resto della classe dirigente: l’annuncio dell’abbassamento d’imposta per 45 miliardi non finanziati a beneficio dei più abbienti ha portato ad accelerare la caduta della sterlina e ad aumentare i timori di un suo crollo e di una crisi del debito!
In Italia, le promesse di rispetto delle regole europee pronunciate dalla Meloni (la prima volta che un governo di estrema destra è salito al potere in uno dei paesi fondatori dell’UE) hanno temporaneamente calmato i timori sul futuro del piano di ripresa italiano, finanziato dal Fondo europeo creato da un indebitamento comune ai paesi membri, ma non lasciano presagire alcuna stabilità futura[21].
Infine, le divisioni all’interno della classe dirigente non possono che aggravarsi a causa delle scelte e delle priorità da adottare nella difesa degli interessi di ciascun capitale nazionale in un contesto più che incerto e contraddittorio.
F. Il peggioramento di ciascuno per sé al centro dei rapporti tra le nazioni
Nel rapporto del 2020, la CCI si chiedeva se lo sviluppo del ciascuno per sé, che trova la sua origine nell’impasse della sovrapproduzione e nella crescente difficoltà del capitale a realizzare l’accumulazione ampliata di capitale proprio come negli effetti stessi della decomposizione, fosse irreversibile. Tra la crisi del 2008 (che possiamo considerare come quella della globalizzazione) e oggi, il ciascuno per sé nei rapporti tra le potenze ha visto un progressivo cambiamento qualitativo fino a trionfare completamente. Secondo il Fondo monetario internazionale, la guerra “modificherà radicalmente l’ordine economico e geopolitico globale”. Il conflitto in Ucraina chiude il periodo “intermedio” aperto dopo il 2008 e segna la fine della globalizzazione:
• Dopo il 2008, il ciascuno per sé si è manifestato innanzitutto nella tendenza della Cina, e soprattutto degli Stati Uniti, a mettere in discussione il quadro della globalizzazione; il primo sabotando strutture come l’OMC; l’altro attraverso lo sviluppo del proprio progetto alternativo delle Vie della Seta.
• Si è poi mostrato magistralmente durante l’epidemia di Covid, in particolare per l’incapacità di coordinare una politica di produzione, distribuzione e vaccinazione su scala mondiale; il comportamento gangsteristico di alcuni paesi che rubano attrezzature mediche destinate ad altri paesi, la tendenza al ripiegamento in se stessi nel quadro nazionale e il desiderio di ogni borghesia di voler salvare la propria economia a scapito degli altri come tendenza irrazionale disastrosa per tutti i paesi e per l’intera economia globale.
• L'attuale “guerra del gas” tra le nazioni è degna di quella delle mascherine[22]: il recente sabotaggio del gasdotto Nord Stream II, attribuito a un “agente statale” non ancora identificato, illustra la morale da gangster secondo la quale “sul mercato del GNL (…) tutti i copi sono legittimi”[23].
Gli Stati Uniti escono come grandi vincitori dalla guerra, anche a livello economico. Nelle condizioni storiche di decomposizione, grazie alla guerra, espressione ultima della guerra di tutti contro tutti, alla potenza militare – quale unico vero mezzo a disposizione degli Stati Uniti per difendere la propria leadership mondiale – gli Stati Uniti ottengono il temporaneo rafforzamento della propria economia nazionale a scapito del resto del mondo, al prezzo della dislocazione globale e dell’indebolimento convulso dell’intero sistema capitalista[24]. Questo rafforzamento economico degli Stati Uniti è il prodotto diretto del ciascuno per sé; non è in contraddizione con lo sprofondamento dell’intero sistema nella spirale della sua decomposizione (ne è una manifestazione e non rappresenta in alcun modo la stabilizzazione, ma testimonia al contrario l’aggravamento di questo sprofondamento) poiché il suo corollario e condizione è lo sviluppo fenomenale del caos e dell’indebolimento del sistema capitalista nel suo complesso. “Il sostegno incrollabile di Washington all’Ucraina ha reso gli Stati Uniti il grande vincitore nella sequenza a livello mondiale, senza che un solo GI abbia avuto bisogno di mettere piede sul suolo ucraino. Vantaggi geostrategici, militari e politici innegabili. (...) In un contesto di protezionismo disinibito e nazionalismo economico, l’America di Biden può ora dedicarsi interamente alla guerra tecnologica contro il suo unico grande rivale, la Cina. L’Europa, che era riuscita a giocare solidale durante il Covid, ne esce indebolita, divisa, con un tandem franco-tedesco a brandelli.”[25]. In questa discesa agli inferi del capitalismo mondiale, la guerra cambia la situazione per tutti i capitali e sconvolge tutte le relazioni economiche mondiali:
• La guerra del gas e del petrolio. In una svolta senza precedenti, Washington emerge come il grande vincitore. Mentre 10 anni fa gli Stati Uniti non esportavano GNL, ora ne sono il principale esportatore mondiale. La guerra ha rimescolato tutte le carte del mercato mondiale. “Gli Stati Uniti beneficiano di una quasi indipendenza energetica, che permette loro di proiettarsi con calma in un mondo in cui gli idrocarburi sono diventati armi geopolitiche. L’America non ha bisogno di importare gas, è il primo produttore mondiale davanti alla Russia. Per quanto riguarda il petrolio, Washington è anche il primo produttore mondiale e ha recentemente ridotto la sua dipendenza dal greggio estero[26].” (Le Point Géopolitique, Le guerre energetiche, p.7). Prodotto di una vasta politica verso l’autosufficienza intrapresa a lungo termine dall’amministrazione Obama come parte del suo desiderio di contrastare l’ascesa del suo sfidante cinese, la guerra in Ucraina non ha solo permesso agli Stati Uniti di trarne grande vantaggio per rilanciare la propria industria[27], ma è stato anche il mezzo per affermarsi come attore chiave. Sul piano strategico energetico gli Stati Uniti pongono i loro rivali sulla difensiva e in uno stato di inferiorità:
L’Europa è quasi ridotta a passare dalla dipendenza dal gas russo a quella dal GNL americano. Per sfuggire a questo strangolamento mortale, gli europei stanno cercando freneticamente di diversificare i propri fornitori.
La Cina, in gran parte dipendente dalle importazioni di idrocarburi, è svantaggiata e indebolita di fronte agli Stati Uniti, ora in grado di controllare – tagliare – le rotte terrestri e marittime per le forniture cinesi.
• Il rafforzamento dell’industria militare. Con una quota del 40% sul mercato degli armamenti, “l’innegabile successo strategico della macchina da guerra americana” dà impulso all’industria militare americana: “L’arsenale della democrazia, come lo chiamava il presidente FD Roosevelt, funziona a pieno regime (...) Di conseguenza, l’industria militare americana si trova ad affrontare notevoli vincoli di produzione[28]”.
• Il dollaro forte e il rialzo dei tassi La straordinaria mole del piano Biden da 1.700 miliardi di dollari per sostenere l’economia americana rilanciando domanda e consumi, seguito dall’avvio dello smantellamento del sistema di allentamento monetario e dal graduale aumento dei tassi da parte de la FED (decisa all’inizio del 2022) ha colto di sorpresa tutti i suoi rivali. Approfittando sia del ruolo centrale del dollaro (nelle riserve delle banche centrali del mondo, della sua preponderanza nell’economia e nel commercio mondiale), del dollaro forte, delle dimensioni della sua economia e del suo rango di prima potenza economica a livello mondiale, questa politica ha l’effetto di:
1. attrarre e incanalare capitali e investimenti (in cerca di rifugio) verso l’economia americana,
2. avere il resto del mondo che finanzia il sostegno alla propria economia,
3. trasferire gli effetti più deleteri dell’inflazione ad altri paesi più deboli[29]. Gli Stati Uniti stanno rafforzando la stabilità e il potere della propria economia a scapito dei suoi concorrenti più diretti.
Chiaramente, gli Stati Uniti non esitano a correre il rischio di innescare la recessione, rallentare il commercio internazionale e provocare crisi finanziarie negli Stati più deboli purché la loro economia ne tragga vantaggio e ne sia a lungo termine beneficiaria, in nome della necessità di salvare la propria economia e il loro posto di prima potenza mondiale.
• Il rafforzamento del protezionismo. Con la legge governativa di riduzione dell'inflazione da 370 miliardi di dollari per gli investimenti pubblici nell’industria statunitense, unita a forti misure protezionistiche che privilegiano i prodotti fabbricati negli Stati Uniti rispetto a quelli importati, l’UE ha subito un “secondo shock di competitività” (dopo quello del gas).
Più in generale, tutte le misure adottate negli Stati Uniti a livello economico, monetario, finanziario e industriale agiscono attrattivi per gli investimenti e come una calamita per le delocalizzazioni sul territorio americano. L’Eldorado dei bassi prezzi dell’energia e dei sussidi dirotta capitali e grandi aziende straniere verso gli Stati Uniti, a scapito soprattutto dell’Europa. Più di sessanta aziende tedesche (Lufthansa, Siemens, ecc.) stanno pensando di investire negli Stati Uniti. VW ha annunciato di voler aumentare la produzione di veicoli elettrici negli Stati Uniti e prevede 7 miliardi di investimenti nei suoi siti americani. La BMW sta investendo 1,7 miliardi nella sua fabbrica nella Carolina del Nord e sta cercando di produrre le batterie lì invece che come parte di progetti europei. La Francia stima le sue potenziali perdite in “10 miliardi di euro di investimenti” e “10.000 potenziali posti di lavoro” persi.
A questa “virata” degli Stati Uniti “dalla parte sbagliata” del protezionismo (secondo l’UE)[30] si risponde con la minaccia di un “Buy European Act”; e “Francia e Germania hanno formalizzato una proposta di controffensiva [...] e hanno chiesto a Bruxelles di allentare le norme che regolano i sussidi pubblici alle imprese, nonché i sussidi mirati e i crediti d'imposta per i settori strategici”[31].
• Agricoltura: “La guerra in Ucraina ha sconvolto tutti gli equilibri agricoli. Africa e Maghreb sono state le prime vittime. Ma è stato colpito anche il Vecchio continente. Nell’ultimo decennio, l’Europa è nelle mani dell’Ucraina per l’approvvigionamento di mais[32]. (...) Anche se gran parte delle forniture hanno potuto lasciare l’Ucraina, i conti non tornano per gli acquirenti europei che hanno dovuto bussare alla porta di altri fornitori. Gli Stati Uniti hanno una capacità di produzione di mais molto grande. (...) Questa forza non solo ha permesso loro di servire il proprio mercato interno, ma anche di prendere il posto della Russia e dell’Ucraina per esportare ampiamente verso altri paesi. E in particolare verso l’Europa”[33].
• Gli Stati Uniti all’offensiva economica contro la Cina. Da una posizione di forza, gli Stati Uniti aumentano la pressione sulla Cina e attaccano i suoi interessi economici in tutto il mondo attraverso varie iniziative e, approfittando dell’indebolimento e delle divisioni tra gli europei, cercano con vari mezzi di costringerli a seguirli nella loro offensiva[34]: Una “prima”: La riunione del G7 del giugno 2022 ha denunciato “interventi non trasparenti e che perturbano il mercato da parte della Cina” e ha chiesto “approcci collettivi, anche al di fuori del G7, per affrontare le sfide poste da politiche e pratiche non di mercato che falsano l’economia globale”, utilizzando l’argomento democratico di “eliminare tutte le forme di lavoro forzato dalle catene di approvvigionamento globali, compreso il lavoro forzato sponsorizzato dallo Stato, come nello Xinjiang”.
Per garantirsi il decisivo vantaggio tecnologico sulla Cina, gli Stati Uniti stanno organizzando la ricollocazione[35] sul proprio territorio della produzione di semiconduttori di ultima generazione nonché il controllo internazionale sull’intero settore dal quale intendono escludere la Cina, minacciando al tempo stesso con sanzioni qualsiasi rivale che intrattenga rapporti commerciali con quest’ultimo suscettibili di violare tale “monopolio”.
Il vasto programma di investimenti da 600 miliardi di dollari da qui al 2027 per questi paesi in via di sviluppo della Global Partnership for Infrastructures mira a contrastare, soprattutto nell’Africa sub-sahariana ma anche in America Centrale e in Asia, gli enormi progetti finanziati dalla Cina nell’ambito delle Vie della Seta.
La creazione del Pacific Economic Partnership[36] che dovrebbe “scrivere le nuove regole per l’economia del 21° secolo” (Biden) e “costruire catene di approvvigionamento forti e stabili” sotto il controllo di Washington è stata immediatamente denunciata dalla Cina come la “formazione di cricche destinate a tenerla a bada”.
L’UE è in preda al “ciascuno per sé”?
Profondamente divisa, marcata dal cavaliere solitario della Germania che ha varato unilateralmente un piano da 200 miliardi a sostegno della sua economia (qualificato come “dito medio al resto d’Europa”) e dalla contesa tra Francia e Germania per la leadership, l’Unione è attraversata da tensioni importanti. “Alcuni paesi, come la Germania, hanno i mezzi per sovvenzionare massicciamente la loro industria. Altri, come l’Italia, molto meno. La Grecia, la Spagna ma anche la Francia sono preoccupate per questo e chiedono misure di solidarietà europea per correggere queste differenze. ‘L’IRA americano [Inflation Reduction Act] è di 2 punti di PIL, dobbiamo fare uno sforzo analogo’ ha precisato E. Macron. Al contrario, Germania, Paesi Bassi e Svezia restano contrari ad un nuovo strumento finanziario europeo”[37]. Le due potenze europee non sono sulla stessa lunghezza d'onda nei confronti della Cina: “I convenevoli diplomatici non bastano più a nascondere il divario che separa Washington - che considera Pechino il suo principale rivale - e il governo tedesco, i cui interessi lo spingono a mantenere buoni rapporti commerciali con la Cina. (...) Senza essere allineata con gli Stati Uniti, la Francia è più vicina a Washington che a Berlino. La Cina è solo il quinto partner commerciale della Francia (...) Quando Macron ha incontrato Xi a margine del vertice del G20, la sua posizione era più vicina a quella di Biden che a quello di Scholz”[38]. Così al viaggio di Scholz in Cina ha fatto seguito il viaggio di Macron negli Stati Uniti.
Se queste tensioni dovessero aggravarsi, come conseguenza degli interessi nazionali contrastanti fomentati dal rivale americano, fino a minacciare la disgregazione dell’UE, ciò aggraverebbe ulteriormente la crisi e destabilizzerebbe l’intero sistema capitalista.
La reazione della Cina. La guerra in Ucraina mostra come il distacco delle economie statunitense e cinese, avviato dagli Stati Uniti, renda la Cina vulnerabile:
• Le sanzioni contro la Russia sono un monito alla Cina riguardo alle “gigantesche conseguenze per l’economia cinese delle potenziali sanzioni occidentali contro la Cina[39]” Riguardo alle sue enormi riserve di valuta estera in dollari “La guerra in Ucraina ha lanciato il segnale di allarme. (...) Gli esperti cinesi sottolineano che la dipendenza dal dollaro è ancora più inquietante che nel caso della Russia. La Cina non è pronta ad affrontare eventuali sanzioni occidentali” e “vuole rafforzare drasticamente la sicurezza dei suoi beni all’estero per non ripetere gli errori della Russia, (...) modificare la struttura degli investimenti all’estero e ridurre il più rapidamente possibile la dipendenza dal dollaro statunitense[40]” per uscire dalla contraddizione di non avere “quasi altra soluzione per valorizzare i dollari ricevuti dal surplus commerciale se non quella di prestarli col tempo agli Stati Uniti”[41].
• Gli sforzi dello Stato per rendere lo yuan una valuta internazionale in concorrenza con il dollaro sono vani, anche in un contesto in cui molti paesi potrebbero cercare riparo dalle sanzioni occidentali. Lo yuan ristagna al 2,88% delle riserve valutarie (di cui il 30% detenuto dalla Russia) (rispetto a 59,5 per il dollaro e 19,76 per l’euro); e dal 2015 al 5° posto nei pagamenti mondiali con una quota del 2,44% contro il 42% del dollaro. La BPC (Banca Popolare Cinese) deve lottare contro il deprezzamento dello yuan rispetto al dollaro.
• “Come risultato delle misure adottate negli ultimi anni dagli Stati Uniti” che limitano l’esportazione di alte tecnologie (utilizzate dalla produzione avanzata nel settore automobilistico, aeronautico, conquista dello spazio, ricerca scientifica, informatica, trasporti, medicina, ecc.), “attualmente la Cina non è più in corsa (...) I produttori cinesi di semiconduttori non hanno la tecnologia per recuperare il ritardo. (...) Tanto che alcuni esperti dubitano che la Cina sarà in grado di recuperare nel breve e medio termine in questo campo, che è responsabile di gran parte della futura crescita economica” (Asyalist)
• La Cina è impegnata in una lotta competitiva all’ultimo sangue per il controllo di alcune filiere strategiche (come terre rare e metalli); o per garantirsi l’approvvigionamento di idrocarburi, approfittando dell’indebolimento della Russia a firmare contratti con le Repubbliche dell’Asia Centrale e del ciascuno per sé per avvicinarsi all’Arabia Saudita.
• Gli interessi economici vitali della Cina sono in gioco nelle tensioni con Taiwan, che, come Singapore, funge da piattaforma essenziale per l’industria manifatturiera cinese ed è indispensabile per il suo attuale modello economico.
Quali conseguenze?
L’esclusione da parte degli Stati Uniti della Russia dal commercio internazionale, l’offensiva contro la Cina, la dichiarata volontà di riconfigurare le relazioni economiche mondiali a proprio vantaggio, segnano un punto di svolta nella visione del libero scambio che ha guidato la politica americana per quasi trent’anni. Ciò si tradurrà in una maggiore frammentazione del mercato mondiale a causa della proliferazione di accordi regionali come quello tra Stati Uniti, Canada e Messico siglato nel 2020[42].
Tali accordi tra firmatari che presumibilmente condividono “interessi più comuni”, così come gli scambi tra Stati e imprese che favoriscono partner “della stessa sensibilità, a non commerciare più con chiunque”, non lasciano presagire alcuna stabilità o la formazione di relazioni economiche esclusive secondo l’egida di grandi sponsor. Anzi. Poiché tendono ad abbracciare le molteplici linee di faglia delle tensioni tra le potenze, non faranno altro che portare ad una maggiore frammentazione del mercato mondiale su scala globale e al rafforzamento del ciascuno per sé, della guerra commerciale, del ripiegamento nazionale e della ricerca della difesa della sovranità nazionale a tutti i livelli. Ciò non farà altro che acuire, come fattore di sopravvivenza, il desiderio di controllare catene produttive strategiche essenziali per la sopravvivenza nazionale e di porsi in una posizione di forza rispetto ad altre potenze ricattabili o, al contrario, sottrarsene[43].
Ormai non solo è progressivamente scomparsa (senza che sia percepibile alcun ritorno) la capacità di cooperazione delle principali nazioni capitaliste per ritardare e attenuare l’impatto della crisi economica sull’intero sistema capitalista e su se stesse, ma si delinea sempre più chiaramente una politica, guidata in particolare dalla prima delle grandi potenze, gli Stati Uniti, di salvaguardia del proprio posto sulla scena mondiale a diretto discapito delle altre potenze dello stesso tipo (e del resto del mondo) mondo) attaccando i loro interessi e provocandone deliberatamente l’indebolimento.
Questa situazione rompe apertamente con buona parte delle regole che gli Stati avevano adottato a partire dalla crisi del 1929 e apre un periodo di terra di nessuno, dove il caos assumerà, anche all’interno e tra i paesi centrali, una dimensione nuova e sconosciuta, con ripercussioni, ancora difficilmente “immaginabili”, che colpiranno il cuore del sistema capitalista in una spirale di crisi sempre maggiore.
III. Prospettive
A. Peggioramento della crisi: l’unico futuro sotto il capitalismo
La crisi irreversibile del capitalismo fa da sfondo ad un’accelerazione del caos e della barbarie. Più nello specifico, si tratta di 50 anni di crisi economica, accelerata a partire dal 2018, che oggi si manifesta apertamente con un’inflazione galoppante con i suoi postumi di povertà, fame e impoverimento generalizzato.
• “La crisi del capitalismo tocca le fondamenta stesse di questa società. Inflazione, precarietà, disoccupazione, ritmi infernali e condizioni di lavoro che distruggono la salute dei lavoratori, alloggi inaccessibili... sono la prova di un inesorabile deterioramento della vita della classe operaia e, sebbene la borghesia stia cercando di creare ogni possibile divisione, concedendo condizioni “privilegiate” a determinate categorie di lavoratori, ciò a cui stiamo assistendo nel complesso è, da un lato, quella che probabilmente sarà la PEGGIORE CRISI della storia del capitalismo, e, d’altra parte, la realtà concreta della PAUPERIZZAZIONE ASSOLUTA della classe operaia nei paesi centrali. Il che conferma totalmente la correttezza di questa previsione che Marx fece sulla prospettiva storica del capitalismo e che gli economisti e gli altri ideologi della borghesia hanno tanto deriso”[44].
A differenza degli anni ꞌ30, oggi ci sono più fattori che aggravano la crisi. La pandemia e la guerra in Ucraina segnano una nuova qualità nella situazione. La concatenazione dei fattori di decomposizione è alla base di una spirale di degrado e peggioramento della situazione economica globale. “Questa crisi si presenta come una crisi più lunga e più profonda di quella del 1929. Innanzitutto perché l’irruzione degli effetti della decomposizione sull’economia tende a creare caos nel funzionamento della produzione, provocando costanti colli di bottiglia che strangolano o bloccano l’economia, in una situazione di sviluppo della disoccupazione che si combina, in maniera paradossale, con delle situazioni di penuria di mano d’opera. Essa si esprime soprattutto con lo scatenamento dell’inflazione che i diversi piani di salvataggio, frettolosamente messi in campo dagli Stati di fronte alla pandemia e alla guerra, non hanno fatto che alimentare per la fuga in avanti dell’indebitamento. L’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali per cercare di frenare l’inflazione rischia di provocare una recessione molto violenta capace di strangolare allo stesso tempo gli Stati e le imprese. Quello che è ormai in marcia è un vero tsunami di miseria, un impoverimento brutale del proletariato anche nei paesi centrali”[45]. Lo spettro della “stagflazione” aleggio sul mondo. Se negli anni ꞌ70 era solo un concetto degli economisti borghesi caratterizzare uno stato di alta inflazione con la stagnazione economica, oggi questo pericolo sta diventando evidente e l’attuale inflazione incontrollata e il rallentamento dell’economia porteranno a una catena di fallimenti, anche di interi Paesi (Pakistan, Sri Lanka, ecc.), nonché a turbolenze finanziarie e a difficoltà ancora maggiori nei paesi emergenti.
“Si prevede che la crescita nelle economie avanzate decelererà bruscamente, dal 5,1% nel 2021 al 2,6% nel 2022 (1,2 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni di gennaio). La crescita dovrebbe moderarsi ulteriormente per raggiungere il 2,2% nel 2023, riflettendo in gran parte il ritiro delle politiche di sostegno e fiscali fornite durante la pandemia”[46]. La borghesia non ha altra alternativa che continuare ad aumentare i tassi di interesse, come ha fatto la FED lo scorso novembre, tutti gli Stati sono coinvolti in questa dinamica e ciò causerà contrazioni sui mercati, chiusure di aziende con massicci licenziamenti come si può vedere nelle aziende tecnologiche in Stati Uniti (GAFAM). La delocalizzazione delle imprese della Cina verso l’America (Nearshoring) peggiorerà la situazione della disoccupazione in alcune regioni del mondo.
A differenza degli anni ꞌ30, gli attuali livelli di debito non hanno precedenti. La Cina, la seconda potenza mondiale, ha un debito pari a 2,5 volte il suo PIL! Allo stesso tempo, è diventata un sostenitore finanziario, per sostenere la sua Via della Seta e garantire la sua influenza in Africa e America Latina. Gli Stati Uniti, il cui debito totale supera ormai i 31trilioni (milioni di milioni), hanno stampato 5 miliardi di dollari mentre l’UE, con 750 milioni di euro, ha stampato il 20% in più degli Stati Uniti. Le prospettive per gli anni a venire saranno piene di convulsioni e difficoltà per il capitalismo.
B. La Cina come fattore destabilizzante e aggravante della crisi
i.- L’economia cinese ha subito un forte rallentamento a causa dei ripetuti blocchi, poi lo tsunami di contagi che ha causato il caos nel sistema sanitario, la bolla immobiliare e il blocco di numerose strade della “via della seta” a causa dei conflitti armati (Ucraina) o del caos ambientale (Etiopia). La crescita nella prima metà di quest’anno è stata del 2,5%, rendendo irraggiungibile l’obiettivo del 5% fissato per quest’anno. Per la prima volta in 30 anni, la crescita economica della Cina sarà inferiore a quella di altri paesi asiatici (Vietnam). Grandi aziende tecnologiche e commerciali come Alibaba, Tencent, JD.com e iQiyi hanno licenziato il 10-30% della loro forza lavoro. I giovani sono particolarmente sensibili al deterioramento della situazione, con un tasso di disoccupazione stimato al 20% tra gli studenti universitari in cerca di lavoro. Anche i progetti di espansione della “Nuova Via della Seta” sono in difficoltà a causa dell’aggravarsi della crisi economica: quasi il 60% del debito verso la Cina è ormai dovuto a paesi in difficoltà finanziarie, rispetto al 5% nel 2010. Inoltre, la pressione economica da parte degli Stati Uniti si stanno intensificando, in particolare con l’Inflation Reduction Act e la CHIPS and Science Act negli Stati Uniti, che colpiscono direttamente le esportazioni tecnologiche di diverse società tecnologiche cinesi (ad esempio Huawei) verso gli Stati Uniti.
Ancora più penoso per la borghesia cinese, i problemi economici, uniti alla crisi sanitaria, hanno dato origine a grandi movimenti di protesta sociale.
ii. - Il fallimento del modello neostalinista della borghesia cinese. Di fronte alle difficoltà economiche e sanitarie, la politica di Xi Jinping è stata quella di ritornare alle ricette classiche dello stalinismo:
- Sul piano economico, a partire da Deng Xiao Ping, la borghesia cinese ha creato un meccanismo fragile e complesso per mantenere un partito unico onnipotente che convive con una borghesia privata direttamente stimolata dallo Stato. “Entro la fine del 2021, l’era delle riforme e delle aperture di Deng Xiaoping sarà chiaramente finita, sostituita da una nuova ortodossia economica statalista”[47] La fazione dominante dietro Xi Jinping sta riorientando l’economia cinese verso un controllo statale assoluto in stile stalinista;
- Sul fronte sociale, con la politica “Zero Covid”, Xi non solo ha assicurato uno spietato controllo statale sulla popolazione, ma ha anche imposto questo controllo alle autorità regionali e locali, che si erano rivelate inaffidabili e inefficaci all’inizio della pandemia. In autunno ha inviato a Shanghai unità della polizia statale centrale per richiamare all’ordine le autorità locali che liberalizzavano le misure di controllo.
“Un capitale nazionale sviluppato, proprietà ‘privata’ di diversi settori della borghesia, trova nella ‘democrazia’ parlamentare il suo apparato politico più appropriato; al controllo statale quasi completo dei mezzi di produzione corrisponde il potere totalitario di un partito unico”[48].
Il crollo della politica “Covid zero” ha avuto come ripercussione la rielezione per un terzo mandato di colui che l’ha imposta, Xi Jinping, a costo di complessi compromessi tra le fazioni del PCC. La borghesia cinese dimostra così più che mai la sua congenita incapacità di superare la rigidità politica del suo apparato statale, pesante eredità del maoismo stalinista.
iii. - Una crisi che si estende inesorabilmente. La seconda potenza mondiale è coinvolta nella stessa dinamica delle sue pari. Questa catastrofe deve ancora arrivare.
• Il ruolo della Cina nella crisi finanziaria del 2008 è stato quello di contenere e non di fermare gli investimenti, in particolare concentrandosi sul mercato interno e sulle infrastrutture (treni ad alta velocità), ovviamente, il tutto sulla base di una montagna di debiti. Tuttavia, durante la crisi finanziaria del 2008, è rimasta uno dei “settori sani dell’economia”. Oggi non possiamo dire lo stesso. La Cina ha visto il fallimento di Evergrande seguito da quello di Shintao (seconda impresa di costruzioni dopo Evergrande). La sola Evergande aveva un debito di 350 miliardi di dollari che non riesce a ripagare. Dietro questo debito ci sono investitori internazionali, tra cui Black Rock, che reclamano i loro soldi. Le banche regionali sono fallite al punto da innescare un “corralito”[49] cinese. Sono 320 i progetti immobiliari fermi e sono 100 milioni le case vuote. Il debito delle famiglie è triplicato, arrivando a 7.000 miliardi di dollari, a cui va aggiunto il debito delle imprese. La siccità ha ridotto moltissimo la produzione di energia idroelettrica al punto da costringere al razionamento e alla chiusura parziale delle fabbriche, come TESLA che, per ironia della sorte, produce auto elettriche! Qual è stata la risposta della borghesia cinese alla crisi? Tassi di interesse più bassi, massicce assunzioni nello Stato, fondi statali per le infrastrutture e gli immobili, niente di nuovo! e conosciamo già la “efficacia” di queste misure... Possiamo solo aspettarci una serie di shock economici nel prossimo futuro in questa regione del mondo.
• La guerra commerciale con gli Stati Uniti e l’intenzione di non dipendere più dalla Cina hanno portato i paesi sviluppati, e gli Stati Uniti in prima linea, a diversificare le loro catene di approvvigionamento e a cercare nuovi paesi maquiladoras[50]. Così, paesi come il Messico, ma soprattutto il Vietnam, che ha già superato la Cina in termini di crescita economica percentuale, appaiono come le nuove “maquiladoras” del capitalismo. Quest’anno, gli ordini statunitensi ai produttori cinesi sono diminuiti del 40% (CNBC).
In conclusione, sembra oggi che se il capitalismo di Stato cinese ha saputo sfruttare le opportunità offerte dal cambio di blocco, dall’implosione del blocco sovietico e dalla globalizzazione dell’economia auspicata dagli Stati Uniti e dalle principali potenze del blocco occidentale, la sua debolezza congenita nella sua struttura statale di tipo stalinista, costituisce oggi un grave handicap di fronte ai problemi economici, sanitari e sociali. La situazione fa presagire instabilità e possibili sconvolgimenti anche per la posizione di Xi e dei suoi sostenitori all’interno del PCC. Una destabilizzazione del capitalismo cinese avrebbe conseguenze imprevedibili sul capitalismo globale.
C. La continuazione del militarismo e dell’economia di guerra
L’anno 2021 ha visto un’esplosione accelerata delle spese militari. Gli Stati Uniti hanno aumentato la propria spesa del 38% (880 milioni di dollari), la Cina del 14% (243 milioni di dollari) e la Russia del 3% (65 milioni di dollari). La superiorità militare americana si riflette nel suo bilancio. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nello stesso anno “il mondo ha speso 2.000 miliardi di dollari” in campo militare.
Tutta la regione dell’Indo-Pacifico ha visto aumentare le sue spese militari per paura di cadere vittima dell’imperialismo cinese: il Giappone ha raddoppiato il suo budget militare e ha firmato un accordo di “trasferimento della difesa” con il Vietnam, la Thailandia sta investendo 125 milioni di dollari in 50 navi da guerra per proteggere i propri mari, l’Indonesia sta aumentando del 200% i propri investimenti militari nel Mar Cinese e le Filippine hanno appena ricevuto ulteriori 64 milioni di dollari dagli Stati Uniti per rafforzare le proprie basi militari al fine di contenere le minacce cinesi. Ma questa regione non è l’unica a essere coinvolta in questa dinamica, nessuno ne è risparmiato.
Il mondo si sta dirigendo verso un’esplosione delle spese militari mai vista prima nella storia. Tutte queste spese improduttive verranno caricate sulle spalle dei lavoratori.
Non solo l’implementazione dell’energia pulita e rinnovabile è impossibile sotto il capitalismo, ma la guerra energetica continuerà a segnare il futuro di questo sistema. Il controllo delle fonti energetiche, in particolare del gas e soprattutto del petrolio, resterà una questione di “sicurezza nazionale” per ogni capitale. Il funzionamento delle imprese dipende da questo e, a livello imperialista, l’esercito si nutre di petrolio. Gli Stati Uniti hanno attualmente il controllo di queste risorse e il fatto che ora siano i principali fornitori dell’Europa diventa fonte di ricatto e futura pressione sui paesi dell’UE. Il viaggio di Xi in Arabia Saudita e il recente accordo energetico con la Russia lo confermano.
È necessario sottolineare l’accelerazione storica dell’influenza della guerra sull’economia, manifestatasi in modo tragico con la guerra in Ucraina. Facendo un paragone storico con la guerra del Vietnam, se allora il peso militare gravava sull’economia, oggi l’impatto del militarismo sull’economia è ancora maggiore.
D. L’impossibile transizione energetica
Il capitalismo è l’unico sistema della storia in grado di devastare la natura su larga scala, eliminare interi ecosistemi e accelerare l’estinzione delle specie, alterando così l’intero ordine naturale. Questo fenomeno è cumulativo e accelera, portando a una rapida devastazione del pianeta. L’attuale “transizione all’energia pulita” è solo l’espressione della lotta tra i capitalisti e la loro concorrenza all’ultimo sangue. Si tratta di vedere chi riesce ad entrare per primo nel mercato e togliere clienti all’avversario. Tutti i discorsi sulle loro “preoccupazioni” per l’ambiente sono demagogia. L’aggravarsi della “crisi ecologica” sta accelerando e provocando devastazioni inaccettabili. Gli Stati Uniti, di cui l’ex presidente Trump ha negato l’esistenza del “cambiamento climatico”, si confrontano con gli effetti di questa crisi ecologica e la prima potenza mondiale è lungi dall’essere risparmiata dai “disastri naturali” e detiene il sinistro record mondiale di distruzione della biodiversità. In effetti, il capitalismo non può essere allo stesso tempo un sistema competitivo ed essere “ecologico”, perché:
• Il suo obiettivo è il profitto, non la preservazione della natura, che sarà sempre considerata dal capitalismo come una fonte di risorse gratuite la cui distruzione e le implicazioni che ne derivano non lo riguardano;
• Il ciascuno per sé e l’anarchia della produzione significano che la borghesia non ha alcun controllo sulle “nuove tecnologie”, essa è un apprendista stregone!
• I progressi tecnologici sono unilaterali e non tengono conto del quadro globale. Se l’estrazione del litio per le batterie delle automobili è inquinante e la sua riciclabilità è ridotta al 5%, ciò non ha alcuna importanza per il capitalismo. L’importante è vendere auto “verdi”;
• La separazione tra uomo e natura diventa estrema sotto il capitalismo, al punto da considerare l’uomo come “esterno” al suo ambiente naturale.
D’altra parte, il ritorno al carbone, anche se le aziende pagassero una tassa aggiuntiva per coprire i danni causati all’ambiente – che è solo una cortina di fumo – non elimina l’enorme fallimento del capitalismo nell’eliminare le emissioni di carbonio. Se gli europei avevano deciso di abbandonare l’energia nucleare, ora cercano di reintrodurla per compensare la loro dipendenza da Russia e Stati Uniti. È un nuovo esempio dei fallimenti del capitalismo che ci spinge a far rivivere vecchie glorie, anche se inquinanti. Ogni paese agisce solo nel proprio interesse e gli altri ne soffrono!
Una transizione verso “l’energia verde” sotto il capitalismo equivale all’illusione di un capitalismo senza guerre.
E. Verso l’impoverimento assoluto della classe operaia nei paesi centrali
La spesa improduttiva di capitale non cesserà, il militarismo e il mantenimento dello Stato devasteranno la classe operaia. Questo fenomeno di pauperizzazione della classe operaia nei paesi centrali ha una sua storia, ma dopo la pandemia e la guerra in Ucraina ha subito un’accelerazione. L’inflazione riduce considerevolmente il potere d’acquisto dei lavoratori e, a differenza degli anni ꞌ70, oggi la borghesia non ricorre all’indicizzazione dei salari. E così, la borghesia nel Regno Unito adotta una linea dura nei confronti delle richieste di aumenti salariali per compensare l’inflazione; il primo ministro britannico ha dichiarato: “nessuna trattativa è possibile”.
• “Riscaldarsi o mangiare”, questo slogan degli scioperi britannici rivela la gravità della situazione. Per molte famiglie lavoratrici pagare l’energia è più costoso che pagare il mutuo: salari sempre più miserabili, aumento del costo della vita, aumento costante dei prezzi, licenziamenti massicci, tagli alla previdenza sociale, pensioni attaccate, ecc. Tutto ciò fa presagire un futuro di miseria al quale il proletariato dovrà rispondere seguendo i suoi fratelli e sorelle di classe come in Gran Bretagna, in Europa e persino negli Stati Uniti. Si apre e si accelera una prospettiva di impoverimento del proletariato.
• La carenza di manodopera è sia un prodotto che un fattore della crisi del capitalismo. La logistica capitalista della circolazione delle merci è nel caos, non ci sono abbastanza autisti e i prodotti marciscono o scarseggiano. Nel settore sanitario ci sono troppi posti vacanti e nel settore dell’istruzione gli insegnanti lasciano rapidamente il lavoro. In Cina, ad esempio, 1 giovane su 5 non riesce a trovare un lavoro “promettente” e preferisce non accettare nulla. “Lasciatelo marcire” è un’espressione cinese comune per indicare i giovani che non accettano di lavorare. Dietro questa situazione si nasconde ovviamente un percorso individuale e disperato, una reazione “privata” al degrado delle condizioni di lavoro. Le nuove generazioni non vogliono vivere al ritmo della produzione capitalistica. Questo fenomeno è allo stesso tempo espressione di una mancanza di identità di classe, non si organizzano per lottare e prendono solo una posizione personale di fronte ad un problema eminentemente sociale, economico e politico. La riduzione delle indennità lavorative, l’assenza di pensioni in molti paesi, l’aumento delle malattie mentali e dei suicidi, tutto ciò crea condizioni di vita e di lavoro insopportabili.
Sono la crisi e la sua prospettiva di recessione mondiale che creano le condizioni affinché i lavoratori inizino a portare avanti le loro lotte sul proprio terreno. “La crisi economica, a differenza della decomposizione sociale che riguarda essenzialmente le sovrastrutture, è un fenomeno che colpisce direttamente le infrastrutture della società su cui poggiano le sovrastrutture; la crisi mette quindi a nudo le cause profonde di tutta la barbarie che grava sulla società, consentendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente il sistema e di non pretendere più di migliorarne alcuni aspetti” (Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo, Rivista Internazionale n.14, novembre 1990)
Gennaio 2023
[1] Rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso della CCI, Rivista internazionale n.36
[2] Le Monde, del 17/12
[3] La fame è aumentata di circa il 18% durante la pandemia e oggi colpisce da 720 a 811 milioni di persone. La riduzione degli aiuti alimentari, il loro riorientamento verso l’accoglienza dei soli rifugiati ucraini o la ridistribuzione della loro somma a favore dell’aumento delle spese militari hanno fatto sì che, per l’Afghanistan, dove la carestia minaccia 23 milioni di abitanti, e per la Somalia, dove una parte della popolazione corre “un pericolo imminente di morte” non è stato possibile raccogliere i fondi necessari.
[4] In Europa, la notevole riduzione della produzione di fertilizzanti (che consuma molto gas naturale) a causa degli alti prezzi dell’energia sta portando ad una riduzione del consumo di fertilizzanti ovunque nel mondo, dal Brasile agli Stati Uniti, che mette a rischio il volume dei prossimi raccolti. Ad esempio: “Il Brasile, il principale produttore mondiale di soia, acquista quasi la metà dei suoi fertilizzanti fosfatici dalla Russia e dalla Bielorussia. Ha solo tre mesi di scorte. L’associazione brasiliana dei produttori di soia (Aprosoja) ha chiesto ai suoi membri di utilizzare meno fertilizzanti quest’anno, o addirittura niente. Il raccolto di soia del Brasile, già ridotto a causa di una grave siccità, sarà probabilmente ancora più scarso. Il Brasile vende la sua soia principalmente alla Cina, che ne utilizza gran parte per l’alimentazione animale. La soia meno abbondante e più costosa, potrebbe costringere gli allevatori cinesi a ridurre le razioni date ai loro animali, con il risultato che mucche, maiali e polli saranno più piccoli e la carne più costosa”.
[5] Tutte le citazioni del brano sono tratte da Courrier International
[6] “La scarsità di entrate pubbliche, dovuta all’embargo occidentale sull’acquisto di oro, carbone e metalli, ha fatto sì che alcuni reggimenti ricevessero la paga solo occasionalmente. Questo ha portato al rifiuto di combattere e persino alla resa” (Les Échos 17/09/2022)
[7] “Molte fabbriche del complesso militare-industriale hanno dovuto ridurre la produzione o addirittura chiudere, come quella dei missili antiaerei di Ulyanovsk, dei missili aria-aria di Vympel o dei carri armati di Uralvagonzavod, principale sito produttivo del paese” (Les Échos 17/09/2022).
[8] “In effetti, anche se Pechino rifiuta di rinnegare pubblicamente il suo principale partner strategico, le autorità cinesi hanno ampiamente rispettato le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia. Le aziende cinesi hanno seguito le aziende occidentali nel loro esodo dal mercato russo: i giganti della tecnologia cinese — Lenovo, TikTok e Huawei — hanno bloccato tutte le loro operazioni in Russia, mentre i produttori cinesi di moduli artici per il megaprogetto russo sul gas Arctic-LNG2 hanno deciso di porre fine alla loro cooperazione con Novatek. Infine, nonostante le rassicurazioni della propaganda ufficiale del Cremlino, UnionPay, uno dei principali circuiti di pagamento controllati dallo Stato, ha messo in stand-by i suoi piani di collaborazione con le banche russe alla fine di aprile, tagliando le loro speranze di trovare un'alternativa ai giganti americani dei circuiti di pagamento Visa e Mastercard. Questo complesso passo a due dovrebbe, agli occhi di Pechino, proteggere gli interessi cinesi e minimizzare l'impatto della guerra sull'economia cinese...” (Chine: 2022, l’année de tous les périls?, Diplomatie)
[9] Diplomatie 118, p33; “Se aggiungiamo [alle spese puramente militari] gli aiuti umanitari, economici di emergenza e l’assistenza ai rifugiati, l’UE e gli Stati membri hanno fornito più aiuti degli Stati Uniti, secondo l’Istituto di Kiel, per 52 miliardi di dollari contro i 48 miliardi di Washington” (Les Échos, 3-4/02)
[10] IFRI, Le Point Géopolitique, Les guerres de l’énergie, p.6
[11] L’esempio del Sudafrica mostra la natura generale del problema: agli effetti della siccità e della scarsità d’acqua che il paese sperimenta quest’autunno si aggiunge una crisi energetica di portata senza precedenti, dovuta all’obsolescenza e ai guasti delle vecchie centrali elettriche a carbone con conseguenti interruzioni incessanti di elettricità che impediscono il pompaggio dell’acqua sui monti Drakensberg e il suo trasporto a Johannesburg e Pretoria, mentre il 40% scompare nelle perdite della rete. Ma per riparare tutte le infrastrutture servirebbero 3,4 miliardi di euro, di cui l’Autorità Idrica non dispone.
[12] Ad esempio, nel settore chimico (maggior consumatore di gas) la produzione è drasticamente ridotta; Il 70% del settore registra perdite; per BASF, interi settori della sua attività non sono più redditizi o competitivi, il che comporta un calo dei risultati del 30%. Tutta l’Europa (che assorbe il 60% delle esportazioni di questo settore) ne è colpita!
[13] Conflicts n.42
[14] Le inondazioni hanno quasi completamente distrutto i raccolti di questo quinto produttore di cotone del mondo. Si tratta di una perdita colossale per l’industria tessile che rappresenta il 10% del PIL; l’agricoltura nel Sindh è stata distrutta, il bestiame decimato; il resto lasciato alle epizoozie “la sicurezza alimentare dei 220 milioni di abitanti è in pericolo” (Le Monde, 14/09) A cui si aggiungono i flagelli della malaria, della dengue, del colera e del tifo. Quarto produttore e fornitore di riso della Cina e dell’Africa sub-sahariana, “qualsiasi calo delle esportazioni non farà altro che aumentare l’insicurezza alimentare globale incrementata dal calo delle esportazioni di grano dall’Ucraina” (Le Monde, 14/09).
[15] Les Échos, 23-24/12
[16] Révolution Internationale, vecchia serie n. 6
[17] L’inflazione non deve essere confusa con un altro fenomeno della vita del capitalismo, ovvero la tendenza all’aumento del prezzo di alcuni beni a causa dell’insufficiente offerta. Questo fenomeno ha assunto di recente una particolare portata a causa della guerra in Ucraina, che ha colpito la fornitura di un volume significativo di diversi prodotti agricoli, la cui carenza è già un fattore di aggravamento della miseria e della fame nel mondo. L’inflazione è una caratteristica permanente del periodo di decadenza del capitalismo che incide pesantemente sull’economia. Come la mancanza di offerta, si riflette nell’aumento dei prezzi, ma è la conseguenza del peso delle spese improduttive nella società, il cui costo si ripercuote sul costo dei beni prodotti. Infine, un altro fattore di inflazione è la conseguenza della svalutazione delle valute derivante dal ricorso alla stampa di moneta per accompagnare l’aumento incontrollato del debito globale, che attualmente si avvicina al 260% del PIL mondiale.
[18] Marianne n.1341
[19] “...numerosi default di pagamento si profilano all’orizzonte. Il FMI stima che 2/3 dei paesi a basso reddito e un quarto dei paesi emergenti si trovano ad affrontare gravi difficoltà legate ai loro debiti”. (Le Monde, 24/09)
[20] La Brexit ha portato ad uno stallo dell’economia britannica: “Il Regno Unito è l’unico paese avanzato le cui esportazioni sono diminuite lo scorso anno e rimangono al di sotto del livello pre-covid (…) gli investimenti delle imprese sono rimasti inferiori del 10% rispetto a metà 2016” (Les Échos 24/09). “Con la Brexit è andato perduto il passaporto finanziario europeo che permetteva di vendere i prodotti in tutta l’UE. Circa diecimila banchieri hanno lasciato la piazza finanziaria londinese per stabilirsi a Dublino, Francoforte, Parigi Lussemburgo o Amsterdam. (…) un altro fenomeno: dalla fine del 2019 il numero di posti di lavoro nel settore finanziario britannico è diminuito di 76.000 unità (su un totale attuale di 1,06 milioni). La Brexit ha giocato un ruolo significativo nel declino della City in relazione con le decine di migliaia di posti di lavoro delocalizzati, ma soprattutto indirettamente, perché le grandi istituzioni finanziarie internazionali hanno scelto di investire altrove.” (Le Monde 19/11)
[21] “Questo allineamento con la Commissione europea e la sua dottrina del rigore non sarà senza problemi per una parte significativa dell’elettorato della Meloni” (Le Monde Diplomatique, 22/12)
[22] “Fin dai primi anni 80, sotto Reagan, gli Stati Uniti hanno sognato di tagliare l’Europa dal gas russo. Hanno esercitato enormi pressioni. Hanno esercitato enormi pressioni affinché il gasdotto Nord Stream 1 non vedesse mai la luce, e lo hanno fatto di nuovo anni dopo con il Nord Stream 2, arrivando a minacciare sanzioni contro le aziende che avevano preso parte al progetto. Per loro la guerra in Ucraina è una manna dal cielo.
[23] “Una storia ha fatto notizia la scorsa primavera: una nave cisterna di GNL è partita da Freeport, in Texas, il 21 marzo, diretta in Asia. Ma dopo dieci giorni di viaggio, ha cambiato bruscamente rotta, nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico, per deviare verso l’Europa (...) gli alti premi offerti nel Vecchio Continente per questo prezioso carico di GNL hanno convinto la BP, la società che aveva noleggiato la nave, a cambiare i suoi piani.” (Le Point Géopolitique, Les guerres de l’énergie, p.36). “All'inizio di novembre, una trentina di gasiere cariche di GNL per un valore di 2 miliardi di dollari si aggiravano nelle acque al largo delle coste spagnole e dei terminali del Nord Europa. Quando scaricheranno? ‘I broker che controllano le petroliere aspettano che i prezzi salgano quando la temperatura scende durante l’ “inverno’, dice il FT (4/11/2022)". (Le Monde Diplomatique, 22 dicembre).
[24] L’impatto della crisi sull’economia statunitense, la relativa erosione del suo peso nel mondo, gli effetti della decomposizione del suo apparato politico e la tendenza storica a perdere la propria leadership non devono portare a sottovalutare la realtà del potere degli Stati Uniti e la loro capacità di difenderlo a tutti i livelli: “Gli Stati Uniti sfruttano un sistema panottico unico che gli permette di controllare la maggior parte dei centri nevralgici della globalizzazione. 'Globale' rimane l’aggettivo che meglio definisce il suo potere e la sua strategia. Si basa su un sistema di sorveglianza e sul controllo simultaneo di ‘spazi comuni’: mare, aria, spazio e digitale. I primi tre corrispondono ad ambienti fisici distinti innervati dal quarto. Grazie al dollaro e alla legge, garantiti dalla loro schiacciante superiorità militare, gli Stati Uniti conservano un formidabile potere di strutturazione, e quindi di destrutturazione.”, T. Gomart, “Guerre invisibili”, 2021, p. 251.
[25] L’Express, n. 3725
[26] “Dal 2020, le sue esportazioni hanno superato le importazioni e il suo principale fornitore è un paese con il quale dovrebbe mantenere buoni rapporti negli anni a venire, poiché è il Canada (il 51% del petrolio importato proviene dal suo vicino settentrionale). Una garanzia energetica che gli permette di portare avanti una diplomazia offensiva in Ucraina.” (Le Point Géopolitique, Le guerre energetiche, p.7)
[27] “Nella prima metà del 2022, le esportazioni di GNL (per l’insieme dei paesi) sono aumentate del 20% e quasi due terzi sono andate verso l’Europa. L’America ha un potenziale considerevole. In primo luogo perché esiste un consenso politico per andare oltre nel gas di scisto. Poi perché hanno la rete di gasdotti più estesa di tutti i paesi. Infine perché investono enormemente nei terminali di liquefazione. (…) In tutto il Golfo del Messico, a sud della Louisiana, dal Texas alla Florida, si sta scrivendo una rivoluzione del GNL L’America conta attualmente solo 8 terminali di liquefazione, ma 5 sono in costruzione, altri 12 già approvati sono in attesa di autorizzazione e 8 permessi sono in fase di elaborazione.” (L’Express, n. 3725).
[28] “La maggior parte dei Paesi europei ha effettuato commesse. In primis la Germania, che ha annunciato di voler acquistare fino a 35 caccia F35 da Lockheed Martin. La Royal Navy investirà 300 milioni di euro per aumentare le capacità dei suoi missili Tomahawk. I Paesi Bassi hanno messo sul piatto un miliardo di euro per i sistemi di difesa missilistica a medio raggio Patriot. Quest’estate l’Estonia ha ordinato sei sistemi Himars e un missile balistico in grado di raggiungere un obiettivo a quasi 300 km di distanza. Quanto alla Bulgaria, a settembre ha deciso di aumentare ulteriormente la commessa di caccia F16 per un totale di 1,3 miliardi di dollari”. L’Express, n. 3725.
[29] “I capitali stanno abbandonando i mercati emergenti, indebolendo le loro valute. (La moneta ghanese -41%, il dollaro taiwanese -13%, il tugrik mongolo -16%) (...) Undici paesi emergenti rischiano una crisi della bilancia dei pagamenti a causa della stretta monetaria internazionale (Cile, Pakistan, Ungheria, Kenya, Tunisia)”. (Le Monde, 13/10).
[30] Altro ostacolo al commercio internazionale, i dazi doganali sono stati aumentati da molti paesi, compresi gli Stati Uniti. Dal 2010, secondo l’OMC, il valore del commercio mondiale soggetto a tariffe e altre barriere è aumentato da 126 miliardi di dollari a 1,5 trilioni di dollari.
[31] Di fronte alla “fine dell’era liberale della globalizzazione” (Lemaire), anche i datori di lavoro francesi hanno cambiato dottrina… e si battono per un “protezionismo intelligente”. (Les Échos, 23-24/12
[32] Quasi un quarto delle spighe consumate nel continente viene coltivato al di fuori dei confini dell'UE, in particolare in Ucraina, che negli anni è diventata il nostro principale fornitore. Poiché i combattimenti hanno interrotto la semina, quest'anno la produzione del Paese potrebbe essere ridotta di 10-15 milioni di tonnellate.
[33] L’Express, n.3725
[34] “Per Washington, l’Europa non può considerare la Cina come un partner, un concorrente e un rivale allo stesso tempo”. (Bloomberg, 21/11)
[35] “Joe Biden ha firmato lo scorso agosto il Chips and Science Act che prevede di iniettare miliardi di dollari in questo settore, di cui 57 miliardi in prestiti, sussidi e altre misure fiscali con l’obiettivo di incoraggiare i produttori americani di semiconduttori a rafforzare le loro capacità”. (Asyalist)
[36] Gli Stati membri di questo patto sono: Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam. Insieme agli Stati Uniti rappresentano il 40% del PIL mondiale.
[37] Le Monde, 17/12
[38] Bloomberg, 21/11
[39] “Secondo uno studio condotto dal Consiglio di Stato cinese lo scorso aprile, il cui testo è stato divulgato al Giappone, queste sanzioni avrebbero un ‘effetto drammatico sulla Cina’, che ‘tornerebbe a un’economia pianificata tagliata fuori dal mondo. Ci sarebbe poi un serio rischio di crisi alimentare’, a causa dei danni che queste sanzioni provocherebbero con l’interruzione delle importazioni di prodotti alimentari essenziali. L’interruzione delle importazioni di soia, in particolare, creerebbe una crisi per le catene alimentari cinesi che dipendono fortemente dalla soia, mentre la riduzione o l’interruzione delle esportazioni avrebbe gravi conseguenze in termini di entrate finanziarie, si legge nel documento di Pechino. La Cina importa il 30% del suo fabbisogno di soia dagli Stati Uniti. Il documento afferma che la produzione cinese di soia copre meno del 20% del fabbisogno del Paese. La soia è essenziale per la produzione di oli commestibili e per l’alimentazione dei suini, che rappresentano il 60% della carne consumata dai cinesi”.
[40] Conflits, n. 41, settembre-ottobre 2022
[41] T. Gomart, “Guerres invisibles”, 2021, p. 242
[42] Lo dimostrano i recenti commenti del Segretario al Tesoro Janet Yellen: “Nel corso del 2022, l’amministrazione Biden ha promosso un piano economico per rafforzare la resistenza degli Stati Uniti alle interruzioni delle forniture, alleggerendo le strozzature nei porti, investendo massicciamente nelle infrastrutture fisiche e costruendo capacità produttive nazionali in settori chiave del 21° secolo come i semiconduttori e le energie rinnovabili. (...) Attraverso un approccio di 'friend-sharing' (“condivisione amichevole"), l’amministrazione Biden intende mantenere l’efficienza del commercio promuovendo al contempo la resilienza economica degli Stati Uniti e dei suoi partner. (...) L’obiettivo dell’approccio ‘friend-sharing’ è quello di approfondire la nostra integrazione economica con un gran numero di partner commerciali fidati sui quali possiamo fare affidamento. (...) Attraverso il Consiglio commerciale e tecnologico UE-USA, stiamo collaborando per creare catene di approvvigionamento sicure nei settori dell’energia solare, dei semiconduttori e dei magneti di terre rare. Gli Stati Uniti stanno creando partenariati simili attraverso l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) e in America Latina attraverso l’Economic Prosperity Partnership of the Americas. I paesi coinvolti nell’IPEF, che rappresentano il 40% del PIL mondiale, si sono impegnati a coordinare i loro sforzi per diversificare le catene di approvvigionamento. (...) Lo 'friend-sharing' sarà attuato progressivamente. Si stanno già sviluppando nuove catene di approvvigionamento. L’UE sta collaborando con Intel per facilitare un investimento di circa 90 miliardi di dollari nella creazione di un’industria di semiconduttori. Gli Stati Uniti stanno lavorando con i loro partner di fiducia per sviluppare un ecosistema completo di semiconduttori negli Stati Uniti. Stiamo inoltre collaborando con l’Australia per costruire impianti di estrazione e lavorazione delle terre rare in entrambi i nostri paesi”. (Le Monde, 1-2/01/2023)
[43] “La guerra commerciale è uno dei teatri in cui si gioca la rivalità strategica sino-americana, con una conseguenza importante per tutti gli attori: la trasformazione delle interdipendenze in leve di potere (...). Abbandonando il sistema multilaterale che avevano costruito da soli, [gli Stati Uniti] hanno deliberatamente destabilizzato i loro alleati tradizionali, indicando al contempo la volontà di continuare a esercitare il loro potere strutturante. Anche se manterrà le forme del multilateralismo, l’amministrazione Biden le userà per contenere il più possibile l’ascesa al potere della Cina”, T. Gomart, “Invisible Wars”, 2021, p. 112.
[44] Terzo manifesto della CCI: Il capitalismo porta alla distruzione dell’umanità... Solo la rivoluzione proletaria mondiale può porvi fine
[45] Gli anni 20 del 21° secolo: L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità
[46] Banca mondiale, giugno 2022
[47]Foreign Affairs, in Courrier International 1674
[48] Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est, Rivista Internazionale n.13, 1990
[49] Nome non ufficiale dato alle misure economiche adottate in Argentina durante la crisi economica del 2001, che limitavano i prelievi di contante e vietavano tutte le rimesse verso l'esterno, per porre fine alla corsa alla liquidità e combattere la fuga di capitali.
[50] Paesi in cui le fabbriche beneficiano di esenzioni dai dazi doganali per poter produrre beni a costi inferiori.