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Pubblichiamo qui di seguito estratti di una lettera che abbiamo ricevuto da una compagna a seguito del nostro intervento e dei nostri incontri pubblici sul movimento contro la "riforma" delle pensioni in Francia. Accogliamo con grande favore questa iniziativa che esprime un'esigenza vitale per la classe operaia, quella di discutere e approfondire francamente e fraternamente le lezioni delle esperienze del proletariato. Questa lettera esprime visibilmente sentimenti contrastanti nei confronti di questa lunga e combattiva lotta. Vogliamo esprimere il nostro punto di vista proprio sui sentimenti espressi e sulla loro natura nel tentativo di spingere più in profondità le riflessioni dei nostri lettori circa l’approccio ed il significato da dare alla lotta della classe operaia.
Estratti dalla lettera di L.
(...) Sono rimasta entusiasmata dalla buona accoglienza che abbiamo ricevuto nell'ambito della lotta contro la riforma delle pensioni.
Ho constatato io stessa che le persone erano contente di lottare, di ritrovarsi in strada, di stare insieme.
Ammetto di essere stata delusa all'ultima manifestazione nel vedere che il movimento non andava oltre, che si stava sfilacciando, che c'erano sempre meno persone in piazza; sono stata delusa nel vedere che il movimento non ha avuto la forza di chiedere assemblee generali aperte a tutti come nel 2006, durante le lotte contro il CPE (Contratto di primo impiego).
Ciò di cui forse non tengo abbastanza conto è la natura della coscienza della classe operaia: una coscienza concreta, che si esprime in azioni. (...)
Se tuttavia gli assembramenti non hanno portato ad appelli alle AG (Assemblee generali) aperte a tutti, come nel 2006, ciò non significa che dovremmo arrenderci. Inoltre, a questo proposito, vediamo come i vari sindacati e altri "rappresentanti" degli studenti abbiano recuperato questo movimento per far credere in seguito, che l’avevano iniziato loro. (...)
Aspetto che ci siano di nuovo migliaia di persone per strada, contente di essere là, di ritrovarsi a combattere sul loro terreno. So che la borghesia sta affilando le armi contro le minoranze rivoluzionarie, so che dobbiamo tenere presente come funziona la coscienza di classe; la riforma delle pensioni può essere approvata mediante l'applicazione dell'articolo 49.3 e ciò significherebbe un indebolimento per l'attuale governo, ma non porterebbe a un rafforzamento della classe operaia.
Il prossimo passo che la classe operaia può compiere è quello di prendere l'iniziativa per organizzare la sua lotta, in opposizione alle direttive sindacali.
Fraternamente, L., 26 febbraio 2020
La nostra risposta
È naturale che qualsiasi proletario sinceramente legato alla lotta della nostra classe provi un certo entusiasmo quando la classe operaia rialza la testa con dignità per portare avanti la sua lotta, come è avvenuto recentemente nelle manifestazioni contro la "riforma" delle pensioni e come espresso dalla lettera della nostra lettrice. E ciò perché è da un decennio che non vedevamo espressioni di spirito combattivo e solidarietà come queste. Questo sentimento legittimo è stato ampiamente condiviso all'interno dei cortei dall'insieme dei manifestanti.
Tuttavia, quando un movimento è in fase di riflusso, la situazione diventa più difficile da capire. Esiste quindi il rischio di arrendersi lungo la strada e di perdere lo spirito combattivo o, al contrario, in reazione, di voler combattere a tutti i costi con il pericolo di ritrovarsi imbarcati in percorsi senza uscita, in avventure minoritarie e oltranziste. Questi due simmetrici vicoli ciechi portano effettivamente all'isolamento e alla stessa sensazione di frustrazione.
È questo che ha mostrato la recente lotta, così come molti altri movimenti precedenti: mentre i manifestanti diminuivano di settimana in settimana, i sindacati cercavano di spingere quelli ancora in lotta ad "azioni" completamente sterili (blocco, affissione di manifesti negli uffici dei deputati, ecc.). Il prolungamento della lotta in alcuni settori isolati non è stato un vantaggio ma ha rappresentato piuttosto, nonostante il coraggio e la volontà esemplare di combattere, un pericolo che rischiava di sfiancare e disgustare i lavoratori più coinvolti, coloro che hanno la sensazione di avere "pagato il costo più elevato", come i lavoratori delle ferrovie o della RATP (trasporto pubblico).
Il fatto di "tenere" a tutti i costi si è quindi rivelato essere solo un vicolo cieco di fronte alla necessità diripiegare trovando i mezzi per perseguire la lotta in modo diverso e in modo più appropriato. Il ricorso ai "comitati di lotta", ad esempio, come strumenti per riunire i lavoratori più combattivi è una delle soluzioni adatte, come sperimentata dal proletariato negli anni '80. Tali organi permettono di approfondire ed allargare la riflessione e trarre le lezioni essenziali dalla sconfitta per preparare al meglio le condizioni politiche e pratiche per le inevitabili future lotte, inevitabili visto gli attacchi che il capitalismo in crisi continuerà a fare piovere.
Tutto ciò richiede un approccio, una preoccupazione in grado di inscriversi in un percorso a lungo termine. Questa lettera evidenzia, al contrario, una tendenza (che non è specifica della compagna) a partire dai fatti immediati, a comprendere la realtà secondo una visione fenomenologica, fotografica e frammentata, giustapponendo la situazione del 2006 a quella di oggi, senza vedere la realtà di un processo e quella dei cambiamenti che sono avvenuti da allora. La lotta di classe e la coscienza non si esprimono in modo puramente cumulativo o secondo uno schema prestabilito e riproducibile tal quale nella situazione attuale, come ad esempio quello della lotta contro il CPE del 2006. Dobbiamo sempre tenere conto delle dinamiche del movimento reale della lotta di classe, vedere che questa dinamica emana innanzitutto da un processo storico che va oltre non solo gli individui in lotta e le loro stesse aspirazioni, ma anche le generazioni proletarie, come ha sottolineato Karl Marx e molti altri rivoluzionari.
Se la coscienza del proletariato è effettivamente "concreta" e se essa si esprime "nelle azioni", ciò non significa affatto che la coscienza sia un semplice prodotto o un semplice riflesso meccanico delle lotte passate o delle azioni immediate della classe operaia. Aspettarsi le stesse caratteristiche e la stessa continuità delle lotte contro il CPE del 2006, senza tener conto delle condizioni della fase di decomposizione del capitalismo e delle evoluzioni legate ai cambiamenti avvenuti nella società, è un errore.
Ovviamente, tenere conto delle leggi della storia è un esercizio difficile e complesso che richiede molta energia e rigore, anche alle organizzazioni rivoluzionarie più sperimentate. In realtà, la questione che si pone qui è proprio capire che, se esiste un processo cosciente del proletariato, questo si esprime soprattutto in modo sotterraneo e non lineare[1]. La maturazione sotterranea dipende da tutta una serie di fattori materiali, da un processo vivente che mescola esperienza concreta, vita politica e memoria storica. Pertanto, la profondità e l'azione del proletariato nella lotta immediata non possono essere l'unico criterio per valutare le dinamiche o comprendere un movimento di classe. Senza un solido quadro teorico, è impossibile cogliere correttamente la realtà di un rapporto di forza tra le classi.
Effettivamente, uno dei punti deboli del movimento contro la riforma delle pensioni è stata l'incapacità del proletariato ad assumere il controllo della sua lotta, come ad esempio durante la lotta contro il CPE attraverso Assemblee Generali sovrane, ed a confrontarsi seriamente con i sindacati estendendo il movimento, come in alcune lotte degli anni '80.
Tuttavia, la lotta dell'inverno 2019-2020 è stata in grado di esprimere una forza e un potenziale significativi. In effetti il sentimento di solidarietà, la necessità, seppur embrionale ma molto reale, di unità di fronte agli attacchi, di trovarsi "tutti insieme", tutto ciò esprime una forza nuova e essenziale per una classe sociale che avverte e rifiuta più nettamente la realtà dello sfruttamento capitalista. Questa ripresa della combattività operaia pone come minimo le prime condizioni affinché gli sfruttati inizino a sentirsi progressivamente appartenenti alla stessa classe, al fine di orientare e impegnare più profondamente la riflessione verso il futuro. In altre parole, la chiusura delle manifestazioni e il montare di un forte spirito combattivo, in un contesto di riflessione, sono state una leva formidabile per ritrovare un'identità di classe, anche se la strada è ancora lunga, incerta e tortuosa. Ciò, dopo decenni di propaganda sulla cosiddetta "scomparsa della classe operaia" e mentre pesa ancora su quest'ultima l'incapacità di riconoscersi come una forza sociale unita, con gli stessi interessi storici, mentre pesa persino la vergogna di se stessa e l'oblio del proprio passato, delle proprie esperienze di lotta. Certo, siamo solo all'inizio di questo processo che resta ancora fragile. Ma i semi sparsi germineranno se le condizioni lo consentiranno: la continuazione degli attacchi massicci legati alla crisi del sistema capitalista rimane uno stimolo per alimentare la riflessione e rafforzare la coscienza di classe all'interno del proletariato.
Coloro che combattono per la rivoluzione proletaria pongono le loro "speranze" nel futuro, su scala storica, non su un particolare movimento di lotta. Quindi, al di là dell'entusiasmo o della delusione nei confronti di questa o quella lotta, è la profonda comprensione del movimento che dobbiamo raggiungere, vedere che la caratteristica della lotta del proletariato, come classe sfruttata, è quella di avanzare passando di sconfitta in sconfitta. E’ basandosi su un tale approccio storico e sulla fiducia nel futuro che Rosa Luxemburg ha potuto scrivere, nel pieno della repressione della "Comune di Berlino" nel gennaio 1919: "le masse sono state all'altezza della situazione. Esse hanno fatto di questa "sconfitta" un anello di quella catena di sconfitte storiche, che sono l'orgoglio e la forza del socialismo internazionale. E perciò da questa “sconfitta” sboccerà la futura vittoria”[2]. In effetti, nella decadenza del capitalismo, il proletariato non può più ottenere riforme durature ed è chiaro che le sue lotte si limitano ora a difendersi da attacchi sempre più brutali e generalizzati. In questo contesto, l'unica "vittoria", l'unico "guadagno" possibile è quello dell'esperienza della lotta stessa attraverso la "sconfitta". Nei fatti, solo la rivoluzione mondiale alla fine può essere considerata una "vittoria". Finché dura il capitalismo, lo sfruttamento può solo generare sempre più sofferenza e miseria. Rifiutarsi di subire attacchi è già, in un certo senso, una prima "vittoria" che viene paradossalmente da questa "sconfitta". Bisogna essere in grado di vedere cosa significa questa per il futuro, essere in grado di vedere il potenziale di una lotta che è tanto più difficile da realizzare perché ogni espressione di lotta è una grande sfida di fronte agli ostacoli che la borghesia pone, di fronte a quelli legati al peso di ideologie estranee al proletariato e ai fenomeni legati alla fase di decomposizione. Il proletariato, in effetti, "non si sta arrendendo" e comincia ad intraprendere la strada di un futuro potenzialmente promettente.
Alla fine della sua lettera, la compagna cerca di mettere in prospettiva i passi in avanti che la classe operaia dovrà o sarà costretta a compiere. Ma sembra esprimerlo in modo un po’ come speranza , come ideale. Bisogna invece notare che “la base scientifica del socialismo infatti si appoggia notoriamente su tre risultati dello sviluppo capitalistico: innanzitutto sulla crescente anarchia dell'economia capitalista che porta inevitabilmente alla sua scomparsa; in secondo luogo, sulla progressiva socializzazione del processo produttivo che crea le condizioni positive del futuro ordine sociale; e in terzo luogo, sulla crescente organizzazione e coscienza di classe del proletariato che costituisce il fattore attivo del rivolgimento immanente”[3]. In assenza di una riflessione più ancorata a un approccio storico, si rischia di "aspettare" ancora per trovarsi inevitabilmente di fronte a nuove delusioni e, infine, allo scoraggiamento.
Naturalmente, con questa lettera, la compagna dimostra che sta cercando di lottare, di comprendere e di spingere oltre la sua riflessione. Non possiamo che incoraggiare lei e tutti i nostri lettori a continuare a proseguire in questa direzione.
RI, 3 marzo 2020
[1] Leggi, per esempio, Seule la lutte massive et unie peut faire reculer le gouvernement! Révolution Internationale n°480 (gennaio-febbraio 2020
[2] Rosa Luxemburg, L'ordine regna a Berlino (1919)
[3] Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione? (1898)