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“Inoltre, si è rimproverato ai comunisti ch'essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno.” (Il Manifesto del Partito Comunista, 1848).
Il capitalismo, il sistema di sfruttamento che domina l'intero pianeta, non può mantenersi solo con la forza e la violenza. Non può fare a meno del potere dell'ideologia - la produzione infinita di idee che mistificano il rapporto con la realtà – facendo credere agli sfruttati che essi avrebbero tutto l'interesse a sostenere quelli che li sfruttano. Sono esattamente cento anni che centinaia di migliaia di lavoratori in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia … hanno pagato con la propria vita l’aver creduto a questa grande menzogna della classe dominante: cioè che i lavoratori devono “combattere per il loro paese”, che significa semplicemente combattere e morire per gli interessi della classe dominante.
I massacri orribili della prima guerra mondiale hanno dimostrato una volta per tutte che il nazionalismo è il nemico ideologico mortale della classe operaia.
Oggi, dopo decenni di attacchi contro le condizioni di vita, lo smantellamento di interi settori dell'industria e l'esodo di massa di intere popolazioni, dopo decenni di crisi economica e di programmi di austerità, e anche dopo tutta una serie di sconfitte, la classe operaia è sottoposta alla subdola arma del veleno nazionalista attraverso le campagne populiste di Trump negli Stati Uniti, di le Pen in Francia, dei “pro-Brexit” in Gran Bretagna e di vari altri politici in molti altri paesi. Queste campagne si basano chiaramente su una collera e un disorientamento reali all'interno della classe operaia, su una frustrazione crescente a causa della mancanza di occupazione, di alloggi, di assistenza e su un sentimento molto diffuso di impotenza di fronte alla globalizzazione e al potere impersonale del capitale. Queste campagne mirano soprattutto a impedire ai lavoratori di cominciare a riflettere in modo critico sulle vere origini di tutti questi problemi. Al contrario, la funzione del populismo è quella di contrastare ogni tentativo di comprendere un sistema sociale complesso e apparentemente misterioso che governa le nostre vite, di proporre una soluzione molto più semplice: trovare qualcuno su cui riversare la colpa di tutto.
E’ colpa delle “caste”, gridano: avidi banchieri, politici corrotti, burocrati che gestiscono l'Unione europea nell’ombra e che ci soffocano con i regolamenti e le pratiche burocratiche. Tutti questi personaggi fanno certamente parte della classe dominante e giocano il loro ruolo nell’aumento dello sfruttamento e nella distruzione dei posti di lavoro. Ma l'idea secondo la quale "è colpa delle caste" non proviene dalla coscienza di classe, ma ne rappresenta invece un completo sovvertimento. Si può dimostrare l'inganno ponendosi la domanda: chi sono quelli che si battono contro le caste? Basta vedere Donald Trump, i leader della campagna per il Brexit o i media che li sostengono, per constatare che questa specie di anti-elitismo è opera di un’altra parte della stessa casta. Negli anni ‘930, i nazisti si sono serviti di una truffa simile, prendendo come capro espiatorio una presunta "élite internazionale di finanzieri ebrei", su cui essi rigettarono ogni responsabilità per gli effetti devastanti della crisi economica mondiale, allo scopo di attirare i lavoratori dietro una parte della classe dirigente che pretendeva difendere i "veri interessi dell'economia nazionale”. Josef Goebbels, il ministro della propaganda nazista, una volta ha detto che “più una menzogna è grossa, più è probabile che sia creduta”. E quando dei politici della taglia del miliardario Trump pretendono di difendere “il piccolo popolo” contro la casta, si tratta di una bugia degna della propaganda dello stesso Goebbels.
Ma questa nuova campagna nazionalista non è destinata solo ad una frazione di ricchi, ma si rivolge soprattutto agli strati più oppressi della stessa classe operaia, le vittime più immediate della crisi economica capitalistica, della barbarie imperialista e della distruzione dell'ambiente. Essa mira a colpire, in particolare, la massa di migranti economici e di rifugiati, spinti verso i paesi capitalisti centrali alla ricerca di un rifugio dalla povertà e dai massacri. Un’altra soluzione “semplice” viene proposta dai populisti: se si potesse impedire loro di venire, se si potessero “mettere fuori”, i lavoratori “autoctoni” avrebbero maggiori possibilità di trovare lavoro e alloggio. Ma questo apparente buon senso comune nasconde il fatto che la disoccupazione e la mancanza di alloggi sono il prodotto del funzionamento del sistema capitalistico mondiale, delle “forze del mercato”, che non possono essere bloccati da muri o da guardie di frontiera. In realtà, i migranti e i rifugiati sono le vittime del capitalismo allo stesso titolo dei proletari delle vecchie regioni industriali ridotti alla disoccupazione per la chiusura di fabbriche o per le delocalizzazioni che trasferiscono la produzione dall’altra parte del mondo in cui la mano d’opera è meno cara.
Di fronte a un sistema di sfruttamento che è per natura planetario, gli sfruttati non possono difendersi che unendosi al di là e contro tutte le divisioni nazionali, creando una forza internazionale contro il potere internazionale del capitale. La tattica del divide et impera, usato da tutti i partiti e da tutte le fazioni capitaliste, spinta all'estremo dai populisti, va direttamente contro questo bisogno. Quando una parte della classe operaia si lascia convincere ad addossare la responsabilità dei suoi problemi su altri lavoratori, quando arriva a pensare che i suoi interessi possano essere difesi da partiti che esigono delle misure forti contro l'immigrazione, questa ha perduto ogni possibilità di difendersi e, così facendo, indebolisce la capacità di resistenza della classe operaia nel suo complesso.
Le false alternative al populismo
Dietro la retorica populista anti-immigrati esiste una reale minaccia di violenza e di pogrom. In paesi come la Grecia o l’Ungheria, l’odio assoluto per gli “stranieri”, il montare dell’islamofobia e dell’antisemitismo hanno prodotto dei raggruppamenti apertamente fascisti pronti a terrorizzare, fino ad assassinare, migranti e rifugiati: Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, ecc., la lista non finisce qui. A partire dalla vittoria del Brexit in Gran Bretagna, abbiamo assistito ad una recrudescenza di attacchi, di minacce e di insulti razzisti e xenofobi, per esempio contro i Polacchi e altri immigrati dell’UE, così come contro dei negri e degli asiatici. Le correnti più apertamente razziste sentono che è giunto il momento per insistere con la loro propaganda nauseante.
Ma l’esempio della Gran Bretagna mostra che c’è anche una falsa alternativa al populismo che resta prigioniera dell’ideologia capitalista. La situazione politica caotica creata dalla vittoria del Brexit, la minaccia crescente contro i lavoratori immigrati, ha portato molte persone ben intenzionate a votare per “restare” e a partecipare, dopo il referendum, a delle manifestazioni importanti a favore dell’UE. Abbiamo anche visto degli anarchici presi dal panico di fronte alle espressioni aperte di razzismo incoraggiate dalla campagna per il Brexit, dimenticare la loro opposizione alle elezioni capitaliste per andare alla fine a votare contro il Brexit.
Votare o manifestare a favore dell’UE è un altro modo per rimanere vincolati alla classe dominante. L’UE non è un’opera caritatevole, ma un’alleanza capitalista che impone l’austerità senza sconti alla classe operaia, come si può vedere chiaramente attraverso i requisiti imposti ai lavoratori greci (come contropartita dei fondi dati dall’UE all’economia greca in fallimento). L’UE non è certo un gentile protettore di migranti e rifugiati. Essa è a favore della libera circolazione della mano d’opera quando ciò le fa comodo, ma è ugualmente in grado di costruire muri con filo spinato quando i rifugiati ed i migranti sono troppo numerosi per le sue esigenze, negoziando accordi sordidi per respingere questi rifugiati di cui non può servirsi verso le terre da cui questi cercano di scappare - come ha fatto con il recente accordo con la Turchia.
La torre di Babele nazionalista e la menzogna della democrazia borghese
La divisione tra pro e anti-UE va oltre la tradizionale divisione politica borghese tra destra e sinistra. La campagna per restare nell’UE è stata condotta da una frazione del partito conservatore e ufficialmente sostenuta da una maggioranza dei Laburisti e dal SNP[1] di Scozia. La sinistra era ugualmente divisa tra pro e anti-UE. Corbyn[2] era per “rimanere”, ma il suo punto di vista ideologico ha le sue origini nella corrente dei Laburisti tradizionali partigiani di una “Gran Bretagna socialista”, vale a dire un’isola di capitalismo di Stato autarchico. E’ ovvio che abbia sostenuto la campagna contro il Brexit senza entusiasmo. I suoi sostenitori nel Socialist Workers’ Party[3] e gruppi simili hanno sostenuto l’“uscita a sinistra”, un’espressione grottesca del campo Brexit. Questa torre di Babele di nazionalismi, che siano per o contro l’UE, crea una nebbia ideologica in modo che emergano solo gli interessi della Gran Bretagna e quelli del sistema esistente.
E tutti i gruppi ed i partiti capitalisti rendono questa nebbia ancora più fitta diffondendo le loro menzogne sulla “democrazia”, sull’idea che le elezioni capitaliste possano veramente esprimere “la volontà del popolo”. Un elemento chiave nella campagna per il Brexit era l’idea di “riprendere il controllo del nostro paese” dalle mani dei burocrati stranieri - un paese che per la stragrande maggioranza non è mai stato “loro”, perché appartiene ed è controllato da una piccola minoranza che utilizza le istituzioni democratiche per garantire il suo dominio. Infine, a prescindere dal vincitore delle elezioni, la classe operaia sarà sempre esclusa dal potere e sfruttata. La cabina elettorale democratica non è - come la “sinistra” ha spesso sostenuto - un modo con cui la classe operaia possa esprimere la propria coscienza, anche solo in maniera difensiva. I referendum, in particolare, sono sempre stati un modo per mobilitare le forze più reazionarie della società, cosa che era già evidente sotto il regime dittatoriale di Luigi Napoleone Bonaparte in Francia nel XIX secolo. Per tutti questi motivi e nonostante gli sconvolgimenti politici creati dal voto a favore del Brexit, il referendum è un “successo” per la democrazia borghese, presentata come l'unico modello possibile di dibattito politico.
L’alternativa operaia
Di fronte ad un sistema mondiale che sembra determinato a trasformare ogni paese in un bunker dove solo i patrioti sono degni di sopravvivere, alcuni gruppi hanno difeso lo slogan: “Abbasso le frontiere!” (“No Borders”). Questo è un obiettivo lodevole, ma per sbarazzarsi delle frontiere, bisogna liberarsi degli Stati nazionali. E per sbarazzarsi dello Stato, bisogna sbarazzarsi dei rapporti sociali capitalistici che esso protegge. Tutto ciò richiede una rivoluzione mondiale degli sfruttati, che stabilirà una nuova forma di potere politico che smantellerà lo Stato borghese e sostituirà la produzione capitalistica, sottoposta alla legge del profitto, con la produzione comunista, che mira a soddisfare le esigenze universali dell'umanità.
Questo obiettivo sembra infinitamente lontano oggi; la progressiva decomposizione della società capitalista - in particolare la sua tendenza a trascinare la classe operaia nella sua caduta materiale e nel suo degrado morale - contiene il pericolo che questa prospettiva venga definitivamente perduta. Tuttavia questa rimane la sola speranza per il futuro dell'umanità, e non si tratta di attendere passivamente, come se si aspettasse il Giudizio Universale. I semi della rivoluzione si trovano nella ripresa della lotta di classe, nel riprendere il cammino della resistenza contro gli attacchi provenienti da destra e sinistra, nei movimenti sociali contro l'austerità, la repressione e la guerra; nella lotta per la solidarietà con tutti gli sfruttati e gli esclusi, per la difesa dei lavoratori “stranieri” contro i commando xenofobi ed i pogrom. Questa è l'unica lotta che possa rilanciare la prospettiva di una comunità globale.
Allora, che dobbiamo fare noi comunisti, come minoranza della classe operaia che resta convinta che la prospettiva di una comunità mondiale umana è possibile? Dobbiamo riconoscere che, nella situazione attuale, navighiamo del tutto contro corrente. Come hanno fatto le frazioni rivoluzionarie del passato che hanno resistito di fronte alla marea della reazione e della contro-rivoluzione, dobbiamo rigettare tutto ciò che compromette i nostri principi rivoluzionari basati su decenni di esperienza della classe operaia. Dobbiamo insistere sul fatto che non possiamo dare alcun sostegno ad uno Stato capitalista o ad un’alleanza di Stati, nessuna concessione alla ideologia nazionalista, nessuna illusione sul fatto che la democrazia capitalista ci offrirebbe i mezzi per difenderci contro il capitalismo. Ci rifiutiamo di partecipare alle campagne capitaliste, di una parte o dell’altra, proprio perché abbiamo la responsabilità di partecipare alla lotta di classe. Tanto più che la lotta della classe operaia deve essere indipendente da tutte le forze del capitalismo che cercano di deviarla o di imbrigliarla. Di fronte all’enorme confusione e allo scompiglio che regna attualmente nella nostra classe, dobbiamo impegnarci in uno sforzo teorico serio per capire un mondo che sta diventando sempre più complicato e imprevedibile. Il lavoro teorico non significa astrarsi dalla lotta di classe: infatti esso aiuta a preparare il momento in cui, come diceva Marx, la teoria diventa una forza materiale dal momento in cui si impadronisce delle masse.
Amos, 9 luglio 2016
[1] Partito nazionalista scozzese.
[2] Jeremy Corbyn, dirigente del Partito laburista.
[3] Il più importante raggruppamento trotskista in Gran Bretagna, che gioca un ruolo nella politica borghese simile a quello di Lutte ouvrière in Francia.