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Quella che iniziò nell'agosto 1914, oggi la chiamano ancora la "Grande Guerra". Tuttavia la Seconda guerra mondiale fece più del doppio delle vittime. Per non parlare delle guerre senza fine che, dal 1945, hanno provocato più morti ed ancor maggiori distruzioni.
Per comprendere perché la guerra del 14-18 resta sempre "La Grande Guerra", basta visitare un qualsivoglia villaggio in Francia, anche il più isolato, perduto nelle praterie alpine: là su marmi commemorativi troviamo i nomi di intere famiglie - fratelli, padri, zii, figli. Questi muti testimoni dell'orrore si trovano non solo nelle città ed i villaggi delle nazioni belligeranti europee, ma persino all'altra estremità del mondo: nella piccola frazione di Ross sull'isola australiana della Tasmania, il cui memoriale porta i nomi di 16 morti e di 44 superstiti, caduti probabilmente durante la campagna di Gallipoli.
Per due generazioni dopo la fine della guerra 1914-1918 sono stati sinonimi di un’insensata carneficina, dovuta alla cieca e precipitosa stupidità di una casta aristocratica dominante, all'avidità senza limiti degli imperialisti, di profittatori di guerra e fabbricanti di armi. Malgrado tutte le cerimonie ufficiali, tutte le corone d’alloro deposte davanti ai monumenti ai caduti, il portare simbolico di papaveri all'occhiello il giorno della commemorazione annuale, questa visione della Prima Guerra mondiale è stata trasmessa nella cultura popolare delle nazioni belligeranti. In Francia, il romanzo autobiografico di Gabriele Chevalier, La Paura, pubblicato nel 1930, ha conosciuto un successo così enorme da provocare il divieto del libro da parte delle autorità. Nel 1937, il film contro la guerra di Jean Renoir, La Grande Illusione, venne proiettato senza interruzioni al cinema Marivaux dalle ore 10 fino alle 2 del mattino, battendo tutti i record di incasso; a New York, il cartellone che lo pubblicizzava è stato affisso per 36 settimane[1].
Nella Germania degli anni ‘20, i disegni satirici di George Grosz mandavano su tutte le furie i generali, i politici e quelli che avevano approfittato della guerra. Il libro di Remarque Niente di nuovo sul fronte orientale (Im Westen Nichts Neues) fu pubblicato nel 1929: 18 mesi dopo la sua pubblicazione, erano stati venduti 2,5 milioni di esemplari tradotti in 22 lingue; la versione cinematografica degli Universal Studios nel 1930 conobbe un altisonante successo negli Stati Uniti, dove guadagnò l'Oscar come miglior film[2].
Disgregandosi, l'impero austro-ungarico lasciò al mondo uno dei più grandi romanzi contro la guerra: Il buon soldato Chweik (Osudy dobrélo vojáka Švejk za sv?tové války) di Jaroslav Hašek, pubblicato nel 1923 e da allora tradotto in 58 lingue - più di ogni altra opera in lingua ceca.
Il disgusto provocato dalla memoria della Prima Guerra mondiale è sopravvissuto al bagno di sangue ancora più terribile della Seconda. Paragonata agli orrori di Auschwitz e di Hiroshima, la barbarie del militarismo prussiano e dell'oppressione zarista - per non parlare del colonialismo francese o britannico - che erano serviti da giustificazione alla guerra del 1914, sembravano quasi insignificanti ed è per tale motivo che il massacro nelle trincee sembrava ancora più assurdo e mostruoso: in tal modo era possibile presentare la Seconda Guerra mondiale come una guerra se non "buona", almeno "giusta" e necessaria. Questa contraddizione non è da nessuna parte più flagrante che in Gran Bretagna, dove tutta una serie di film che esaltano la "giusta causa" nel puro stile patriottico (Dambusters nel 1955, 633 Squadron nel 1964, ecc.) hanno occupato gli schermi cinematografici durante gli anni ‘50 e ‘60, mentre allo stesso tempo gli scritti anti-guerra dei "poeti della guerra" Wilfred Owen, Siegfried Sassoon, e Robert Graves hanno fatto parte del corso scolastico obbligatorio per i collegiali[3]. Probabilmente la più grande opera di Benjamin Britten, il più celebre compositore britannico del ventesimo secolo, è il suo Requiem di Guerra (1961) che mette in musica la poesia di Owen, mentre l'anno 1969 ha visto l'uscita di due film molto differenti: nel genere patriottico Battle of Britain, e la satira pungente Oh What a Lovely War! che esprime in musica una denuncia della Prima Guerra mondiale servendosi delle canzoni create dai soldati nelle trincee.
Due generazioni dopo, ci troviamo alla vigilia del 100mo anniversario dello scoppio della guerra, il 4 agosto 1914. Considerando l'importanza degli anniversari a cifra tonda ed ancora più se centenari, grandi preparativi sono in corso per commemorare ("festeggiare" non è una parola conveniente) la guerra. In Francia ed in Grande Bretagna, sono stati assegnati budget di parecchie decine di milioni in euro o in sterline; in Germania, per evidenti ragioni, i preparativi sono più discreti e non hanno ricevuto la benedizione governativa[4].
"Chi paga i violini, sceglie la musica": allora che ci guadagnano le classi dominanti in cambio delle decine di milioni che hanno speso per "commemorare la Guerra”?
Se guardiamo i siti web degli organismi responsabili della commemorazione (in Francia, un organismo speciale è stato creato dal governo; in Gran Bretagna - in modo abbastanza appropriato – è toccato all'Imperial War Museum), la risposta sembra abbastanza chiara: acquistano una delle più costose cortine di fumo ideologiche della storia. In Gran Bretagna, l'Imperial War Museum si dà per compito di raccogliere le storie degli individui che hanno vissuto la guerra per trasformarle in podcast[5]. Il sito web del Centenary Project (1914.org) ci propone avvenimenti di un'importanza tanto cruciale quanto l'esibizione del revolver utilizzato durante la Guerra da JRR Tolkien (senza scherzo - si suppone che lo scopo sia di cavalcare la cresta dell'onda sul successo dei film "Il Signore degli Anelli" tratto dai libri di cui Tolkien è stato l'autore); la commemorazione di un drammaturgo del Surrey, la colletta per il Museo dei Trasporti di Londra della ''storia degli autobus durante la Grande Guerra” (no, ma veramente!); a Nottingham "un grande programma di avvenimenti e di attività (...) metterà in luce come il conflitto catalizzò degli immensi cambiamenti sociali ed economici nelle comunità del Nottinghamshire". La BBC ha prodotto un "documentario innovativo": "La Prima Guerra mondiale vista dall'alto" con foto e film eseguiti a partire dai palloni sonda dell'artiglieria. Si renderà omaggio ai pacifisti per le commemorazioni sugli obiettori di coscienza. Insomma, saremo annegati in un oceano di futilità. Secondo il Direttore Generale dell'Imperial War Museum, la "nostra ambizione è che molte più persone comprenderanno che voi non potete comprendere il mondo di oggi senza comprendere le cause, il corso, e le conseguenze della Prima Guerra mondiale"[6] e noi siamo d'accordo al 100% con questo. Ma in realtà, tutto è fatto - compreso da parte dell'onorabile Direttore Generale - per impedirci di comprendere le sue vere cause e le sue reali conseguenze.
In Francia, il sito del centenario mostra il Rapporto ufficiale del Presidente della Repubblica per commemorare la Grande Guerra, datato settembre 2011[7] , e che comincia con queste parole del discorso del Generale de Gaulle all'epoca del cinquantenario della guerra nel 1964: "Il 2 agosto 1914, giorno della mobilitazione, tutto il popolo francese si levò all’unisono in piedi. E ciò non era mai accaduto in precedenza. Tutte le regioni, tutte le località, tutte le categorie, tutte le famiglie, tutte le anime, si trovarono subito in accordo. In un istante, si cancellarono le molteplici liti, politiche, sociali, religiose che tenevano il paese diviso. Da un estremo all'altro del suolo nazionale, le parole, i canti, le lacrime e, soprattutto, i silenzi non espressero che una sola risoluzione". Nello stesso rapporto leggiamo che "Se susciterà lo spavento dei contemporanei di fronte alla morte di massa ed agli immensi sacrifici consentiti, il Centenario darà anche un brivido alla società francese, ricordando l'unità e la coesione nazionale mostrata dai francesi nella prova della Prima Guerra mondiale." E' poco probabile dunque che la borghesia francese ci parlerà della brutale repressione poliziesca delle manifestazioni operaie contro la guerra del luglio 1914, né del notorio Carnet B (l'elenco del governo dei militanti anti-militaristi socialisti e sindacalisti da arrestare ed internare o mandare al fronte fin dallo scoppio della guerra - i britannici intanto facevano la stessa cosa), ed ancora meno delle circostanze dell'assassinio del dirigente socialista anti-guerra Jean Jaurès alla vigilia del conflitto, o degli ammutinamenti nelle trincee[8]...
Come sempre, i propagandisti possono contare sul sostegno di dotti Signori universitari per fornirsi di materiale per i loro documentari ed interviste. Prenderemo qui un solo esempio che ci sembra emblematico: The Sleepwalkers, dello storico Christopher Clark dell'università di Cambridge, pubblicato nel 2012 e poi nel 2013 in versione tascabile, e già tradotto in francese (Les Somnambules) (I SonnambuIi) ed in tedesco (Die Schlafwandler)[9]. Clark è un empirista senza complessi, la sua introduzione annuncia chiaramente la sua intenzione: "Questo libro (…) tratta meno del perché la guerra abbia avuto luogo che di come è arrivata. Le domande del perché e del come sono inseparabili nella logica, ma ci conducono in direzioni differenti. La questione del come ci invita a guardare attentamente le sequenze di interazioni che hanno prodotto certi risultati. La questione del perché, invece, ci invita a partire dalla ricerca di cause lontane e categoriche: l'imperialismo, il nazionalismo, gli armamenti, le alleanze, la finanza, le idee di onore nazionale, i meccanismi della mobilitazione"[10]. Ciò che manca nell'elenco di Clark è, evidentemente, il capitalismo. Non è che a generare le guerre sia proprio il capitalismo? E che la guerra più che "la politica attraverso altri mezzi", per riprendere la nota espressione di von Clausewitz, non sia piuttosto l'espressione estrema della concorrenza inerente al modo di produzione capitalista? Ma certo che no, neanche per sogno! Clark, dunque, si impegna a consegnarci "i fatti" sulla strada della guerra, ciò che fa con immensa erudizione e nel minimo dettaglio, fino al colore delle piume di struzzo sul casco di Franz-Ferdinando il giorno del suo assassinio (erano verdi). Se qualcuno, quel giorno, si fosse preso la briga di annotare il colore delle mutandine del suo assassino, Gavrilo Princip, ci sarebbe anche questo nel libro.
La lunghezza del libro, la sua padronanza del dettaglio, rende un'omissione tanto più importante. Malgrado il fatto che dedica intere sezioni alla questione della "opinione pubblica", Clark non ha assolutamente niente da dire a proposito della sola parte della "opinione pubblica" veramente importante: la posizione adottata dalla classe operaia organizzata. Clark cita a lungo giornali come il Manchester Guardian, il Daily Mail, o Le Matin, e molti altri caduti da tempo in un oblio ben meritato, ma non cita neanche una sola volta né il Vorwärts, né L'Humanité (i giornali rispettivamente dei partiti socialisti tedesco e francese), né Vie Ouvrière, l'organo semi-ufficiale della CGT francese[11], né La Bataille Syndicaliste. Non erano pubblicazioni minori! Il Vorwärts non era che uno tra i 91 quotidiani del SPD con una diffusione totale di 1,5 milione di esemplari (a titolo di paragone, il Daily Mail rivendicava una diffusione di 900.000 copie)[12], e lo stesso SPD era il più grande dei partiti politici tedeschi. Clark menziona il congresso di Iena del 1905 dove il SPD si rifiutò di chiamare allo sciopero generale in caso di guerra, ma non c'è una parola sulle risoluzioni contro la guerra adottate ai congressi dell'Internazionale Socialista a Stoccarda (1907) ed a Basilea (1912). Il solo dirigente del SPD a meritare di trovarsi nel libro è Alberto Südekum, un personaggio relativamente minore alla destra del SPD il cui ruolo di comparsa rassicurò il cancelliere tedesco Bethmann-Hollweg il 28 luglio, sottolineando che il SPD non si sarebbe opposto ad una guerra "difensiva".
Sulla lotta tra sinistra e destra nel movimento socialista e più largamente operaio, è il silenzio. A proposito della battaglia politica di Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Anton Pannekoek, Herman Gorter, Domela Nieuwenhuis, John MacLean, Vladimir Ilyich Lenin, Pierre Monatte, e tanti altri, è ancora il silenzio. A proposito dell'assassinio di Jean Jaurès, sempre silenzio, nient’altro che silenzio...
Evidentemente, i proletari non possono contare sulla storiografia borghese per comprendere veramente le cause della Grande Guerra. Rivolgiamoci quindi piuttosto verso due militanti notevoli della classe operaia: Rosa Luxemburg, sicuramente la più grande teorica della Socialdemocrazia tedesca, ed Alfred Rosmer, un fedele militante della CGT francese dell’anteguerra. In particolare, ci soffermeremo su La Crisi nella Socialdemocrazia di Rosa Luxemburg (meglio conosciuta con il nome di Brochure di Junius[13]) ed Il movimento operaio durante la Prima Guerra mondiale[14]. Le due opere sono molto differenti: l'opuscolo della Luxemburg fu scritto in prigione nel 1916 (non beneficiò di alcuno accesso privilegiato alle biblioteche ed archivi governativi, ma la potenza e la chiarezza della sua analisi sono estremamente sorprendenti); il primo capitolo[15] dell'opera di Rosmer, dove tratta del periodo che condusse alla guerra, fu pubblicato nel 1936 ed è al tempo stesso il frutto della sua devozione scrupolosa alla verità storica e della sua difesa appassionata dei principi internazionalisti.
La Prima Guerra mondiale: la sua importanza e le sue cause
Potrebbero chiederci se tutto ciò ha veramente importanza. Da ben molto tempo il mondo è cambiato, che cosa possiamo veramente apprendere da questi scritti di un'altra epoca?
Risponderemmo che comprendere la Prima Guerra mondiale è primordiale per tre ragioni.
Innanzitutto, perché la Prima Guerra ha aperto una nuova epoca: viviamo ancora in un mondo formato dalle conseguenze di questa guerra.
Poi, perché le reali cause della guerra sono sempre presenti ed operative: c'è un parallelo, se vogliamo dirla fino in fondo, tra l'ascesa della nuova potenza tedesca prima del 1914 e l'ascesa della Cina oggi.
Infine - ed è forse l’aspetto più importante perché è questo che i propagandisti governativi e gli storici agli ordini della borghesia vogliono soprattutto nasconderci - non c'è che una sola forza capace di mettere fine alla guerra imperialista: la classe operaia mondiale. Come dice Rosmer: "i governi sanno bene che non possono lanciarsi nella pericolosa avventura che è la guerra - e soprattutto questa guerra - che a condizione di avere dietro di loro la quasi unanimità dell'opinione pubblica e, in particolare, della classe operaia; per ciò, bisogna ingannarla, abbindolarla, smarrirla, eccitarla"[16]. Luxemburg cita la frase di von Bülow, che diceva che era essenzialmente per timore della socialdemocrazia che ci si sforzava per quanto possibile di differire ogni guerra; cita anche il Vom Heutigen Krieg del Generale Bernhardi: "Se grandi masse scappano al controllo dell'alto comando, se sono prese dal panico, se l'intendenza fallisce su grande scala, se lo spirito di insubordinazione si impossessa delle truppe, in questo caso, tali masse non solo non sono più capaci di resistere al nemico, ma diventano un pericolo per loro stesse e per il comando dell'esercito; fanno saltare i legami della disciplina, turbano arbitrariamente il corso delle operazioni e pongono così l'alto comando davanti a dei compiti che non è in grado di compiere". E Luxemburg continua: "Politici borghesi ed esperti militari consideravano dunque la guerra moderna condotta con gli eserciti di massa come un 'gioco rischioso', ed era là la ragione essenziale che poteva fare esitare i padroni attuali dal poter scatenare la guerra e portarli a fare tutto affinché si concludesse velocemente nel caso esplodesse. L'atteggiamento della socialdemocrazia durante la guerra attuale ha dissipato le loro inquietudini, ha abbattuto le sole dighe che si opponevano al torrente scatenato del militarismo (...) E così, queste migliaia di vittime che cadono da mesi coprendo con i loro corpi i campi di battaglia, li abbiamo sulla coscienza"[17].
Lo scoppio di una guerra imperialista mondiale e generalizzata (non parliamo qui dei conflitti localizzati, e nemmeno di alcuni maggiori come le guerre di Corea o del Vietnam) è determinato da due forze che si affrontano: la spinta verso la guerra, verso una nuova divisione del mondo tra le grandi potenze imperialiste, e la lotta per la difesa della propria esistenza delle masse lavoratrici che devono fornire al tempo stesso carne da cannone e l'esercito industriale, senza di cui la guerra moderna è impossibile. La Crisi nella Socialdemocrazia, e soprattutto nella sua frazione più potente, la socialdemocrazia tedesca - una crisi che è passata sistematicamente sotto silenzio dagli storici universitari agli ordini della borghesia - è dunque il fattore critico che ha reso la guerra possibile nel 1914.
Vi ritorneremo con maggiori dettagli in un prossimo articolo, ma qui ci proponiamo di riprendere l'analisi della Luxemburg sulle rivalità ed alleanze che hanno spinto inesorabilmente le grandi potenze verso il bagno di sangue del 1914.
"Due linee di forza della più recente evoluzione storica conducono dritto alla guerra attuale. Una prende origine dal periodo della costituzione degli "Stati nazionali", degli Stati capitalisti moderni; essa ha per punto di partenza la guerra di Bismarck contro la Francia. La guerra del 1870 che, a seguito dell'annessione dell'Alsazia-Lorena, aveva gettato la Repubblica francese nelle braccia della Russia, provocato la scissione dell'Europa in due campi nemici ed inaugurato l'era della pazza corsa agli armamenti, ha attizzato il primo braciere mondiale attuale (…) Così, la guerra del 1870 ha avuto come conseguenze: in politica estera, di portare il raggruppamento politico dell'Europa intorno all'asse formato dalla contrapposizione franco-tedesca; e nella vita dei popoli europei, di assicurare il dominio formale del militarismo. Tuttavia, questo dominio e questo raggruppamento hanno dato poi all'evoluzione storica un tutt’altro contenuto.
La seconda linea di forza che sfocia sulla guerra attuale e conferma clamorosamente la predizione di Marx[18] deriva da un fenomeno a carattere internazionale che Marx non ha potuto conoscere: lo sviluppo imperialistico di questi ultimi venticinque anni"[19].
Gli ultimi trent’anni del diciannovesimo secolo hanno visto dunque un'espansione veloce del capitalismo attraverso il mondo, ma anche la nascita di un capitalismo nuovo, dinamico, in espansione e pieno di fiducia, nel cuore stesso dell'Europa: l'impero tedesco, dichiarato nel palazzo di Versailles nel 1871 dopo la disfatta francese all'epoca della guerra franco-prussiana, con cui la Prussia è entrata come una potenza maggiore tra una molteplicità di principati e di piccoli Stati tedeschi, distinguendosi come componente dominante di una Germania nuova ed unificata.
"(…) si poteva prevedere", continua Luxemburg, "dal momento che questo giovane imperialismo, pieno di forza, che non era disturbato da nessun tipo di ostacolo, e che fece la sua apparizione sulla scena mondiale con degli appetiti mostruosi, mentre il mondo era già per così dire ripartito, sarebbe diventato molto rapidamente il fattore imprevedibile dell'agitazione generale"[20].
Per certe bizzarrie della storia che ci permettono di prendere una sola data come simbolo di una modificazione della dinamica della storia, l'anno 1898 fu testimone di tre avvenimenti che segnarono un tale cambiamento.
Il primo fu "l'incidente di Fascioda", uno scontro tra le truppe francesi e britanniche per il controllo del Sudan. All'epoca, sembrava esserci un vero pericolo di guerra tra questi due paesi per il controllo dell'Egitto e del canale di Suez, così come per il dominio dell'Africa. Alla fine, l'incidente si concluse con un miglioramento dei rapporti franco-britannici, formalizzati nel 1904 con "l'intesa Cordiale", una tendenza contrassegnata da una Gran Bretagna sempre più impegnata a sostenere la Francia contro una Germania che entrambe vedevano come una minaccia. Le due "Crisi marocchine" del 1905 e 1911[21] mostrarono che d'ora in poi la Gran Bretagna si sarebbe opposta alle ambizioni tedesche in Africa settentrionale, tuttavia, essa era pronta a lasciare alcune briciole alla Germania: i possedimenti coloniali del Portogallo.
Il secondo avvenimento fu la presa da parte della Germania del porto cinese di Tsingtao, oggi Qingdao[22], e ciò annunciava l'arrivo della Germania sulla scena imperialista in quanto potenza dalle aspirazioni mondiali e non più solamente europee - una Weltpolitik, come all'epoca si diceva in Germania.
È dunque opportunamente che l'anno 1898 veda anche la morte di Ottone di Bismarck, il grande cancelliere che aveva guidato la Germania attraverso la sua unificazione e la sua industrializzazione veloce. Bismarck si era sempre opposto al colonialismo ed alla costruzione navale, perchè la sua principale preoccupazione sul piano della politica estera era di impedire la nascita di un'alleanza anti-germanica tra le altre potenze gelose - o inquiete - di fronte all'ascesa della Germania. Ma alla svolta del secolo, la Germania era diventata una potenza industriale di prim'ordine, superata solo dagli Stati Uniti, con le ambizioni mondiali che ne conseguivano. Luxemburg cita il ministro degli Affari Esteri di allora, von Bülow, in un discorso dell'11 dicembre 1899: "Se gli inglesi parlano di una Gran Bretagna, se i francesi parlano di una Nuova Francia, se i Russi guardano verso l'Asia, da parte nostra abbiamo la pretesa di creare una Grösseres Deutschland (Grande Germania).... Se noi non costruiremo una flotta capace di difendere il nostro commercio, i nostri compatrioti all'estero, le nostre missioni e la sicurezza delle nostre coste, metteremo in pericolo i più vitali interessi del paese. Nei secoli a venire, il popolo tedesco sarà il martello o l'incudine". E la Luxemburg osserva: "Se si eliminano i fiori della retorica della difesa delle coste, delle missioni e del commercio, resta questo programma lapidario: per una più Grande Germania, una politica del martello a riguardo degli altri popoli"[23].
All'inizio del ventesimo secolo, darsi una Weltpolitik esigeva una marina all'altezza delle sue ambizioni. Luxemburg mostra con molta chiarezza che la Germania non aveva alcun bisogno economico impellente di una marina: nessuno sarebbe andato a strapparle i suoi possedimenti in Africa o in Cina. La marina era soprattutto una questione di "reputazione": per potere continuare la sua espansione la Germania doveva essere vista come una potenza importante, una potenza con la quale bisognava fare i conti, e per ciò una "flotta offensiva di prima qualità" ne era la premessa. Nelle parole indimenticabili della Luxemburg, quest'ultima era "una provocazione che aveva per bersaglio non solo la classe operaia tedesca, ma anche tutti gli altri Stati capitalisti, un pugno brandito non verso uno Stato in particolare, ma verso tutti gli Stati".
Il parallelo tra l'ascesa della Germania alla svolta tra 19° e 20° sec., e quello della Cina cent’anni più tardi, è evidente. Come quella di Bismarck, la politica estera di Deng Xiaoping si è sforzata di non inquietare né i vicini della Cina, né la potenza egemonica mondiale, gli Stati Uniti. Ma con la sua ascesa allo statuto di seconda potenza economica mondiale, la "reputazione" della Cina esige che essa possa, almeno, controllare le sue frontiere e proteggere le sue vie marittime: da qui il suo programma di costruzione navale, con sottomarini e una portaerei, e con la sua recente dichiarazione dell’individuazione di una zona di difesa aerea (ADIZ) che arriva a coprire le isole Senkaku/Diaoyu.
Questo parallelo non è, certamente, un'identità, per due ragioni in particolare: innanzitutto, la Germania dell'inizio del ventesimo secolo era non solo la seconda potenza industriale dopo gli Stati Uniti, ma stava anche all'avanguardia del progresso tecnico e dell'innovazione (come si può giudicare, per esempio, dal numero di premi Nobel tedeschi e dall'innovazione tedesca nelle industrie siderurgiche, elettriche e chimiche); secondo, la Germania aveva la capacità di trasportare la sua forza militare ovunque nel mondo.
Proprio come gli Stati Uniti oggi che si devono opporre alla minaccia cinese alla sicurezza dei suoi alleati (il Giappone, la Corea del Sud e le Filippine in particolare), la Gran Bretagna all’epoca non poteva che vedere una minaccia l'ascesa della marina militare tedesca, e, peggio ancora, una minaccia esistenziale contro l'arteria marittima vitale della Manica e le sue difese costiere[24].
Tuttavia, qualunque fossero le sue ambizioni navali, la direzione naturale per l'espansione di una potenza terrestre come la Germania era verso l'Est, più specificamente verso l'impero ottomano in decomposizione; ciò era tanto più vero in quanto le sue ambizioni in Africa e nel Mediterraneo occidentale erano ostacolate dai francesi e dai britannici. Il denaro ed il militarismo andavano mano nella mano, ed il capitale tedesco era affluito in Turchia[25], agendo di gomito coi suoi concorrenti britannici e francesi. Una grande parte di questo capitale era destinata al finanziamento della linea ferroviaria Berlino-Bagdad: in realtà, si trattava di una rete di strade ferrate che doveva collegare Berlino a Costantinopoli, poi al sud dell'Anatolia, la Siria, e Bagdad, ma anche la Palestina, l’Hedjaz e La Mecca. In un'epoca in cui il movimento delle truppe dipendeva dalle ferrovie, ciò avrebbe dato la possibilità all'esercito turco, equipaggiato di armi tedesche e guidato dai militari tedeschi, di inviare truppe che avrebbero minacciato sia la raffineria britannica di Abadan (in Persia, oggi Iran)[26], sia il controllo britannico dell'Egitto, del canale di Suez: ecco ancora una minaccia tedesca diretta verso gli interessi strategici della Gran Bretagna. Per buona parte del diciannovesimo secolo, l'espansione russa in Asia Centrale che rappresentava una minaccia sulle frontiere persiane e sull'India, è stata il principale pericolo per la sicurezza dell'Impero britannico; la sconfitta della Russia da parte del Giappone nel 1905 aveva raffreddato i suoi ardori orientali al punto che nel 1907 una convenzione anglo-russa poteva - almeno provvisoriamente - risolvere le dispute tra i due paesi in Afghanistan, in Persia, e nel Tibet. Adesso il rivale da affrontare era la Germania.
Inevitabilmente, la politica orientale della Germania le conferiva un interesse strategico nei Balcani, il Bosforo ed i Dardanelli. Il fatto che la strada ferrata tra Berlino e Costantinopoli doveva passare da Vienna e Belgrado faceva si che il controllo, o almeno la neutralità della Serbia, diventava di colpo di grande importanza strategica per la Germania. Ciò a sua volta la metteva in conflitto con un paese che - dal tempo di Bismarck - era stato il bastione della reazione e della solidarietà autocratica, dunque l'alleato principale della Prussia e della Germania imperiale: la Russia.
Dal regno della Grande Caterina, la Russia si era stabilita, negli anni 1770, come potenza dominante del Mare Nero, estromettendo gli ottomani. Il commercio sempre più importante dell'industria e dell'agricoltura russe dipendeva dalla libertà di navigazione nel distretto del Bosforo. L'ambizione russa mirava ai Dardanelli ed al controllo del traffico marittimo tra il Mar Nero ed il Mediterraneo (le mire russe sui Dardanelli l'avevano già condotta alla guerra con la Gran Bretagna e la Francia in Crimea nel 1853). Luxemburg riassume così la dinamica in seno alla società russa che stimolava la sua politica imperialistica: "Nelle tendenze conquistatrici del regime zarista si esprime, da una parte, l'espansione tradizionale di un potente Impero la cui popolazione comprende oggi 170 milioni di esseri umani e che, per ragioni economiche e strategiche, cerca di ottenere il libero accesso ai mari, Oceano Pacifico ad Est, Mediterraneo a sud, e, dall'altra, questo bisogno vitale dell'assolutismo: la necessità sul piano della politica mondiale di conservare un atteggiamento che impone il rispetto nella competizione generale dei grandi Stati, per ottenere dal capitalismo straniero il credito finanziario senza il quale lo zarismo non potrebbe vivere (...) Tuttavia, gli interessi borghesi moderni vengono sempre più considerati come fattore dell'imperialismo nell'Impero degli zar. Il giovane capitalismo russo che non può raggiungere naturalmente uno sbocco completo sotto il regime assolutista e che, in linea di massima, non può abbandonare lo stadio del sistema primitivo di rapina, vede aprirsi tuttavia davanti a sé un avvenire prodigioso nelle risorse naturali immense di questo Impero gigantesco (…) proprio perché pressata da questo avvenire e, per così dire in anticipo, affamata di accumulazione, che la borghesia russa è divorata da una febbre imperialistica violenta, e che manifesta con ardore le sue pretese nella divisione del mondo"[27]. La rivalità tra la Germania e la Russia per il controllo del Bosforo trovò dunque ineluttabilmente il suo punto nevralgico nei Balcani, dove la montata dell'ideologia nazionalista, caratteristica di un capitalismo in via di sviluppo, creava una situazione di tensione permanente e di guerra intermittente tra i tre Stati prodotti dalla decomposizione dell'impero ottomano: la Grecia, la Bulgaria e la Serbia. Questi tre paesi si allearono contro gli ottomani nella Prima Guerra dei Balcani, si batterono poi tra loro per la ripartizione del bottino - in particolare in Albania ed in Macedonia - all'epoca della Seconda Guerra dei Balcani[28].
L'ascesa di questi nuovi Stati nazionali aggressivi nei Balcani non poteva lasciare indifferente l'altro impero declinante della regione: l'Austria-Ungheria. Per la Luxemburg "la monarchia asburgica non è un'organizzazione politica di Stato borghese, ma solamente un trust che unisce attraverso legami abbastanza deboli alcune consorterie di parassiti sociali che vogliono riempirsi le tasche sfruttando al massimo le risorse del potere finché la monarchia si tiene ancora in vita", e l'Austria-Ungheria si trovava costantemente sotto la minaccia delle nuove nazioni che la stringevano e che tutte erano composte dalle stesse etnie di certe parti dell'impero: da qui l'annessione da parte dell'Austria-Ungheria della Bosnia-Erzegovina, per impedire alla Serbia di aprirsi un accesso al Mediterraneo.
Nel 1914, la situazione in Europa somigliava ad un cubo di Rubik mortale, i suoi differenti pezzi erano così strettamente interconnessi tra loro che lo spostamento di uno implicava necessariamente lo spostamento di tutti.
I sonnambuli risvegliati
Ciò vuole dire che le classi dominanti, i governi, non sapevano ciò che facevano? Che I Sonnambuli, secondo il titolo del libro di Christopher Clark, siano, in qualche modo, entrati in guerra per caso? Che la Prima Guerra Mondiale non sia stata altro che un terribile errore?
Per niente. Certamente, le forze storiche descritte dalla Luxemburg, in quella che è probabilmente la più profonda analisi mai scritta sull'entrata in guerra, tenevano attanagliata la società: in questo senso, la guerra era il risultato delle rivalità interimperialistiche. Ma le situazioni storiche chiamano al potere degli uomini ben assortiti tra loro ed i governi che condussero l'Europa ed il mondo alla guerra sapevano molto bene ciò che facevano, l'hanno fatto deliberatamente. Gli anni della svolta del secolo fino allo scoppio della guerra erano segnati da allertamenti a ripetizione, ciascuno più grave del precedente: la crisi di Tangeri nel 1905, l'incidente di Agadir nel 1911, la Prima e la Seconda Guerra dei Balcani. Ciascuno di questi incidenti spingeva più in avanti la frazione pro-guerra di ogni borghesia, attizzava il sentimento che la guerra era, ad ogni modo, inevitabile. Il risultato fu una corsa dissennata agli armamenti: la Germania lanciò il suo programma di costruzione navale e la Gran Bretagna la seguì; la Francia aumentò la durata del servizio militare a tre anni; enormi prestiti francesi finanziarono l'ammodernamento delle ferrovie russe concepite per trasportare le truppe verso la sua frontiera occidentale, così come l'ammodernamento del piccolo ma efficace esercito serbo. Tutte le potenze continentali irreggimentarono sempre più uomini sotto le bandiere nazionali.
Sempre più convinti che la guerra fosse inevitabile, la domanda per i governi europei diventava semplicemente "quando"?. Quando i preparativi di ciascuno avrebbero raggiunto il loro massimo possibile rispetto a quelli dei loro rivali? Perché questo sarebbe stato il "momento buono" per la guerra.
Se Luxemburg vedeva nella Germania il nuovo "fattore imprevedibile" della situazione europea, ciò vuol dire che le potenze della Tripla Intesa (la Gran Bretagna, la Francia e la Russia) non erano che vittime innocenti dell'aggressione espansionista tedesca? È la tesi di certi storici revisionisti oggi: non solo che la lotta contro l'espansionismo tedesco era giustificata nel 1914, ma che in fondo, 1914 erano solamente il precursore della "buona guerra" del 1939. Ciò è senza dubbio vero, ma i paesi della Triplice Intesa erano tutto, tranne che vittime innocenti. E l'idea che la Germania fosse la sola ad essere "espansionista" è risibile se paragoniamo la grandezza in estensione dell'Impero britannico - il frutto dell'aggressione espansionista britannica - con quello della Germania: bizzarramente, ciò non sembra mai preso in considerazione dagli addomesticati storici inglesi[29].
In realtà, la Triplice Intesa stava preparando da anni una politica di accerchiamento della Germania (proprio come durante la Guerra Fredda gli Stati Uniti hanno sviluppato una politica di accerchiamento dell'URSS, e come oggi stanno provando a fare con la Cina). Rosmer mostra ciò con una limpidezza inesorabile, sulla base delle corrispondenze segrete tra gli ambasciatori belgi delle differenti capitali europee[30].
Nel maggio 1907, l'ambasciatore a Londra scriveva: "È evidente che l'Inghilterra ufficialmente persegue una politica sordamente ostile che tende a finire con l'isolamento della Germania, e che il re Eduardo non ha esitato ad influenzare personalmente una tale idea"[31]. Nel febbraio 1909, apprendiamo dall'ambasciatore a Berlino: "Il re d'Inghilterra afferma che la conservazione della pace è sempre stata lo scopo dei suoi sforzi; ed è questo che lui non ha smesso di ripetere dall'inizio della campagna diplomatica per raggiungere infine lo scopo di isolare la Germania; ma non possiamo fare a meno di ammettere che mai prima la pace del mondo sia stata più compromessa da quando il re dell'Inghilterra si è impegnato per consolidarla"[32]. Ad aprile 1913, di nuovo da Berlino leggiamo: "L'arroganza ed il disprezzo con cui questi ultimi [i serbi] accolgono le proteste del gabinetto di Vienna si spiegano solo per l'appoggio che essi credono di ricevere da San Pietroburgo. L’incaricato d’ affari della Serbia recentemente diceva che il suo governo non sarebbe durato oltre i sei mesi, senza tenere conto delle minacce austriache, se non fosse stato incoraggiato dal ministro della Russia, il Signore Hartwig... "[33]. In Francia, (gennaio 1914) per l'ambasciatore belga a Parigi era perfettamente chiaro lo sviluppo cosciente di una politica aggressiva e sciovinista: "Ho avuto già l' onore di dirvi che sono i Sigg. Poincaré, Delcassé, Millerand ed i loro amici che hanno inventato e perseguito la politica nazionalista, di bandiera e sciovinista di cui abbiamo constatato la rinascita (…) in questo vedo il più grande pericolo che minaccia oggi la pace dell'Europa (…) perché l'atteggiamento che ha preso il gabinetto Barthou è, secondo me, la causa determinante di un sovrappiù di tendenze militariste in Germania"[34].
La reintroduzione in Francia di un servizio militare di tre anni non era una politica di difesa, ma un preparativo deliberato alla guerra. Ecco di nuovo l'ambasciatore a Parigi (giugno 1913): "I carichi della nuova legge saranno talmente pesanti per la popolazione, le spese che essa implicherà saranno talmente esorbitanti, che il paese subito protesterà e la Francia si troverà davanti a questo dilemma: una marcia indietro che non potrà permettersi, o la guerra a breve scadenza"[35].
Come dichiarare guerra
Due fattori entrarono in gioco nei calcoli degli uomini di Stato e dei politici negli anni che condussero alla guerra: il primo, la valutazione dei loro preparativi militari e di quelli dei loro avversari, il secondo - altrettanto importante, anche nella Russia zarista ed autocratica - era la necessità di apparire davanti al mondo e davanti alle loro popolazioni, soprattutto gli operai, come la parte offesa, che agiva unicamente per difendersi. Tutte le potenze volevano entrare in una guerra che qualcun altro aveva provocato: "Il gioco consiste nel portare l'avversario a compiere un atto che si potrà sfruttare contro di lui o a mettere a profitto una decisione già presa"[36].
L'assassinio di Franz-Ferdinando, la scintilla che mise fuoco alle polveri, non fu opera di un individuo isolato: Gavrilo Princip tirò il colpo di pistola mortale, ma lui non era che un membro di un gruppo di assassini organizzati ed armati da circoli sostenuti dai gruppi serbi ultra-nazionalisti "La Mano Nera" e Narodna Odbrana ("La Difesa nazionale"), che formava quasi uno Stato nello Stato e le cui attività erano certamente conosciute dal governo serbo ed in particolare dal suo primo ministro, Nicolas Pasic. La Serbia intratteneva rapporti stretti con la Russia e non avrebbe mai effettuato una tale provocazione se non fosse stata assicurata del sostegno russo contro una reazione austro-ungarica.
Per il governo austro-ungarico, era troppo allettante l'opportunità di richiamare la Serbia all’ordine[37]. L'inchiesta poliziesca non fece che puntare il dito sulla Serbia e gli austriaci contavano sullo shock provocato tra le classi dirigenti europee per ottenerne il sostegno, o almeno la neutralità, quando essi avrebbero attaccato la Serbia. E difatti, l'Austria-Ungheria non aveva altra scelta che attaccare o umiliare la Serbia: fare di meno avrebbe portato un colpo devastante alla sua "reputazione" e alla sua influenza nella critica regione dei Balcani, lasciandola completamente alla mercé del suo rivale russo.
Per il governo francese, una "guerra dei Balcani" era lo scenario ideale per lanciare un attacco contro la Germania: se la Germania fosse stata spinta in una guerra per difendere l'Austria-Ungheria, e la Russia per accorrere in difesa dei serbi, la mobilitazione francese sarebbe stata ritenuta una misura di difesa preventiva contro il pericolo di un attacco tedesco. Inoltre, sarebbe stato poco probabile che l'Italia, in principio un alleato della Germania ma con propri interessi nei Balcani, potesse entrare in guerra per difendere la posizione dell'Austria-Ungheria in Bosnia-Erzegovina.
Data una tale alleanza con cui avrebbe dovuto scontrarsi, la Germania si trovò in posizione di debolezza, con come solo alleato l'Austria-Ungheria, un "mucchio di decomposizione organizzata" per riprendere l'espressione della Luxemburg. I preparativi militari in Francia ed in Russia, lo sviluppo della loro Intesa con la Gran Bretagna, portarono gli strateghi tedeschi alla conclusione che sarebbe stato meglio battersi subito, prima che i loro avversari terminassero la loro piena preparazione, Da qui la seguente osservazione nel 1914: "Se il conflitto [tra la Serbia e l'Austria-Ungheria] si estende (...,) è necessario assolutamente che sia la Russia a portane la responsabilità"[38].
La Germania gliene fornisce uno, eccellente, lanciando i suoi eserciti attraverso il Belgio". Rosmer cita a tale riguardo la Tragedy di Lord Kitchener del Viscount Esher: "L'episodio belga fu un colpo di fortuna che venne appunto a dare alla nostra entrata in guerra il pretesto morale necessario per preservare l'unità della nazione, e quella del governo"[39]. In realtà, erano anni che i piani britannici per un attacco contro la Germania, preparati da lunga data in collaborazione con i militari francesi, prevedevano la violazione della neutralità belga...
Tutti i governi dei paesi belligeranti dovevano ingannare la loro "opinione pubblica" facendole credere che una guerra che essi preparavano e che cercavano da anni era stata loro imposta. L'elemento critico di questa "opinione pubblica" era la classe operaia organizzata, coi suoi sindacati ed i suoi partiti socialisti che dichiaravano da anni chiaramente la loro opposizione alla guerra. Il fattore principale che avrebbe aperto la strada alla guerra era dunque il tradimento della socialdemocrazia ed il suo pieno sostegno a quella che la classe dominante chiamò in modo menzognero una "guerra difensiva".
Le cause reali di questo tradimento mostruoso del più elementare dovere internazionalista della socialdemocrazia saranno oggetto di un prossimo articolo. Qui basta dire che l’attuale pretesa della borghesia francese che "in un istante, si cancellarono le molteplici liti, politiche, sociali, religiose che tenevano il paese diviso" è una sfrontata menzogna. Al contrario, la storia dei giorni precedendo lo scoppio della guerra raccontata da Rosmer è quella di manifestazioni costanti contro la guerra, brutalmente represse dalla polizia. Il 27 luglio, la CGT chiamò ad una manifestazione, e "dalle 9 a mezzanotte (…), una folla enorme ha invaso continuamente i viali. Ingenti forze di polizia sono state mobilitate (…) Ma gli operai che scendono dai sobborghi sul centro sono così numerosi che la tattica poliziesca [di dividere i manifestanti in piccoli gruppi] finisce con un risultato imprevisto: velocemente si producono in tutte le strade altrettante manifestazioni. Le violenze e le brutalità poliziesche non possono avere ragione della combattività di questa folla; per tutta la sera, il grido di 'Abbasso la guerra!' risuonerà dall'Opera fino a Piazza della Repubblica"[40]. Le manifestazioni continuarono il giorno seguente, estendendosi alle principali città delle province.
La borghesia francese aveva ancora un altro problema: l'atteggiamento del dirigente socialista Jean Jaurès. Jaurès era un riformista, in un momento storico in cui il riformismo si trovava incastrato tra la borghesia ed il proletariato, ma era legato profondamente alla difesa della classe operaia (per tale motivo la sua influenza tra gli operai era molto grande) ed appassionatamente si opponeva alla guerra. Il 25 luglio, quando la stampa riportò il rigetto da parte della Serbia dell'ultimatum austroungarico, Jaurès doveva parlare ad una riunione elettorale a Vaise, vicino Lione: il suo discorso fu centrato non sull'elezione ma sullo spaventoso pericolo di guerra. "Mai, da quarant'anni l'Europa è stata in una situazione più minacciosa e tragica (…) contro di noi, contro la pace, contro la vita degli uomini, al momento, abbiamo terribili probabilità e contro le quali occorrerà che i proletari dell'Europa tentino i massimi sforzi di solidarietà possibile"[41].
Inizialmente, Jaurès ha creduto alle assicurazioni fraudolente del governo francese secondo cui quest'ultimo operava per la pace, ma il 31 luglio, aveva perso le sue illusioni ed al Parlamento chiamò di nuovo gli operai a fare tutto il possibile per opporsi alla guerra. Rosmer racconta: "corre voce che l'articolo che si apprestava a scrivere per il numero di sabato de L'umanité sarà un nuovo 'Atto d’accusa!'[42] denunciando gli intrighi e le menzogne che hanno messo il mondo sulla soglia della guerra. In serata (…) è a capo di una delegazione del gruppo socialista al Quai d'Orsay [Il Ministero degli Affari Esteri] e lì Viviani non c’è. È il sottosegretario di Stato a ricevere la delegazione. Dopo avere ascoltato Jaurès, gli chiede cosa contano fare i socialisti di fronte alla situazione: 'Continuare la nostra campagna contro la guerra!', risponde Jaurès. A cui Abel Ferry replica: 'Ciò voi non l’oserete, perché sareste ucciso al prossimo angolo di strada!'[43]. Due ore più tardi, mentre si reca al suo ufficio de L'umanité per scrivere il temuto l'articolo, Jaurès viene abbattuto dall'assassino Raoul Villain; due palle di revolver sparate a bruciapelo gli provocano una morte quasi immediata"[44].
Indubbiamente, la classe borghese francese non lasciò niente al caso, per assicurarsi "l'unità e la coesione nazionale!".
Senza operai nessuna guerra
Quando vengono depositate le corone d'alloro e quando i grandi di questo mondo si inchinano davanti al milite ignoto durante le commemorazioni, quando la tromba suona per i morti alla fine delle cerimonie solenni, quando i documentari dilagano sugli schermi televisivi e i dotti storici ci raccontano tutte le cause della guerra - tranne quelle che veramente contano -, tutti i fattori che avrebbero potuto impedirla - tranne quelli che avrebbero potuto pesare veramente sulla bilancia -, i proletari del mondo intero, essi, hanno bisogno di ricordare.
Che si ricordino che la causa della Prima Guerra mondiale non è stata accidentale, ma gli ingranaggi spietati del capitalismo e dell'imperialismo, che la Grande Guerra ha aperto un nuovo periodo della storia, una "epoca di guerre e di rivoluzioni" proprio come diceva l'Internazionale Comunista. Questo periodo è ancora con noi oggi, e le stesse forze che hanno spinto il mondo in guerra nel 1914 oggi sono responsabili degli interminabili massacri in Medio Oriente ed in Africa, alimentando sempre più pericolose tensioni tra la Cina ed i suoi vicini nel Mare della Cina del Sud.
Che si ricordino che la guerra non può essere condotta senza operai, come carne da cannone e carne da fabbrica. Che si ricordino che le classi dominanti devono assicurarsi l'unità per la guerra e che non si fermeranno di fronte a niente per ottenerla, dalla repressione brutale fino all'omicidio.
Che si ricordino che sono gli stessi partiti "socialisti" che oggi si mettono alla testa di ogni campagna pacifista ed umanitaria che hanno tradito la fiducia dei loro avi nel 1914, lasciandoli disorganizzati e senza difesa di fronte alla macchina di guerra capitalista.
Infine, che si ricordino che se la classe dominante ha dovuto fare un tale sforzo per neutralizzare il proletariato nel 1914, è perché solo il proletariato può alzare una barriera efficace di fronte alla guerra. Solo il proletariato mondiale porta in sé la speranza di rovesciare il capitalismo ed il pericolo di guerra, una volta per tutte.
Cento anni fa, l'umanità ha avuto davanti a sé un dilemma la cui soluzione resta tra le mani del solo proletariato: socialismo o barbarie. Ancora oggi questo dilemma è davanti a noi.
Jens
[1] È ironico vedere che il titolo del film è tratto da un libro d'anteguerra scritto dall'economista britannico Norman Angell, che argomentava che la guerra tra le potenze capitaliste avanzate era diventata impossibile perché le loro economie erano troppo strettamente integrate ed interdipendenti - precisamente lo stesso genere di argomentazione che possiamo sentire oggi a proposito della Cina e degli Stati Uniti.
[2] Va da sé dire che, come tutte le opere che abbiamo menzionato qui, Niente di nuovo sul fronte occidentale fu interdetto dai Nazisti dopo il 1933. Fu anche vietato tra il 1930 ed il 1941 dalla censura australiana.
[3] È invece sorprendente che il più celebre dei poeti di guerra patriottica inglese, Rupert Brooke, non abbia mai conosciuto il combattimento poiché è morto di malattia sulla strada verso l'assalto su Gallipoli.
[4] Ciò è stato oggetto di una certa polemica nella stampa tedesca.
[5] Probabilmente progetto in sé molto lodevole, ma che non contribuirà granchè a comprendere le ragioni della Grande Guerra.
[6] https://www.iwm.org.uk/centenary
[7] "Commemorare la Grande Guerra (2014-2020): proposte per un centenario internazionale" da Joseph Zimet della "Direzione della memoria, del patrimonio e degli archivi", https://centenaire.org/sites/default/files/references-files/rapport_jz.pdf
[8] È sorprendente vedere che la grande maggioranza delle esecuzioni per disobbedienza militare nell'esercito francese ha avuto luogo durante i primi mesi della guerra, ciò che suggerisce una mancanza di entusiasmo che doveva essere stroncato sul nascere. (Cf il rapporto al Ministro degli Antichi Combattenti Kader Arif di ottobre 2013):
https://centenaire.org/sites/default/files/references-files/rapport_fusi...
[9] Vale la pena di menzionare qui il fatto che il titolo I Sonnambuli è tratto dalla trilogia dallo stesso nome scritto da Hermann Broch nel 1932. Broch è nato nel 1886 a Vienna, in una famiglia ebraica, ma si è convertito nel 1909 al cattolicesimo. Nel 1938, dopo l'annessione dell'Austria fu fermato dalla Gestapo. Tuttavia, grazie all'aiuto di amici, tra cui James Joyce, Albert Einstein e Thomas Mann, è potuto emigrare negli Stati Uniti dove è vissuto fino al 1951. Die Schlafwandler racconta rispettivamente la storia di tre individui durante gli anni 1888, 1905 e 1918, ed esamina le domande poste dalla decomposizione dei valori e la subordinazione della moralità alle leggi del profitto.
[10] La traduzione dall'inglese è nostra.
[11] Vedere il nostro articolo "L'anarco-sindacalismo di fronte ad un cambiamento di epoca: la CGT fino al 1914", nella Révue internationale n°120: https://fr.internationalism.org/rint/120_cgt.
[12] Cf. Hew Strachan, The First World War, volume 1.
[13] https://www.marxists.org/francais/luxembur/junius/index.html
[14] Edizioni di Avron, maggio 1993.
[15] Il secondo capitolo fu pubblicato dopo la Seconda Guerra mondiale. È più riassunto, poiché Rosmer è dovuto fuggire da Parigi durante l'occupazione nazista ed i suoi archivi furono presi e distrutti durante la guerra.
[16] Rosmer, p 84.
[17] Opuscolo di Junius, capitolo "La fine della lotta di classe"
[18] Luxemburg cita qui una lettera di Marx al Braunschweiger Ausschuss: "Colui che nell'ora presente non è assordato completamente dal baccano, e che non ha interesse ad assordare il popolo tedesco, deve comprendere che la guerra del 1870 darà nascita ad una guerra tra la Russia e la Germania, come quella del 1866 che necessariamente ha portato a quella del 1870. Necessariamente ed ineluttabilmente, salvo l'improbabile caso dello scoppio in anticipo di una rivoluzione in Russia. Se quest’improbabile eventualità non accadrà, allora la guerra tra la Germania e la Russia deve essere considerata da ora come un fatto compiuto. Che questa guerra sia utile o nociva, ciò dipende interamente dall'atteggiamento attuale dei vincitori tedeschi. Se prendono l'Alsazia e la Lorena, la Francia combatterà contro la Germania affianco della Russia. È superfluo indicarne le funeste conseguenze".
[19] https://marxists.org/francais/luxembur/junius/rljcf.html
[20] Idem.
[21] La prima crisi marocchina del 1905 fu indotta da una visita del Kaiser a Tangeri, per sostenere - si diceva - l'indipendenza marocchina, in realtà per bloccare l'influenza francese. La tensione militare era al punto massimo: la Francia annullò i permessi militari ed avanzò le sue truppe alla frontiera tedesca, mentre la Germania cominciava a raccogliere i riservisti sotto le bandiere. Alla fine, i francesi cedettero ed accettarono la proposta tedesca di una Conferenza internazionale, tenutasi ad Algésiras nel 1906. Ma i tedeschi ebbero uno shock: si sono trovati abbandonati da tutte le potenze europee, più particolarmente dai britannici, non trovando sostegno che presso l'Austria-Ungheria. La seconda crisi marocchina sopraggiunse nel 1911 quando una rivolta contro il sultano Abdelhafid diede alla Francia un pretesto per l'invio di truppe in Marocco con la scusa di proteggere i cittadini europei. I tedeschi, in quanto ad essi, approfittarono dello stesso pretesto per inviare la cannoniera Panther nel porto atlantico di Agadir. I britannici vi vedevano il preludio dell'installazione di una base navale tedesca sulla costa atlantica, a minacciare direttamente Gibilterra. Il discorso di Lloyd George al Mansion House (citato da Rosmer) fu una dichiarazione di guerra velata se la Germania non avesse ceduto. Infine, la Germania riconobbe il protettorato francese in Marocco, e ricevè in scambio alcune paludi alla foce del Congo.
[22] I tedeschi vi stabilirono la birreria che oggi produce la birra "Tsingtao".
[23] Opuscolo di Junius, idem.
[24] . L'idea espressa da Clark, ma anche da Niall Fergusson in The Pity of War, che la Germania sia restata indietro alla Gran Bretagna nella corsa agli armamenti marittimi, è assurda: contrariamente alla marina tedesca, la marina britannica doveva proteggere un commercio mondiale, ed è difficile pensare come la Gran Bretagna potesse sentirsi non minacciata dalla costruzione di una flotta potente che sostava a meno di 800 chilometri della sua capitale ed ancora più vicino alle sue coste.
[25] . Sebbene, nei testi europei dell'epoca, i termini "Turchia" e "Impero ottomano" siano identici, è importante ricordarsi che l'ultimo termine è più appropriato: all'inizio del diciannovesimo secolo, l'Impero ottomano copriva non solo la Turchia ma anche ciò che oggi è la Libia, la Siria, l'Iraq, la penisola d'Arabia, ed in più una grande parte della Grecia e dei Balcani.
[26] Questa raffineria era soprattutto importante per ragioni militari: la flotta britannica era appena stata convertita alla nafta al posto del carbone, e se la Gran Bretagna possedeva del carbone in abbondanza, essa non aveva petrolio. La ricerca del petrolio in Persia fu innanzitutto stimolata dai bisogni della Royal Marine di assicurarsi le sue forniture in nafta.
[27] Junius, Capitolo 4
[28] La Prima Guerra dei Balcani esplose nel 1912 quando i membri della Lega dei Balcani (la Serbia, la Bulgaria ed il Montenegro) si unirono all'Impero ottomano col sostegno tacito della Russia. Sebbene non facesse parte della Lega, la Grecia si unì ai combattimenti, alla fine dei quali gli eserciti ottomani si trovavano battuti su tutta la linea: l'Impero ottomano per la prima volta in 500 anni si trovò privo della maggior parte dei suoi territori europei. La Seconda Guerra dei Balcani esplose immediatamente dopo, nel 1913, quando la Bulgaria si unì alla Serbia che aveva occupato, con la connivenza della Grecia, una grande parte della Macedonia che era stata promessa alla Bulgaria.
[29] https://www.theguardian.com/commentisfree/2013/jun/17/1914-18-not-futile-war.
[30] Questi documenti furono presi dai tedeschi che dopo la guerra ne pubblicarono lunghi brani. Come Rosmer segnala: "Gli apprezzamenti dei rappresentanti del Belgio a Berlino, Parigi e Londra, hanno un valore particolare. Il Belgio è neutrale. Essi hanno dunque una visione più libera rispetto ai sostenitori per apprezzare gli avvenimenti; in più, non ignorano che in caso di guerra tra i due grandi gruppi belligeranti il loro piccolo paese correrà grande rischi, in particolare di servire da campo di battaglia" (Ibid, p.68).
[31] Ibid, p69
[32] Ibid, p70.
[33] Ibid, p70
[34] Ibid, p73
[35] Ibid, p72.
[36] Ibid, p87.
[37] Del resto, il governo austro-ungarico aveva già tentato di esercitare una pressione sulla Serbia divulgando allo storico Heinrich Friedjung dei documenti fraudolenti supposti manifestare un complotto serbo contro la Bosnia-Erzegovina (cf, Clark, p.88, edizione Kindle).
[38] Citato da Rosmer, p. 87, a partire da documenti tedeschi pubblicati dopo la guerra.
[39] Rosmer, p. 87.
[40] Rosmer, p. 102
[41] Ibid, p. 84.
[42] Une riferimento all'attacco devastante portato da Emile Zola contro il governo durante l'affare Dreyfus.
[43] Rosmer, p. 91. La conversazione è riportata nella biografia di Jaurès di Charles Rappoport ed è confermata nelle proprie carte di Abel Ferry. (cf. Alexandre Croix, Jaurès ed i suoi detrattori, Edizioni Spartacus, p. 313).
[44] Jaurès fu ucciso mentre mangiava al Caffè del Croissant, di fronte agli uffici de L'Humanité. Raoul Villain presentava molte similarità con Gavrilo Princip: instabile, emotivamente fragile, dedicato al misticismo politico o religioso - tutto sommato, esattamente il genere di personaggio che i servizi segreti utilizzano come provocatore che si può sacrificare senza alcun ripensamento . Dopo l'omicidio, Villain fu arrestato e trascorse il periodo di guerra in sicurezza, con il conforto di una prigione. Al suo processo fu assolto, e la Sig.ra Jaurès si vede obbligata a pagare le spese giudiziarie.