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Nel numero 29 della nostra Rivista Internazionale (disponibile anche on line) abbiamo pubblicato larghi estratti di un testo di orientamento discusso all’interno della nostra organizzazione che tratta di Marxismo ed Etica. Nei brani pubblicati possiamo leggere:
“Abbiamo sempre insistito sul fatto che gli statuti della CCI non sono un elenco di regole che definiscono ciò che è permesso e ciò che non lo è, ma un orientamento per il nostro atteggiamento e la nostra condotta, che includono un insieme coerente di valori morali (in particolare per quel che riguarda i rapporti tra gli stessi militanti e di questi verso l’organizzazione). E’ per tale motivo che esigiamo da tutti quelli che vogliono diventare membri della nostra organizzazione un accordo profondo con questi valori. I nostri statuti sono una parte integrante della nostra piattaforma, e non servono solamente a stabilire chi può diventare membro della CCI ed in quali condizioni. Condizionano il quadro e lo spirito della vita militante dell’organizzazione e di ciascuno dei suoi membri.
Il significato che la CCI ha sempre assegnato a questi principi di comportamento è illustrato dal fatto che si è sempre impegnata a difenderli, anche a rischio di subire crisi organizzative. Per questo fatto, la CCI si è situata in maniera cosciente ed incrollabile nella tradizione di lotta di Marx ed Engels all’interno della Prima Internazionale, dei Bolscevichi e della Frazione italiana della Sinistra comunista. Ciò l’ha resa capace di superare tutta una serie di crisi e di mantenere i principi fondamentali di un comportamento di classe.
Tuttavia la CCI ha difeso il concetto di una morale e di un’etica proletaria in maniera più implicito che esplicito; l’ha messo in pratica in modo empirico piuttosto che generalizzato da un punto di vista teorico. Di fronte alle grandi reticenze della nuova generazione di rivoluzionari, sorta alla fine degli anni 1960, verso ogni concetto di morale, considerata necessariamente reazionaria, l’atteggiamento sviluppato dall’organizzazione è stato quello di accordare più importanza al fatto che fossero accettati gli atteggiamenti ed i comportamenti della classe operaia piuttosto che condurre questo dibattito molto generale in un momento in cui quest’ultimo non era ancora maturo.
Le questioni di morale proletaria non sono il solo campo verso cui la CCI ha proceduto in questa maniera. Nei primi anni di esistenza della CCI esistevano riserve similari sulla necessità della centralizzazione, il carattere indispensabile dell’intervento dei rivoluzionari ed il ruolo dirigente dell’organizzazione nello sviluppo della coscienza di classe, la necessità di combattere il democraticismo o il riconoscimento dell’attualità della lotta contro l’opportunismo ed il centrismo”.
Nella prima parte sono stati trattati i seguenti temi:
· Il problema della decomposizione e la perdita di fiducia nel proletariato e nell’umanità.
· Le cause delle riserve tra i rivoluzionari verso il concetto di morale proletaria dopo 1968.
· La natura della morale.
· L’etica, cioè la teoria della morale, precede il marxismo.
· Il marxismo e le origini della morale.
· La lotta del proletariato contro la morale borghese.
· La morale del proletariato.
In questa seconda parte ritorneremo sulle lotte condotte dal marxismo contro differenti forme e manifestazioni della morale borghese e sulla necessaria lotta che il proletariato dovrà condurre contro gli effetti della decomposizione della società capitalista, in particolare nella prospettiva della riconquista di quest’elemento essenziale della sua lotta e della sua prospettiva storica, la solidarietà.
La lotta del Marxismo contro l’idealismo etico
Alla fine del diciannovesimo secolo la corrente intorno a Bernstein all’interno della Seconda Internazionale sosteneva che nella misura in cui il marxismo pretendeva di basarsi su un metodo scientifico, escludeva il ruolo dell’etica nella lotta di classe. Considerando che un approccio scientifico ed un approccio etico si escludono reciprocamente, questa corrente predicava la rinuncia all’approccio scientifico a profitto di quello etico. Proponeva di “completare” il marxismo con l’etica di Kant. Dietro questa volontà di condannare moralmente l’avidità degli individui capitalisti, emergeva la determinazione del riformismo borghese a seppellire ciò che è fondamentalmente non conciliabile tra il capitalismo ed il comunismo.
Lungi dall’escludere l’etica, l’approccio scientifico del marxismo introduce per la prima volta una dimensione realmente scientifica alla conoscenza sociale e pertanto alla morale. Ricompone il puzzle della storia attraverso la comprensione che il rapporto sociale essenziale è quello che esiste tra la forza lavoro (il lavoro vivo) ed i mezzi di produzione (il lavoro morto). Il capitalismo aveva preparato la via a questa scoperta, esattamente come ha preparato la via al comunismo spersonalizzando il meccanismo dello sfruttamento.
In realtà, l’appello a ritornare all’etica di Kant rappresentava una regressione teorica anche rispetto al materialismo borghese che aveva già compreso quali erano le origini sociali del “bene e del male”. Dopo di allora ogni avanzamento nel sapere sociale ha confermato ed approfondito questa comprensione. Ciò si applica al progresso, non solamente nelle scienze come nel caso della psicanalisi, ma anche nell’arte. Come scrisse Rosa Luxemburg, “Amleto, attraverso il crimine di sua madre, è confrontato alla dissoluzione di ogni legame umano ed ad un mondo al di fuori dalla sua comprensione. La stessa cosa avviene con Dostoïevski, quando considera il fatto che un essere umano possa assassinare un altro. Egli non trova pace, si sente responsabile di questo orribile fardello che pesa sulle sue spalle, come è per ciascuno di noi. Deve entrare nell’anima dell’omicida, deve braccare la sua miseria, la sua afflizione, fino alle pieghe più nascoste del suo cuore. Soffre tutte le sue torture ed è accecato dalla terribile comprensione che l’omicida stesso è la vittima più disgraziata della società... I romanzi di Dostoïevski sono degli attacchi feroci contro la società borghese in faccia alla quale grida: il vero omicida, l’omicida dell’anima umana, siete voi”(1)
Questo era anche il punto di vista difeso dalla giovane dittatura del proletariato in Russia che chiedeva ai tribunali di “liberarsi interamente di ogni spirito di rivalsa. Essi non possono vendicarsi delle persone semplicemente perché hanno dovuto vivere in una società borghese”. (2)
È giustamente la comprensione che tutti noi siamo vittime delle circostanze che fa dell’etica marxista l’espressione più elevata del progresso morale dei nostri giorni. Questo approccio non abolisce la morale, come pretendono i borghesi, e non esclude la responsabilità individuale come farebbe l’individualismo piccolo borghese. Ma rappresenta un passo da gigante perché fonda la morale sulla comprensione piuttosto che sulla colpa, il sentimento di colpevolezza che intralcia il progresso morale in quanto fa una separazione tra la personalità di ciascuno di noi e gli altri uomini. Sostituisce l’odio delle persone, questa sorgente primordiale di pulsione anti-sociale, con l’indignazione e la rivolta rispetto a dei rapporti e dei comportamenti sociali.
La nostalgia riformista nei confronti di Kant era in realtà l’espressione dell’erosione della volontà di combattere. L’interpretazione idealista della morale, negando ad essa un ruolo di trasformazione dei rapporti sociali, è una concessione emozionale all’ordine esistente. Sebbene gli ideali più elevati dell’umanità siano sempre stati quelli della pace interiore e dell’armonia col mondo sociale e naturale che ci circonda, questi possono essere raggiunti solo attraverso una lotta costante. La prima condizione della felicità umana è sapere che si fa ciò che è necessario, che si serve, volontariamente, una grande causa.
Kant aveva compreso molto meglio dei filosofi utilitaristi borghesi come Bentham (3) la natura contraddittoria della morale borghese. In particolare, aveva compreso che l’individualismo sfrenato, anche nella forma positiva della ricerca della felicità personale, poteva condurre alla dissoluzione della società. Il fatto che nel capitalismo possano esserci solo vincitori nella lotta legata alla concorrenza, rende inevitabile la divisione tra ciò a cui si aspira ed il dovere. L’insistenza di Kant sulla preminenza del dovere corrisponde al riconoscimento del fatto che il valore più elevato della società borghese non è l’individuo ma lo Stato e, in particolare, la nazione.
Nella morale borghese il patriottismo è un valore molto più grande dell’amore per l’umanità. In effetti, dietro la mancanza di indignazione all’interno del movimento operaio di fronte al riformismo, traspariva già l’erosione dell’internazionalismo proletario.
Per Kant, un atto morale motivato dal senso del dovere ha un maggiore valore etico rispetto ad un atto compiuto con entusiasmo, passione e piacere. Qui il valore etico è legato alla rinuncia, all’idealizzazione del sacrificio di se stesso per l’ideologia nazionalista e statale. Il proletariato rigetta in modo assoluto questo culto disumano del sacrificio di se stesso che la borghesia ha ereditato della religione. Sebbene la gioia della lotta contenga necessariamente il fatto di essere pronti a soffrire, il movimento operaio non ha mai fatto di questo male necessario una qualità morale in sé. Del resto, anche prima del marxismo, i migliori contributi all’etica hanno sempre sottolineato le conseguenze patologiche ed immorali di un tale approccio. Contrariamente a ciò che crede l’etica borghese, il sacrificio di sé non santifica un fine che non è valido.
Come ha sottolineato Franz Mehring anche Schopenhauer, che fondava la sua etica sulla compassione piuttosto che sul dovere, ha rappresentato un passo decisivo rispetto a Kant. (4)
La morale borghese, incapace finanche di immaginare il superamento della contraddizione tra individuo e società, tra egoismo ed altruismo, si schiera per l’uno contro l’altro o cerca un compromesso tra i due. Non arriva a comprendere che lo stesso individuo ha una natura sociale. Contro le morali idealiste il marxismo difende l’idealismo morale come un’attività che dà del piacere e come una delle carte vincenti più potenti di una classe che avanza contro una classe in decomposizione.
Un’altra attrattiva dell’etica kantiana per l’opportunismo è che il suo rigorismo morale, la sua formula de “l’imperativo categorico”, conteneva la promessa di una sorta di codice che avrebbe permesso di potere risolvere automaticamente tutti i conflitti morali. Per Kant la certezza che si ha ragione è caratteristica dell’attività morale. (...) Qui di nuovo si esprime la volontà di evitare la lotta.
Il carattere dialettico della morale è negato, là dove la virtù ed il vizio, nella vita concreta, non sono sempre facilmente distinguibili. Come Josef Dietzgen ha sottolineato, la ragione non può determinare in anticipo il corso dell’azione, poiché ogni individuo ed ogni situazione sono unici e senza precedenti. I problemi morali complessi devono essere studiati in modo da essere compresi e risolti in modo creativo. Ciò può esigere talvolta un’investigazione particolare ed anche la creazione di un organo specifico, come il movimento operaio ha compreso già da molto tempo. (5)
In realtà, i conflitti morali fanno inevitabilmente parte della vita, e non solamente in seno alla società di classe. Per esempio, differenti principi etici possono entrare in conflitto gli uni con gli altri (...), come pure il conflitto si può generare tra i diversi livelli della vita sociale dell'uomo (le sue responsabilità nei confronti della classe operaia, della famiglia, l'equilibrio della personalità, ecc.). Ciò richiede di essere pronti a vivere momentaneamente con le incertezze, in modo da permettere un vero esame, evitando la tentazione di far tacere la propria coscienza; capacità di rimettere in questione i propri pregiudizi; e soprattutto, un metodo collettivo rigoroso di chiarimento.
Nel lotta contro il neo-Kantismo, Kautsky ha mostrato come il contributo di Darwin sulle origini della coscienza nelle pulsioni biologiche, all'origine animali, aveva frantumato la forza della presa delle morali idealistiche. Questa forza invisibile, questa voce appena udibile che opera solamente nelle profondità interne della personalità, è sempre stata il punto cruciale delle controversie etiche. L'etica idealista aveva ragione di insistere sul fatto che la cattiva coscienza non può essere spiegata dalla paura dell'opinione pubblica o dalle sanzioni della maggioranza. Al contrario, questa coscienza può obbligarci ad opporci all'opinione pubblica ed alla repressione, o a rimpiangere le nostre azioni, anche se queste incontrano un'approvazione universale. "La legge morale non è altro che una pulsione animale. Di là proviene la sua natura misteriosa, questa voce in noi che non è in relazione con nessuna pulsione esterna, nessun interesse visibile, questo demonio o questo Dio che Socrate e Platone fino a Kant, i teorici della morale, hanno sentito, essi che hanno negato di fare conseguire la morale dall'ego o dal piacere. Una pulsione realmente misteriosa, ma non più misteriosa dell'amore sessuale, l'amore materno, l'istinto di conservazione... Il fatto che la legge morale sia un istinto universale, comparabile all'istinto di conservazione e di riproduzione, spiega la sua forza, la sua persistenza, che fa che gli si ubbidisce senza riflettere" . (6)
Queste conclusioni sono state confermati da allora dalla scienza, per esempio da Freud che insisteva sul fatto che gli animali più evoluti ed i più socializzati possiedono un dispositivo psichico di base come l'uomo e potevano soffrire di nevrosi comparabili. Ma Freud non ha approfondito solamente la nostra comprensione su tali questioni. Nella misura in cui la psicoanalisi non è solamente un'investigazione ma è anche terapeutica e si propone di intervenire, condivide col marxismo una preoccupazione per lo sviluppo progressivo della predisposizione morale dell'uomo.
Freud fa delle distinzioni tra le pulsioni (l’ "Es"), l’ "Io", che permette di conoscere l'ambiente naturale e di assicurare l'esistenza (una sorte di principio di realtà), ed il "Superego" che comprende la buona coscienza ed assicura l'appartenenza alla comunità. Sebbene Freud abbia talvolta affermato nelle polemiche che la "buona coscienza" non è "nient’altro che la paura sociale", tutta la sua concezione di come i bambini assimilano la morale della società esprime chiaramente che questo processo dipende dall'attaccamento affettivo ed emozionale ai genitori e dal fatto che essi sono accettati in quanto esempio da imitare (7). (…)
Freud esamina anche le interazioni tra i fattori coscienti ed incoscienti della stessa buona coscienza. Il "Superego" sviluppa la capacità di riflettere su sé. L’ "Io", da parte sua, può e deve riflettere sulle riflessioni del "Superego". È attraverso questa "doppia riflessione" che il corso di un'azione diventa un atto cosciente, specifico a sé stesso. Ciò corrisponde alla visione marxista secondo la quale la predisposizione morale dell'uomo è basata su delle pulsioni sociali; che comprende dei componenti incoscienti, semi-coscienti e coscienti; che con l'avanzamento dell'umanità, il ruolo del fattore coscienza aumenta finché, col proletariato rivoluzionario, l'etica, basata su un metodo scientifico, diventi sempre più guida del comportamento morale; che all’interno della stessa buona coscienza, il progresso morale è inseparabile dallo sviluppo della coscienza a spese dei sentimenti di colpevolezza (8). L'uomo può sempre più assumere le sue responsabilità, non solamente nei confronti della propria buona coscienza, ma anche a causa di ciò che contengono i suoi valori morali e le sue convinzioni.
La lotta del marxismo contro l'utilitarismo etico
A dispetto delle sue debolezze, il materialismo borghese, in particolare sotto la sua forma utilitarista - col concetto che la morale è l'espressione di interessi reali ed obiettivi - rappresentava un enorme passo avanti nella teoria etica. Preparava la via ad una comprensione storica dell'evoluzione morale. Rivelando la natura relativa e transitoria di tutti i sistemi di morale, ha portato un grande colpo alla visione religiosa ed idealista di un codice, eternamente invariabile, che si pretende stabilito da Dio.
Come abbiamo visto, la classe operaia, fin dai primi tempi, traeva già le sue conclusioni socialiste da questa visione. Sebbene i primi teorici socialisti come Robert Owen o William Thompson siano andati bene al di là della filosofia di Jeremy Bentham, che avevano preso come punto di partenza, l'influenza della visione utilitarista è restata forte in seno al movimento operaio, anche dopo l'apparizione del marxismo. I primi socialisti hanno rivoluzionato la teoria di Bentham, applicando i suoi postulati di base alle classi sociali piuttosto che agli individui, preparando così la via alla comprensione della natura sociale e di classe della storia della morale. Il riconoscimento che i proprietari di schiavi non avevano lo stesso registro di valori dei commercianti o dei nomadi del deserto, né quello dei pastori delle montagne, era già stato confermato seriamente dall'antropologia durante l'espansione coloniale. Il marxismo ha approfittato di questo lavoro preparatorio, come ha approfittato degli studi di Morgan e di Maurer dando un'illuminazione sulla "genealogia delle morali" (9). Ma malgrado il progresso che ciò rappresentava, questo utilitarismo, anche sotto la sua forma proletaria, lasciava tutto un mucchio di domande senza risposta.
Primariamente, se la morale non è niente altro che la codificazione di interessi materiali, diventa lei stessa superflua e sparisce in quanto fattore sociale in sé. Il materialista radicale inglese, Mandeville, aveva affermato già su questa base che la morale non è niente altro che l'ipocrisia che serve a nascondere gli interessi fondamentali delle classi dominanti. Più tardi, Nietzsche doveva trarre conclusioni un po' differenti dalle stesse premesse: la morale è il mezzo della moltitudine che è debole per impedire il dominio dell'élite, e dunque che la liberazione da quest’ultima richiedeva il riconoscimento che per lei tutto è permesso. Ma come ha sottolineato Mehring, la pretesa abolizione della morale in Nietzsche, nella sua opera Al di là del Bene e del Male, non è niente altro che lo stabilirsi di una nuova morale, quella del capitalismo reazionario e del suo odio per il proletariato socialista, liberato dagli ostacoli della decenza piccolo borghese e dalla rispettabilità dell'alta borghesia (10). In particolare, l'identità tra interessi e morale implica, come avevano affermato già i gesuiti, che il fine giustifica i mezzi (11).
Secondariamente, prendendo per postulato che le classi sociali rappresentano "individui collettivi" che perseguono semplicemente i loro interessi, la storia appare come una disputa senza nessuno senso, e ciò che ne risulta è forse importante per le classi coinvolte ma non per la società nel suo insieme. Ciò rappresenta una regressione rispetto a Hegel che aveva già compreso, sebbene sotto una forma mistificata, non solo la relatività di ogni morale ma anche il carattere progressista dell'edificazione dei nuovi sistemi etici in violazione della morale stabilita. Era in questo senso che Hegel dichiarava: "Si può immaginare che si dice qualche cosa di grande affermando: l'uomo è naturalmente buono. Ma si dimentica che si dice qualche cosa di molto più grande dicendo: l'uomo è naturalmente cattivo" (12).
Terzo, la concezione utilitaria conduce ad un razionalismo sterile che elimina le emozioni sociali dalla vita morale.
Le conseguenze negative di questi resti dell’utilitarismo borghese sono diventati visibili quando il movimento operaio, con la Prima Internazionale, ha cominciato a superare la fase delle sette. L'investigazione sul complotto dell'Alleanza contro l'Internazionale, - in particolare, i commenti di Marx ed Engels sul "catechismo rivoluzionario" di Bakunin - rivela "l'introduzione dell'anarchia nella morale" mediante un "gesuitismo" che "spinge l'immoralità della borghesia fino alle sue estreme conseguenze". Il rapporto redatto su mandato del Congresso dall'Aia nel 1872 sottolinea i seguenti elementi della visione di Bakunin: il rivoluzionario non ha interesse personale, non affari né sentimenti personali o invidie che gli siano proprie; ha rotto non solo con l'ordine borghese, ma con la morale ed i costumi del mondo civilizzato tutto intero; considera come una virtù tutto ciò che favorisce il trionfo della rivoluzione e come un vizio tutto ciò che la frena; è sempre pronto a sacrificare tutto, ivi compreso la sua propria volontà e la sua personalità; elimina tutti i sentimenti di amicizia, di amore o di riconoscimento; confrontato alla necessità, non esita mai a liquidare qualsiasi essere umano; non conosce altra scala di valori che quella dell'utilità.
Profondamente indignati da questa visione, Marx ed Engels dichiarano che questa è la morale dei bassifondi, quella del sottoproletariato. Tanto grottesco quanto infamante, più autoritario del comunismo più primitivo, Bakunin fa della rivoluzione "una serie di assassini individuali e poi di massa" dove "l'unica regola di condotta è la morale gesuita esagerata" (13).
Putroppo, il movimento operaio nel suo insieme non ha assimilato in profondità le lezioni della lotta contro il bakuninismo. Nel suo Materialismo storico, Bukarin presenta le norme dell'etica come semplici regole e regolamenti. La tattica sostituisce la morale. Ancora più confusa è l'atteggiamento di Lukacs di fronte alla rivoluzione. Dopo avere in partenza presentato il proletariato come la realizzazione dell'idealismo morale di Kant e Fichte, Lukacs scivola nell'utilitarismo. In Che significa un'azione rivoluzionaria? (1919), dichiara: "la regola del tutto che predomina sulla parte implica il determinato sacrificio di sé... Può essere rivoluzionario solamente colui che è pronto a tutto per portare a termine questi interessi".
Ma il rafforzamento della morale utilitarista dopo il 1917 in URSS era sopratutto l'espressione dei bisogni dello stato di transizione. In "Morale e norme di classe", Preobrajensky presenta l'organizzazione rivoluzionaria come una specie di ordine monastico moderno. Vuole sottomettere anche le relazioni sessuali al principio della selezione genetica, in un mondo dove la distinzione tra individui e società sono abolite ed in cui le emozioni sono subordinate ai risultati delle scienze naturali. Anche Trotsky non è indenne da questa influenza, poiché in La loro morale e la nostra, in una difesa inconfessata della repressione di Kronstadt, difende al fondo la formula secondo la quale "il fine giustifica i mezzi".
È certamente vero che ogni classe sociale tende ad identificare il "bene" e la "virtù" ai propri interessi. Tuttavia, interesse e morale non sono identici. L'influenza di classe sui valori sociali è estremamente complessa, poiché essa integra la posizione di una data classe nel processo di produzione e la lotta di classe, le sue tradizioni, i suoi scopi e le sue attese per il futuro, la sua parte nella cultura nello stesso modo in cui tutto ciò si manifesta sotto forma dello stile di vita, delle emozioni, delle intuizioni e delle ispirazioni.
In opposizione alla confusione utilitarista tra interesse e morale, (o "dovere" come lo chiama qui) Dietzgen distingue i due. "L'interesse rappresenta più la felicità concreta, presente, tangibile; il dovere, al contrario, la felicità generale, allargata, concepita anche per l'avvenire. (...). Il dovere si preoccupa anche del cuore, dei bisogni della società, dell'avvenire, della salute dell'anima, in breve della totalità dei nostri interessi; ed esso ci insegna a rinunciare al superfluo per ottenere e conservare il necessario" (14).
In reazione alle affermazioni idealistiche dell'invarianza della morale, l'utilitarismo sociale cade nell'altro estremo ed insiste così unilateralmente sulla sua natura transitoria che perde di vista l'esistenza di valori comuni che danno una coesione alla società, e dei progressi dell’etica. La continuità del sentimento di comunità non è tuttavia una finzione metafisica.
Questo "relativismo esagerato" vede le classi individuali e la loro lotta ma non vede “il processo sociale globale, l'interconnessione dei differenti episodi e, quindi, non riesce neanche a distinguere le differenti tappe dello sviluppo morale come facenti parte di processi legati tra loro. Non possiede criteri generali con cui valutare le differenti norme, non è capace di andare al di là delle apparenze immediate e temporanee. Non riunisce le differenti apparenze in un'unità per mezzo del pensiero dialettico" (15).
Per ciò che riguarda i rapporti tra fine e mezzi, la formulazione corretta del problema non è che il fine giustifica i mezzi ma che lo scopo influisce sui mezzi e che i mezzi influiscono sullo scopo. I due termini della contraddizione si decidono reciprocamente e si condizionano un l'altro. Inoltre, il fine ed i mezzi non sono altro che anelli in una catena storica di cui ogni fine diventa un mezzo per raggiungere un scopo più elevato. E’ per tale motivo che il rigore metodologico ed etico deve applicarsi a tutto il processo, riferendosi al passato ed al futuro, e non solamente all'immediato. I mezzi che non servono ad un scopo dato, finiscono col deformarlo ed allontanarsene. Il proletariato, per esempio, non può vincere la borghesia utilizzando le armi di questa. La morale del proletariato si orienta al tempo stesso secondo la realtà sociale e secondo le emozioni sociali. E’ per tale motivo che rigetta allo stesso tempo l'esclusione dogmatica della violenza ed il concetto di indifferenza morale nei confronti dei mezzi impiegati.
In parallelo con questa falsa comprensione dei legami tra scopo e mezzi, Preobrajensky considera anche che la sorte delle parti, ed in particolare dell'individuo, non è importante e può essere sacrificato comodamente nell'interesse del tutto. Non era tuttavia l'atteggiamento di Marx che considerava la Comune di Parigi come prematura, ma tuttavia ha solidarizzato con essa per solidarietà; né quella di Eugenio Leviné e del giovane KPD che sono entrati nel governo della Repubblica dei Consigli della Baviera quando era sul punto di fallire, nonostante si fossero opposti alla sua proclamazione, per organizzare la sua difesa in modo da minimizzare il numero di vittime proletarie. Il criterio unilaterale dell'utilitarismo di classe apre in effetti la porta ad una solidarietà di classe molto condizionale.
Come ha sottolineato Rosa Luxemburg nella sua polemica contro Bernstein, la contraddizione principale al cuore del movimento proletario è che la sua lotta quotidiana si trova in seno al capitalismo mentre i suoi scopi sono verso l'esterno e rappresentano una rottura fondamentale con questo sistema. Ne risulta che l'uso della violenza e dell'astuzia contro il nemico di classe sono necessari, e l'espressione di un odio di classe e di aggressioni anti-sociali difficili da evitare. Ma il proletariato non è moralmente indifferente di fronte a tali manifestazioni. Anche quando adopera la violenza, non deve dimenticare mai, come ha affermato Pannekoek, che il suo scopo è di illuminare gli spiriti, non di distruggerli. E come Bilan (16) ha concluso, valutando l'esperienza russa, il proletariato deve evitare per quanto possibile l'uso della violenza contro gli strati non sfruttatori e di escluderli, per principio, dai ranghi della classe operaia. Anche nel contesto della guerra civile contro il nemico di classe, il proletariato deve essere convinto della necessità di agire contro l'apparizione di sentimenti anti-sociali come la vendetta, la crudeltà, la volontà di distruggere poiché conducono all'abbrutimento ed indeboliscono la luce della coscienza. Tali sentimenti sono il segno della penetrazione dell'influenza di una classe estranea. Non è per caso che dopo la rivoluzione di ottobre, Lenin considerava che, giustamente dopo l'estensione della rivoluzione, la precedenza doveva essere l'elevazione del livello culturale delle masse. Dobbiamo ricordarci anche che è innanzitutto perché aveva visto la crudeltà e l'indifferenza morali di Stalin che Lenin è stato capace di identificare (nel suo" testamento") il pericolo che rappresentava.
I mezzi adoperati dal proletariato devono corrispondere, per quanto possibile, al tempo stesso allo scopo ed alle emozioni sociali che corrispondono alla sua natura di classe. Non è a caso che in nome di queste emozioni, il programma del 14 dicembre 1918 del KPD, pure difendendo risolutamente la necessità della violenza di classe, rigettava l'uso del terrore.
"La rivoluzione proletaria non ha nessuno bisogno del terrore per realizzare i suoi obiettivi. Essa odia ed aborrisce l'assassinio. Essa non ha bisogno di ricorrere a questi mezzi di lotta perché non combatte degli individui, ma delle istituzioni, perché non entra nell'arena con le illusioni ingenue che, deluse, implicherebbero una sanguinosa vendetta " (17).
In opposizione a ciò, l'eliminazione del lato emozionale della morale da parte dell'utilitarismo materialista meccanicista è tipicamente borghese. In questa visione, l'uso delle menzogne, dell'inganno è moralmente superiore se serve al compimento di un scopo dato. Ma le menzogne che i bolscevichi hanno fatto circolare per giustificare la repressione di Kronstadt, hanno minato non solo la fiducia della classe nel partito ma hanno anche destabilizzato la convinzione degli stessi bolscevichi. La visione secondo la quale "il fine giustifica i mezzi", nega nella pratica la superiorità etica della rivoluzione proletaria sulla borghesia. Dimentica che più la preoccupazione di una classe corrisponde al benessere dell'umanità, più questa classe può trarre la sua forza morale.
Lo slogan che trionfa nel mondo degli affari secondo cui conta solo il successo, qualunque siano i mezzi impiegati, non potrebbe applicarsi alla classe operaia. Il proletariato è la prima classe rivoluzionaria la cui vittoria finale è preparata da una serie di sconfitte. Le lezioni inestimabili, ma anche l'esempio morale dei grandi rivoluzionari e delle grandi lotte operaie sono le condizioni per una vittoria futura.
Gli effetti della decomposizione del capitalismo
Nel periodo storico presente, l'importanza della questione dell'etica è più grande che mai. La tendenza caratteristica alla disgregazione dei legami sociali e di ogni pensiero coerente ha obbligatoriamente degli effetti negativi sulla morale. Di più, il disorientamento etico in seno alla società è lui stesso una componente centrale del problema che si trova al centro della decomposizione del tessuto sociale. La situazione di blocco che si è prodotta tra le risposte della borghesia alla crisi del capitalismo e la risposta del proletariato, tra la guerra mondiale e le rivoluzioni mondiali, è legata direttamente alla sfera dell'etica sociale. L'uscita dalla controrivoluzione dovuta ad una nuova generazione del proletariato che, dopo il 68, non era stata sconfitta, significava il discredito storico del nazionalismo, soprattutto nei paesi dove si trovano i settori più forti del proletariato mondiale. D’altra parte, però, le lotte operaie massicce dopo il 68 non si sono accompagnate, per il momento, ad uno sviluppo corrispondente della dimensione teorica e politica della lotta proletaria, in particolare ad un'affermazione esplicita e cosciente del principio dell'internazionalismo proletario. Perciò, nessuna delle due maggiori classi della società contemporanea sono state capaci, per il momento, di fare progredire il proprio ideale specifico di classe rispetto alla comunità sociale.
In generale, la morale dominante è quella della classe dominante. Per questa precisa ragione ogni morale dominante, in modo da servire gli interessi della classe dominante, deve nello stesso tempo contenere degli elementi di interesse generale in modo da assicurare la coesione della società. Uno di questi elementi è lo sviluppo di una prospettiva o di un ideale di comunità sociale. Un tale ideale è un fattore indispensabile per frenare le pulsioni anti-sociali.
Come abbiamo visto, il nazionalismo è l'ideale specifico della società borghese. Questo corrisponde al fatto che lo Stato nazionale è l'unità più evoluta che può realizzare il capitalismo. Quando il capitalismo entra nella sua fase decadente, la stato-nazione smette definitivamente di essere uno strumento di progresso nella storia, diventando in effetti il principale strumento della barbarie sociale. Ma già ben prima che si sia prodotto il becchino del capitalismo, il proletariato - proprio perché è il portatore di un ideale più elevato, internazionalista - è stato capace di mettere in luce la natura ingannevole della comunità nazionale. Sebbene nel 1914 i lavoratori abbiano dimenticato in principio questa lezione, la Prima Guerra mondiale andava a rivelare la realtà della principale tendenza, non solo della morale borghese, ma della morale di tutte le classi sfruttatrici. Questa consiste nella mobilitazione degli slanci più eroici, più altruistici, delle classi lavoratrici al servizio della più misera e più sordida delle cause.
Malgrado il suo carattere ingannevole e sempre più barbaro, la nazione è il solo ideale che la borghesia può sventolare per dare una coesione alla società. Non c’è che questo ideale nella realtà contemporanea della struttura statale della società borghese. E’ per questo motivo che tutti gli altri ideali sociali che emergono oggi - la famiglia, l'ambiente naturale locale, la religione, la comunità culturale o etnica, lo stile di vita in gruppo o in gang - sono realmente delle espressioni del dissolvimento della vita sociale, della putrefazione della società di classe. E questo è altrettanto vero per tutte le risposte morali che tentano di coinvolgere la società nel suo insieme, ma sulla base dell'interclassismo: l'umanitarismo, l'ecologismo, "l'altermondializzazione". Prendendo come postulato che il miglioramento dell'individuo è alla base del rinnovo della società, esse rappresentano espressioni democraticistiche della stessa frammentazione individualistica alla base della società. Va da sé che tutte queste ideologie servono mirabilmente la classe dominante nel sua lotta per bloccare lo sviluppo di un'alternativa di classe, proletaria, internazionalista, al capitalismo.
In seno alla società in decomposizione, possiamo identificare certi tratti che hanno delle implicazioni dirette al livello dei valori sociali.
Innanzitutto, la mancanza di prospettiva fa che i comportamenti umani tendono ad orientarsi verso il presente ed il passato. Come abbiamo visto, una parte centrale del cuore razionale della morale è la difesa degli interessi a lungo termine contro il peso dell'immediato. L'assenza di una prospettiva a lungo termine favorisce la perdita di solidarietà tra individui e gruppi della società contemporanea, ma anche tra le generazioni. Ne risulta che tende a svilupparsi la mentalità pogromista e cioè l'odio distruttore verso un capro espiatorio reso responsabile della scomparsa di un migliore passato idealizzato. Sulla scena politica mondiale, possiamo osservare questa tendenza nello sviluppo dell'anti-semitismo, dell'anti-occidentalismo o dell'anti-islamismo, nella moltiplicazione delle "pulizie etniche", nell’ascesa del populismo politico contro gli immigrati e di una mentalità di ghetto degli stessi immigrati. Ma questa mentalità tende ad impregnare la vita sociale nel suo insieme, come dimostra lo sviluppo del "mobbing" come fenomeno generale.
In secondo luogo, lo sviluppo della paura sociale tende a paralizzare al tempo stesso gli istinti sociali e la riflessione coerente, i principi di base della solidarietà umana e soprattutto di classe oggi. Questa paura è il risultato dell'atomizzazione sociale che dà ad ogni individuo il sentimento di essere solo coi suoi problemi. Questa solitudine dà di riflesso un'illuminazione particolare al modo con cui viene visto il resto della società, rendendo più imprevedibili le reazioni degli altri esseri umani, ciò che fa che questi ultimi sono considerati come minacciosi ed ostili. Questa paura - che nutre tutte le correnti irrazionali di pensiero che sono rivolte verso il passato ed il nulla - deve essere distinta dalla paura che risulta da un'insicurezza sociale crescente provocata dalla crisi economica, perché un tale sentimento di insicurezza materiale può diventare un potente stimolante della solidarietà di classe di fronte a questa crisi economica.
Infine, la mancanza di prospettiva ed il degrado dei legami sociali fa sì che, per numerosi esseri umani, la vita sembra essere priva di senso. Questa atmosfera di nichilismo è in generale insopportabile per l'umanità, perché è in contraddizione con l’essenza cosciente e sociale della specie umana. Dà adito ad una serie di fenomeni molto intricati di cui il più importante è lo sviluppo di una nuova religiosità e di una fissazione sulla morte.
Nelle società principalmente fondate sull'economia naturale, la religione è innanzitutto l'espressione di un arretramento, di un'ignoranza e di una paura delle forze della natura. Nel capitalismo, la religione si nutre principalmente dell'alienazione sociale, della paura delle forze sociali che sono diventate inspiegabili ed incontrollabili. All'epoca della decomposizione del capitalismo, è innanzitutto il nichilismo ambientale che alimenta il bisogno di religione. Mentre la religione tradizionale, per quanto reazionario sia stato il suo ruolo, faceva sempre parte della visione di un mondo comunitario, e la religione modernizzata della borghesia rappresentava l'adattamento di questa visione tradizionale del mondo alla prospettiva della società capitalista, il misticismo della decomposizione capitalista si nutre del nichilismo ambientale. Che ciò sia sotto forma di una pura atomizzazione delle "anime" esoteriche alla ricerca del famoso "ritrovare sé stesso" all'infuori di ogni contesto sociale, o sotto forma della mentalità totalmente chiusa delle sette e del fondamentalismo religioso che offrono la cancellazione della personalità e l'eliminazione della responsabilità individuale, questa tendenza, mentre pretende di costituire una risposta, non è in realtà che l'espressione spinta all'estremo di questo nichilismo.
Di più, è questa mancanza di prospettiva e questo dissolvimento del legame sociale che fa che la realtà biologica della morte sembra togliere il suo senso alla vita individuale. L'aspetto morboso che ne consegue (di cui si nutre per una buona parte il misticismo di oggi) trova la sua espressione o in una paura smisurata della morte, o in un'inspirazione patologica a morire. La prima espressione si concretizza nella mentalità "edonistica" del "fun society" (il cui motto potrebbe essere per esempio: "mangiamo, beviamo fino ad esplodere, perché domani morremo"); l'altro nei culti come il satanismo, le sette della fine del mondo e nel culto crescente della violenza, della distruzione e del martirio, come nel caso dei kamikaze.
Il marxismo in quanto visione materialista, rivoluzionaria del proletariato, è sempre stato caratterizzato dal suo profondo attaccamento al mondo e la sua affermazione appassionata del valore della vita umana. Allo stesso tempo, il suo punto di vista dialettico ha compreso la vita e la morte, l'essere ed il nulla come facenti parte di un'unità indivisibile. Non ignora la morte e non sopravvaluta neanche il suo ruolo nella vita. La specie umana fa parte della natura. Come tale, la nascita, la crescita, ma anche la malattia, il declino e la morte fanno tanto parte della sua esistenza come il tramonto del sole o la caduta delle foglie in autunno. Ma l'uomo non è solo un prodotto della natura ma anche della società. In quanto erede delle esperienze della cultura umana, portatore del suo divenire, il proletariato rivoluzionario si ricollega alle sorgenti sociali di una forza reale, radicata nella chiarezza di pensiero e la fraternità, la pazienza e l'umorismo, la gioia e l'affetto, la sicurezza reale di una fiducia ben fondata.
La solidarietà e la prospettiva del comunismo oggi
Per la classe operaia, l'etica non è qualche cosa di astratto, a lato dalla sua lotta. La solidarietà, la base della sua morale di classe, è allo stesso tempo la prima condizione della sua vera capacità ad affermarsi in quanto classe in lotta.
Oggi, il proletariato è confrontato al compito di riconquistare la sua identità di classe che ha subito un enorme riflusso dopo il 1989. Questo compito è inseparabile dalla lotta per riappropriarsi delle sue tradizioni di solidarietà.
La solidarietà non è semplicemente una componente centrale della lotta quotidiana della classe operaia, ma porta anche in germe la società futura. I due aspetti che si ricollegano al presente ed al futuro, si influenzano reciprocamente. La nuova riapparizione della solidarietà di classe in seno alle lotte operaie è un aspetto essenziale della dinamica attuale della lotta di classe e dell'apertura della strada verso una nuova prospettiva rivoluzionaria. Una tale prospettiva, di rimbalzo, quando sarà liberata, sarà un potente fattore del rafforzamento della solidarietà nelle lotte immediate del proletariato.
Questa prospettiva è dunque decisiva di fronte ai problemi che pongono alla classe operaia la decadenza e la decomposizione del capitalismo. E così, ad esempio, per la questione dell'immigrazione. Nel capitalismo ascendente, la posizione del movimento operaio, in particolare della Sinistra, era di difendere l'apertura delle frontiere ed il libero movimento del lavoro. Ciò faceva parte del programma minimo della classe operaia. Oggi, la scelta tra frontiere aperte o chiuse è una falsa alternativa poiché è unicamente l'abolizione di tutte le frontiere che può risolvere la questione. Nelle condizioni della decomposizione, la questione dell'immigrazione tende ad erodere la solidarietà di classe, minacciando anche di infestare gli operai con mentalità pogromiste. Di fronte a questa situazione, la prospettiva di una comunità mondiale, basata sulla solidarietà, è il fattore più efficace della difesa del principio dell'internazionalismo proletario.
A condizione che la classe operaia, attraverso un lungo periodo di sviluppo delle sue lotte e della riflessione politica, giunga a riguadagnare la sua identità di classe, il fatto di riconoscere a qual punto le emozioni sociali, le relazioni e i modi di comportamento sono minati dal capitalismo dei nostri giorni, può diventare in sé un fattore che spinge il proletariato a formulare in modo cosciente i suoi valori di classe. L'indignazione della classe operaia di fronte ai comportamenti provocati dal capitalismo in decomposizione, e la coscienza che solo la lotta proletaria può offrire un'alternativa, sono centrali affinché il proletariato possa riaffermare la sua prospettiva rivoluzionaria.
L'organizzazione rivoluzionaria ha un ruolo indispensabile da giocare in questo processo, non solo attraverso la propaganda dei principi di classe ma anche, e sopratutto, dando lei stessa un esempio vivente della loro applicazione e della loro difesa.
Peraltro, la difesa della morale proletaria è uno strumento indispensabile nella lotta contro l'opportunismo e dunque, nella difesa del programma della classe operaia. Più fermamente che mai, i rivoluzionari devono restare nella tradizione del marxismo conducendo un lotta intransigente contro ogni comportamento che viene da una classe estranea.
"Il bolscevismo ha creato il tipo del vero rivoluzionario che agli scopi storici incompatibili con la società contemporanea subordina le condizioni della sua esistenza individuale, le sue idee ed i suoi giudizi morali. Le distanze indispensabili al riguardo dell'ideologia borghese erano mantenute nel partito attraverso una vigile intransigenza di cui l'ispiratore era Lenin. Non smetteva di lavorare di scalpello, tagliando i legami che l'ambiente piccolo-borghese creava tra il partito e le opinioni pubbliche ufficiali. Allo stesso tempo, Lenin spingeva il partito a formare la sua opinione pubblica, basandosi sul pensiero ed i sentimenti della classe. Per selezione ed educazione, in una lotta continua, il partito bolscevico creò così, non solo il suo mezzo politico ma anche morale, indipendente dell'opinione pubblica borghese ed irriducibile oppositore a questa. È solamente ciò che permise ai Bolscevichi di superare le esitazioni nelle proprie fila e di manifestare la virile risoluzione senza la quale la vittoria di ottobre sarebbe stato impossibile" (18).
1. Luxemburg: “Lo spirito della letteratura russa” (Introduzione a Korolenko) 1919
2. Bukharin e Preobrajensky: “L’ABC del comunismo - Commento al programma dell’8° Congresso del Partito, 1919”. Capitolo IX. La giustizia proletaria. § 74: I metodi penali proletari.
3. Jeremy Bentham (1748-1832) era un filosofo, giurista e riformatore britannico. Era amico, in particolare, di Adam Smith e di Jean-Baptiste Say due dei maggiori economisti della borghesia all’epoca in cui quest’ultima era ancora una classe rivoluzionaria. Ha influenzato dei filosofi “classici” di questa come John Stuart Mill, John Austin, Herbert Spencer, Henry Sidgwick o James Mill. Ha portato il suo sostegno alla rivoluzione francese del 1789 fornendole inoltre parecchie proposte concernenti l’istituzione del diritto, il sistema giudiziario, penitenziario, l’organizzazione politica dello Stato, e la politica nei confronti delle colonie (Emancipate your Colonies). Del resto la giovane Repubblica francese lo nomina cittadino onorario il 23 agosto 1792. La sua influenza si ritrova nel Codice civile (chiamato anche “Codice Napoleonico”) che ancora oggi continua a reggere il diritto privato francese. Il pensiero di Bentham parte dal seguente principio: gli individui concepiscono i loro interessi solo nel rapporto tra il piacere e la sofferenza. Cercano di “massimizzare” la loro felicità, espressa come surplus di piacere sulla sofferenza. Per ogni individuo si tratta di procedere ad un calcolo edonistico. Ogni azione possiede degli effetti negativi e degli effetti positivi, e ciò per un tempo più o meno lungo e con diversi gradi di intensità; per l’individuo si tratta dunque di realizzare ciò che gli porta più felicità. Bentham chiamerà Utilitarismo questa dottrina fin dal 1781. Egli mise a punto un metodo, “Il calcolo della felicità e della sofferenza” che mira a determinare scientificamente - cioè utilizzando regole precise - la quantità di piacere e di sofferenza generata dalle nostre diverse azioni.
Questi criteri sono sette:
· Durata: Un piacere lungo e duraturo è più utile di un piacere passeggero.
· Intensità: Un piacere intenso è più utile di un piacere di debole intensità.
· Certezza: Un piacere è più utile se si è sicuri che si realizzerà.
· Prossimità: Un piacere immediato è più utile di un piacere che si realizzerà a lungo termine.
· Estensione: Un piacere vissuto da parecchi è più utile di un piacere vissuto da solo.
· Fecondità: Un piacere che ne trascina altri è più utile di un piacere semplice.
· Purezza: Un piacere che non determina ulteriore sofferenza è più utile di un piacere che rischia di portarne.
Teoricamente, l’azione più morale sarà quella che riunisce il maggior numero di criteri. 4. Mehring, “Ritorno a Schopenhauer”, Neue Zeit. 1908/09 5. La maggior parte delle organizzazioni politiche del proletariato, accanto agli organi di centralizzazione incaricati di trattare “affari correnti”, si sono dotate di organi quali “commissioni di controllo” o “commissioni dei conflitti”, composte di militanti sperimentati e che godevano di grande fiducia da parte dei loro compagni, il cui compito specifico era affrontare delle questioni delicate che toccavano aspetti particolarmente sensibili e necessitavano la discrezione del comportamento dei militanti all’interno o all'infuori dell'organizzazione.
6. Kautsky: Etica e Materialismo storico. Capitolo: "l'etica del Darwinismo" (Gli istinti sociali)
7. Ciò è stato confermato dalle osservazioni di Anna Freud secondo le quali gli orfani usciti dai campi di concentramento, mentre stabilivano tra essi un tipo di solidarietà rudimentale, su basi egualitarie, non accettavano i riferimenti morali e culturali della società nel suo insieme se non quando erano raggruppati in più piccole unità "familiari", dirette ciascuna da una persona adulta rispettata, al riguardo di cui i bambini potevano sviluppare dell'affetto e dell'ammirazione.
8. Il libro di Kautsky sull'etica è il primo studio marxista globale di questa questione ed il suo principale contributo alla teoria socialista. Tuttavia, sopravvaluta l'importanza del contributo di Darwin. Perciò, sottovaluta i fattori specificamente umani della cultura e della coscienza, tendendo ad una visione statica nella quale le differenti forme sociali favoriscono o svantaggiano più o meno delle pulsioni sociali fondamentalmente invarianti.
9. Vedere per esempio Paul Lafargue: Ricerca sull'origine dell'idea del bene e del giusto 1885, ripubblicati nel Neue Zeit, 1899-1900
10. Mehring: Sulla filosofia del capitalismo, 1891. Dobbiamo aggiungere che Nietzsche è il teorico del comportamento dell'avventuriero declassato.
11. L'avanguardia della Controriforma contro il protestantesimo, il gesuitismo, era caratterizzata dall'adozione di metodi della borghesia per difendere la chiesa feudale. E’ per tale motivo che, molto presto, è l'espressione della base della morale capitalista, ben prima che la classe borghese nel suo insieme (che giocava ancora un ruolo rivoluzionario) non abbia rivelato apertamente i lati più ignobili del suo dominio di classe. Vedere per esempio Mehring: La storia della Germania dall'inizio del Medioevo, 1910. Parte 1a. Capitolo 6°: "Gesuitismo, Calvinismo, Luteranesimo".
12. Un'osservazione veloce. La più appropriata risposta a questa questione antica, cioè stabilire se l'essere umano è buono o cattivo, può essere data probabilmente parafrasando ciò che Marx ed Engels, ne La Sacra Famiglia scrivevano a proposito del romanzo di Eugène Sue, I misteri di Parigi, nel capitolo dedicato a "Fiore di Marie": "l'umanità non è né buona né cattiva, è umana".
13. Un complotto Contro l'internazionale - Rapporto sulle attività di Bakunin. 1874. Capitolo VIII. L'alleanza in Russia (il catechismo rivoluzionario. L’appello di Bakunin agli ufficiali dell'esercito russo)
14. Dietzgen: L’essenza del lavoro intellettuale umano, 1869.
15. Enrichetta Roland Holst Comunismo e Morale. 1925. Capitolo V. ("il senso della vita ed i compiti del proletariato"). Malgrado alcune debolezze importanti, questo libro contiene soprattutto un'eccellente critica della morale utilitarista.
16. Rivista in lingua francese della frazione di sinistra del partito comunista d'Italia, diventata in seguito, Frazione italiana della Sinistra comunista internazionale
17. Che cosa vuole la Lega Spartaco? Qui, come in altri scritti di Rosa Luxemburg, troviamo una comprensione profonda della psicologia di classe del proletariato.
18. Trotsky: Storia della Rivoluzione russa, 1930. Fine del capitolo: "Lenin chiama all'insurrezione".