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Avrà certamente bestemmiato Berlusconi, la sera della liberazione di Giuliana Sgrena; ‘ma come’, avrà pensato, ‘avevo fatto tutto così bene, avevo fatto liberare una “comunista”, e quei coglioni di americani si mettono a sparare, per giunta non uccidendo nemmeno la “comunista”, ma un fedele servitore dello Stato! Così mi hanno fatto saltare ogni possibilità di utilizzare la liberazione della Sgrena per ridare credibilità alla nostra presenza in Iraq’. Ed invece proprio la morte del “fedele servitore dello Stato”, per giunta nell’atto “eroico” di proteggere la persona che aveva liberato (1), è servita a dare la stura ad una campagna nazionalista di grande portata. Una campagna che ha visto, come in ogni guerra che si rispetta, una “union sacrée” che ha abbracciato tutte le forze politiche dalla destra alla sinistra.
Che lo abbia fatto il governo, peraltro di destra, che deve difendere il “suo” intervento in Iraq è perfettamente normale: come già per il caso degli altri ostaggi, la loro liberazione costituisce un motivo di orgoglio e l’occasione per sostenere che questo è stato possibile proprio perchè l’Italia gode di grande stima in Iraq, per cui riesce a trovare i canali per la liberazione dei suoi ostaggi, con la conclusione quindi che bisogna ben essere orgogliosi di essere italiani, e di quanto stanno facendo laggiù i nostri militari. Anzi, di più, l’eroismo dei nostri militari deve farci sentire onorati di far parte di questo paese, infatti “Calipari ha ridato onore alla patria” ha detto ai suoi funerali il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta. Vuoi mettere la differenza, con quei rozzi di americani che sanno solo sparare al primo movimento e la nostra capacità di manovra e, all’occorrenza, la nostra capacità di morire da eroi?
Meno ovvio che a questa campagna si associasse tutta la sinistra che, essendo “teoricamente” contro l’intervento in Iraq, da questo episodio avrebbe potuto dire che aveva ragione lei, che in Iraq ci sono quei pazzi imperialisti degli americani che non consentono di pacificare la situazione, e quindi è stato sbagliato andarci, sarebbe buono ritornarcene subito. Ed invece la richiesta del ritiro rimane, ma senza fretta e nessuna immediatezza, e quello di cui ci si preoccupa di più è partecipare alla campagna di unità nazionale che la morte “eroica” di Calipari induce.
Così la vera critica a Berlusconi non è che in Iraq i militari italiani stanno conducendo una occupazione militare allo stesso titolo degli altri, ma che ci sono gli americani che non vogliono la pace (sottinteso: se se ne andassero gli americani, gli italiani potrebbero anche restare, perché la loro missione è di pace), per cui è meglio andarsene. Ma meglio farlo in un clima di “unità nazionale”, dice il “comunista” Bertinotti (2), in modo da evitare lacerazioni e contrapposizioni che, ovviamente, sono contrari all’ “interesse del paese”. Andarsene perché “ritirare le truppe da un teatro di guerra così inquinato, con una violenza così incontrollata, è una misura di salute pubblica. (…)Il mio è un appello che dice: non facciamo polemiche, non torniamo alle discussioni che ci hanno diviso. Troviamo la forza di un atto di unità nazionale perché in Iraq siamo di fronte a una situazione incontrollata.”(2). Più chiaro di così: d’accordo a creare un clima di unità nazionale; andiamocene dall’Iraq, non perché l’intervento italiano è stato anch’esso un atto di guerra imperialista, ma perché c’è una situazione incontrollata. Incontrollata anche perché (Bertinotti non lo dice, ma è implicito) gli americani non fanno niente per una reale pacificazione, anzi sono così guerrafondai che sparano anche sugli alleati. Per cui andiamocene con un atto di unità nazionale e, anzi “a Berlusconi chiedo uno scatto di orgoglio nazionale, come avvenne a Sigonella” E di fronte alla sorpresa dell’intervistatore che gli ricorda che nell’episodio di Sigonella (3) al governo c’era Craxi, Bertinotti, ineffabile, risponde: “Non l’ho mai avuto in simpatia, ma a Sigonella vi fu uno scatto d’orgoglio del suo governo. In quell’atto si rivelò la dote di uno statista”
Potenza del clima di unità nazionale! In un sol colpo non solo si avanza una proposta unitaria a Berlusconi, ma si riabilita perfino Craxi, che a suo tempo i militanti dell’attuale Rifondazione volevano in galera, fino a riconoscergli la dote di uno statista (con buona pace di tutte le tangenti che lo “statista” confessò di avere intascato perché “la politica costa”)!
E per rafforzare l’atmosfera dello “stringiamoci a coorti”, anche Bertinotti sottolinea l’eroismo di Calidari, rispetto alla cui morte “Ho provato una commozione intensa. Esce con un nitore tale la personalità di quest’uomo, che si teme perfino di usare parole retoriche per ricordarlo. Una persona straordinaria, con un senso democratico, repubblicano (…). Un senso della missione che dà una visione corale unitaria” (2).
Così se Veltroni, diessino sindaco di Roma si è precipitato a intitolare a Calipari, un giardinetto di Roma, il “comunista” Bertinotti ne esalta le doti di democratico, in modo da far capire che anche i servizi segreti sono organi della democrazia (e quindi da non confondere con quelli “deviati” che mettono le bombe e fanno provocazioni) e non, come “qualche estremista” potrebbe pensare, organi dell’esercito di uno stato imperialista con il compito di controllare e manipolare la vita sociale e politica di un popolo.
Non c’è che dire: tutta la borghesia si è unita per cercare di lanciare ai proletari italiani il messaggio di unirsi in una unità nazionale, di sfruttatori e sfruttati, di assassini e di vittime, di chi le guerre le vuole e le cerca per i suoi interessi di classe e chi le subisce sulla propria pelle. In questa maniera si vorrebbe cercare di far dimenticare ai proletari che i loro interessi sono contrapposti a quelli della propria borghesia, e di far credere che se i proletari rinunciano a contrapporsi alle azioni di questa (siano esse interne od esterne) è tutto il “paese” a trarne benefici.
E invece no: i proletari non hanno nessun interesse a difendere le avventure imperialiste della propria borghesia, anzi, essi le pagano in termini economici e di vite umane; è per questo che al coro unanime di tutti i difensori della borghesia, “stringiamoci a coorti”, i comunisti non possono rispondere che con il vecchio grido di guerra della classe operaia: gli operai non hanno patria!
Helios, 28/03/05
1. Non è che per noi cambi molto, ma questo dell’atto eroico è qualcosa dato per certo da tutti, quando la dinamica dei fatti, e cioè l’improvviso e rapido esplodere dei colpi da parte dei militari americani, non consente a nessuno, nemmeno a Giuliana Sgrena, di dire se Calipari è caduto perché già colpito, o se effettivamente si sia buttato sulla Sgrena per proteggerla. Peraltro, un militare esperto come Calipari non poteva non sapere che l’unica speranza di salvare la Sgrena sarebbe stata quella di buttarla sul fondo dell’auto, in modo da sottrarla dalla traiettoria dei colpi, e non cercare di proteggerla col proprio corpo da proiettili di grosso calibro sparati con armi automatiche. Ma è proprio la morte eroica che consente di orchestrare la campagna, per cui ecco perché nessuno la mette in discussione.
2. Vedi l’intervista a Repubblica dell’8/03/05
3. A Sigonella, base militare in Sicilia, avvenne che gli americani pretendevano che i militari italiani consegnassero loro un terrorista palestinese arrestato, richiesta a cui Craxi disse di no, e quando una pattuglia armata americana si presentò davanti all’aereo che trasportava il terrorista all’estero, Craxi fece trovare un picchetto di uomini armati che fece recedere i militari americani dai loro propositi.