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Il 16° congresso della CCI è coinciso con i suoi trent’anni di esistenza. Come avevamo fatto all'epoca dei dieci e dei vent'anni della CCI, ci proponiamo con quest'articolo di trarre un bilancio dell'esperienza della nostra organizzazione nel periodo trascorso. Non si tratta di una manifestazione di narcisismo: le organizzazioni comuniste non esistono per sé stesse, ma sono strumenti della classe operaia e la loro esperienza appartiene a quest'ultima. Così, questo articolo vuole essere una sorta di resa di mandato affidato dalla classe alla nostra organizzazione durante i trenta anni della sua esistenza. E come per ogni resa di mandato, è necessario valutare se la nostra organizzazione è stata capace di fare fronte alle responsabilità che le sono state demandate quando è stata costituita. È per ciò che cominceremo con l’esaminare quelle che erano le responsabilità dei rivoluzionari trent’anni fa di fronte alla posta in gioco della situazione di allora e come si sono evolute in seguito con le modifiche di tale situazione.
Le responsabilità dei rivoluzionari
La situazione nella quale si è costituita la CCI, e che determinava le responsabilità che questa ha dovuto assumere nei suoi primi anni, è quella dell'uscita dalla profonda controrivoluzione che si era abbattuta sul proletariato mondiale in seguito all'insuccesso dell'ondata rivoluzionaria del 1917-23. L'immenso sciopero del maggio ‘68 in Francia, l’ "autunno caldo" del ‘69 in Italia, gli scioperi del Baltico in Polonia dell'inverno 1970-71 e ancora altri movimenti hanno rivelato che il proletariato aveva sollevato la cappa di piombo che gli si era abbattuto sopra per più di quattro decenni. Questa ripresa storica del proletariato non si era espressa solamente con una rinascita delle lotte operaie e nella capacità di queste di cominciare a liberarsi dalla gogna in cui i partiti di sinistra e soprattutto i sindacati le avevano costrette per decenni, come in particolare all'epoca degli scioperi “selvaggi” de “l’autunno caldo” italiano del 1969. Uno dei segni più probanti del fatto che la classe operaia era uscita infine dalla controrivoluzione è stato l'apparizione di tutta una generazione di elementi e di piccoli gruppi alla ricerca delle vere posizioni rivoluzionarie del proletariato, rimettendo in causa il monopolio che i partiti stalinisti esercitavano, con le loro appendici gauchiste, trotskiste o maoiste, sull'idea stessa di rivoluzione comunista. La stessa CCI era il risultato di questo processo poiché si è costituita dal raggruppamento di un certo numero di gruppi che erano sorti in Francia, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Italia ed in Spagna e che si erano avvicinati alle posizioni difese, dal 1964, dal gruppo Internacionalismo in Venezuela, animato da un vecchio militante della Sinistra comunista, MC, che si trovava in quel paese dal 1952.
Per tutto un periodo, l'attività e le preoccupazioni principali della CCI sono dunque state determinate da queste tre responsabilità fondamentali:
· riappropriarsi pienamente delle posizioni, delle analisi e degli insegnamenti delle organizzazioni comuniste del passato poiché la controrivoluzione aveva provocato la loro sclerosi o scomparsa;
· intervenire nell’ondata internazionale di lotte operaie aperte dal maggio 1968 in Francia;
· proseguire nel lavoro di raggruppamento delle nuove forze comuniste di cui la formazione della CCI aveva costituito una prima tappa.
Tuttavia, il crollo del blocco dell’Est e dei regimi stalinisti dell’Europa nel 1989 ha instaurato una situazione nuova per la classe operaia che ha subito con forza tutte le campagne sul “trionfo della democrazia”, “la morte del comunismo”, la “scomparsa della lotta di classe”, addirittura della stessa classe operaia. Questa situazione ha provocato un profondo riflusso all’interno della classe operaia sia sul piano della sua combattività che della sua coscienza.
Così, i trent’anni di vita della CCI si dividono in due periodi di una durata equivalente, una quindicina di anni ciascuna, dai contorni molto differenti. Se, durante il primo periodo, bisognava accompagnare i passi progressivi della classe operaia nel processo di sviluppo delle sue lotte e della sua coscienza, in particolare intervenendo attivamente nelle sue lotte, una delle preoccupazioni centrali della nostra organizzazione durante il secondo periodo è stato quello di resistere controcorrente rispetto allo smarrimento profondo che subiva la classe operaia mondiale. Era una prova per la CCI come per tutte le organizzazioni comuniste perché queste non sono impermeabili al contesto generale nel quale è immersa la loro classe: la demoralizzazione e la mancanza di fiducia in sé stessa che colpiva quest’ultima non potevano che ripercuotersi anche all’interno della nostra organizzazione. E questo pericolo era tanto più importante per il fatto che la generazione che aveva fondato la CCI si era politicizzata a partire dal 1968 ed all’inizio degli anni 70 nella ondata di lotte operaie di grande ampiezza che potevano lasciar pensare che la rivoluzione comunista stesse già bussando alla porta della storia.
Così, fare il bilancio dei trent’anni di vita della CCI significa esaminare in particolare come questa è stata capace di fare fronte a questi due periodi nella vita della società e della lotta della classe operaia. In particolare, si tratta di vedere come, di fronte alle prove che ha dovuto affrontare, ha superato le debolezze inerenti alle circostanze storiche che hanno presieduto alla sua costituzione e, così facendo, di comprendere gli elementi di forza che le permettono di trarre un bilancio positivo di questi trent’anni anni di esistenza.
Un bilancio positivo
In effetti, prima di andare oltre, occorre constatare da subito che il bilancio che può trarre la CCI dai suoi trenta anni di esistenza è largamente positivo. È vero che la taglia della nostra organizzazione e soprattutto il suo impatto sono estremamente modesti. Come scrivevamo nell’articolo pubblicato in occasione dei 20 anni della CCI: “Quando si paragona la CCI alle organizzazioni che hanno segnato la storia del movimento operaio, particolarmente le internazionali, si può essere colti da un certo disorientamento: mentre milioni o decine di milioni di operai appartenevano, o erano influenzati da queste organizzazioni, la CCI è conosciuta nel mondo solo da un’infima minoranza della classe operaia” (Révue Internationale n. 80). Questa situazione resta fondamentalmente la stessa oggi e si spiega, come l’abbiamo messo spesso in evidenza nei nostri articoli, per le circostanze inedite in cui la classe operaia ha ripreso la sua lunga strada verso la rivoluzione:
· ritmo lento del crollo economico del capitalismo le cui prime manifestazioni, alla fine degli anni ‘60, erano servite da detonatore al risorgere storico del proletariato;
· lunghezza e profondità della controrivoluzione che si era abbattuta sulla classe operaia a partire dalla fine degli anni ‘20 e che aveva tagliato le nuove generazioni di proletari e di rivoluzionari dall’esperienza delle generazioni che avevano condotto le grandi lotte dell’inizio del ventesimo secolo, particolarmente l’ondata rivoluzionaria del 1917-23;
· estrema diffidenza degli operai nei riguardi di ogni organizzazione politica proletaria in conseguenza del disgusto provocato dai sindacati e dai partiti detti “operai”, “socialisti” o “comunisti”;
· peso accresciuto della mancanza di fiducia in sé e della demoralizzazione in seguito al crollo dei pretesi “regimi comunisti”.
Ciò detto, bisogna mettere in evidenza il cammino percorso: mentre nel 1968 la nostra tendenza politica non contava che un piccolo nucleo in Venezuela mentre si formava in Francia, in una città di provincia, un piccolissimo gruppo capace solamente di pubblicare due o tre volte all’anno una rivista ciclostilata, la nostra organizzazione è oggi una sorta di riferimento per gli elementi che si avvicinano alle posizioni rivoluzionarie:
· pubblicazioni territoriali in 12 paesi redatte in 7 lingue (inglese, spagnolo, tedesco, francese, italiano, olandese e svedese);
· più di un centinaio di opuscoli ed altri documenti pubblicati in queste stesse lingue così come in russo, in portoghese, in bengalese, in hindi, in farsi ed in coreano;
· più di 420 numeri del nostro organo teorico, la Rivista Internazionale, pubblicata regolarmente ogni 3 mesi in inglese, spagnolo e francese e, in modo meno frequente, in tedesco, italiano, olandese e svedese.
Dalla sua formazione, la CCI ha prodotto in media una pubblicazione ogni 5 giorni, e questo ritmo è attualmente dell’ordine di una pubblicazione ogni 4 giorni. A questa produzione bisogna aggiungere il sito Internet www.internationalism.org, che ha pagine in 13 lingue. Questo sito riprende gli articoli della stampa territoriale, della Rivista Internazionale, gli opuscoli ed i volantini usciti sotto forma cartacea ma comporta anche specificamente una pagina Internet, ICC on line, che ci permette di fare conoscere rapidamente le nostre prese di posizione di fronte agli avvenimenti di attualità più ragguardevoli.
Accanto a questa attività di pubblicazioni, bisogna segnalare anche le migliaia di riunioni pubbliche o di permanenze tenute in 15 paesi dalla nostra organizzazione a partire dalla sua formazione che permettono ai simpatizzanti e contatti di venire a discutere le nostre posizioni ed analisi. Non bisogna poi dimenticare i nostri interventi orali, la vendita della stampa e la distribuzione di volantini - di un numero ancora ben più elevato - nelle riunioni pubbliche, forum o assembramenti di altre organizzazioni, nelle manifestazioni di strada, davanti alle fabbriche, ai mercati, nelle stazioni ed evidentemente nelle lotte operaie.
Ancora una volta, tutto ciò è ben poco se lo si paragona per esempio a ciò che poteva essere l’attività delle sezioni dell’Internazionale Comunista all’inizio degli anni 20, quando le posizioni rivoluzionarie si esprimevano attraversi i quotidiani. Ma, come si è visto, si può paragonare solamente ciò che è comparabile e la vera misura del “successo” della CCI può essere presa dalla differenza che la separa dalle altre organizzazioni della Sinistra comunista, dalle organizzazioni che già nel 1968 erano costituite mentre la nostra corrente stava ancora nel limbo.
I gruppi della Sinistra comunista dal 1968
In quell’epoca, esisteva qualche organizzazione che si richiamava alla Sinistra comunista. Si trattava da una parte di gruppi che si ricollegavano alla tradizione della Sinistra olandese, il “conciliarismo”, principalmente rappresentato in Olanda dallo Spartacusbond e da Daad en Gedachte, in Francia dal “Groupe de Liaison pour l’Action des travailleurs” (GLAT, Gruppo di Collegamento per l’azione dei lavoratori) e da “Informations et Correspondances ouvrières” (ICO, Informazioni e Corrispondenze operaie), in Gran Bretagna da “Solidarity” che si richiamava più particolarmente all’esperienza di “Socialisme ou Barbarie” (Socialismo o Barbarie), scomparsa nel 1964 e proveniente da una scissione avvenuta nella 4a Internazionale trotskista all’indomani della Secondata Guerra mondiale.
Al di fuori della corrente consiliarista, esisteva ancora in Francia un altro gruppo uscito da Socialisme ou Barbarie, Pouvoir Ouvrier (Potere Operaio), così come un piccolo nucleo intorno a Grandizo Munis (vecchio dirigente della sezione spagnola della 4a Internazionale), il "Ferment Ouvrier Révolutionnaire" (FOR, in spagnolo Fomento Obrero Revolucionario) che pubblicava Alarme (Alarma in spagnolo).
L’altra corrente della Sinistra comunista rappresentata nel 68 era quella che si ricollegava alla Sinistra italiana e che comprendeva i due rami prodotti dalla scissione del 1952 in seno al Partito Comunista Internazionalista d'Italia fondato nel 1945 alla fine della guerra. C’era da un lato il Partito Comunista Internazionale “bordighista” che pubblicava Programma Comunista in Italia così come Le Prolétaire e Programme Communiste in Francia e, dell’altro, la corrente maggioritaria all’epoca della scissione che pubblicava Battaglia Comunista e Prometeo.
Per un certo tempo, alcuni di questi gruppi hanno conosciuto un successo incontestabile in termini di ascolto. E’ stato il caso dei gruppi “consiliaristi” quale ICO in cui confluirono tutta una serie di elementi che il Maggio ‘68 aveva svegliato alla politica e che fu capace, tra il 1969 e 1970, di organizzare parecchi incontri a livello regionale, nazionale ed anche internazionale (Bruxelles 1969) con la presenza di un numero significativo di elementi e di gruppi tra cui il nostro. Ma all’inizio degli anni 1970, l’ICO è scomparso. Questa tendenza è riapparsa a partire dal 1975 con il bollettino trimestrale Echanges (Scambi) al quale partecipano elementi di parecchi paesi ma che viene pubblicato solo in lingua francese. In quanto agli altri gruppi della corrente “consiliari sta”, questi hanno cessato di esistere, come il GLAT durante gli anni ‘70, Solidarity nel 1988 o lo Spartacusbond che non è sopravvissuto alla morte del suo principale animatore, Stan Poppe nel 1991, oppure hanno smesso di pubblicare come Daad en Gedachte alla fine degli anni 90.
Altri gruppi citati prima sono ugualmente spariti, come Pouvoir Ouvrier negli anni 70 ed il FOR durante gli anni 90.
Quanto ai gruppi che si ricollegano alla corrente della Sinistra italiana, non si può dire che la loro sorte sia stata più brillante.
La tendenza "bordighista" ha conosciuto, poco dopo la morte di Bordiga, nel 1970, parecchie scissioni tra cui quella che ha condotto alla formazione di un nuovo “Partito Comunista Internazionale” che pubblica Il Partito Comunista. Tuttavia, la tendenza maggioritaria che pubblica Programma Comunista conosce, alla fine degli anni 70, uno sviluppo importante in parecchi paesi cosa che la rende per un certo tempo la principale organizzazione internazionale della Sinistra comunista. Ma questo sviluppo è dovuto, in grande parte, ad una deriva gauchiste e terzo-mondista dell’organizzazione. Alla fine, il Partito Comunista Internazionale è colpito nel 1982 da una vera esplosione. L’organizzazione internazionale crolla come un castello di carta, ogni pezzo tirando a destra ed a sinistra. La sezione francese sparisce per parecchi anni, mentre in Italia è con molta fatica che degli elementi rimasti fedeli al bordighismo “ortodosso” ricominciano, dopo qualche tempo, a farsi vivi con due pubblicazioni, Programma Comunista ed Il Comunista. Oggi, la corrente bordighista, se conserva una certa capacità editoriale in Italia con tre giornali più o meno mensili, è ben poco presente a livello internazionale. La tendenza che pubblica Il Comunista ha solo un altro corrispondente, in Francia, con Le Prolétaire, pubblicato trimestralmente. Quella che pubblica Programma Comunista in italiano pubblica Internationalist Papers (Quaderni internazionalisti) in lingua inglese ogni anno o ogni due anni e Cahiers internationalistes (Quaderni Internazionalisti) in lingua francese ad una frequenza ancora minore. La tendenza che pubblica in italiano Il Partito Comunista (giornale “mensile” che compare 7 volte all’anno) e Comunismo (ogni 6 mesi) produce anche una o due volte all’anno La Izquierda Comunista e Communist Left, rispettivamente in lingua spagnola ed inglese.
Per quanto riguarda la corrente maggioritaria all’epoca della scissione del 1952 e che ha conservato, oltre alle pubblicazioni, il nome di Partito Comunista Internazionalista (PCInt), abbiamo messo in evidenza, nel nostro articolo “Una politica opportunista di raggruppamento che conduce solo ad ‘aborti’” (Rivista Internazionale n. 27), le sue disavventure nei tentativi di allargare la sua influenza internazionale. Nel 1984, il PCInt si è raggruppato con la Communist Workers' Organisation, che pubblica Revolutionnary Perspective, per costituire il Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario (BIPR). Circa 15 anni più tardi quest’organizzazione è riuscita finalmente ad estendersi al di là delle sue due componenti iniziali con l’integrazione, alla fine degli anni 1990 inizio degli anni 2000, di parecchi piccoli nuclei di cui il più attivo è quello che pubblica Notes Internationalistes - Internationalist Notes (Note Internazionaliste) in Canada con una frequenza trimestrale, mentre Bilan e Perspective in Francia appare meno di una volta all’anno e il Circulo de América Latina (che è un gruppo “simpatizzante” del BIPR) non ha pubblicazioni regolari e si contenta essenzialmente di pubblicare delle prese di posizione e delle traduzioni in spagnolo sul sito Internet del BIPR. Nonostante sia stato costituito più di 20 anni fa, (con il Partito Comunista Internazionalista che esiste da più di 60 anni), il BIPR che, di tutti i gruppi che si rifanno al PCInt del 1945, è quello che ha la più grande estensione internazionale[1], è oggi un’organizzazione nettamente meno sviluppata della CCI all’epoca della sua costituzione.
Più in generale, la sola CCI produce ogni anno più pubblicazioni regolari ed in più lingue rispetto a tutte le altre organizzazioni riunite, una pubblicazione ogni 5 giorni. In particolare, nessuna di queste organizzazioni al momento dispone di una pubblicazione regolare in lingua tedesca, cosa che è, evidentemente, sicuramente una debolezza tenuto conto dell’importanza del proletariato tedesco nella storia del movimento operaio internazionale e nell’avvenire di quest’ultimo.
Non è con uno spirito di concorrenza che abbiamo fatto questo paragone tra l’estensione della nostra organizzazione con quelle degli altri gruppi che si rivendicano alla Sinistra comunista. Contrariamente a ciò che pretendono alcuni di questi gruppi, la CCI non ha mai tentato di svilupparsi a loro spese, proprio il contrario. Quando discutiamo con i contatti, noi facciamo sempre conoscere loro l’esistenza degli altri gruppi e li incoraggiamo a prendere conoscenza delle loro pubblicazioni[2]. Ugualmente, abbiamo sempre invitato le altre organizzazioni a venire a prendere la parola nelle nostre riunioni pubbliche ed a presentarvi la loro stampa (proponendo loro anche di ospitare i loro militanti nelle città o paesi dove non sono presenti[3]) così come abbiamo frequentemente depositato in libreria pubblicazioni di gruppi che erano d’accordo su questo. Infine, noi non abbiamo mai fatto una politica di “reclutamento” di militanti delle altre organizzazioni che sviluppavano delle divergenze con le posizioni o la politica di queste. Li abbiamo invece sempre incoraggiati a restare al loro interno allo scopo di condurre un dibattito di chiarificazione[4].
Infatti, contrariamente agli altri gruppi citati, di cui ognuno si considera il solo in grado di fare nascere il futuro partito della rivoluzione comunista, noi pensiamo che esista un campo della Sinistra comunista che difende delle posizioni proletarie all’interno della classe operaia e che questa ha tutto da guadagnare dallo sviluppo dell’insieme di questo campo. Evidentemente, noi critichiamo le posizioni e le analisi di queste organizzazioni che riteniamo sbagliate ogni volta che lo riteniamo opportuno. Ma le nostre polemiche fanno parte del dibattito necessario in seno al proletariato poiché, come Marx ed Engels, pensiamo che, oltre alla sua esperienza, solo la discussione ed il confronto delle posizioni permetteranno a quest’ultimo di avanzare nella sua presa di coscienza[5].
In effetti, questo paragone del bilancio della CCI con quello delle altre organizzazioni della Sinistra comunista serve essenzialmente a mettere in rilievo quanto sia ancora debole l’impatto delle posizioni rivoluzionarie all’interno alla classe a causa delle condizioni storiche e degli ostacoli che quest’ultima sta incontrando sulla strada della sua presa di coscienza. Ci permette ancora di comprendere che il debole impatto qual è ancora quello della CCI oggi non deve essere considerato per niente come un insuccesso della sua politica o dei suoi orientamenti. Al contrario, tenuto conto delle circostanze storiche attuali, ciò che noi siamo riusciti a fare dopo trent’anni deve essere considerato molto positivo e sottolinea la validità degli orientamenti che ci siamo dati lungo tutto questo periodo. Ci tocca di conseguenza esaminare più precisamente come questi orientamenti hanno permesso di affrontare in modo positivo le differenti situazioni che si sono succedute dalla fondazione della nostra organizzazione. Ed in primo luogo, occorre ricordarci (perché ciò era già espresso negli articoli pubblicati all’epoca del 10° e del 20° anniversario della CCI) quali sono stati i principi fondamentali su cui ci siamo basati.
I principi fondamentali della costruzione dell'organizzazione
La prima cosa che occorre dire con forza è che questi principi non sono per niente un’invenzione della CCI. È l’esperienza dell’insieme del movimento operaio che li ha progressivamente elaborati. È per ciò che non è per niente in modo platonico che, nelle “posizioni di base” che sono riportate nel retro di tutte le nostre pubblicazioni, diciamo che:
“Le posizioni delle organizzazioni rivoluzionarie e la loro attività sono il prodotto delle esperienze passate della classe operaia e delle lezioni che hanno tirato lungo tutta la storia le sue organizzazioni politiche. La C.C.I. si richiama agli apporti successivi della Lega dei Comunisti di Marx ed Engels (1847-52), delle tre Internazionali (l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, 1864-72, l’Internazionale Socialista, 1884-1914, l’Internazionale Comunista, 1919-28), delle Frazioni di Sinistra che si sono staccate negli anni 1920-30 dalla III Internazionale durante la sua degenerazione , in particolare le Sinistre Tedesca, Olandese e Italiana”.
Pur richiamandoci agli apporti delle differenti frazioni di sinistra dell'IC, ci ricolleghiamo più particolarmente, per ciò che riguarda la questione della costruzione dell’organizzazione, alle concezioni della Frazione di sinistra del Partito comunista d’Italia, particolarmente per come sono state espresse nella rivista Bilan durante gli anni ‘30. Fu la grande chiarezza raggiunta da questa organizzazione a giocare un ruolo decisivo nella sua capacità, non solo a sopravvivere, ma anche a dare un impulso notevole al pensiero comunista.
Non possiamo, nel contesto di questo articolo, sviluppare le posizioni della Frazione italiana (FI) in tutta la loro ricchezza. Ci limiteremo a riassumerne gli aspetti essenziali.
La prima questione su cui ci ricolleghiamo alla FI è quella del corso storico: di fronte alla crisi mortale dell’economia capitalista ciascuna delle classi fondamentali della società, borghesia e proletariato, portano la propria risposta: la guerra imperialista per la prima, la rivoluzione per il secondo. Lo sbocco che prevale alla fine è funzione del rapporto di forze tra queste classi. Se la Prima Guerra mondiale è stata scatenata dalla borghesia, è perché il proletariato era stato battuto prima di tutto politicamente dal suo nemico, in particolare attraverso la vittoria dell’opportunismo all’interno dei principali partiti della 2a Internazionale. Tuttavia, la stessa guerra imperialista, con tutta la sua barbarie che spazza via le illusioni sulla capacità del capitalismo di portare la pace e la prosperità alla società e dei miglioramenti alle condizioni di vita della classe operaia, aveva provocato un risveglio di quest’ultima. Il proletariato era insorto contro la guerra a partire dal 1917 in Russia e nel 1918 in Germania per lanciarsi nelle lotte in vista del capovolgimento del capitalismo. L’insuccesso della rivoluzione in Germania, cioè del paese più decisivo, aveva aperto la porta alla vittoria della controrivoluzione che si è estesa al mondo intero, in particolare in Europa con la vittoria dello stalinismo in Russia, del fascismo in Germania e dell’ideologia “antifascista” nei paesi “democratici”. Uno dei meriti della Frazione, durante gli anni 30, è di avere compreso che, a causa di questa sconfitta profonda della classe operaia, la crisi acuta del capitalismo scoppiata nel 1929 poteva portare solamente ad una nuova guerra mondiale. È sulla base dell’analisi del periodo che considerava che il corso storico non era verso la rivoluzione e la radicalizzazione delle lotte operaie ma verso la guerra mondiale che la Frazione aveva potuto comprendere la natura degli avvenimenti della Spagna ‘36 e non cadere nell’errore fatale dei trotskisti che vedevano in essi gli inizi della rivoluzione proletaria mentre invece costituivano la preparazione della seconda carneficina imperialista.
La capacità della Frazione a ben identificare la vera natura del rapporto di forze tra borghesia e proletariato si accompagnava alla chiarezza con cui concepiva il ruolo delle organizzazioni comuniste in ciascuno dei periodi della storia. Basandosi sull’esperienza delle differenti frazioni di sinistra esistite nella storia del movimento operaio, particolarmente della frazione bolscevica all’interno del Partito Operaio Socialdemocratico di Russia (POSDR), ma anche dell’attività di Marx ed Engels dal 1847, la Frazione, attraverso la sua pubblicazione Bilan, aveva stabilito la differenza tra la forma partito e la forma frazione dell’organizzazione comunista. Il partito è l’organo che si dà la classe nei periodi di lotta intensa, quando le posizioni difese dai rivoluzionari hanno un impatto reale sul corso di questa lotta. Quando il rapporto di forze diventa sfavorevole al proletariato, il partito o sparisce in quanto tale o tende a degenerare in un corso opportunista che lo trascina verso il tradimento al servizio della classe nemica. La difesa delle posizioni rivoluzionarie spetta allora ad un organismo di dimensione ed impatto più ristretto, la frazione. Il ruolo di quest’ultima è di lottare per il raddrizzamento del partito affinché sia in grado di sostenere il suo ruolo al momento di una ripresa di classe o, quando questo compito diventa vano, di costituire il ponte programmatico ed organizzativo verso il futuro partito che potrà costituirsi solo a due condizioni:
· che la frazione abbia tratto pienamente gli insegnamenti dall’esperienza passata, e particolarmente dalle sconfitte;
· che il rapporto di forze tra le classi passi di nuovo a favore del proletariato.
Uno degli altri insegnamenti trasmessi dalla Sinistra italiana e che consegue da quanto detto precedentemente, è il rigetto dell’immediatismo, e cioè di un comportamento che perde di vista la natura a lungo termine della lotta del proletariato e dell’intervento delle organizzazioni rivoluzionarie in seno a quest’ultimo. Lenin faceva della pazienza una delle qualità principali dei Bolscevichi. Non faceva altro che riprendere la lotta di Marx e di Engels contro il flagello dell’immediatismo[6] che, a causa della penetrazione permanente nella classe operaia dell’ideologia della piccola borghesia, e cioè di uno strato sociale che non ha avvenire, costituiva e costituisce una minaccia costante per il movimento della classe operaia.
Un corollario di questa lotta contro l’immediatismo nella quale si è distinta la Frazione è il rigore programmatico nel lavoro di raggruppamento delle forze rivoluzionarie. Contrariamente alla corrente trotskista che privilegiava in particolare i raggruppamenti frettolosi basati su degli accordi tra “personalità”, la Frazione sosteneva innanzitutto la necessità di una discussione approfondita dei principi programmatici prima di unirsi ad altre correnti.
Detto ciò, questo rigore sui principi non escludeva per niente la volontà di discussione con altri gruppi. E’ quando ci si sente fermi sulle proprie convinzioni che non si teme il confronto con altre correnti. Al contrario, il settarismo, per il fatto di considerarsi come “solo al mondo” e di rigettare ogni contatto con gli altri gruppi proletari è, in linea di massima, il segno di una mancanza di convinzione nella validità delle proprie posizioni. In particolare, è proprio perché si appoggiava fermamente sull’esperienze del movimento operaio che la Frazione ha saputo dare prova di audacia nel passare a setaccio questa esperienza, senza paura di rimettere in causa certe posizioni che erano considerate come dogmi da altre correnti[7]. Così, contrariamente alla corrente della Sinistra tedesco-olandese che, di fronte alla degenerazione della rivoluzione in Russia ed al ruolo ormai controrivoluzionario del partito bolscevico, aveva gettato via il bambino con l'acqua sporca, definendo borghese la natura della rivoluzione di ottobre e di questo partito, la Frazione ha sempre difeso in maniera energica la natura proletaria dell’una e dell’altro. Facendo ciò, ha combattuto anche la posizione del “conciliarismo”, in cui era scivolata la Sinistra olandese, difendendo il ruolo indispensabile del partito per la vittoria della rivoluzione comunista. Tuttavia, contro il trotskismo che si rifaceva integralmente ai primi 4 congressi dell’Internazionale Comunista, la Frazione, al seguito del Partito comunista d’Italia dell’inizio degli anni ‘20, rigettava le posizioni erronee di questi congressi, particolarmente la politica del “fronte unito”. Ma è andata ancora oltre rimettendo in causa la posizione di Lenin e del 2° Congresso sul sostegno delle lotte di liberazione nazionale, raggiungendo così la posizione difesa da Rosa Luxemburg.
È sull'insieme di questi insegnamenti che erano già stati ripresi e sistematizzati dalla Sinistra comunista di Francia (1945-52) che la CCI si è basata al momento della sua costituzione ed è ciò che le ha permesso di affrontare vittoriosamente le differenti prove che stava per incontrare, dovute, particolarmente, alle debolezze che pesavano sul proletariato e sulle sue minoranze rivoluzionarie al momento della ripresa storica del 1968.
I principi della Frazione alla prova della storia
La prima questione che era necessario comprendere di fronte a questa riapparizione della classe era quella del corso storico. Questa questione era mal compresa dagli altri gruppi che si rifacevano alla Sinistra italiana. Avendo formato il Partito nel 1945, mentre la classe era sottomessa ancora alla controrivoluzione e non avendo poi fatto la critica di questa formazione prematura, questi gruppi (che continuavano a chiamarsi “partiti”) non sono stati più capaci di fare la differenza tra la controrivoluzione e l’uscita dalla controrivoluzione. Nel movimento del maggio 1968 come nell’autunno caldo italiano del 1969, questi non vedevano niente di fondamentale per la classe operaia ed attribuivano questi avvenimenti all’agitazione degli studenti. Coscienti invece del cambiamento del rapporto di forze tra le classi, i nostri compagni di Internacionalismo (e in particolare MC, vecchio militante della Frazione e della Sinistra Comunista di Francia, GCF) hanno compreso la necessità di intraprendere tutto un lavoro di discussione e di raggruppamento con i gruppi che il cambiamento del corso storico stava producendo. A più riprese, questi compagni hanno chiesto al PCInt di lanciare un appello per l’apertura di una discussione tra questi gruppi e per una convocazione di una conferenza internazionale, dal momento che questa organizzazione aveva un’importanza che non si poteva paragonare col nostro piccolo nucleo in Venezuela. Ogni volta, il PCInt ha rigettato la proposta con il pretesto che non c’era niente di nuovo sotto il sole. Finalmente, un primo ciclo di conferenze si è potuto tenere a partire dal 1973 in seguito all’appello lanciato da Internationalism, il gruppo degli Stati Uniti che si era avvicinato alle posizioni di Internacionalismo e di Révolution Internationale, fondata in Francia nel 1968. È in grande parte grazie alla tenuta di queste conferenze, che avevano permesso una decantazione di tutta una serie di gruppi e di elementi venuti alla politica in seguito al maggio 68, che si è potuta costituire la CCI nel gennaio 1975. Evidentemente, l’atteggiamento di ricerca sistematica della discussione con elementi anche confusi ma che manifestavano una volontà rivoluzionaria - un atteggiamento che era stato quello della Frazione - aveva costituito un elemento determinante nel compimento di questa prima tappa.
Detto ciò, accanto a tutto l’entusiasmo che manifestavano i giovani elementi che avevano costituito la CCI o che l’avevano raggiunta nei primi anni, pesava un certo numero di debolezze molto importanti:
· l’impatto del movimento studentesco impregnato di concezioni piccolo-borghesi, particolarmente l’individualismo e l’immediatismo (“la rivoluzione subito!” era uno degli slogan degli studenti del 1968);
· la diffidenza verso ogni forma di organizzazione dei rivoluzionari che interviene nella classe a causa del ruolo controrivoluzionario giocato dai partiti stalinisti; in altri termini, il peso del consiliarismo.
Queste debolezze non colpivano solamente gli elementi che si sono raggruppati nella CCI. Erano al contrario ben più importanti tra i gruppi ed elementi che erano rimasti fuori della nostra organizzazione, che si era costituita in buona parte attraverso la lotta contro di esse. Queste debolezze spiegano il successo effimero che ha conosciuto dopo il 1968 la corrente consiliarista. Effimero perché quando si teorizza la non utilità di un organizzazione per la lotta di classe, si hanno poche probabilità che questa sopravviva a lungo. Esse permettono anche di spiegare il successo e poi la sbandata di Programma Comunista: non avendo compreso niente del significato e dell’importanza di ciò che era accaduto nel 1968, questa corrente è stata presa improvvisamente dal disorientamento davanti allo sviluppo internazionale delle lotte operaie e ha abbandonato la prudenza ed il rigore organizzativo che l’avevano caratterizzata per tutto un periodo. In particolare, il suo settarismo congenito ed il suo “monolitismo” a cui si rivendicava si erano tramutati in una “apertura” a 360° (salvo nei riguardi della nostra organizzazione che continuava ad essere considerata come “piccolo-borghese”) verso una quantità di elementi appena usciti - ed in modo incompleto - dal gauchisme, ed in particolare del terzo-mondismo. Il cataclisma che ha conosciuto nel 1982 era la conseguenza logica dell’oblio dei principali insegnamenti della Sinistra italiana a cui tuttavia non ha cessato di rivendicarsi.
Nella CCI, malgrado la volontà di non integrare in modo frettoloso nuovi militanti, queste debolezze non hanno tardato a manifestarsi. Ed è così che la nostra organizzazione ha conosciuto nel 1981 una crisi molto importante che ha in particolare dimezzato la sua sezione in Gran Bretagna. Il fattore principale di questa crisi era l’immediatismo che ha condotto tutta una serie di militanti, in particolare nel paese che, a quell’epoca, aveva conosciuto le lotte operaie più massicce della sua storia, la Gran Bretagna[8], a sopravvalutare le potenzialità della lotta di classe ed a considerare come proletari degli organismi del sindacalismo di base che la borghesia aveva fatto nascere di fronte al superamento delle strutture sindacali ufficiali. Allo stesso tempo, l’individualismo che continuava a pesare molto, ha condotto ad un rigetto del carattere unitario e centralizzato dell’organizzazione: ogni sezione locale, o anche ogni individuo, poteva svincolarsi dalla disciplina dell’organizzazione quando riteneva che gli orientamenti di quest’ultima non erano corretti. È particolarmente il pericolo immediatista che combatte il “Rapporto sulla funzione dell’organizzazione rivoluzionaria” (Révue Internationale n°29) adottato dalla Conferenza straordinaria che si è tenuta nel gennaio 1982 per rimettere la CCI sulla buona strada.
Ugualmente, il “Rapporto sulla struttura ed il funzionamento dell’organizzazione dei rivoluzionari” (Révue Internationale n°33) si dava per compito di combattere l’individualismo e difendeva un’organizzazione centralizzata e disciplinata, pur insistendo sulla necessità di condurre i più aperti e profondi dibattiti all’interno di questa.
La lotta vittoriosa contro l’immediatismo e l’individualismo, se ha permesso di salvare l’organizzazione nel 1981, non ha eliminato le minacce che pesavano su di essa: in particolare, il peso del consiliarismo, cioè la sottovalutazione del ruolo dell’organizzazione comunista, si è cristallizzato nel 1984 con la formazione di una “tendenza” che ha sollevato la sua bandiera contro la “caccia alle streghe”, quando abbiamo ingaggiato la lotta contro le orme del consiliarismo nelle nostre fila. Questa “tendenza” alla fine ha lasciato la CCI al suo VI Congresso, alla fine del 1985, per formare la Frazione esterna della CCI (FECCI) che si proponeva di difendere la “vera piattaforma” della nostra organizzazione contro la sua pretesa “degenerazione stalinista” (la stessa accusa degli elementi che avevano lasciato la CCI nel 1981).
Queste differenti lotte hanno permesso alla nostra organizzazione di assumere globalmente la sua responsabilità di fronte alle lotte della classe operaia che si sono sviluppate durante questo periodo, come lo sciopero dei minatori del 1984 in Gran Bretagna, lo sciopero generale del 1985 in Danimarca, l’immenso sciopero del settore pubblico del 1986 in Belgio, lo sciopero dei ferrovieri e degli ospedalieri del 1986 e 1988 in Francia, lo sciopero degli insegnanti in Italia nel 1987[9].
Questo intervento attivo nelle lotte operaie degli anni ‘80 non aveva fatto dimenticare alla nostra organizzazione una delle preoccupazioni centrali della Frazione italiana: trarre le lezioni dalle sconfitte passate. E’ così che, dopo aver seguito ed analizzato con molta attenzione le lotte operaie del 1980 in Polonia[10], la CCI, per la comprensione della loro sconfitta, si è concentrata a riflettere con attenzione sulle caratteristiche specifiche dei regimi stalinisti dell’Europa dell’Est[11]. Ed è quest’analisi in particolare che ha permesso alla nostra organizzazione, circa due mesi prima della caduta del muro di Berlino, di prevedere il crollo del blocco dell’Est e dell’URSS, mentre molti gruppi analizzavano ciò che accadeva in URSS e nella sua zona di influenza (la "perestrojka" e la "glasnost", l’accesso al potere di Solidarnosc in Polonia durante l’estate 1989) come una politica di rafforzamento di questo blocco[12].
Allo stesso modo, la capacità di affrontare lucidamente le sconfitte della classe, dote particolarmente sviluppata nella Frazione e, di seguito, nella Sinistra comunista di Francia, ci ha permesso, fin da prima degli avvenimenti dell’autunno 1989, di prevedere che questi avrebbero provocato un profondo riflusso nella coscienza del proletariato: “Anche nella sua fine lo stalinismo rende un ultimo servizio alla dominazione capitalista: decomponendosi il suo cadavere continua ad appestare l’atmosfera che il proletariato respira … E’ dunque un riflusso momentaneo della coscienza del proletariato … che bisogna aspettarsi. (...) Tenuto conto dell’importanza storica dei fatti che lo determinano, l’attuale riflusso del proletariato, benché non rimetta in causa il corso storico, la prospettiva generale agli scontri fra le classi, si presenta come ben più profondo di quello che aveva accompagnato la sconfitta del 1981 in Polonia”[13].
Anche nella sua fine lo stalinismo rende un ultimo servizio alla dominazione capitalista: decomponendosi il suo cadavere continua ad appestare l’atmosfera che il proletariato respira. Per i settori dominanti della borghesia il definitivo crollo dell’ideologia stalinista, i movimenti “democratici”, “liberali” e nazionalisti che sconvolgono i paesi dell’est costituiscono un’occasione per scatenare e intensificare le loro campagne di mistificazione.
Tuttavia, quest’analisi non era unanime nel campo della Sinistra comunista e molti pensavano che la scomparsa vergognosa dello stalinismo, per il fatto che era stato l’avanguardia della controrivoluzione, avrebbe aperto la strada ad uno sviluppo della coscienza e della combattività del proletariato. Era anche l’epoca in cui il BIPR poteva scrivere, a riguardo del colpo di stato che rovesciò Ceaucescu alla fine 1989:
“La Romania è il primo paese nelle regioni industrializzate in cui la crisi economica mondiale ha dato nascita ad una reale ed autentica insurrezione popolare il cui risultato è stato il rovesciamento del governo al potere (…) vi erano in Romania tutte le condizioni obiettive e quasi tutte le condizioni soggettive perché l’insurrezione potesse trascrescere in una vera e propria rivoluzione sociale” (Battaglia Comunista n°1, gennaio 1990, “Ceaucescu è morto, ma il capitalismo vive ancora”).
Infine, il crollo del blocco dell’Est e dello stalinismo, come le difficoltà che andava a provocare per la lotta della classe operaia, sono stati compresi pienamente dalla nostra organizzazione perché era stata per prima capace di identificare la nuova fase nella quale era entrata la decadenza del capitalismo, quella della decomposizione:
“Finora, le lotte di classe che, da vent'anni, si sono sviluppate su tutti i continenti, sono state capaci di impedire al capitalismo decadente di portare la sua risposta al vicolo cieco della sua economia: lo scatenamento della forma estrema della sua barbarie, una nuova guerra mondiale. Tuttavia, la classe operaia non è ancora in grado di affermare, con le lotte rivoluzionarie, la sua prospettiva né di presentare al resto della società il futuro che porta in sé. È proprio questa situazione di vicolo cieco momentaneo, in cui, al momento, né l'alternativa borghese, né l'alternativa proletaria possono affermarsi apertamente che è all'origine di questo fenomeno di deterioramento della società capitalista che spiega il grado particolare ed estremo raggiunto oggi dalla barbarie propria della decadenza di questo sistema. E questo deterioramento è portato ad amplificarsi ancora con l'aggravamento inesorabile della crisi economica”. (“La decomposizione del capitalismo”, Révue Internationale n. 57).
In realtà, “Il crollo del blocco imperialista dell’est ci ha fornito la conferma dell’entrata del capitalismo in una nuova fase del suo periodo di decadenza: quello della decomposizione generale della società … (la cui origine si trova) nell’incapacità per la borghesia di portare la sua propria risposta, la guerra generalizzata, alla crisi aperta dell’economia mondiale”. (“La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo” (Rivista Internationale n. 14).
Ed è ispirandosi ancora al metodo della Frazione italiana per cui la “conoscenza non può sopportare nessuno divieto e nessuno ostracismo”, che la CCI aveva condotto questa riflessione. E’ proprio perché la CCI, come la Frazione, ha come preoccupazione di combattere l’abitudinarismo, la pigrizia del pensiero, l’idea “che non c’è niente di nuovo sotto il sole” o che “le posizioni del proletariato sono invarianti dal 1848” - come pretendono i bordighisti - che ha potuto elaborare questa analisi. E’ riprendendo a suo conto questa volontà di stare in guardia permanente davanti ai fatti storici, a costo di rimettere in causa delle certezze confortevoli e ben stabili, che la nostra organizzazione aveva previsto il crollo del blocco dell’Est e la scomparsa del blocco occidentale che ne seguiva, come aveva previsto l’importante riflusso subito dalla classe operaia a partire dal 1989. In effetti, questo metodo a cui la CCI si rivendica, non appartiene specificamente alla Frazione, anche se questa si è rivelata particolarmente capace di metterlo in opera. È infatti anche il metodo di Marx ed Engels, i quali non hanno mai esitato a rimettere in causa le posizioni che avevano adottato prima appena lo richiedeva la realtà. È ancora il metodo di Rosa Luxemburg che ha avuto l'audacia, davanti al congresso dell’Internazionale socialista del 1896, di invitare all’abbandono di una delle posizioni più emblematiche del movimento operaio, il sostegno all’indipendenza della Polonia e - più in generale - alle lotte di liberazione nazionale. È il metodo rivendicato da Lenin quando, di fronte allo stupore ed all’opposizione dei Menscevichi e dei “vecchi Bolscevichi”, annuncia che era necessario riscrivere il programma del Partito adottato nel 1903 precisando che “grigio è l’albero della teoria, verde è l’albero della vita”.
Questa volontà di vigilanza della CCI di fronte ad ogni avvenimento nuovo non si applica solamente al campo della situazione internazionale. Si rivolge anche alla vita interna della nostra organizzazione. Anche qui, noi non abbiamo inventato niente. Questo comportamento l’abbiamo imparato dalla Frazione che, a sua volta, non faceva che ispirarsi all’esempio dei Bolscevichi ed ancora in precedenza a Marx ed Engels, particolarmente in seno all’AIT. Il periodo che ha fatto seguito al crollo del blocco dell’Est, che corrisponde, come si è visto, a circa la metà della vita della CCI, ha costituito una nuova prova per la nostra organizzazione che ha dovuto, come negli anni ‘80, affrontare delle nuove crisi. Ed è così che, a partire dal 1993, ha dovuto impegnare la lotta contro “lo spirito di circolo”, come lo definiva Lenin all’epoca del lotta condotta al Congresso del 1903 ed in seguito, uno spirito di circolo derivante dalle stesse origini della CCI a partire da piccoli gruppi dove l’elemento di affinità si confondeva con la convinzione politica. La perpetuazione di questo spirito di circolo con la pressione crescente della decomposizione tendevano sempre più a favorire dei comportamenti da clan all’interno della CCI minacciando la sua unità, addirittura la sua stessa sopravvivenza. E allo stesso modo in cui gli elementi più marcati da questo spirito, ivi compresi un certo numero di membri fondatori del partito, come Plekhanov, Axelrod, Zassoulitch, Potressov e Martov, si erano opposti ed allontanati dai Bolscevichi per formare la frazione menscevica a partire da questo congresso, un certo numero di “membri eminenti” della CCI (come li chiamava Lenin) non hanno sopportato questa lotta e hanno abbandonato in quel momento l’organizzazione (1995-96). Tuttavia, la lotta contro lo spirito di circolo e di clan non era stata condotta a fondo e queste debolezze deleterie sono ritornate a galla nel 2000-2001. Gli stessi ingredienti della crisi del 1993 erano presenti in quella del 2001, ma bisogna anche aggiungere un’usura della convinzione comunista di un certo numero di militanti, usura aggravata dal riflusso prolungato della classe operaia e dal peso accentuato della decomposizione. È ciò che spiega come membri di lunga data della CCI, o hanno abbandonato ogni preoccupazione politica, o si sono trasformati in campioni del ricatto, in teppisti e spioni volontari[14]. Quando, poco prima la sua morte nel 1990, il nostro compagno MC sottolineava l’importanza del riflusso che stava subendo la classe operaia, diceva che era in quell’occasione che si sarebbero visti i veri militanti, vale a dire quelli che non perdono le loro convinzioni di fronte ai momenti difficili. Gli elementi che, nel 2001, si sono dimessi o hanno costituito la FICCI, hanno dimostrato quest’alterazione delle convinzioni. Ancora una volta, la CCI ha condotto la lotta per la difesa dell’organizzazione con la stessa determinazione che l’aveva animata le volte precedenti. E questa determinazione, la dobbiamo particolarmente all’esempio della Frazione italiana. Nel più profondo della controrivoluzione, quest’ultima aveva fatta propria la parola d’ordine “non tradire”. Da parte sua, poiché il riflusso della classe non significava il ritorno della controrivoluzione, la CCI aveva adottato come parola d’ordine “tenere”. Alcuni sono arrivati fino a tradire, ma l’insieme dell’organizzazione ha tenuto, e si è anche rafforzata grazie, in particolare, alla volontà di porre con la maggiore profondità teorica possibile le questioni organizzative, come avevano fatto, ai loro tempi, Marx, Lenin e la Frazione. I due testi già pubblicati nella nostra Révue “La questione del funzionamento dell’organizzazione nella CCI” (n°109) e “La fiducia e la solidarietà nella lotta del proletariato” (n°111 e 112) sono una testimonianza di questo sforzo teorico di fronte alle questioni organizzative.
Allo stesso modo, la CCI ha portato una risposta molto ferma a coloro che pretendevano che le numerose crisi attraversate dalla nostra organizzazione fossero la prova del suo fallimento:
“E’ proprio perché la CCI lotta contro ogni penetrazione dell'opportunismo che sembra avere una vita movimentata, fatta di crisi che si ripetono. In particolare è proprio perché ha difeso senza concessione i suoi statuti e lo spirito proletario che questi esprimono che è stata suscitata la rabbia di una minoranza guadagnata da un opportunismo senza freni, e cioè da un abbandono totale dei principi, in materia di organizzazione. Su questo piano, la CCI ha proseguito la lotta del movimento operaio, di Lenin e del partito bolscevico in particolare, i cui detrattori stigmatizzavano le crisi a ripetizione e le molteplici lotte sul piano organizzativo. Nella stessa epoca, la vita del partito socialdemocratico tedesco era molto meno agitata ma la calma opportunista che la caratterizzava (alterata solamente dai "disturbatori" di sinistra come Rosa Luxemburg) annunciava il suo tradimento del 1914. Le crisi del Partito bolscevico costruivano la forza che ha permesso la rivoluzione del 1917”. (XV Congresso della CCI: Rafforzare l’organizzazione di fronte alla posta in gioco del periodo", Révue Internationale n. 114).
Così, la capacità della CCI a fare fronte alle sue responsabilità durante tutti i suoi lunghi trent’anni di esistenza, la dobbiamo in gran parte agli apporti della Frazione italiana della Sinistra comunista. Il segreto del bilancio positivo che tiriamo dalla nostra attività di questo periodo, è nella nostra fedeltà agli insegnamenti della Frazione e, più in generale, al metodo ed allo spirito del marxismo di cui si era pienamente appropriata[15].
La Frazione si è trovata presa alla sprovvista e disarmata di fronte allo scoppio della Seconda Guerra mondiale. E’ per tale motivo che la sua maggioranza, intorno a Vercesi, aveva abbandonato in quel momento i principi che avevano costituito in precedenza la sua forza, in particolare di fronte alla guerra della Spagna. Al contrario, è proprio appoggiandosi su questi principi che il piccolo nucleo di Marsiglia ha potuto ricostituire la Frazione durante la guerra, proseguendo un lavoro politico e di riflessione esemplare. Ma a sua volta, la Frazione “mantenuta” ha abbandonato i suoi principi fondamentali alla fine della guerra, decidendo a maggioranza di sciogliersi e di raggiungere individualmente il Partito Comunista Internazionalista che si era formato nel 1945 in Italia. Allora, toccò alla Sinistra comunista di Francia il compito di riprendere le esperienze fondamentali della Frazione, di proseguire la loro elaborazione per preparare così quel quadro politico che avrebbe permesso alla CCI di costituirsi, di esistere e di progredire. In questo senso, per noi, l’evocazione dei trent’anni della nostra organizzazione doveva concepirsi come un omaggio al notevole lavoro effettuato da questo piccolo gruppo dei militanti esiliati che hanno fatto vivere la fiamma del pensiero comunista nel più nero periodo della storia. Un lavoro che, se oggi non è molto conosciuto ed è largamente ignorato da coloro che pertanto si rifanno alla Sinistra italiana, si rivelerà sempre più come determinante per la vittoria finale del proletariato.
Una nuova generazione di combattenti comunisti
Grazie particolarmente agli insegnamenti che ci hanno tramandato la Frazione e la GCF, trasmessi ed elaborati instancabilmente dal nostro compagno MC fino alla sua morte, la CCI è oggi al suo posto con le carte in regola per accogliere nelle sue fila una nuova generazione di rivoluzionari che si avvicinano alla nostra organizzazione e che la tendenza alla ripresa della lotta di classe dal 2003 va a rafforzare in numero ed in entusiasmo. Il nostro ultimo congresso internazionale lo constatava: assistiamo attualmente ad un aumento sensibile del numero dei nostri contatti e delle nuove adesioni. “E ciò che è notevole, è che un numero significativo di queste adesioni è costituito da elementi giovani, che non hanno dovuto subire e superare le deformazioni provocate dall'attivismo nelle organizzazioni gauchiste. Elementi giovani il cui dinamismo ed entusiasmo sostituiscono centuplicandole le “forze militanti” stanche e logorate che ci hanno lasciato”. (“XVI Congresso della CCI - Prepararsi alla lotta di classe ed alla comparsa di nuove forze rivoluzionarie”, Révue Internationale n°122).
Trent’anni per la specie umana sono l’età media di una generazione. Gli elementi che si avvicinano a noi oggi o che ci hanno già raggiunto potrebbero essere i figli - e talvolta lo sono - dei militanti che hanno fondato la CCI.
Ciò che dicevamo nel Rapporto sulla situazione internazionale presentata all’VIII Congresso della CCI si sta realizzando:
“Occorreva che le generazioni che erano state segnate dalla controrivoluzione dagli anni ‘30 ai ‘50 cedessero il posto a quelle che non l’avevano conosciuta, perché il proletariato mondiale trovasse la forza di superarla. In maniera analoga (sebbene sia necessario moderare un tale paragone sottolineando che tra le generazioni del ‘68 e le precedenti c’era una rottura storica, mentre tra le generazioni successive, c'è continuità) la generazione che farà la rivoluzione non potrà essere quella che ha compiuto il compito storico essenziale di avere aperto al proletariato mondiale una nuova prospettiva dopo la più profonda controrivoluzione della sua storia”.
E ciò che vale per la classe operaia vale anche per la sua minoranza rivoluzionaria. Tuttavia, la maggior parte dei “vecchi” sono sempre là, anche se i loro capelli sono diventati grigi (se ne hanno ancora!). La generazione che ha fondato la CCI nel 1975 è pronta a trasmettere gli insegnamenti che ha ricevuto dai suoi predecessori ai “giovani”, ed anche gli insegnamenti che ha acquisito durante questi trent’anni, per cui la CCI si rende sempre più capace di portare il suo contributo alla formazione del futuro partito della rivoluzione comunista.
Fabienne
[1] In particolare, è la sola organizzazione che pubblica in modo significativo in lingua inglese (una decina di numeri all’anno).
[2] Vale la pena di segnalare che i compagni di Montreal che pubblicano Notes Internationalistes avevano inizialmente preso contattato con la CCI che li aveva incoraggiati a mettersi in contatto col BIPR. Alla fine, questi compagni hanno deciso di orientarsi verso quest’organizzazione. Allo stesso modo, in occasione di un incontro con noi, un compagno della CWO, il ramo britannico del BIPR, ci aveva detto con molta franchezza che i soli contatti di quest’organizzazione in Gran Bretagna erano quelli della CCI, che li aveva incoraggiati a mettersi in contatto con le altre organizzazioni della Sinistra comunista.
[3] Vedere per esempio a tale proposito la lettera che avevamo inviato ai gruppi della Sinistra comunista il 24 marzo 2003 e pubblicata nell’articolo “Proposte della CCI ai gruppi rivoluzionari per un intervento comune di fronte alla guerra” nella Révue internationale n°113.
[4] E’ così che scrivevamo nella Révue Internationale n°33 (“Rapporto sulla struttura ed il funzionamento delle organizzazioni rivoluzionarie”):
“Nel campo politico proletario, abbiamo sempre difeso questa posizione [se l’organizzazione sbanda, la responsabilità dei membri che ritengono di difendere una posizione corretta non è quella di mettersi al riparo in angolo, ma di condurre una lotta all’interno dell’organizzazione per contribuire a “rimetterla sulla giusta via”]. Questo fu specificamente il caso che si produsse in occasione della scissione della sezione di Aberdeen dalla “Communist Worker’s Organisation” e della scissione del Nucleo Comunista Internazionalista da Programma Comunista. In queste occasioni noi abbiamo criticato il carattere frettoloso delle scissioni, basate apparentemente su delle divergenze non fondamentali e che non avevano avuto l’opportunità di essere chiarite da un dibattito interno approfondito. In linea di massima, la CCI è contraria alle “scissioni” senza principi basate su delle divergenze secondarie (anche quando i militanti coinvolti pongono poi la loro candidatura alla CCI, come ad Aberdeen”).
[5] “Per la vittoria definitiva delle proposte enunciate nel Manifesto, Marx si rimetteva unicamente allo sviluppo intellettuale della classe operaia, che doveva risultare dall’azione e dalle discussione comuni”. (Engels, prefazione all’edizione tedesca del 1890 del Manifesto Comunista che riprende quasi parola per parola ciò che è detto nella sua prefazione dell’edizione inglese del 1888).
[6] E’ così che Marx ed Engels hanno dovuto combattere in seno alla Lega dei comunisti nel 1850 la tendenza Willich-Schapper che, malgrado la sconfitta subita dalla rivoluzione del 1848, voleva “la rivoluzione subito”: “Noi diciamo agli operai: ‘voi avete da attraversare per quindici, venti, cinquant’anni guerre civili e lotte tra i popoli, non solo per cambiare le condizioni esistenti, ma per cambiare voi stessi e rendervi atti alla direzione politica’. Voi, al contrario, dite: ‘E’ necessario prendere subito il potere, altrimenti non ci resta che andarcene a letto”. (Intervento di Marx alla riunione del Consiglio generale della Lega del 15/09/1850).
[7] “I quadri per i nuovi partiti del proletariato possono uscire solamente dalla conoscenza profonda delle cause della sconfitta. E questa conoscenza non può sopportare alcuna interdizione ed alcun ostracismo”. (Bilan n.1, novembre 1933).
[8] Con 29 milioni di giorni di sciopero, la Gran Bretagna del 1979 si mette in seconda posizione dietro la Francia del 1968 per combattività operaia.
[9] Il nostro articolo dedicato ai 20 anni della CCI rende conto più in dettaglio del nostro intervento nelle lotte operaie di questo periodo.
[10] Vedere a questo proposito “Scioperi di massa in Polonia 1980: una nuova breccia si è aperta” (Rivoluzione Internazionale n. 22), “La dimensione internazionale delle lotte operaie in Polonia” (Rivista Internazionale n. 5), “Alla luce degli avvenimenti della Polonia, il ruolo dei rivoluzionari”, “Prospettive della lotta di classe internazionale: una breccia aperta in Polonia”, “Un anno di lotte operaie in Polonia” (Révue Internazionale nn. 23, 24, 26, 27, 29), “Note sullo sciopero di massa”, “Dopo la repressione in Polonia” (Rivista Internazionale n. 6).
[11] “Europa dell’Est: Crisi economica ed armi della borghesia contro il proletariato”, Révue Internationale n°34.
[12] Vedere su questo argomento nella Rivista Internazionale n°13 le “Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell’Est” così come ciò che abbiamo scritto al loro proposito nell'articolo “I 20 anni della CCI” nella Révue Internationale n°80.
[13] “Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'Est”, op.cit.
[14] Sulla crisi della CCI del 2001 ed i comportamenti della pretesa frazione interna della CCI (FICCI), vedere in particolare “XV Congresso della CCI: Rafforzare l’organizzazione di fronte alla posta in gioco del periodo”, Révue Internationale n°114.
[15] In questo senso, la causa del bilancio meno positivo che le altre organizzazioni che si rifanno alla Sinistra italiana possono trarre dalla loro attività è dovuta al fatto che la loro rivendicazione dell’eredità di quest’ultima è essenzialmente platonica.