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A partire da una terribile pandemia, gli anni ’20 del 21° secolo hanno ricordato concretamente l’unica alternativa esistente: rivoluzione proletaria o distruzione dell’umanità. Lo scoppio del conflitto in Ucraina e l’aumento dell’economia di guerra ovunque, la crisi economica e la sua devastante inflazione, con il riscaldamento globale e la devastazione della natura che sempre più minacciano anche la vita, con la crescita del ciascuno per sé, dell’irrazionalismo e dall’oscurantismo, con la decomposizione dell’intero tessuto sociale, gli anni ’20 non vedono solo il sommarsi di flagelli mortali; tutti questi convergono, si combinano e si alimentano a vicenda. Gli anni 2020 saranno una concatenazione di tutti i peggiori mali del capitalismo decadente e marcio. Il capitalismo è entrato in una fase di convulsioni estreme e gravi, e la più minacciosa e sanguinosa è il rischio di un aumento dei conflitti armati.
La decadenza del capitalismo ha una storia; ha attraversato diverse fasi a partire dal 1914. Quella inaugurata nel 1989 è “ una fase specifica – la fase ultima – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore decisivo, nell’evoluzione della società”[1]. La caratteristica principale di questa fase di decomposizione, le sue radici più profonde, ciò che mina l'intera società e genera marciume, è l'assenza di prospettiva. Questi anni ‘20 dimostrano ancora una volta che la borghesia non può offrire all’umanità altro che miseria, guerra e caos, in un disordine crescente e sempre più irrazionale. Ma che dire della classe operaia? Che dire della sua prospettiva rivoluzionaria, il comunismo? È evidente che da decenni il proletariato è immerso in immense difficoltà; le sue lotte sono rare e non massicce, la sua capacità di organizzazione è ancora estremamente limitata e, soprattutto, non sa più di esistere come classe, come forza sociale capace di portare avanti un progetto rivoluzionario. Ora, il tempo non gioca a favore della classe operaia.
Tuttavia, se esiste questo pericolo di un’erosione lenta e in ultima analisi irreversibile delle basi stesse del comunismo, finire nella barbarie totale non è inevitabile; al contrario, la prospettiva storica rimane completamente aperta. In effetti, “Nonostante il colpo che il crollo del blocco dell’est ha inferto alla presa di coscienza del proletariato, questo non ha subito nessuna sconfitta importante sul terreno della sua lotta. In questo senso, la sua combattività resta praticamente intatta. Ma in più, ed è questo l’elemento che determina in ultima istanza l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che si trova all’origine dello sviluppo della decomposizione, cioè l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. La sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base per lo sviluppo della sua forza e della sua unità di classe ”[2].
E in effetti oggi, con il terribile peggioramento della crisi economica globale e il ritorno dell’inflazione, la classe operaia sta cominciando a reagire e a trovare la via della sua lotta. Persistono tutte le sue difficoltà storiche; la sua capacità di organizzare le proprie lotte e ancor più la presa di coscienza del suo progetto rivoluzionario sono ancora molto lontane, ma la crescente combattività di fronte ai brutali colpi inferti dalla borghesia alle condizioni di vita e di lavoro è il terreno fertile su cui il proletariato può riscoprire la sua identità di classe, prendere nuovamente coscienza di ciò che è, della sua forza quando lotta, sta insieme e sviluppa la sua unità. È un processo, una lotta che riprende dopo anni di atonia, una potenzialità che gli scioperi attuali suggeriscono. Il segnale più forte di questa possibile dinamica è il ritorno dello sciopero nel Regno Unito, un evento di portata storica.
Il ritorno della combattività operaia in risposta alla crisi economica può diventare fonte di presa di coscienza. Finora ogni accelerazione della decomposizione ha inferto un duro colpo agli sforzi embrionali di combattività operaia: il movimento in Francia del 2019 ha sofferto per lo scoppio della pandemia; le lotte dell’inverno 2021 si sono fermate di fronte alla guerra in Ucraina, ecc. Ciò significa una significativa difficoltà aggiuntiva nello sviluppo delle lotte e nella fiducia del proletariato in sé stesso. Ma non c’è altra via che la lotta: la lotta è di per sé la prima vittoria. Il proletariato mondiale, in un processo molto tormentato e costellato di amare sconfitte, potrà gradualmente cominciare a recuperare la sua identità di classe e infine lanciarsi in un’offensiva internazionale contro questo sistema moribondo. In altre parole, gli anni a venire saranno decisivi per il futuro dell’umanità.
Durante gli anni ’80, il mondo si stava chiaramente dirigendo o verso la guerra o verso grandi scontri di classe. L’esito di questo decennio è stato tanto inaspettato quanto senza precedenti: da un lato l’impossibilità per la borghesia di procedere verso la guerra mondiale, impedita dal rifiuto della classe operaia di accettare i sacrifici, e dall’altro l’incapacità della stessa classe operaia di politicizzare le proprie lotte e offrire una prospettiva rivoluzionaria hanno generato una sorta di blocco, facendo precipitare l’intera società in una situazione senza futuro e generando quindi un imputridimento generalizzato. “Gli anni della verità”, gli anni ’80[3] hanno così portato alla Decomposizione. Oggi la situazione si presenta in condizioni storiche più intense e drammatiche:
- Da un lato, gli anni ’20 mostreranno, con ancora maggiore durezza, la possibilità della distruzione dell’umanità che la decomposizione capitalista comporta.
- Ma, d’altra parte, il proletariato comincerà a muovere i primi passi, spesso esitanti e pieni di debolezze, sulla via delle sue lotte, che possono portarlo verso la sua capacità storica di porre la prospettiva del comunismo. Il proletariato dovrà affrontare una scuola molto dura e difficile.
I due poli della prospettiva si confrontano e si scontreranno. Nel corso di questo decennio si verificherà allo stesso tempo un peggioramento sempre più drammatico degli effetti della Decomposizione e reazioni operaie portatrici di un altro futuro. La sola alternativa, la distruzione dell’Umanità o la rivoluzione proletaria, riaffiorerà e diventerà sempre più palpabile. È quindi uno scontro, una lotta, la lotta di classe. E affinché l’esito sia favorevole, il ruolo delle organizzazioni rivoluzionarie sarà vitale. Che si tratti dello sviluppo della coscienza di classe e dell'organizzazione della classe nella lotta o della chiara comprensione dei problemi e delle prospettive da parte delle minoranze, il nostro intervento sarà decisivo.
Dobbiamo quindi avere la più chiara e lucida consapevolezza della dinamica in atto, delle sue potenzialità, dei punti di forza e di debolezza della nostra classe, nonché degli attacchi ideologici e delle trappole che la situazione storica di decomposizione e la borghesia, la classe dirigente più intelligente e machiavellica della storia, ci tendono sul cammino che ci aspetta.
1. Di fronte alla guerra, la classe operaia non ha subito una sconfitta decisiva…
La guerra è sempre un momento decisivo per il proletariato mondiale. Con la guerra, la classe operaia mondiale subisce il massacro di una sua parte, ma anche un colpo enorme da parte della classe dominante. Sotto tutti i punti di vista, la guerra è l’esatto opposto di ciò che è la classe operaia, della sua natura internazionale simboleggiata dal suo grido di battaglia: “I lavoratori non hanno patria. Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
Lo scoppio del conflitto in Ucraina mette così alla prova il proletariato mondiale. La reazione a questa barbarie è un indicatore essenziale per capire a che punto è la nostra classe, a che punto sono gli equilibri di potere con la borghesia. E non c’è omogeneità. Al contrario, ci sono differenze molto grandi tra i paesi, tra la periferia e le regioni centrali del capitalismo.
In Ucraina la classe operaia viene schiacciata fisicamente e ideologicamente. Arruolati in gran parte nella difesa della patria, contro "l'invasore russo", contro "il bruto e teppista Putin", per la difesa della "cultura e delle libertà ucraine", per la democrazia, gli operai si uniscono alla mobilitazione nelle fabbriche e nelle trincee. Questa situazione è ovviamente il risultato della debolezza del movimento operaio internazionale ma anche della storia del proletariato in Ucraina. Se si tratta di un proletariato concentrato e colto, con lunga esperienza, questo proletariato ha anche e soprattutto subito tutte le conseguenze della controrivoluzione e dello stalinismo. La carestia causata negli anni '30 dal potere sovietico, l’Holomodor, in cui persero la vita 5 milioni di persone, costituisce la base dell'odio contro il vicino russo e di un forte sentimento patriottico. Più recentemente, all’inizio degli anni 2010, un’intera parte della borghesia ucraina ha scelto di emanciparsi dalla tutela russa e di allearsi con l’Occidente. In realtà, questa evoluzione testimoniava la crescente pressione da parte degli Stati Uniti in tutta la regione. La “Rivoluzione arancione”[4] del 2004, poi il Maidan (o “Rivoluzione della dignità”) del 2014 hanno mostrato fino a che punto una parte molto ampia della popolazione abbia aderito alla difesa della “democrazia” e dell’indipendenza ucraina dall’influenza russa. Da allora, la propaganda nazionalista non ha fatto altro che amplificarsi fino all’esito del febbraio 2022.
L’incapacità della classe operaia di questo paese di opporsi alla guerra e al suo arruolamento, un’incapacità che ha aperto la possibilità di questo massacro imperialista, indica la misura in cui la barbarie e il marciume capitalista stanno guadagnando terreno in parti di aree sempre più ampie del globo. Dopo l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia centrale, tocca a una parte dell’Europa centrale essere minacciata dal rischio di precipitare definitivamente nel caos imperialista; L’Ucraina ha dimostrato che esiste, in alcuni paesi satelliti dell’ex Unione Sovietica, in Bielorussia, in Moldavia, nell’ex Jugoslavia, un proletariato molto indebolito da decenni di sfruttamento forsennato da parte dello stalinismo in nome del comunismo, dal peso delle illusioni democratiche e del nazionalismo, cosa che permette alla guerra di propagarsi. In Kosovo, Serbia e Montenegro le tensioni stanno aumentando.
D’altra parte, in Russia, il proletariato non è pronto ad accettare di sacrificare a questo livello la propria vita. Certo, la classe operaia russa non è capace di opporsi all’avventura bellica della propria borghesia, accetta questa barbarie e i suoi 100.000 morti senza reagire, certo la reazione dei richiamati per non andare al fronte è la diserzione o l’automutilazione, tanti atti individuali disperati che riflettono l’assenza di reazione della classe, ma nondimeno la borghesia russa non può dichiarare la mobilitazione generale. Perché i lavoratori russi non sono abbastanza convinti di versare il proprio sangue in nome della Patria.
Molto probabilmente è la stessa cosa in Asia: sarebbe quindi un errore dedurre troppo frettolosamente dalla debolezza del proletariato ucraino che c'è strada libera anche per lo scoppio di violente dispute tra Cina e Taiwan o tra le due Coree. In Cina, Corea del Sud e Taiwan la classe operaia ha una maggiore concentrazione, istruzione e coscienza rispetto a quella che vive in Ucraina, maggiore di quella che vive in Russia. Il rifiuto di farsi trasformare in carne da cannone è ancora oggi la situazione più plausibile in questi paesi. Così, al di là dei rapporti di forza tra le potenze imperialiste coinvolte in questa regione del mondo, Cina e Stati Uniti in primis, la presenza di una concentrazione molto forte di lavoratori istruiti rappresenta il primo freno alla dinamica della guerra.
Per quanto riguarda i paesi centrali, a differenza del 1990 o del 2003, le grandi potenze democratiche non sono direttamente coinvolte nel conflitto ucraino, non inviano le loro truppe di soldati professionisti. Al momento non possono fare altro che sostenere politicamente e militarmente l'Ucraina contro l'invasione russa, difendere la libertà democratica del popolo ucraino contro il dittatore Putin, inviando armi, tutte etichettate come "armi difensive".
Nel 2003 e ancor più nel 1991, gli effetti della guerra si tradussero in una relativa paralisi della combattività ma anche in una preoccupata e profonda riflessione sulle sfide storiche. Questa situazione all'interno della classe costrinse poi le forze della sinistra della borghesia ad organizzare manifestazioni pacifiste fiorite quasi ovunque contro "l'imperialismo americano e i suoi alleati". Queste grandi mobilitazioni contro gli interventi dei paesi occidentali non sono state opera della classe operaia; la posizione " siamo contrari alla politica del nostro governo che partecipa alla guerra", ha avuto un impatto sulla classe operaia tale da portarla in un vicolo cieco e sterilizzare ogni sforzo di presa di coscienza. Niente di simile oggi, non ci sono state mobilitazioni pacifiste di questo tipo. Coloro che criticano le politiche dei paesi occidentali e il loro sostegno all'Ucraina sono soprattutto le forze di estrema destra legate a Putin, mentre negli Stati Uniti sono i trumpisti o i repubblicani a “esitare”.
Questa assenza di mobilitazione pacifista oggi non significa indifferenza e ancor meno sostegno del proletariato alla guerra. Certo, la campagna per difendere la democrazia e la libertà dell’Ucraina contro l’aggressore russo ha dimostrato tutta la sua efficacia in questo senso: la classe operaia è intrappolata dal potere della propaganda filodemocratica. Ma, a differenza del 1991, il rovescio della medaglia è che non ha alcun impatto sulla combattività dei lavoratori. Siamo lontani da una semplice non adesione passiva. Non solo la classe operaia dei paesi centrali non è ancora pronta ad accettare i morti (anche se di soldati professionisti), ma rifiuta anche i sacrifici e il degrado delle loro condizioni di vita e di lavoro che la guerra comporta. In Gran Bretagna ad esempio, il paese europeo che è materialmente e politicamente più coinvolto nella guerra, il più determinato a sostenere l'Ucraina, è allo stesso tempo quello dove la combattività operaia si esprime con maggiore forza in questo momento. Gli scioperi nel Regno Unito sono l'elemento più importante della reazione internazionale, del rifiuto da parte della classe operaia dei sacrifici (del supersfruttamento, della diminuzione dell’occupazione, dell'aumento dei ritmi di lavoro, dell'aumento dei prezzi, ecc.) che la borghesia impone al proletariato, e che lo sviluppo del militarismo accentuerà sempre di più.
Uno dei limiti attuali degli sforzi della nostra classe è la sua incapacità di collegare il deterioramento delle sue condizioni di vita alla guerra. Le lotte operaie che si verificano e si sviluppano sono una risposta dei lavoratori alle condizioni loro imposte; costituiscono l'unica risposta possibile, e portatrici di una prospettiva, alla politica della borghesia ma, allo stesso tempo, non si mostrano, per il momento, capaci di affrontare e integrare la questione della guerra. Dobbiamo tuttavia rimanere molto attenti ai possibili sviluppi. In Francia, ad esempio, giovedì 19 gennaio si è svolta una manifestazione estremamente massiccia dopo l'annuncio di una riforma delle pensioni, peggiorativa, in nome “dell'equilibrio del bilancio dello Stato e della giustizia sociale”; il giorno successivo, venerdì 20 gennaio, Il presidente Macron ha formalizzato in pompa magna un budget militare record di 400 miliardi di euro. Il legame tra i sacrifici richiesti e le spese belliche dovrà necessariamente, alla lunga, farsi strada nella mente dei lavoratori.
L'intensificazione dell'economia di guerra implica direttamente un peggioramento della crisi economica; la classe operaia non coglie ancora veramente il nesso, non si mobilita, nel complesso, contro l’economia di guerra, ma si oppone ai suoi effetti, contro la crisi economica, in primo luogo contro i salari troppo bassi di fronte all’inflazione.
Questa non è una sorpresa. La storia dimostra che la classe operaia non si mobilita direttamente al fronte contro la guerra, ma contro le sue conseguenze sulla vita quotidiana nelle retrovie. Già nel 1982, in un articolo della nostra rivista che poneva la domanda: "La guerra è una condizione favorevole per la rivoluzione comunista?", abbiamo risposto negativamente e abbiamo affermato che è soprattutto la crisi economica a costituire il terreno più fertile per lo sviluppo delle lotte e della coscienza, aggiungendo molto giustamente che "l'aggravarsi della crisi economica abbatte queste barriere nella coscienza di un numero crescente di proletari attraverso i fatti che dimostrano che si tratta della stessa lotta di classe".
2. …al contrario, trova la via della lotta di fronte alla crisi
La reazione della classe operaia alla guerra, anche se è molto eterogenea in tutto il mondo, mostra che dove si trova la chiave per il futuro, dove si accumula l’esperienza storica, nei paesi centrali, il proletariato non ha subito una sconfitta importante, che non è pronto a lasciarsi reclutare e a sacrificare la sua vita. Ancor di più, la sua reazione agli effetti della crisi economica indica una dinamica verso la ripresa della combattività operaia in questi paesi.
Ritornando agli scioperi, i lavoratori britannici hanno inviato un chiaro segnale ai lavoratori di tutto il mondo: "Dobbiamo lottare. Basta". Una parte della stampa di sinistra titolava addirittura: “Nel Regno Unito: il grande ritorno della lotta di classe”. L'entrata in lotta del proletariato britannico costituisce quindi un evento di portata storica.
Quest’ondata di scioperi è stata guidata da quella frazione del proletariato europeo che ha sofferto maggiormente il declino generale della lotta di classe a partire dalla fine degli anni ‘80. Se negli anni ‘70, anche se con un certo ritardo rispetto ad altri paesi come Francia, Italia e Polonia, i lavoratori britannici avevano sviluppato lotte molto importanti culminate nell'ondata di scioperi del 1979 ("l’inverno del malcontento")."), nel corso degli anni '80, la classe operaia britannica subì un'efficace controffensiva da parte della borghesia che culminò nella sconfitta dello sciopero dei minatori del 1985 contro Margaret Thatcher. Questa sconfitta e il riflusso del proletariato britannico annunciarono in qualche modo il declino storico del proletariato mondiale, rivelando anzitempo il risultato dell’incapacità di politicizzare le lotte e il peso della debolezza del corporativismo. Durante gli anni novanta e duemila, la Gran Bretagna è stata particolarmente colpita dalla deindustrializzazione e dal trasferimento delle industrie in Cina, India o Europa dell’Est. Negli ultimi anni, i lavoratori britannici hanno subito l’ondata di movimenti populisti e soprattutto l’assordante campagna sulla Brexit, che ha stimolato la divisione al loro interno tra "remainers" et "leavers" e poi la crisi di Covid, che ha pesato molto sulla classe operaia. Infine, ancora più di recente, è stata messa di fronte all'appello ai sacrifici necessari per lo sforzo bellico, sacrifici che sono "molto piccoli" rispetto a quelli dell' "eroico popolo ucraino" che resiste sotto le bombe. Tuttavia, nonostante tutte queste difficoltà e ostacoli, oggi si affaccia sulla scena sociale una generazione di proletari che non risente più del peso delle sconfitte della "generazione Thatcher", una nuova generazione che sta rialzando la testa dimostrando che la classe operaia è in grado di rispondere agli attacchi attraverso la lotta. Fatte salve le dovute proporzioni, notiamo un fenomeno abbastanza paragonabile (ma non identico) a quello che vide emergere la classe operaia francese nel 1968: l’arrivo di una generazione giovane meno colpita rispetto a quella anziana dal peso della controrivoluzione. Così, mentre la sconfitta del 1985 nel Regno Unito annunciava il declino generale della fine degli anni ’80, il ritorno della combattività operaia e lo sciopero sull’isola britannica indicano una dinamica profonda nelle viscere del proletariato mondiale. “L’estate della rabbia” (che è continuata in autunno, in inverno… e presto in primavera) non può che costituire un incoraggiamento per tutti i lavoratori del pianeta e questo per diverse ragioni: si tratta della classe operaia della quinta potenza economica del mondo, e di un proletariato di lingua inglese, le cui lotte possono essere significative in paesi come gli Stati Uniti, il Canada o in altre regioni del mondo, come l’India o il Sud Africa. Essendo l'inglese, d'altronde, la lingua della comunicazione globale, l'influenza di questi movimenti supera necessariamente quella che potrebbero avere le lotte in Francia o in Germania, per esempio. In questo senso, il proletariato britannico indica la strada non solo ai lavoratori europei, che dovranno essere in prima linea nella crescita della lotta di classe, ma anche al proletariato mondiale, e in particolare a quello americano. In vista delle lotte future, la classe operaia britannica potrà così fungere da collegamento tra il proletariato dell’Europa occidentale e il proletariato americano. Negli USA, gli scioperi nelle numerose fabbriche di questi ultimi anni lo mostrano, c’è una combattività crescente della classe, e il movimento Occupy Wall Street aveva rivelato tutta la riflessione che maturava al suo interno; non dobbiamo dimenticare che il proletariato ha una grande storia ed esperienza da questa parte dell'Atlantico. Ma anche i suoi punti deboli sono molto grandi: il peso dell’irrazionalità, del populismo e dell’arretratezza; il peso dell'isolamento continentale; il peso dell’ideologia piccolo-borghese e borghese riguardo alle libertà, alle razze, ecc. Il collegamento con l’Europa, questo collegamento reso possibile dal Regno Unito, è tanto più cruciale.
Per comprendere come il ritorno dello sciopero nel Regno Unito sia un segno della possibilità di un futuro sviluppo della lotta e della coscienza proletaria, dobbiamo ritornare a quanto abbiamo affermato nella nostra Risoluzione sulla situazione internazionale adottata durante il nostro congresso internazionale nel 2021:
"Nel 2003, sulla base di nuove lotte in Francia, in Austria e altrove, la CCI aveva predetto una ripresa delle lotte da parte di una nuova generazione di proletari che era stata meno influenzata dalle campagne anticomuniste e destinata a confrontarsi con un futuro sempre più incerto. In buona misura queste predizioni sono state confermate dagli avvenimenti del 2006-2007, in particolare con la lotta contro il CPE (Contratto di Primo Impiego) in Francia, e del 2010-2011, in particolare con il movimento degli Indignati in Spagna. Questi movimenti hanno mostrato degli avanzamenti importanti a livello della solidarietà fra le generazioni, dell’autoorganizzazione con lo strumento delle assemblee, della cultura del dibattito, delle preoccupazioni reali sull’avvenire prospettato alla classe operaia e all’umanità nel suo insieme. In questo senso essi hanno mostrato il potenziale di una unificazione delle dimensioni economiche e politiche della lotta di classe. Ciononostante, abbiamo avuto bisogno di molto tempo per capire le immense difficoltà a cui era confrontata questa nuova generazione, cresciuta nelle condizioni della decomposizione, difficoltà che avrebbero impedito al proletariato di invertire il riflusso post-’89 durante questo periodo."[5]
L’elemento chiave di queste difficoltà è stata la continua erosione dell’identità di classe.È questo che spiega principalmente perché il movimento contro la riforma del CPE (Contratto di primo Impiego) del 2006 in Francia non ha lasciato traccia visibile: in seguito non ci sono stati circoli di discussione, la comparsa di piccoli gruppi, e nemmeno libri, raccolte di testimonianze ecc., al punto da essere oggi del tutto sconosciuto tra i giovani. Gli studenti precari dell'epoca avevano utilizzato i metodi di lotta del proletariato (assemblee generali) e ripresa la natura della sua lotta (solidarietà) senza nemmeno saperlo, il che rendeva impossibile prendere coscienza della natura, della forza e degli obiettivi storici del proprio movimento. È la stessa debolezza che ha ostacolato lo sviluppo del movimento degli Indignati nel 2010-2011 e che ha impedito di trarne i frutti e le lezioni. In effetti, "la maggioranza si vedeva come dei “cittadini” piuttosto che come membri di una classe, cosa che la rendeva vulnerabile alle illusioni democratiche portate avanti da gruppi come Democracia Ya! (il futuro Podemos), ed in seguito al veleno del nazionalismo catalano e spagnolo.”[6]
Per mancanza di radicamento, il movimento è andato alla deriva. L’identità di classe è inseparabile dallo sviluppo della coscienza di classe, perché essa è il riconoscimento di un interesse comune di classe, contrapposto a quello della borghesia, perché essa è la “costituzione del proletariato in classe”, come dice il Manifesto comunista. Per fare un esempio, senza identità di classe, è impossibile relazionarsi consapevolmente alla storia della classe, alle sue lotte, alle sue lezioni.
I due grandi momenti del movimento del proletariato dopo gli anni ‘80, il movimento contro il CPE e gli Indignati, sono stati sterilizzati o recuperati soprattutto a causa di questa mancanza di una base per lo sviluppo più generale della coscienza, a causa di questa perdita dell'identità di classe. È questa notevole debolezza che il ritorno allo sciopero nel Regno Unito suggerisce di poter superare. Storicamente, il proletariato del Regno Unito è segnato da notevoli debolezze (controllo sindacale e corporativismo, riformismo)[7], ma lì la parola workers è stata cancellata meno che altrove; nel Regno Unito la parola non è vergognosa; e questo sciopero può cominciare a riportarla “in auge” a livello internazionale. I workers del Regno Unito non indicano la strada a tutti i livelli, perché i loro metodi di lotta sono troppo segnati dalle loro debolezze, questo toccherà agli altri settori del proletariato, ma lanciano oggi il messaggio essenziale: lottiamo non come cittadini o studenti ma come operai. E questo passo avanti è possibile grazie a questo inizio di reazione operaia alla crisi economica.
La realtà di questa dinamica può essere misurata dalla reazione preoccupata della borghesia, soprattutto in Europa occidentale, in relazione ai pericoli posti dall’estensione del “deterioramento della situazione sociale”. Ciò è particolarmente vero in Francia, Belgio, Spagna e Germania, dove la borghesia, contrariamente all’atteggiamento della borghesia britannica, ha adottato misure per limitare gli aumenti del petrolio, del gas e dell’elettricità o per compensare attraverso sussidi o tagli fiscali l’impatto dell’inflazione e dell’aumento dei prezzi e proclama a gran voce di voler proteggere il “potere d’acquisto” dei lavoratori. In Germania, nell’ottobre e novembre 2022, gli “avvisi di sciopero” hanno portato immediatamente all’annuncio di “bonus per l’inflazione” (3.000 euro nella metallurgia, 7000 nel settore automobilistico) e di promesse di aumenti salariali.
Ma di fronte alla realtà dell’aggravarsi della crisi economica globale, le borghesie nazionali sono tuttavia obbligate ad attaccare il loro proletariato in nome della competitività e dell’equilibrio di bilancio; le loro misure di “protezione” e altri “scudi” vengono gradualmente ridotti. In Italia, la “legge finanziaria 2023” riduce così gran parte degli “aiuti speciali” e costituisce un nuovo attacco frontale alle condizioni di vita e di lavoro. In Francia, il governo Macron ha dovuto annunciare la sua importante riforma pensionistica all’inizio di gennaio 2023, dopo mesi di passi indietro e di preparazione. Risultato: manifestazioni di massa, addirittura superiori alle aspettative dei sindacati. Al di là del milione di persone in strada, sono l'atmosfera e la natura delle discussioni in questi cortei in Francia a rivelare meglio ciò che accade nel profondo della nostra classe:
- La riforma delle pensioni viene definita da molti “la goccia che fa traboccare il vaso”, l'intera situazione è diventata intollerabile e insopportabile.
- “Quando è troppo è troppo”. Questa idea espressa nelle manifestazioni è arrivata sulle prime pagine dei giornali. Questo è chiaramente un'eco del britannico “Enough is enough”. Il legame con la situazione nel Regno Unito è sembrato evidente ai manifestanti con cui abbiamo parlato distribuendo il nostro volantino internazionale: "Avete ragione, è uguale ovunque, in tutti i paesi ".
- Si tratta di una conferma che accresce ciò che avevamo già percepito nelle manifestazioni del 2019 e durante gli scioperi dell’autunno 2022: la sensazione di essere tutti “sulla stessa barca”. Gli scioperi sparsi che si susseguono da mesi in Francia sono visti come un vicolo cieco, il “dobbiamo lottare tutti insieme” emerge sempre più nella mente della gente.
- C'è anche un certo cambiamento di clima rispetto alle manifestazioni degli ultimi decenni, tutte segnate dalla rassegnazione. L’idea che “uniti possiamo vincere” è molto presente oggi.
Ovviamente questa dinamica positiva non arriva ancora fino all’autorganizzazione. Il confronto aperto con i sindacati è attualmente inesistente. La nostra classe non è ancora pronta. La semplice domanda non si pone ancora. E quando i lavoratori cominceranno ad affrontare questa questione, sarà un processo molto lungo, con la riconquista delle assemblee generali e dei comitati di lotta, con le insidie delle diverse forme di sindacalismo (le organizzazioni centrali, i coordinamenti, la “base”, ecc.). Ma il fatto che i sindacati, per rispondere alle preoccupazioni della classe e mantenere la guida del movimento, debbano organizzare grandi manifestazioni apparentemente unite quando per mesi hanno fatto di tutto per evitarle, dimostra che i lavoratori hanno la tendenza a volersi unire per combattere.
Interessante è anche monitorare come evolverà la situazione nel Regno Unito a questo riguardo. Dopo nove mesi di ripetuti scioperi, la rabbia e la combattività non sembrano diminuire. All'inizio di gennaio è stata la volta degli autisti delle ambulanze e degli insegnanti ad unirsi alla serie di scioperi. E anche qui germoglia l’idea di lottare insieme. È così che il discorso sindacale ha dovuto adattarsi, lasciando sempre più spazio alle parole “unità”, “solidarietà” ... e sono state mantenute le promesse di “manifestazioni”. Per la prima volta alcuni settori scioperano lo stesso giorno, ad esempio infermieri e autisti di ambulanze.
Questa simultaneità di lotte in diversi paesi non si vedeva dagli anni ’80! L'influenza della combattività del proletariato del Regno Unito sul proletariato francese deve essere attentamente monitorata, così come l'influenza della tradizione delle manifestazioni di piazza in Francia sulla situazione nel Regno Unito. Quasi 160 anni fa, il 28 settembre 1864, nasceva l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, principalmente su iniziativa dei proletariati britannico e francese. Questo è più di un semplice cenno alla storia. Ciò rivela la profondità di ciò che sta accadendo: le parti più esperte del proletariato mondiale si stanno muovendo di nuovo e tornano a far sentire la loro voce. Manca ancora quello della Germania, ancora profondamente segnato dalla sconfitta degli anni ‘20, dal suo schiacciamento fisico e ideologico, ma la durezza della crisi economica che sta iniziando a colpirlo potrebbe spingerlo a reagire a sua volta.
Perché l’aggravarsi della crisi e le conseguenze della guerra saranno un crescendo continuo, generando ovunque un aumento della rabbia e della combattività. Ed è molto importante che l’aggravarsi della crisi economica globale oggi prenda la forma dell’inflazione perché:
- spinge i proletari alla lotta, per necessità, non lascia scelta;
- colpisce tutti i paesi;
- non è un attacco che la borghesia può preparare e poi eventualmente ritirare sotto forma di riforma;
- ha un impatto sull’intera classe operaia, in tutti i settori;
- è il frutto non di questo o quel governo, di questo o quel padrone, ma del capitalismo, e implica quindi una lotta e una riflessione più globale, più generale.
Periodi di inflazione nella storia hanno regolarmente spinto il proletariato nelle strade. L'intera fine del XIX secolo fu segnata a livello internazionale dall'aumento dei prezzi e allo stesso tempo si svilupparono scioperi di massa dal Belgio, a partire dal 1892, alla Russia nel 1905. In Polonia nel 1980 il processo ha le sue radici nell'impennata dei prezzi della carne. L’esempio opposto è quello della Germania degli anni ’30: se a quel tempo l’inflazione galoppante provocò anche un’immensa rabbia, in realtà contribuì alla paura, alla ritirata e al disorientamento della classe; ma questo avvenne in un periodo storico ben diverso, quello della controrivoluzione, ed è proprio in Germania che il proletariato era stato precedentemente più massacrato ideologicamente e fisicamente.
Oggi, la Germania (dell’Ovest) è colpita dalla crisi economica globale come non accadeva dagli anni ’30, ma questo deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, questa ricomparsa dell’inflazione si inserisce nel contesto di una ripresa internazionale della combattività operaia. L'evoluzione della situazione sociale di questo Paese, dopo decenni di relativo immobilismo, deve quindi essere monitorata con particolare attenzione.
Così, nonostante la tendenza alla decomposizione ad agire sulla crisi economica, quest’ultima resta “il miglior alleato del proletariato”. Si tratta di una nuova conferma delle nostre Tesi sulla decomposizione: “l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità.” Avevamo dunque ragione quando, nella nostra ultima risoluzione sulla situazione internazionale, affermavamo: “Di conseguenza noi dobbiamo rigettare ogni tendenza a minimizzare l’importanza delle lotte economiche «difensive» della classe, che è una espressione tipica della concezione modernista che non vede la classe che come una categoria sfruttata e non anche come una forza storica, rivoluzionaria». Abbiamo già difeso questa posizione cardinale in uno dei nostri articoli appartenenti al nostro patrimonio, "La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo": "La lotta del proletariato tende ad uscire dall'ambito strettamente economico per divenire sociale, confrontandosi direttamente con lo Stato, politicizzandosi ed esigendo una massiccia partecipazione della classe”[8]. È la stessa idea contenuta nella formula di Lenin: “Dietro ogni sciopero si erge l’idra della rivoluzione”.
Il movimento del 2006 contro il CPE è stato una reazione a un attacco economico che ha immediatamente sollevato profonde questioni politiche generali, in particolare quella dell'organizzazione in assemblee ma anche quella della solidarietà tra generazioni. Ma, come abbiamo visto sopra, la perdita dell’identità di classe ha sterilizzato tutte queste questioni di fondo. Nei prossimi scioperi, a livello internazionale, di fronte al naufragare della crisi economica, c’è la possibilità che i lavoratori, pur con tutte le loro debolezze e illusioni, comincino a vedersi, a riconoscersi, a comprendere la forza che rappresentano nel collettivo, e quindi come classe, e allora tutte queste questioni sospese dall'inizio degli anni 2000 sulla prospettiva ("Un altro mondo è possibile"), sui metodi di lotta (le assemblee e il superamento delle divisioni corporativistiche), il sentimento di essere "tutti sulla stessa barca", gli slanci di solidarietà diventeranno terreno fertile per l'unità, e brilleranno di una nuova luce. Possono finalmente cominciare a essere visti e discussi consapevolmente. È così che si intrecceranno la dimensione economica e la dimensione politica.
L’intensificarsi dell’economia di guerra e l’aggravarsi della crisi economica a livello globale stanno creando un aumento della rabbia e della combattività anche esso a livello globale. E, come di fronte alla guerra, l’eterogeneità del proletariato nei diversi paesi genera un’eterogeneità di risposte e di potenzialità di ciascun movimento. Esiste tutta una gamma di lotte a seconda delle situazioni, della storia del proletariato e della sua esperienza.
Molti paesi si stanno avvicinando alla situazione europea, con una significativa concentrazione di lavoratori e governi “democratici” al potere. È il caso del Sudamerica. Lo sciopero dei medici e degli infermieri di fine novembre o lo sciopero “generale” di fine dicembre in Argentina, confermano questa relativa somiglianza, questa dinamica in parte comune. Ma in questi paesi il proletariato non ha accumulato la stessa esperienza come in Europa e in Nord America. Lì il peso degli strati intermedi e quindi il pericolo della trappola interclassista sono molto maggiori; il movimento Piqueteros degli anni '90 in Argentina è ancora il modello di lotta dominante. Soprattutto, i morsi della decomposizione marciscono l’intero tessuto sociale; la violenza e il traffico di droga dominano la società del nord del Messico, della Colombia, del Venezuela, cominciano ad affliggere il Perù, il Cile… Queste debolezze spiegano, ad esempio, perché nell’ultimo decennio il Venezuela è sprofondato in una crisi economica devastante senza che il proletariato abbia reagito, anche se si tratta di un proletariato industriale altamente istruito e con una forte tradizione di lotta.
Questa realtà conferma ancora una volta la responsabilità primaria del proletariato in Europa. Sulle sue spalle pesa il dovere di indicare la strada sviluppando lotte che mettano al centro i metodi del proletariato: assemblee generali operaie, rivendicazioni unificanti, solidarietà tra settori e generazioni... e difesa dell'autonomia della classe operaia, una lezione che risale alle lotte di classe in Francia nel 1848!
In particolare bisogna seguire l’evoluzione della lotta di classe in Cina. Questo paese conta una concentrazione di 770 milioni di lavoratori salariati e sembra conoscere un aumento significativo del numero di scioperi di fronte ad una crisi economica che si manifesta sotto forma di immense ondate di licenziamenti. Alcuni analisti avanzano l'idea che la nuova generazione di lavoratori non è pronta ad accettare le stesse condizioni di sfruttamento dei loro genitori, perché con lo sviluppo della crisi economica la promessa di un futuro migliore in cambio dei sacrifici attuali non regge più. Il pugno di ferro dello Stato cinese, la cui autorità poggia soprattutto sulla repressione, può contribuire ad alimentare la rabbia e spingere verso una lotta di massa. Detto ciò, la terribile storia del proletariato in Cina significa che il veleno delle illusioni democratiche sarà molto potente; è inevitabile che la rabbia e le rivendicazioni vengano dirottate sul terreno borghese: contro il giogo “comunista”, per i diritti e le libertà, ecc. In ogni caso, questo è quello che è successo quando è esplosa la rabbia contro le insopportabili restrizioni della politica anti-Covid cinese alla fine del 2022.
In tutta una parte del globo il proletariato è segnato da una grande debolezza storica e le sue lotte possono facilmente ridursi all’impotenza o/e sprofondare in vicoli ciechi borghesi (richiesta di più democrazia, libertà, uguaglianza, ecc.) o/e diluirsi nei movimenti interclassisti. Questa è la principale lezione della Primavera araba del 2010: anche se la mobilitazione operaia è stata reale, essa è stata diluita nel “popolo” e, soprattutto, le rivendicazioni erano dirette sul terreno borghese del cambio di leader (“Mubarak fuori", ecc.) e della richiesta di maggiore democrazia. L’immenso movimento di protesta che colpisce l’Iran ne è un perfetto esempio. La rabbia massiccia della popolazione si trasforma in rivendicazioni per i diritti delle donne (lo slogan centrale e ormai famoso in tutto il mondo è “donna, vita, libertà”); quindi, anche se nel paese si svolgono ancora molte lotte operaie, queste non possono che finire annegate nel movimento popolare. Negli ultimi anni, il linguaggio molto radicale di questi movimenti sociali ha fatto pensare a una certa forma di auto-organizzazione operaia: critica ai sindacati, appelli ai soviet, ecc. In realtà, questa terminologia marxista è una patina diffusa dalla sinistra radicale che non corrisponde alla realtà delle azioni della classe operaia in Iran[9]. Molti attivisti di sinistra in Iran si sono formati in Europa negli anni '70 e '80, e ne hanno importato questo linguaggio che usano per difendere i propri interessi, cioè quelli dell'ala sinistra del Capitale in Iran.
D’altra parte, gli stati democratici utilizzano questi movimenti, in Cina come in Iran:
- Sul piano imperialista evidentemente: l’Ucraina ha mostrato come gli Stati Uniti possano giocare la carta della “difesa della democrazia” per aumentare la propria influenza su un paese o per destabilizzarlo. Non è un caso che la protesta sociale è più forte nella regione curda dell’Iran dove anche l’influenza americana è più significativa.
- Anche sul piano ideologico, contro il proprio proletariato, ribadendo l’idea che “la democrazia si può difendere, è stata conquistata con grandi lotte, là si lotta per ottenerla” e che è come “popolo” che possiamo mobilitarci.
Qui si vede come la debolezza politica del proletariato di un paese venga sfruttata dalla borghesia contro tutto il proletariato mondiale; e viceversa, l’esperienza accumulata dal proletariato dei paesi centrali può indicare a tutti la via.
Le confusioni attuali sui movimenti sociali che scuotono i paesi della periferia ci obbligano a ricordare qui la nostra critica alla teoria dell'anello debole, critica che appartiene alla nostra eredità. Nella nostra risoluzione del gennaio 1983 scrivevamo: " L'altro grande insegnamento di queste lotte (in Polonia negli anni 80-81) e della loro sconfitta è che questa generalizzazione globale delle lotte non può che partire dai paesi che costituiscono il cuore economico del capitalismo: i paesi avanzati dell’Occidente e, tra questi, quelli dove la classe operaia ha acquisito l’esperienza più antica e completa: “l’Europa occidentale”[10]. E, per essere ancora più precisi, abbiamo precisato nella nostra risoluzione del luglio 1983: “Né i paesi del Terzo Mondo, né i paesi dell’Est, né il Nord America, né il Giappone possono essere il punto di partenza del processo che porta alla rivoluzione:
- i paesi del terzo mondo a causa della debolezza numerica del proletariato e del peso delle illusioni nazionaliste;
- Il Giappone, e soprattutto gli Stati Uniti, per non aver affrontato la controrivoluzione in modo così diretto e per aver subito meno direttamente la guerra mondiale, e per l'assenza di una profonda tradizione rivoluzionaria;
- i paesi dell’Est, a causa della loro relativa arretratezza economica, della forma specifica (penuria) che assume lì la crisi globale che impedisce una presa di coscienza globale e diretta delle sue cause (sovrapproduzione), della controrivoluzione stalinista che ha trasformato nella mente dei lavoratori l’ideale del socialismo nel suo opposto e ha consentito un nuovo impatto delle mistificazioni democratiche, sindacali e nazionaliste.”[11]
Se al di fuori dei paesi centrali possono esserci lotte massicce che dimostrano la rabbia, il coraggio e la combattività dei lavoratori di queste regioni del mondo, questi movimenti non possono avere alcuna prospettiva. Questa impossibilità sottolinea la responsabilità storica del proletariato in Europa che ha il dovere di far leva sulla propria esperienza per sventare le trappole più sofisticate della borghesia, a cominciare dalla democrazia e dai “sindacati liberi”, e indicare così la via da seguire.
3. L'azione della borghesia contro la maturazione della coscienza operaia e il peso della decomposizione
Quello che vediamo negli scioperi e nelle manifestazioni attuali, lo sviluppo della solidarietà, del sentimento che dobbiamo lottare insieme, di essere tutti sulla stessa barca, indica una certa maturazione sotterranea della coscienza. Come scrive MC[12] nel suo testo “Sulla maturazione sotterranea” (Bollettino Interno 1983): “Il lavoro di riflessione continua nella testa dei lavoratori e si manifesterà nella ripresa di nuove lotte. Esiste una memoria collettiva della classe, e questa memoria contribuisce anche allo sviluppo della coscienza e alla sua estensione nella classe”. Ma dobbiamo essere più precisi. La maturazione sotterranea si esprime diversamente a seconda che riguardi la classe nel suo insieme, i suoi settori combattivi, o le minoranze alla ricerca. Come abbiamo precisato nella nostra Rivista Internazionale 43:
- Questa (maturazione sotterranea) si manifesta al livello più basso della coscienza, così come negli strati più ampi della classe, come una contraddizione crescente tra l'essere storico, i bisogni reali della classe e l'adesione superficiale dei lavoratori alle regole borghesi. Questo scontro può rimanere in gran parte non riconosciuto, sepolto o represso per lungo tempo, oppure può cominciare ad emergere sotto forma di disillusione e disimpegno rispetto ai temi principali dell’ideologia borghese.
- In un settore più ristretto della classe, tra i lavoratori che restano fondamentalmente sul terreno proletario, ciò prende la forma di una riflessione sulle lotte passate; discussioni più o meno formali sulle lotte future, sull'emergere di nuclei combattivi nelle fabbriche e tra i disoccupati. (…)
- In una frazione della classe, ancor più limitata come dimensione, ma destinata a crescere con il progredire della lotta, ciò si concretizza in una difesa esplicita del programma comunista, e quindi in un raggruppamento in un'avanguardia marxista organizzata. L’emergere delle organizzazioni comuniste, lungi dall’essere una confutazione della nozione di maturazione sotterranea, ne è sia un prodotto che un fattore attivo.[13]
Dov'è allora la maturazione sotterranea nei diversi livelli della nostra classe?
Esaminare la politica della borghesia è sempre assolutamente essenziale, sia per valutare al meglio la posizione della nostra classe, sia per individuare le trappole che si stanno preparando. Pertanto, l’energia che la borghesia dispiega nei paesi centrali, soprattutto attraverso i suoi sindacati, per indebolire le lotte, isolare gli scioperi gli uni dagli altri ed evitare qualsiasi manifestazione unitaria di massa, dimostra che essa non vuole che i lavoratori si riuniscano per manifestare per aumenti salariali perché sanno che questo è il terreno più fertile per la riconquista dell’identità di classe.
Finora questa strategia ha funzionato, ma la borghesia sa che l’idea di dover lottare “tutti insieme” continuerà a germogliare nelle teste dei lavoratori, mentre la crisi si aggrava ovunque; del resto c'è già una piccola parte della classe che si pone questo tipo di domande. Ecco perché, sia per prepararsi al futuro, sia per captare e sterilizzare il pensiero delle attuali minoranze, alcuni sindacati mostrano sempre più una facciata radicale, proponendo un sindacalismo di classe e di lotta.
Colpisce anche vedere nelle manifestazioni fino a che punto le organizzazioni di estrema sinistra attirino una parte sempre più ampia di giovani. Una parte dei gruppi trotskisti si richiama sempre più alla lotta rivoluzionaria della classe operaia per il comunismo quando negli anni ’90, al contrario, si è rivolta alla difesa della democrazia, dei fronti unici di sinistra, ecc. Questa netta differenza è il frutto dell'adattamento della borghesia a ciò che avverte nella classe: non solo il ritorno della combattività operaia ma anche una certa maturazione della coscienza.
Del resto, questo crescente radicalismo di parte della sinistra e delle forze sindacali è visibile anche riguardo alla questione della guerra. Molti sindacati "di lotta", partiti che si dichiarano anarchici, trotskisti e maoisti, hanno prodotto dichiarazioni "internazionaliste", vale a dire denunciando apparentemente i due schieramenti presenti in Ucraina, Russia e Stati Uniti, e invocando apparentemente la lotta unitaria della classe operaia. Anche qui, questa attività della sinistra del capitale ha un duplice significato: catturare piccole minoranze alla ricerca di posizioni di classe che si stanno sviluppando e, a lungo termine, dare la loro risposta alle preoccupazioni che agitano la classe nel profondo.
Tuttavia, non dobbiamo sottovalutare l’impatto della propaganda imperialista o della guerra stessa sulla coscienza della classe operaia. Se la “difesa della democrazia” non può bastare oggi a mobilitare, resta il fatto che inquina gli animi, che mantiene le illusioni e le menzogne dello Stato protettore. Il discorso continuo sul "popolo" contribuisce ad attaccare ulteriormente l'identità di classe, a farci dimenticare che la società è divisa in classi antagoniste inconciliabili, mentre il "popolo" sarebbe una comunità di interessi riunita dalla nazione. Ultimo, ma non per importanza, la guerra stessa amplifica tutte le paure, il ripiego in sé stessi e l'irrazionalità: l'aspetto incomprensibile di questa guerra, il crescente disordine e caos, l'incapacità di poter prevedere l'evoluzione del conflitto, la minaccia di estensione, la paura di una terza guerra mondiale o l’uso di armi nucleari.
Più in generale, negli ultimi due anni, l’irrazionalità è aumentata nella popolazione mentre la decomposizione si è aggravata: la pandemia, la guerra e la distruzione della natura hanno notevolmente rafforzato il sentimento del no-futur, della mancanza di prospettive. In effetti, tutto ciò che abbiamo scritto nel 2019 nel nostro “Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso Internazionale della CCI” si è verificato e amplificato:
“Il mondo capitalista in decomposizione genera necessariamente un clima di apocalisse. Non ha un futuro da offrire all'umanità e il suo potenziale di distruzione è sempre più evidente per gran parte della popolazione mondiale. (…) Il nichilismo e la disperazione derivano da un sentimento di impotenza, una perdita di convinzione che esista un'alternativa all'incubo che prepara il capitalismo. Tendono a paralizzare il pensiero e la volontà di agire. E se l'unica forza sociale in grado di porre questa alternativa è praticamente inconsapevole della propria esistenza, ciò significa che i giochi sono fatti, che il punto di non ritorno è già stato superato? Siamo consapevoli che più il capitalismo si decompone, più mina le basi di una società più umana. Ciò è ancora più chiaramente illustrato dalla distruzione dell'ambiente, che sta accelerando la tendenza verso un collasso completo della società, condizione che non favorisce in alcun modo l'auto-organizzazione e la fiducia nel futuro, necessari per guidare una rivoluzione”[14]
La borghesia sfrutta spudoratamente questa cancrena contro la classe operaia, promuovendo ideologie piccolo-borghesi decomposte. Negli Stati Uniti, un’intera fascia del proletariato è colpita dai peggiori effetti della decomposizione, come l’aumento della xenofobia e dell’odio razziale. In Europa, la classe operaia mostra una maggiore resistenza a queste manifestazioni nauseanti, d'altro canto anche in questo nucleo storico hanno cominciato a diffondersi il complottismo e il rifiuto di ogni pensiero razionale (il movimento "anti-vaccino" per esempio) … E soprattutto, in tutti i paesi centrali, il proletariato è sempre più inquinato dall’ambientalismo e dal wokismo.[15]
Assistiamo qui ad un processo generale: ogni aspetto davvero rivoltante di questo capitalismo decadente e decomposto viene isolato, separato dalla questione del sistema e delle sue radici, per trasformarlo in una lotta frammentata nella quale deve essere inclusa l'una o l'altra categoria della popolazione (nero, donna, ecc.) o anche tutti ma in quanto “popolo”. Tutti questi movimenti costituiscono un pericolo per i lavoratori che rischiano di essere trascinati in lotte interclassiste o addirittura borghesi in cui vengono annegati nella massa dei “cittadini”. I lavoratori con più esperienza dei settori tradizionali della classe sembrano meno influenzati da queste ideologie e da queste forme di “lotta”. Ma la generazione più giovane, che è allo stesso tempo esclusa dalla tradizione della lotta di classe e particolarmente indignata di fronte alle palesi ingiustizie e preoccupata per il futuro oscuro, si perde in gran parte in questi movimenti "non misti" (incontri riservati esclusivamente ai neri, alle donne, ecc.), contro il "genere" (teoria dell'assenza di distinzione biologica tra i sessi), ecc. Invece della lotta contro lo sfruttamento, che è la radice del sistema capitalista, e che consente un movimento di emancipazione sempre più ampio (in cui includere la questione delle donne, delle minoranze, ecc.) come avvenne nel 1917, le ideologie ecologiste, wokiste, razzialiste, zadiste[16] … spazzano via la lotta di classe, la negano o addirittura la giudicano colpevole per l’attuale stato della società. Secondo i razzialisti la lotta di classe è una faccenda dei bianchi che mantiene l’oppressione dei neri; secondo il wokismo, la lotta di classe è una cosa del passato segnata dal paternalismo e dal dominio maschilista, oppure, secondo la teoria dell'intersezionalità, la lotta operaia sarebbe una lotta uguale alle altre: femminismo, antirazzismo, "classismo", ecc., sarebbero tutte lotte particolari contro l’oppressione che a volte potrebbero trovarsi fianco a fianco, “convergenti”. Il risultato è catastrofico: rifiuto della classe operaia e dei suoi metodi di lotta, divisione per categorie che non è altro che una forma dell’ognuno per sé, critica superficiale del capitalismo che porta a chiedere riforme, una maggiore “coscienza” dei potenti, nuove “leggi”, ecc. La borghesia quindi non esita, quando possibile, a dare la massima eco a tutti questi movimenti. Tutti gli Stati democratici hanno così fatto propria la causa dello slogan "donna, vita, libertà” divenuto il simbolo della protesta sociale in Iran.
E poiché questi movimenti sono chiaramente impotenti, ad una parte di questa gioventù, quella più radicale e ribelle, viene offerto di impegnarsi in azioni più "forti", azioni fulminee, sabotaggi, ecc. Negli ultimi mesi abbiamo assistito allo sviluppo dell’“ecologia radicale”. Quella più a “sinistra” di queste ideologie è l’“intersezionalità”: pretende di parlare di rivoluzione e lotta di classe, ma pone sullo stesso piano la lotta contro lo sfruttamento e le lotte contro il razzismo, il maschilismo, ecc. in realtà per diluire meglio la lotta operaia e indirizzarla astutamente verso l'interclassismo.
In altre parole, tutte queste ideologie decomposte coprono l'intero spettro della riflessione che germoglia nella nostra classe, in particolare nella sua gioventù, e sono quindi molto efficaci nello sterilizzare lo sforzo del proletariato che cerca come lottare, come affrontare questo mondo che sprofonda nell'orrore della barbarie e della distruzione.
Un intero settore dei partiti e delle organizzazioni della sinistra e dell'estrema sinistra promuove ovviamente queste ideologie. È sorprendente vedere come tutta una parte del trotskismo metta sempre più in primo piano il “popolo”; e gli eredi del modernismo (comunizzatori e altri)[17] hanno un ruolo specifico in questo caso: attirare a sé i giovani che cercano chiaramente di distruggere il capitalismo, fare sempre questo lavoro sporco di tenersi lontani dalla lotta di classe e ostacolare qualsiasi riconquista dell’identità di classe.
4. Il nostro ruolo
Nei prossimi anni si assisterà quindi sia ad uno sviluppo della lotta del proletariato di fronte all'aggravarsi della crisi economica (scioperi, giornate di mobilitazione, manifestazioni, movimenti sociali) sia, allo stesso tempo, allo sprofondare dell'intera società nella decomposizione con tutti i pericoli che ciò rappresenta per la nostra classe (lotte frammentate, movimenti interclassisti e persino rivendicazioni borghesi). Avremo contemporaneamente la possibilità di una progressiva riconquista dell’identità di classe e la crescente influenza delle ideologie decomposte.
La CCI avrà quindi un ruolo vitale in queste prossime lotte.
Per quanto riguarda l'intera classe, dovremo intervenire attraverso la nostra stampa, nelle manifestazioni, in eventuali incontri politici e nelle assemblee generali per:
- Utilizzare il crescente sentimento di “essere tutti sulla stessa barca” e l'aumento della combattività per difendere tutti i metodi di lotta che, nella storia, si sono rivelati portatori di solidarietà e unità, di identità di classe.
- Denunciare il lavoro di sabotaggio e di divisione dei sindacati.
- Qualificare la natura di ciascun movimento, caso per caso (operaio, interclassista, parcellare, borghese, ecc.). Su quest’ultimo punto, le difficoltà degli ultimi anni richiedono la nostra attenta vigilanza. La guerra in Ucraina non ha provocato e non scatenerà una reazione massiccia nella classe, non ci sarà alcun movimento contro la guerra. Noi dobbiamo difendere la fiaccola dell'internazionalismo, ma sarebbe illusorio, o opportunistico, credere che su questo terreno si possano costituire comitati operai; la natura totalmente artificiale e vuota dei comitati No War But The Class War tenuti in vita dalla sola volontà della TCI ne è una prova lampante. È infatti nel campo della lotta contro il deterioramento delle condizioni di vita, in particolare di fronte all’aumento dei prezzi, che il terreno sarà più fertile per il futuro sviluppo della lotta e della coscienza.
Per quanto riguarda tutta una parte della classe che mette in discussione lo stato della società e la prospettiva, dovremo continuare a sviluppare ciò che abbiamo iniziato a fare con il nostro testo sugli anni 2020, ovvero come esprimere al meglio la coerenza della nostra analisi, l'unica capace di collegare i diversi aspetti della situazione storica e di far emergere la realtà delle dinamiche del momento storico.
Più specificamente nei confronti di tutti questi giovani che vogliono lottare ma che sono prigionieri di ideologie decomposte, dovremo sviluppare la nostra critica al wokismo, all’ambientalismo, ecc. e richiamare l'esperienza del movimento operaio su tutte queste questioni (questione delle donne, della natura, ecc.). Così come è assolutamente necessario rispondere a tutte le domande che il trotskismo sa cogliere (distribuzione della ricchezza, capitalismo di Stato, comunismo, ecc.). Qui la questione della prospettiva e del comunismo, punto debole del nostro intervento, assume tutta la sua importanza.
Infine, per quanto riguarda le minoranze in ricerca, appaiono assolutamente essenziali la denuncia concreta delle diverse forze di estrema sinistra che si stanno sviluppando per distruggere questo potenziale, così come la lotta contro tutte le propaggini del modernismo; è nostra responsabilità per il futuro e la costruzione dell'organizzazione. Ed è qui che il nostro appello alle organizzazioni della sinistra comunista a riunirsi attorno ad una dichiarazione internazionalista di fronte alla guerra in Ucraina assume tutto il suo significato, quello di riprendere il metodo dei nostri predecessori, quelli di Zimmerwald, affinché le attuali minoranze possono ancorarsi alla storia del movimento operaio e resistere ai venti contrari soffiati dalla borghesia e dalle sue ideologie di estrema sinistra.
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Allegato al progetto di rapporto sulla lotta di classe
Sul legame tra economia e politica nello sviluppo della lotta e della coscienza
L'opuscolo “Lo sciopero di massa” di Rosa Luxemburg
"(…) se noi invece di considerare questa varietà minore che è lo sciopero dimostrativo consideriamo lo sciopero di lotta come quello che si verifica attualmente in Russia, non possiamo non essere colpiti dal fatto che l’elemento economico e l’elemento politico sono in esso indissolubilmente legato. Anche qui la realtà si discosta dallo schema teorico; la concezione pedante, che fa derivare logicamente lo sciopero di massa politico puro dallo sciopero generale economico, costituendone lo stadio più maturo e più elevato e che distingue accuratamente le due forme, viene smentita dall’esperienza della rivoluzione russa. Lo dimostra storicamente non solo il fatto che gli scioperi di massa – dal primo grande sciopero rivendicativo degli operai tessili a San Pietroburgo nel 1896-97 fino all’ultimo grande sciopero del dicembre 1905 – sono passati insensibilmente dal dominio delle rivendicazioni economiche a quello della politica, in una maniera così sottile che è quasi impossibile tracciare dei confini tra le une e le altre. Ma ognuno dei grandi scioperi di massa ripercorre, per così dire in miniatura, la storia generale degli scioperi in Russia, cominciando da un conflitto sindacale puramente rivendicativo o quantomeno parziale, percorrendo in seguito tutte le tappe fino alla manifestazione politica. La tempesta che scosse il sud della Russia nel 1902 e 1903 cominciò a Baku con una protesta contro il licenziamento dei lavoratori disoccupati; a Rostov con delle rivendicazioni salariali; a Tiflis con una lotta dei lavoratori del commercio per ottenere una diminuzione dell’orario giornaliero; a Odessa con una rivendicazione sui salari in una piccola fabbrica isolata. Lo sciopero di massa di gennaio 1905 è iniziato con un conflitto all’interno delle officine Putilov, lo sciopero di ottobre con le rivendicazioni dei ferrovieri per la loro cassa pensioni; infine, lo sciopero di dicembre con la lotta degli impiegati delle poste e telegrafi per ottenere il diritto di associazione. Il progresso del movimento non significa che l’elemento economico sparisce, ma piuttosto si caratterizza per la rapidità con cui vengono percorse tutte le tappe fino alla manifestazione politica e per la posizione più o meno estrema del punto finale raggiunto dallo sciopero di massa.
Tuttavia il movimento nel suo insieme non si orienta unicamente nel senso di un passaggio dall’economico al politico, ma anche nel senso inverso. Ognuna delle grandi azioni politiche di massa si trasforma, dopo aver raggiunto il suo apogeo, in un gran numero di scioperi economici. Questo non vale solo per ognuno dei grandi scioperi, ma anche per la rivoluzione nel suo insieme. Quando la lotta politica si estende, si chiarifica e si intensifica, non solo la lotta rivendicativa non sparisce, ma si estende, si organizza e si intensifica anch’essa. C’è un’interazione completa fra le due.
Ogni nuovo slancio e ogni nuova vittoria della lotta politica danno un impulso potente alla lotta economica allargando le sue possibilità d’azione esterna e dando agli operai un nuovo impulso per migliorare la loro situazione aumentando la loro combattività. Ogni ondata di azione politica lascia dietro di sé un terreno fertile da cui sorgono presto nuove mille rivendicazioni economiche. E, all’opposto, la guerra economica incessante che gli operai oppongono al capitale mantiene sveglia l’energia combattiva anche nei momenti di calma politica; essa costituisce in qualche maniera una riserva permanente di energia da cui la lotta politica trae sempre delle forze fresche; allo stesso tempo il lavoro infaticabile della lotta rivendicativa scatena ora qui, ora là dei conflitti acuti da cui scaturiscono bruscamente delle battaglie politiche.
In una sola parola, la lotta economica presenta una continuità, essa è il filo che lega i differenti nodi politici; la lotta politica è una fecondazione periodica che prepara il terreno alle lotte economiche. La causa e l’effetto si succedono e si alternano continuamente, e così l’economico e il fattore politico, lungi dal distinguersi completamente o anche di escludersi reciprocamente, come pretende lo schematismo pedante, costituiscono in un periodo di sciopero di massa degli aspetti complementari della lotta della classe proletaria in Russia. È precisamente lo sciopero di massa che costituisce la loro unità. La teoria sottile divide artificialmente, con l’aiuto della logica formale, lo sciopero di massa per ottenere uno ‘sciopero politico puro’; una tale divisione, come tutte le divisioni, non ci permette di vedere il fenomeno vivente, ma ci mostra un cadavere”
[1] Tesi sulla decomposizione, Rivista Internazionale n. 14, https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[2] Ibidem
[3] Anni 80: gli anni della verità ; Révue Internationale n.20 (in francese, inglese e spagnolo).
[4] La “Rivoluzione Arancione” appartiene al movimento delle “rivoluzioni colorate” o “rivoluzioni dei fiori”, una serie di rivolte “popolari”, “pacifiche” e filo-occidentali, alcune delle quali hanno portato a cambiamenti di governo tra il 2003 e il 2006 in Eurasia e Medio Oriente: la “Rivoluzione delle rose” in Georgia nel 2003, la “Rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan, la “Rivoluzione dei jeans” in Bielorussia e la “Rivoluzione dei cedri” in Libano nel 2005.
[5] Rivista Internazionale n. 36, https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021
[6] Ibidem, punto 26
[7] Bisogna riconoscere che il proletariato tedesco è il teorico del proletariato europeo, così come il proletariato inglese è l’economista e il proletariato francese il politico» (Marx, in Vorwärts, 1844).
[8] La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo ; Révue Internationale n. 23.
[9] Alcuni compagni pensano, al contrario, che questo linguaggio radicale della sinistra e dei comitati di base corrisponda alla necessità di recuperare le forme embrionali di autorganizzazione e di solidarietà che abbiamo visto nella classe operaia in Iran dal 2018. Bisogna discuterne.
[10] Risoluzione sulla situazione internazionale 1983 ; Révue internationale n. 35.
[11] Dibattito: sulla critica alla teoria dell'"anello più debole"; Révue internationale n. 37
[12] Per saperne di più sul nostro compagno Marc, leggere gli articoli: https://it.internationalism.org/content/1596/trentanni-fa-moriva-il-nostro-compagno-marc-chirik e https://it.internationalism.org/content/1600/marc-70-anni-di-vita-e-di-lotta-la-classe-operaia
[13] Risposta alla CWO: sulla maturazione sotterranea della coscienza di classe; Révue internationale n. 43.
[14] Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso internazionale della CCI; Rivista internazionale n. 35, https://it.internationalism.org/content/1533/rapporto-sulla-lotta-di-classe-il-23deg-congresso-internazionale-della-cci-2019.
[15] Woke, letteralmente "sveglio", è un aggettivo della lingua inglese con il quale ci si riferisce allo "stare all'erta", "stare svegli" nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. La voce è entrata nei dizionari della lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter. (da Wikipedia)
[16] Zadista: persona che si mobilita per la protezione e la difesa delle ZAD (dal francese Zone à defendre)
[17] Vedi la nostra serie in corso sui comunizzatori (attualmente in francese).