Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione

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In un certo senso, “la Sinistra comunista si trova oggi in una situazione simile a quella di Bilan degli anni ‘30, nel senso che è costretta a comprendere una nuova situazione storica senza precedenti” (Résolution sur la situation internationale, 13° Congresso della CCI, Revue internationale n. 97, 1999).

Questa osservazione, più che mai adeguata, richiederebbe intensi dibattiti tra le organizzazioni dell’ambiente proletario per analizzare il significato della crisi del Covid-19 nella storia del capitalismo e le conseguenze che ne derivano. Ora, di fronte all’estensione fulminea degli avvenimenti, i gruppi dell’ambiente politico proletario appaiono totalmente impotenti e disarmati: invece di cogliere il metodo marxista come una teoria vivente, lo riducono a un dogma invariante in cui la lotta di classe è vista come una ripetizione immutabile di schemi eternamente validi senza poter mostrare non solo ciò che persiste ma anche ciò che è cambiato. Così, i gruppi bordighisti o quelli consiliaristi ignorano ostinatamente l’entrata del sistema nella sua fase di decadenza. D’altra parte, la Tendenza Comunista Internazionale (TCI) rigetta l’analisi della decomposizione come una visione cataclismica e limita le sue spiegazioni al fatto che il profitto è responsabile della pandemia e all’idea illusoria che quest’ultima è solo un evento aneddotico, una parentesi, negli attacchi della borghesia per massimizzare i suoi profitti. Questi gruppi dell’ambiente politico proletario si contentano di recitare gli schemi del passato senza analizzare le circostanze specifiche, i tempi e l’impatto della crisi sanitaria. Di conseguenza, il loro contributo alla valutazione del rapporto di forze tra le due classi antagoniste nella società, i pericoli o le opportunità che la classe e le sue minoranze devono affrontare è ormai irrisorio.

Un approccio marxista fermo è tanto più necessario in quanto la sfiducia verso i discorsi ufficiali sta facendo emergere numerose “spiegazioni alternative” fallaci e fantasiose degli eventi. Teorie complottiste, una più fantasiosa dell’altra, stanno emergendo e sono condivise da milioni di persone: la pandemia e ora la vaccinazione di massa sarebbero una macchinazione dei Cinesi per assicurare la loro supremazia, un complotto della borghesia mondiale per preparare la guerra o ristrutturare l’economia mondiale, una mossa per il potere da parte di un’internazionale segreta di virologi o ancora una nebulosa cospirazione mondiale dell’élite (sotto la direzione di Soros o Gates). ... Questa atmosfera generale provoca persino un disorientamento dell’ambiente politico proletario, un vero “Corona blues”[1].

Per la CCI, il marxismo è “un pensiero vivo per il quale ogni avvenimento storico importante è occasione di un arricchimento. In effetti tali avvenimenti permettono o di confermare il quadro e le analisi sviluppate anteriormente, o di rimettere in discussione alcune di esse, imponendo uno sforzo di riflessione per riaggiustare degli schemi prima validi ma ormai superati, oppure, apertamente, di elaborarne di nuovi, adatti a rendere conto della nuova realtà. Le organizzazioni ed i militanti rivoluzionari hanno la responsabilità specifica e fondamentale di compiere questo lavoro di riflessione, avendo cura, come fecero i nostri predecessori, di avanzare allo stesso tempo con prudenza e audacia:

  • appoggiandosi in modo risoluto sulle acquisizioni di base del marxismo;

  • esaminando la realtà senza paraocchi e sviluppando il pensiero senza "alcun divieto o ostracismo" (Bilan).

In particolare, di fronte a tali avvenimenti storici, è importante che i rivoluzionari sappiano distinguere le analisi che sono diventate superate da quelle che restano valide, per evitare un doppio pericolo: o sclerotizzarsi o “gettare il bambino con l’acqua sporca”. (Testo di orientamento Militarismo e decomposizione, 1991).

Da allora, la crisi da Covid-19 ha imposto alla CCI la necessità di confrontare gli elementi salienti di questo grande evento con il quadro della decomposizione che l’organizzazione ha proposto da più di 30 anni per comprendere l’evoluzione del capitalismo. Questo quadro è chiaramente ricordato nel seguente passaggio della Risoluzione Internazionale del 23° Congresso della CCI:

“30 anni fa, la CCI ha evidenziato che il sistema capitalista era entrato nella fase finale della sua decadenza e della sua esistenza, quella della decomposizione. Quest’analisi si basava su una serie di fatti empirici, ma allo stesso tempo ha fornito un quadro per la comprensione di questi fatti: "in una situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si affrontano tra loro senza riuscire nessuna delle due ad imporre la sua risposta decisiva, la storia non si sarebbe potuta fermare. Ancor meno degli altri modi di produzione che l'hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo "un congelamento", una "stagnazione" della vita sociale. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l'incapacità della borghesia di offrire la minima prospettiva per la società nel suo insieme e l'incapacità del proletariato di affermare apertamente la sua nel futuro immediato non possono che tradursi in un fenomeno di decomposizione diffusa, di imputridimento dell’intera società". (La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo, punto 4, Rivista Internazionale n. 14). La nostra analisi ha avuto cura di chiarire i due significati del termine "decomposizione"; da un lato, si applica a un fenomeno che colpisce la società, soprattutto nel periodo di decadenza del capitalismo e, in secondo luogo, designa una particolare fase storica di quest'ultimo, la sua fase finale: “... È essenziale evidenziare la differenza fondamentale tra gli elementi di decomposizione che hanno colpito il capitalismo dall'inizio del secolo [XX secolo] e la decomposizione generalizzata in cui attualmente sta sprofondando questo sistema e che non potrà che aggravarsi. Anche qui, al di là dell'aspetto rigorosamente quantitativo, il fenomeno della decomposizione sociale sta ora raggiungendo una tale profondità e una tale ampiezza da acquisire una nuova e singolare qualità che mostra l'ingresso del capitalismo decadente in una fase specifica – la fase finale – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore decisivo nell'evoluzione della società" (Ibid., punto 2). È soprattutto quest'ultimo punto (il fatto che la decomposizione tende a diventare il fattore decisivo dell'evoluzione della società, e quindi di tutte le componenti della situazione mondiale, un'idea che non è per niente condivisa dagli altri gruppi della Sinistra comunista) a costituire l'asse principale di questa risoluzione.”[2]

In questo contesto, l’obiettivo di questo rapporto è valutare l’impatto della crisi da Covid-19 sull’approfondimento delle contraddizioni all’interno del sistema capitalista e le sue implicazioni rispetto all’approfondimento della fase di decomposizione.

1. La crisi da Covid-19 rivela la profondità della putrefazione del capitalismo

La pandemia infuria nel cuore del capitalismo: una prima, poi una seconda, addirittura una terza ondata di infezioni sta travolgendo il mondo e in particolare i paesi industrializzati; i loro sistemi ospedalieri sono sull’orlo dell’implosione e sono costretti a imporre ripetutamente confinamenti più o meno radicali. Dopo un anno di pandemia, le cifre ufficiali, ampiamente sottostimate in molti paesi, contano più di 500.000 morti negli Stati Uniti e più di 650.000 nell'Unione Europea e in America Latina.[3]

Durante gli ultimi dodici mesi, in questo modo di produzione che ha capacità scientifiche e tecnologiche illimitate le borghesie, non solo dei paesi periferici ma soprattutto dei principali paesi industrializzati, si sono dimostrate incapaci di:

  • impedire la diffusione della pandemia, e poi la sua ripresa attraverso una seconda, terza, .... ondata;

  • evitare la saturazione dei sistemi ospedalieri, come in Italia, Spagna, ma anche Gran Bretagna e Stati Uniti;

  • mettere in atto tecniche e strumenti per controllare e contenere le diverse ondate;

  • coordinare e centralizzare la ricerca di un vaccino e mettere in atto una politica di una sua produzione, distribuzione e somministrazione pianificata e ben studiata per tutto il pianeta.

Invece le varie borghesie hanno fatto a gara nell’adottare misure incoerenti e caotiche e hanno fatto ricorso, per disperazione, a misure adottate in tempi lontanissimi nella storia, come il confinamento, la quarantena e il coprifuoco. Queste stesse borghesie hanno condannato a morte centinaia di migliaia di persone selezionando chi tra i malati di Covid dovesse essere ammesso negli ospedali sovraffollati o rimandando a una data lontana il trattamento di altre patologie gravi.

Il corso catastrofico della crisi pandemica è fondamentalmente legato alla pressione inesorabile della crisi storica del modo di produzione capitalista. L’impatto delle misure di austerità, ulteriormente accentuato dalla recessione del 2007-2011, la concorrenza economica spietata tra gli Stati e la priorità accordata, soprattutto nei paesi industrializzati, al mantenimento delle capacità produttive a scapito della salute della popolazione in nome del primato dell'economia, hanno favorito la portata della crisi sanitaria e costituiscono un ostacolo permanente al suo contenimento. Questa immensa catastrofe che è la pandemia non è il prodotto del destino o dell’insufficienza delle conoscenze scientifiche o degli strumenti sanitari (come poteva essere il caso nei modi di produzione precedenti); né arriva come un fulmine a ciel sereno, né costituisce una parentesi passeggera. Essa esprime invece l’impotenza fondamentale del modo di produzione capitalista in declino, che va al di là dell’incuria di questo o quel governo, ma che è, al contrario, indicativa del blocco e della putrefazione della società borghese. Soprattutto essa rivela l’ampiezza di questa fase di decomposizione che si sta approfondendo ormai da 30 anni.

1.1 La sua comparsa evidenzia 30 anni di sprofondamento nella decomposizione

La crisi da Covid-19 non sorge dal nulla; essa è al tempo stesso l’espressione e la risultante di 30 anni di una fase di decomposizione che hanno messo in evidenza una tendenza alla moltiplicazione, all’approfondimento e alla convergenza sempre più evidente delle varie manifestazioni di degrado del sistema.

(a) L’importanza e il significato della dinamica di decomposizione sono stati compresi dalla CCI già alla fine degli anni ‘80:

Mentre la borghesia non ha le mani libere per imporre la sua "soluzione": la guerra imperialista generalizzata, e la lotta di classe non è ancora sufficientemente sviluppata per permettere di avanzare la sua prospettiva rivoluzionaria, il capitalismo è bloccato in una dinamica di decomposizione, di imputridimento che si manifesta su tutti i piani della sua esistenza:

  • degrado delle relazioni internazionali tra gli Stati che si manifesta con lo sviluppo del terrorismo;

  • catastrofi tecnologiche e cosiddette naturali a ripetizione;

  • distruzione della sfera ecologica;

  • carestie, epidemie, espressioni dell’impoverimento assoluto che si generalizza;

  • esplosione delle “nazionalità”;

  • vita della società segnata dallo sviluppo della criminalità, della delinquenza, dei suicidi, della follia, dell'atomizzazione individuale;

  • decomposizione ideologica segnata, tra l’altro, dallo sviluppo del misticismo, del nichilismo, dell’ideologia del ciascuno per sé, ecc.[4]

(b) L'implosione del blocco sovietico marca un’accelerazione spettacolare del processo nonostante le campagne per nasconderlo. Il crollo dall’interno di uno dei due blocchi imperialisti che si fronteggiavano, senza che questo sia il prodotto né di una guerra mondiale tra i blocchi, né dell’offensiva del proletariato, può essere compreso solo come una espressione di rilievo dell’entrata nella fase di decomposizione. Tuttavia, le tendenze alla perdita di controllo e l’esacerbazione del ciascuno per sé che questa implosione manifesta sono state in gran parte nascoste e contrastate:

  • in un primo tempo anzitutto dal recupero di prestigio della “democrazia”, dovuto alla sua “vittoria sul comunismo” (campagne sulla morte del comunismo e sulla superiorità dei governi democratici);

  • poi, dalla prima guerra del Golfo (1991), intrapresa in nome delle Nazioni Unite contro Saddam Hussein, che ha permesso a Bush senior di imporre una “coalizione internazionale di Stati” sotto la guida degli USA e di rallentare così la tendenza al ciascuno per sé;

  • infine, dal fatto che il crollo economico risultante dall’implosione del blocco orientale ha colpito solo i paesi dell’ex blocco russo, una parte particolarmente arretrata del capitalismo, e ha risparmiato ampiamente i paesi industrializzati.

(c) All’inizio del XXI secolo, l’estensione della decomposizione si manifesta soprattutto nell’esplosione del ciascuno per sé e del caos imperialista. L’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono da parte di Al Qaeda l’11 settembre 2001 e la risposta militare unilaterale dell’amministrazione Bush hanno scoperchiato il “vaso di Pandora” della decomposizione: con l’attacco e l’invasione dell’Iraq nel 2003, in spregio alle convenzioni e alle organizzazioni internazionali e senza tener conto dell’avviso dei suoi principali “alleati”, la prima potenza mondiale è passata dal ruolo di gendarme dell’ordine mondiale a quello di principale causa del ciascuno per sé e del caos. L’occupazione dell’Iraq, seguita dalla guerra civile in Siria (2011), alimenteranno potentemente il caos imperialista non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo. Essi accentuano anche la tendenza al declino della leadership statunitense, mentre la Russia torna alla ribalta, soprattutto attraverso un ruolo imperialista “destabilizzante” in Siria, e la Cina acquista potenza come sfidante della superpotenza statunitense.

(d) Nei primi due decenni del XXI secolo, la crescita quantitativa e qualitativa del terrorismo, favorita dalla diffusione del caos e della barbarie bellica nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nella vita della società come strumento di guerra tra gli Stati. Ciò ha condotto addirittura alla costituzione di un nuovo Stato, lo “Stato Islamico” (Daesh), con il suo esercito, la sua polizia, un’amministrazione, le scuole, per il quale il terrorismo è l’arma prediletta e che ha scatenato un’ondata di attentati suicidi in Medio Oriente così come nelle metropoli dei paesi industrializzati. “La costituzione di Daesh nel 2013-14 e gli attacchi in Francia nel 2015-16, in Belgio e Germania nel 2016 rappresentano un’altra tappa di primo piano di questo processo.” (Rapporto sulla decomposizione oggi, 22° Congresso della CCI, maggio 2017). L’espansione di questo terrorismo “kamikaze” va di pari passo con l’aumento del radicalismo religioso irrazionale e fanatico in tutto il mondo, dal Medio Oriente al Brasile, dagli Stati Uniti all’India.

(e) Nel 2016-17, il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e la presidenza Trump negli Stati Uniti mettono in evidenza lo tsunami populista che costituisce una nuova manifestazione particolarmente saliente dell’aggravarsi della decomposizione “L’ascesa del populismo costituisce, nelle attuali circostanze, un’espressione della crescente perdita di controllo da parte della borghesia sul funzionamento della società, risultante fondamentalmente da ciò che sta al centro della decomposizione, l’incapacità delle due classi fondamentali della società di rispondere alla crisi insolubile in cui l’economia capitalista sta sprofondando. In altre parole, la decomposizione è fondamentalmente il risultato di un’impotenza da parte della classe dirigente, che trova la sua fonte nell’incapacità di superare la crisi del suo modo di produzione e che tende sempre più a influenzare il suo apparato politico. Tra le cause attuali dell’ondata populista ci sono le principali manifestazioni di decomposizione sociale: la crescita della disperazione, il nichilismo, la violenza, la xenofobia, insieme a un crescente rifiuto delle “élite” (i “ricchi”, i politici, i tecnocrati) e in una situazione in cui la classe operaia non è in grado di presentare, anche in modo embrionale, un’alternativa.” (Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica, 23° Congresso della CCI, punto 4, Rivista Internazionale n° 34). Se questa ondata populista colpisce in particolare le borghesie dei paesi industrializzati, essa si manifesta anche nelle altre regioni del mondo sotto forma dell’arrivo al potere di leader forti e “carismatici” (Orban, Bolsonaro, Erdogan, Modi, Duterte, ...) spesso tramite l’appoggio di sette o di movimenti estremisti di ispirazione religiosa (chiese evangeliste in America Latina o in Africa, i Fratelli musulmani in Turchia, movimenti identitari razzisti indù nel caso di Modi).

La fase di decomposizione ha già 30 anni di storia e la breve carrellata fatta mostra come la putrefazione del capitalismo si sia estesa e approfondita attraverso fenomeni che hanno progressivamente interessato sempre più aspetti della società e che costituiscono gli ingredienti che hanno provocato il carattere esplosivo della crisi planetaria da Covid-19. È vero che durante questi 30 anni la progressione dei fenomeni è stata discontinua, ma si è svolta su diversi livelli (crisi ecologica, ciascuno per sé sul piano imperialista, frammentazione degli Stati, terrorismo, rivolte sociali, perdita di controllo da parte dell’apparato politico, putrescenza ideologica), minando sempre più i tentativi del capitalismo di Stato di contrastare la sua avanzata e mantenere un certo quadro condiviso. Tuttavia, mentre i vari fenomeni stavano raggiungendo un livello apprezzabile di intensità, apparivano fino ad allora come “una proliferazione di sintomi senza un’apparente interconnessione, in contrasto con i precedenti periodi di decadenza capitalistica che erano definiti e dominati da marcatori evidenti come la guerra mondiale o la rivoluzione proletaria” (Rapport sur la pandémie Covid-19 et la période de décomposition capitaliste (luglio 2020). È proprio il significato della crisi da Covid-19 ad essere, come l’implosione del blocco dell’Est, altamente emblematica della fase di decomposizione accumulando assieme tutti i fattori di putrefazione del sistema.

1.2 Il suo impatto risulta dall’interazione delle manifestazioni di decomposizione che promuove

Come le varie manifestazioni della decadenza (guerre mondiali, crisi economiche generali, militarismo, fascismo e stalinismo, ...), c'è quindi anche un accumulo di manifestazioni della fase di decomposizione. L’ampiezza dell’impatto della crisi da Covid-19 si spiega non solo con questo accumulo, ma anche attraverso l’interazione delle espressioni ecologiche, sanitarie, sociali, politiche, economiche e ideologiche della decomposizione in una specie di spirale mai vista prima, che ha portato a perdere il controllo di sempre più aspetti della società e all’esplosione di ideologie irrazionali, estremamente pericolose per il futuro dell’umanità.

a) Covid-19 e distruzione della natura

La pandemia è chiaramente un’espressione della rottura del rapporto tra l’uomo e la natura, che ha raggiunto un’intensità e una dimensione planetaria senza pari con la decadenza del sistema e, in particolare, con l’ultima fase di questa decadenza, quella della decomposizione, più specificamente attraverso la crescita urbana incontrollata (proliferazione di baraccopoli sovraffollate) nelle regioni periferiche del capitalismo, la deforestazione e il cambiamento climatico. Per esempio, nel caso del Covid-19, uno studio recente di ricercatori delle Università di Cambridge e delle Hawaii e del Potsdam Institute for Climate Impact Research (pubblicato sulla prestigiosa rivista Science of the Total Environment) indicherebbe che i cambiamenti climatici nella Cina meridionale nel secolo scorso avrebbero favorito la concentrazione nella regione di specie di pipistrelli, che sono portatori di migliaia di coronavirus, e permesso la trasmissione del SARS-CoV-2, probabilmente attraverso il pangolino, agli esseri umani[5].

Da decenni, la distruzione irrimediabile del mondo naturale genera un pericolo crescente di disastri ambientali ma anche sanitari, come già illustrato dalle epidemie di SARS, H1N1 o Ebola che, per fortuna, non sono diventate pandemie. Eppure, sebbene il capitalismo abbia la forza tecnologica di inviare uomini sulla Luna, di produrre armi mostruose capaci di distruggere il pianeta decine di volte, non è stato capace di dotarsi dei mezzi necessari per far fronte ai problemi ecologici e sanitari che hanno portato allo scoppio della pandemia da Covid-19. L’uomo è sempre più separato dal suo “corpo organico” (Marx) e la decomposizione sociale accentua questa tendenza.

(b) Covid-19 e recessione economica

Allo stesso tempo, le misure di austerità e di ristrutturazione della ricerca e dei sistemi sanitari, intensificate in seguito alla recessione del 2007-2011, hanno ridotto le disponibilità ospedaliere e rallentato, se non arrestato, le ricerche sui virus della famiglia del Covid, anche se diverse epidemie precedenti avevano messo in evidenza la loro pericolosità. D’altra parte, durante la pandemia, l’obiettivo primario dei paesi industrializzati è sempre stato quello di mantenere intatte il più possibile e il più a lungo possibile le capacità produttive e, come estensione di questo, gli asili, l'istruzione primaria e secondaria per permettere ai genitori di andare al lavoro, pur sapendo che aziende e scuole costituiscono una fonte non trascurabile di contagio, nonostante le misure adottate (indossare mascherine, mantenere le distanze, ecc.). In particolare, durante la fase di riduzione del confinamento dell’estate 2020, la borghesia ha giocato cinicamente con la salute delle popolazioni in nome del primato dell’economia, che ha sempre prevalso, anche se a rischio dell’emergere di una nuova ondata di pandemia, della ripetizione dei confinamenti e dell’aumento del numero di ricoveri e di morti.

(c) Covid-19 e caos imperialista

Fin dall’inizio, la crescente divisione tra gli Stati ha costituito un potente stimolo alla diffusione della pandemia e incoraggiato persino la sua utilizzazione a fini egemonici. A partire dai tentativi iniziali della Cina di nascondere il sorgere dell’epidemia e dal suo rifiuto di trasmettere informazioni all’OMS che hanno largamente favorito la diffusione iniziale della pandemia. In secondo luogo, la persistenza della pandemia e delle sue varie ondate, così come il numero di vittime, sono stati favoriti dal rifiuto di molti paesi di “condividere” le loro scorte di materiale sanitario con i loro vicini, dal crescente caos nella cooperazione tra diversi paesi, anche e soprattutto all’interno dell’UE, per armonizzare le politiche di controllo delle infezioni o le politiche di progettazione e approvvigionamento dei vaccini, e ancora dalla “corsa al vaccino” tra i giganti farmaceutici in competizione (con profitti lucrosi per i vincitori) invece di mettere insieme tutte le competenze mediche e farmacologiche disponibili. Infine, la “guerra dei vaccini” è in pieno svolgimento tra gli Stati: per esempio, la Commissione europea aveva inizialmente rifiutato di riservare 5 milioni di dosi di vaccino supplementari proposte da Pfizer-BioNTech sotto pressione della Francia, che ha chiesto un ordine supplementare equivalente per la società francese Sanofi; il vaccino AstraZeneca della Oxford University è stato riservato prioritariamente all’Inghilterra senza rispettare gli ordini dell’UE; inoltre, i vaccini cinesi (Sinovac), russi (Sputnik V), indiani (BBV152) o americani (Moderna) sono stati ampiamente sfruttati da questi stati come strumenti di politica imperialista. La competizione tra gli Stati e l’esplosione del “ciascuno per sé” hanno accentuato il caos spaventoso nella gestione della crisi pandemica.

(d) Covid-19 e perdita di controllo della borghesia sul proprio apparato politico

La perdita di controllo sull’apparato politico era già una delle caratteristiche che avevano segnato l’implosione del blocco dell’Est, ma era apparsa allora come una specificità legata al carattere particolare dei regimi stalinisti. La crisi dei rifugiati (2015-16), l’emergere di rivolte sociali contro la corruzione dell’élite e soprattutto la marea populista (2016), tutte manifestazioni che erano già presenti ma meno prominenti nei decenni precedenti, hanno messo in evidenza a partire dalla seconda metà del decennio 2010-2020 l’importanza di questo fenomeno come espressione della progressione della decomposizione. Questa dimensione giocherà un ruolo determinante nell’estensione della crisi da Covid-19. Il populismo, e in particolare i leader populisti come Bolsonaro, Johnson o Trump, hanno favorito con la loro politica vandalica la diffusione e l’impatto letale della pandemia: essi hanno banalizzato il Covid-19 come una semplice influenza, hanno favorito un’applicazione incoerente della politica di limitazione dei contagi, esprimendo apertamente il loro scetticismo nei suoi confronti, e hanno sabotato ogni collaborazione internazionale. Ad esempio, Trump ha trasgredito apertamente le misure sanitarie raccomandate, ha incolpato apertamente la Cina (il "virus cinese") e ha rifiutato qualunque cooperazione con l’OMS.

Questo “vandalismo” esprime in maniera emblematica la perdita di controllo della borghesia sul proprio apparato politico: dopo essersi dimostrate incapaci già all’inizio di limitare la diffusione della pandemia, le varie borghesie nazionali non sono riuscite a coordinare le loro azioni e a mettere in atto un ampio sistema di controllo e tracciamento dell’epidemia per controllare e limitare nuove ondate di contagio Covid-19. Infine, lo sviluppo lento e caotico della campagna di vaccinazione evidenzia ancora una volta le difficoltà dello Stato a gestire adeguatamente la pandemia. Il susseguirsi di misure contraddittorie e inefficaci ha alimentato scetticismo e sfiducia crescenti nelle popolazioni nei confronti delle direttive dei governi: “Possiamo constatare che, rispetto alla prima ondata, i cittadini fanno più fatica ad aderire alle raccomandazioni” (D. Le Guludec, presidente dell'Alta autorità francese per la salute, LMD 800, novembre 2020). Questa preoccupazione è molto presente nei governi dei paesi industrializzati (da Macron a Biden), esortando la popolazione a seguire le raccomandazioni e le direttive delle autorità.

(e) Covid-19 e rifiuto dell’élite, ideologie irrazionali e crescita della disperazione

I movimenti populisti non solo si oppongono all’élite, ma alimentano anche lo sviluppo di ideologie nichiliste e i settarismi religiosi più retrogradi, già rafforzati dall’approfondirsi della fase di decomposizione. La crisi da Covid-19 ha provocato un’esplosione senza precedenti di visioni cospirative e antiscientifiche, che alimentano la contestazione delle politiche sanitarie statali. Le teorie cospirative abbondano, diffondendo nozioni totalmente fantasiose sul virus e la pandemia. Inoltre, leader populisti come Bolsonaro o Trump hanno apertamente espresso il loro disprezzo per la scienza. La diffusione esponenziale del pensiero irrazionale e della messa in discussione della razionalità scientifica durante la pandemia è un’illustrazione impressionante dell’accelerazione della decomposizione.

Il rifiuto populista dell’élite e le ideologie irrazionali hanno esacerbato una contestazione sempre più violenta, ma su un terreno puramente borghese, delle misure governative, come il coprifuoco e il confinamento. Questa rabbia anti-élite e anti-Stato ha stimolato il nascere di raduni (Danimarca, Italia, Germania) o di rivolte “vandaliche”, nichiliste e anti-Stato contro le restrizioni (al grido di “Libertà!”, “Per i nostri diritti e la nostra vita”), contro la “dittatura del confino” o ancora l’“inganno di un virus che non esiste”, come quelli scoppiati in gennaio in Israele, Libano, Spagna e soprattutto in molte città olandesi[6].

1.3 La crisi da Covid-19 mostra che le manifestazioni della decomposizione si concentrano nei paesi centrali del capitalismo

Gli effetti della fase di decomposizione hanno prima colpito duramente le aree periferiche del sistema: i paesi dell’Est con l’implosione del blocco sovietico e dell’ex Jugoslavia, le guerre in Medio Oriente, la recrudescenza delle tensioni belliche in Asia (Afghanistan, Corea, conflitto di confine sino-indiano), le carestie, le guerre civili, il caos in Africa. La situazione cambia con la crisi dei rifugiati, che ha portato a un flusso massiccio di richiedenti asilo in Europa, o con l’esodo di popolazioni disperate dal Messico e dall’America centrale verso gli Stati Uniti, poi con gli attacchi jihadisti negli Stati Uniti e nel cuore dell’Europa e infine con lo tsunami populista del 2016. Nel secondo decennio del XXI secolo, il centro dei paesi industrializzati è sempre più colpito e questa tendenza è confermata in maniera spettacolare dalla crisi da Covid-19.

La pandemia sta colpendo fortemente il cuore del capitalismo, e particolarmente gli Stati Uniti. Rispetto all’implosione del blocco dell’Est del 1989, che ha aperto la fase di decomposizione, la situazione attuale presenta una differenza cruciale che è il fatto che la crisi da Covid-19 ha praticamente risparmiato una parte particolarmente arretrata del mondo capitalista e pertanto non può essere presentata come una vittoria del “capitalismo democratico” poiché colpisce al contrario il centro del sistema capitalista attraverso le democrazie dell’Europa e degli Stati Uniti. Come un boomerang, i peggiori effetti della decomposizione, che il capitalismo aveva spinto per anni alla periferia del sistema, stanno tornando a colpire duramente i paesi industrializzati, che sono ora al centro delle turbolenze e ben lontani dall’essere esenti da tutti i suoi effetti. Questo impatto sui paesi industrializzati centrali era già stato segnalato dalla CCI a livello di controllo del gioco politico, soprattutto a partire dal 2017, ma oggi le borghesie americana, britannica e tedesca (e successivamente quelle degli altri paesi industrializzati) sono al centro dell’uragano pandemico e delle sue conseguenze a livello sanitario, economico, politico, sociale e ideologico.

Tra i paesi centrali, è il più potente tra loro, la superpotenza americana, a subire di più l’impatto della crisi da Covid.19: il più alto numero assoluto di infezioni e morti al mondo, una situazione sanitaria deplorevole, un’amministrazione presidenziale “vandalica” che ha gestito in modo catastrofico la pandemia e che, a livello internazionale, ha isolato il paese dai suoi precedenti alleati, un’economia in profonda difficoltà, un presidente che ha screditato le elezioni, chiamato a marciare contro il parlamento, approfondito le divisioni all’interno del paese e alimentato la sfiducia nella scienza e nei dati razionali, etichettati come fake news. Oggi, gli Stati Uniti sono l’epicentro della decomposizione.

Come spiegare che la pandemia sembra effettivamente colpire meno la “periferia” del sistema (sia in termini di infezioni che di morti), e in particolare l’Asia e l’Africa? Ci sono naturalmente diverse ragioni circostanziali: il clima, la densità della popolazione o l’isolamento geografico (come dimostrano i casi della Nuova Zelanda, dell’Australia o della Finlandia in Europa), ma anche la relativa affidabilità dei dati: per esempio, la cifra dei morti per Covid-19 nel 2020 in Russia risulta essere tre volte superiore a quella ufficiale (185.000 invece di 55.000) secondo uno dei vice primi ministri, Tatjana Golikova, sulla base della mortalità in eccesso (De Morgen, 29.12.2020).

Più fondamentalmente, il fatto che l’Asia e l’Africa hanno una esperienza di gestione delle pandemie (H1N1, Ebola) ha certamente giocato a loro favore. Poi, ci sono varie spiegazioni di natura economica (la maggiore o minore densità di scambi e di contatti internazionali, la scelta di confinamenti localizzati che permettono di continuare l’attività economica), sociale (una popolazione anziana “parcheggiata” a centinaia nelle “case di riposo”), medica (una maggiore o minore durata media della vita: cfr. Francia: 82,4, Vietnam: 76, Cina: 76,1, Egitto: 70,9, Filippine: 68,5, Congo: 64,7 e maggiore o minore resistenza alle malattie). Inoltre, i paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina subiscono e subiranno un pesante impatto indiretto dalla pandemia in seguito ai ritardi nella vaccinazione alla periferia, gli effetti economici della crisi da Covid-19 e il rallentamento del commercio mondiale, come indicato dall’attuale pericolo di carestia in America Centrale, dovuto all'arresto dell’economia. Infine, il fatto che i paesi europei e gli Stati Uniti evitino il più possibile di imporre confinamenti e controlli drastici e brutali, come quelli decretati in Cina, è senza dubbio legato anche alla prudenza delle borghesie nei confronti di una classe operaia, certamente disillusa ma non sconfitta, che non è pronta a lasciarsi “rinchiudere” dallo Stato. La perdita di controllo da parte della borghesia del suo apparato politico e la rabbia all’interno di una popolazione confrontata con il collasso dei servizi sanitari e il fallimento delle politiche sanitarie rendono ancora più necessario agire con circospezione.

2. La crisi da Covid-19 annuncia una potente accelerazione del processo di decomposizione

Di fronte ad un ambiente politico proletario che, dopo aver negato le passate espressioni della decomposizione, considera la crisi pandemica come un episodio transitorio, la CCI sottolinea, al contrario, che l’ampiezza della crisi da Covid-19 e delle sue conseguenze implica che non ci sarà un “ritorno alla normalità”. Anche se l’approfondimento della decomposizione, come nel caso della decadenza, non è lineare, anche se la partenza del populista Trump e l’arrivo al potere di Biden nella prima potenza mondiale possono, in un primo momento, fornire l’immagine di una stabilizzazione illusoria, bisogna essere coscienti che le diverse tendenze che si sono manifestate durante la crisi del Covid-19 segnano un’accelerazione del processo di sgretolamento e di distruzione del sistema.

2.1. Il decadimento della sovrastruttura sta infettando la base economica

Nel 2007, la nostra analisi concludeva ancora che “Paradossalmente, la situazione economica del capitalismo è l’aspetto di questa società meno colpito dalla decomposizione. Ciò perché è proprio questa situazione economica che determina, in ultima istanza, gli altri aspetti della vita di questo sistema, compresi quelli che sono espressione della decomposizione. (...). Oggi, nonostante tutti i discorsi sul “trionfo del liberalismo” e sul “libero esercizio delle leggi di mercato”, gli Stati non hanno rinunciato né a intervenire nelle economie dei loro rispettivi paesi, né a utilizzare strutture che regolino in qualche misura le relazioni tra loro, creandone anche di nuove, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio” (Résolution sur la situation internationale, Revue internationale n° 130, 2007). Fino ad allora, la crisi economica e la decomposizione erano state separate dall’azione dello Stato, con la prima apparentemente non influenzata dalla seconda.

In effetti, i meccanismi internazionali del capitalismo di Stato, dispiegati nel quadro dei blocchi imperialisti (1945-89), erano stati mantenuti a partire dagli anni ‘90 su iniziativa dei paesi industrializzati come palliativo alla crisi e come scudo protettivo contro gli effetti della decomposizione. La CCI aveva interpretato i meccanismi multilaterali di cooperazione economica e una certa coordinazione delle politiche economiche non come un’unificazione del capitale a livello mondiale, né come una tendenza al super-imperialismo, ma come una collaborazione tra borghesie a livello internazionale allo scopo di regolare e organizzare il mercato e la produzione mondiale, di rallentare e ridurre il peso del precipitare nella crisi, di evitare l’impatto degli effetti della decomposizione sul terreno nevralgico dell’economia e infine di proteggere il cuore del capitalismo (gli Stati Uniti, la Germania, ... ). Tuttavia, questo meccanismo di resistenza contro la crisi e la decomposizione tendeva ad erodersi sempre di più. Dal 2015, diversi fenomeni hanno cominciato ad esprimere tale erosione: una tendenza verso un notevole indebolimento della coordinazione tra i paesi, in particolare per quanto riguarda la ripresa dell’economia (e che contrasta chiaramente con la risposta coordinata messa in atto di fronte alla crisi del 2008-2011), una frammentazione delle relazioni tra e all’interno degli Stati. Dal 2016, il voto a favore della Brexit e la presidenza Trump hanno aumentato la paralisi e il rischio di frammentazione dell’Unione europea e intensificato la guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, ma anche le tensioni economiche tra gli Stati Uniti e la Germania.

Una delle principali conseguenze della crisi da Covid-19 è che gli effetti della decomposizione, l’accentuazione del ciascuno per sé e la perdita di controllo, che fino ad ora avevano colpito principalmente la sovrastruttura del sistema capitalista, ora tendono a colpire direttamente la base economica del sistema, la sua capacità di gestire gli shock economici nell’affondamento della sua crisi storica. “Quando abbiamo sviluppato la nostra analisi della decomposizione, abbiamo considerato che questo fenomeno avrebbe influenzato la forma dei conflitti imperialisti (vedi “Militarismo e decomposizione”, Rivista Internazionale n°15) e anche la presa di coscienza del proletariato. Di contro, abbiamo considerato che non avrebbe avuto un impatto reale sull’evoluzione della crisi del capitalismo. Se l’attuale ascesa del populismo dovesse portare al potere questa corrente in alcuni dei principali paesi d’Europa, potremmo assistere allo sviluppo di un tale impatto della decomposizione.” (Rapporto sulla decomposizione oggi, 22° Congresso della CCI, maggio 2017). In effetti, la prospettiva avanzata nel 2017 è diventata rapidamente una realtà e ora dobbiamo considerare che la crisi economica e la decomposizione interferiscono e si influenzano sempre di più.

Per esempio, i tagli di bilancio nelle politiche sanitarie e nell’assistenza ospedaliera hanno favorito la diffusione della pandemia, che a sua volta ha portato a un crollo del commercio mondiale e delle economie, in particolare nei paesi industrializzati (i PIL dei principali paesi industrializzati presentano nel 2020 dei tassi negativi mai raggiunti dalla seconda guerra mondiale). La recessione economica fornirà a sua volta uno stimolo per l’ulteriore decadimento della sovrastruttura. D’altra parte, l’aumento del ciascuno per sé e la perdita di controllo che caratterizzano globalmente la crisi da Covid-19 intaccano già da ora l’economia. Colpisce la mancanza di concertazione internazionale tra i paesi centrali sul fronte economico (nessuna riunione del G7, G8 o G20 nel 2020) e il mancato coordinamento delle politiche economiche e sanitarie tra i paesi dell’UE. Di fronte alla pressione delle contraddizioni economiche all’interno dei paesi centrali del capitalismo, e di fronte alle esitazioni della Cina sulla sua politica (continuare ad aprirsi al mondo o iniziare un ritiro strategico nazionalista in Asia), gli shock a livello della base economica tenderanno a diventare sempre più forti e caotici.

2.2. I paesi centrali al centro della crescente instabilità delle relazioni all’interno delle borghesie e tra le borghesie

Negli anni precedenti abbiamo assistito ad un’acutizzazione delle tensioni all’interno delle borghesie e tra le borghesie. In particolare, con l’arrivo al potere di Trump e l’attuazione della Brexit, queste tensioni si sono manifestate soprattutto a livello delle borghesie americana e inglese, precedentemente considerate le più stabili ed esperte del mondo: le conseguenze della crisi da Covid-19 non potevano che acuire ancora di più tali tensioni:

  • La borghesia inglese sta entrando nella nebbia post-Brexit avendo perso l’appoggio del grande fratello americano a causa della sconfitta di Trump, mentre subisce con forza tutte le conseguenze della pandemia. Per quanto riguarda la Brexit, l’insoddisfazione per l’accordo poco chiaro con l'UE appare tanto tra coloro che non volevano questo accordo (scozzesi, nordirlandesi) quanto tra coloro che volevano una hard Brexit (pescatori), mentre non c’è un accordo (ancora?) con l’UE per i servizi (80% del commercio) e le tensioni tra UE e Regno Unito stanno aumentando (sui vaccini, per esempio). Per quanto riguarda la crisi da Covid-19, l’Inghilterra è dovuta ricorrere di nuovo e in tutta fretta al confinamento, ha superato la soglia dei 120.000 morti, con dei servizi sanitari sottoposti a una terribile pressione. Nel frattempo, la situazione nei suoi principali partiti politici, i Tories e il Labour, è catastrofica, entrambi in preda a una grave crisi interna.

  • L’acutizzazione delle tensioni tra gli Stati Uniti e gli altri Stati è stata evidente sotto l’amministrazione Trump: “Il comportamento da vandalo di un Trump che può rinnegare dall’oggi al domani gli impegni internazionali americani sfidando regole consolidate rappresenta un nuovo e potente fattore d’incertezza e impulso del ciascuno per sé. Ciò costituisce un ulteriore indice della nuova tappa che il sistema capitalista attraversa nello sprofondamento nella barbarie e nell’abisso del militarismo senza limiti.” (Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica, punto 13, 23° Congresso della CCI). Ma anche all’interno della stessa borghesia americana le tensioni sono elevate. Questo si era già manifestato a proposito della strategia da adottare per assicurare il mantenimento della sua supremazia durante la catastrofica avventura irachena di Bush Junior: “L’arrivo nel 2001 alla guida dello Stato americano dei neoconservatori ha rappresentato una vera catastrofe per la borghesia americana. (...). Infatti, l’arrivo dell’equipe Cheney, Rumsfeld e compagnia alla guida dello Stato non è stato semplicemente il risultato di un monumentale “errore di casting” da parte di questa classe. Se ha peggiorato considerevolmente la situazione degli Stati Uniti sul piano imperialista, questo era già la manifestazione dell’impasse in cui si trovava questo paese di fronte alla perdita crescente della propria leadership, e più in generale allo sviluppo del ciascuno per sé nelle relazioni internazionali che caratterizza la fase di decomposizione” (Résolution sur la situation internationale, 17° Congresso della CCI, Revue internationale n° 130, 2007). Ma con le politiche “vandaliche” di Trump e la crisi da Covid-19, le opposizioni all’interno della borghesia americana sono apparse molto più ampie (immigrazione, economia) e soprattutto, la capacità dell’apparato politico di mantenere la coesione di una società frammentata sembra minata. In effetti, l’“unità” e l’“identità” nazionali hanno delle debolezze congenite che le rendono vulnerabili alla decomposizione. Così, l’esistenza di grandi comunità etniche e migranti, che hanno subito discriminazioni razziali fin dalle origini degli Stati Uniti e alcune delle quali sono escluse dalla vita “ufficiale”, il peso delle chiese e delle sette che propagano un pensiero irrazionale e antiscientifico, la grande autonomia di gestione degli Stati dell’“Unione americana” rispetto al potere federale (esiste, per esempio, un movimento indipendentista in Texas), l’opposizione sempre più netta tra gli Stati della costa orientale e occidentale (California, Oregon, Washington, New York, Massachusetts, ecc.), profittando pienamente della “mondializzazione”, e gli Stati del Sud (Tennessee, Louisiana, ecc.), la Rust Belt (Indiana, Ohio, ecc.) e il centro profondo (Oklahoma, Kansas, ecc.), che sono molto più favorevoli a un approccio più protezionista, tendono a favorire una frammentazione della società americana, anche se lo Stato federale è ancora lontano dall’aver perso il controllo della situazione. Tuttavia, il teatrino della contestazione del processo e dei risultati delle ultime elezioni presidenziali così come l’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump di fronte al mondo intero come in una qualsiasi repubblica delle banane conferma l'accentuazione di questa tendenza alla frammentazione.

Per quanto riguarda il futuro inasprimento delle tensioni all’interno e tra le borghesie, due punti sono degni di nota.

(a) La nomina di Biden non cambia la radice dei problemi degli Stati Uniti

L’avvento dell’amministrazione Biden non significa affatto la riduzione delle tensioni intra- e inter-borghesi e in particolare la fine dell’impronta del populismo trumpiano sulla politica interna ed estera: da un lato, quattro anni di imprevedibilità e vandalismo di Trump, da ultimo per quanto riguarda la gestione catastrofica della pandemia, hanno segnato profondamente la situazione interna degli Stati Uniti, la frammentazione della società americana, così come il suo posizionamento internazionale. Inoltre, Trump ha fatto di tutto nell’ultimo periodo della sua presidenza per rendere la situazione ancora più caotica per il suo successore (cfr. la lettera degli ultimi 10 ministri della difesa che ingiungono a Trump di non coinvolgere l’esercito nella contestazione dei risultati elettorali nel dicembre 2020 con l’occupazione del Congresso da parte dei suoi sostenitori). In secondo luogo, il risultato elettorale ottenuto da Trump mostra che circa la metà della popolazione condivide le sue idee e in particolare la sua avversione per le élite politiche. Infine, la presa di Trump e delle sue opinioni su gran parte del partito repubblicano annunciano una gestione difficile per la poco popolare (al di fuori delle élite politiche) amministrazione Biden. La sua vittoria è stata dovuta più alla polarizzazione anti-Trump che all’entusiasmo per l’agenda del nuovo presidente.

Inoltre, se a livello di forma e in settori specifici, come la politica sul clima o l’immigrazione, l’amministrazione Biden tenderà a rompere con la politica di Trump, la sua politica interna di “vendetta” delle élite delle due coste contro l’“America profonda” (le questioni dei combustibili fossili e del “muro” sono proprio legate a questo) e la politica estera, segnata dalla continuazione della politica di Trump in Medio Oriente e da un rafforzamento del confronto con la Cina (cfr. l’atteggiamento duro di Biden nei confronti di Xi durante la loro prima conversazione telefonica e la richiesta degli Stati Uniti all’UE di rivedere il suo trattato commerciale con la Cina) può solo portare a lungo termine a una maggiore instabilità all’interno della borghesia statunitense e tra le borghesie.

(b) La Cina non è il grande vincitore della situazione

Ufficialmente, la Cina si presenta come il “paese che ha sconfitto la pandemia”. Qual è la sua situazione nella realtà? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo valutare l’impatto a breve termine (controllo effettivo della pandemia) e a medio termine della crisi da Covid-19.

La Cina ha una responsabilità schiacciante nell’emergere e nell’espandersi della pandemia. Dopo l’epidemia di SARS nel 2003, sono stati stabiliti protocolli per le autorità locali per avvertire le autorità centrali; già con l'epidemia di peste suina nel 2019, è diventato chiaro che questo non funzionava perché, nel capitalismo di Stato stalinista, i funzionari locali temono per le loro carriere/promozioni se annunciano cattive notizie. Lo stesso è successo all’inizio del Covid-19 a Wuhan. Sono state le “opposizioni democratiche cittadine” che alla fine hanno trasmesso la notizia e, di conseguenza, con ritardo, hanno portato la notizia a livello centrale. Il “livello centrale” si è inizialmente distinto per la sua assenza: non ha avvisato l’OMS e, per tre settimane, Xi è stato assente, tre preziose settimane perse. Da allora, inoltre, la Cina ha sempre rifiutato di fornire all’OMS dati verificabili sullo sviluppo della pandemia sul suo territorio.

L’impatto a breve termine è principalmente indiretto. A livello diretto, le cifre ufficiali delle infezioni e dei decessi non sono affidabili, (quest’ultime vanno da 30.000 a diversi milioni) e, secondo il New York Times, lo stesso governo cinese potrebbe non essere a conoscenza dell’estensione dell’epidemia poiché le autorità locali mentono sul numero di infezioni, di test e morti per paura di rappresaglie da parte del governo centrale. Tuttavia, l’imposizione di spietate e barbare serrate su intere regioni, chiudendo letteralmente milioni di persone nelle loro case a volte per settimane (imposte di nuovo regolarmente negli ultimi mesi), paralizza totalmente l’economia cinese per diverse settimane, portando a una disoccupazione massiccia (205 milioni a maggio 2020) e conseguenze disastrose sui raccolti (in combinazione con siccità, inondazioni e invasioni di cavallette). Per il 2020, la crescita del PIL scende di oltre il 4% rispetto al 2019 (da +6,1% a +1,9%); il consumo interno è stato mantenuto solo grazie a un pieno rilascio del credito da parte dello Stato.

A più lungo termine, l’economia cinese deve affrontare una delocalizzazione delle industrie strategiche da parte degli Stati Uniti e dei paesi europei e le difficoltà della “Nuova Via della Seta” a causa dei problemi finanziari legati alla crisi economica e accentuati dalla crisi da Covid-19 (i finanziamenti cinesi, ma soprattutto il livello di indebitamento dei paesi “partner” come lo Sri-Lanka, il Bangladesh, il Pakistan, il Nepal, etc.), ma anche a causa della crescente diffidenza di molti paesi e della pressione anticinese degli Stati Uniti. Pertanto, non è sorprendente che nel 2020, c’è stato un crollo del valore finanziario degli investimenti fatti nel progetto “Nuova Via della Seta” (-64%).

La crisi da Covid-19 e gli ostacoli incontrati dalla “Nuova Via della Seta” hanno anche accentuato le tensioni, che sono sempre più evidenti, alla testa dello stato cinese. La fazione “economista” si affida soprattutto alla globalizzazione economica e al “multilateralismo” per perseguire l’espansione capitalista della Cina. La fazione “nazionalista” chiede invece una politica più muscolosa e mette avanti la forza (“La Cina che ha sconfitto il Covid”) di fronte alle minacce interne (gli uiguri, Hong Kong, Taiwan) ed esterne (tensioni con gli Stati Uniti, l’India e il Giappone). In vista del prossimo Congresso del Popolo del 2022, che dovrebbe nominare il nuovo (o confermare il vecchio) presidente, la situazione in Cina è quindi anche particolarmente instabile.

2.3. Il capitalismo di Stato come fattore di acutizzazione delle contraddizioni

Come sottolineava la CGF nel suo organo di stampa Internationalisme nel 1952, il capitalismo di Stato non è una soluzione alle contraddizioni del capitalismo, anche se può ritardarne gli effetti, ma ne è l’espressione. La capacità dello Stato a mantenere insieme una società in declino, per quanto pervasiva, è quindi destinata a indebolirsi nel tempo e a diventare alla fine un fattore aggravante delle stesse contraddizioni che cerca di contenere. La decomposizione del capitalismo è il periodo in cui una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante e del suo Stato diventa la tendenza dominante nell’evoluzione sociale, cosa che il Covid rivela così drammaticamente” (Rapport sur la pandémie Covid-19 et la période de décomposition capitaliste (luglio 2020)). Con la crisi pandemica, si esprime in maniera particolarmente acuta la contraddizione tra la necessità di un massiccio interventismo da parte del capitalismo di Stato per cercare di limitare gli effetti della crisi e una tendenza opposta alla perdita di controllo, alla frammentazione, a sua volta esacerbata da questi tentativi dello Stato di mantenere il controllo.

In particolare, la crisi da Covid-19 ha segnato un’accelerazione nella perdita di credibilità degli apparati statali. Mentre il capitalismo di Stato è intervenuto in maniera massiccia per far fronte agli effetti della crisi pandemica (misure sanitarie, confinamenti, vaccinazioni di massa, compensi finanziari generalizzati per attutire l’impatto economico, ecc.), le misure prese sui diversi piani si sono spesso rivelate inefficaci o hanno provocato nuove contraddizioni (ad es. la vaccinazione ha acuito l’opposizione contro lo Stato dei “no-vax”, i compensi economici per un settore hanno suscitato il malcontento di altri). Quindi, se è vero che lo Stato dovrebbe rappresentare l’intera società e mantenere la sua coesione, ciò è qualcosa che è sempre meno vista come tale dalla società: di fronte all’incuria e all’irresponsabilità crescenti della borghesia, sempre più evidente anche nei paesi centrali, la tendenza è quella di vedere lo Stato come una struttura a servizio delle élite corrotte, ed anche come una forza di repressione. Di conseguenza, esso ha sempre più difficoltà a imporre delle regole: in molti paesi europei, come l’Italia, la Francia o la Polonia, e anche negli Stati Uniti, ci sono state manifestazioni contro le misure governative di chiusura delle imprese o di confinamento delle persone. Ovunque, soprattutto tra i giovani, stanno nascendo campagne sui social media per opporsi a queste regole, come l’hashtag, “Non voglio più giocare”, in Olanda.

L’incapacità degli Stati a far fronte alla situazione è simboleggiata e influenzata dall’impatto del “vandalismo” populista. La perturbazione del gioco politico della borghesia nei paesi industrializzati si manifesta in maniera evidente dall’inizio del XXI secolo con movimenti e partiti populisti, spesso vicini all’estrema destra. Per esempio, la scalata a sorpresa di Le Pen alle elezioni presidenziali del 2002 in Francia, la spettacolare affermazione della “lista Pim Fortuyn” nei Paesi Bassi nel 2001-2002, i governi Berlusconi con l’appoggio dell’estrema destra in Italia, l’ascesa di Jorg Haider e del FPÖ in Austria, o l’ascesa del Tea Party negli Stati Uniti. All’epoca, la CCI tendeva a legare tale fenomeno alla debolezza delle borghesie: “Dipendono dalla forza o dalla debolezza della borghesia nazionale. In Italia, le debolezze e le divisioni interne della borghesia, anche da un punto di vista imperialista, tendono a far risorgere una significativa destra populista. In Gran Bretagna, invece, la quasi inesistenza di un partito specifico di estrema destra è legata all’esperienza e alla superiore padronanza del gioco politico da parte della borghesia inglese [sic!]” (Montée de l’extrême droite en Europe: existe-t-il un danger fasciste aujourd'hui? Revue Internationale n° 110, 2002). Se la tendenza alla perdita di controllo è mondiale e ha segnato la periferia (paesi come il Brasile, il Venezuela, il Perù in America Latina, le Filippine o l’India in Asia), ora sta colpendo duramente i paesi industrializzati, le borghesie storicamente più forti (Gran Bretagna) e oggi soprattutto gli Stati Uniti. Mentre l’ondata populista cavalca la contestazione dell’establishment, l’arrivo al potere dei populisti mina e destabilizza ulteriormente le strutture statali attraverso le loro politiche “vandaliche” (ad esempio Trump, Bolsonaro, ma anche il “governo populista” M5S e Lega in Italia), in quanto non sono né disposti né in grado di assumere responsabilmente gli affari dello Stato.

Queste osservazioni contrastano con la tesi secondo cui la borghesia, attraverso queste misure, promuove una mobilitazione e una sottomissione della popolazione in vista della marcia verso la guerra generalizzata. Al contrario, le caotiche politiche sanitarie e l’incapacità degli Stati di far fronte alla situazione esprimono la difficoltà delle borghesie dei paesi centrali di imporre il loro controllo sulla società. Lo sviluppo di questa tendenza può alterare la credibilità delle istituzioni democratiche (senza che questo implichi nel contesto attuale il minimo rafforzamento del terreno di classe) o al contrario vedere lo sviluppo di campagne per la difesa di queste istituzioni, o anche per la restaurazione di una “vera democrazia”: così, durante l’assalto al Campidoglio, c’era chi voleva recuperare la democrazia “presa in ostaggio dalle élite” (“il Campidoglio è casa nostra”) e chi difendeva la democrazia contro un putsch populista.

Il fatto che la borghesia sia sempre meno capace di presentare una prospettiva per tutta la società genera anche una esplosione di ideologie alternative irrazionali e un crescente disprezzo per un approccio scientifico e ragionato. Naturalmente, la decredibilizzazione dei valori della classe dirigente non è cosa nuova. Essa è apparsa dalla fine degli anni ‘60, ma lo sprofondamento progressivo nella decomposizione, nel caos e nella barbarie ha favorito l’ascesa dell’odio e della violenza di ideologie nichiliste e di settarismi religiosi tra i più retrogradi. La crisi da Covid-19 stimola l’estensione su larga scala di tali ideologie. Movimenti come QAnon, Wolverine Watchmen, Proud Boys o il movimento Boogaloo negli Stati Uniti, le sette evangeliche in Brasile, in America Latina o in Africa, le sette musulmane sunnite o sciite, ma anche sette indù o buddiste, diffondono teorie del complotto e concezioni totalmente fantasiose sul virus, la pandemia, l’origine (creazionismo) o il futuro della società. La diffusione esponenziale del pensiero irrazionale e del rifiuto dei contributi della scienza tenderà ad accelerare.

2.4. La moltiplicazione delle rivolte antistatali e dei movimenti interclassisti

Le esplosioni di rivolte popolari contro la miseria e la barbarie guerriera erano presenti dall’inizio della fase di decomposizione e si stanno accentuando nel XXI secolo: l’Argentina (2001-2002), le periferie francesi nel 2005, l’Iran nel 2009, Londra e altre città inglesi nel 2011, lo scoppio di rivolte nel Maghreb e nel Medio Oriente nel 2011-12 (la “primavera araba”). Una nuova ondata di rivolte sociali scoppia in Cile, Ecuador o Colombia (2019), Iran (nel 2017-18 e di nuovo nel 2019-2020), Iraq, Libano (2019-2020), ma anche in Romania (2017) e Bulgaria (2013 e 2019-2020) o in Francia con il movimento dei “gilet gialli” (2018-2019) e, con caratteristiche specifiche, a Ferguson (2014) e Baltimora (2016) negli USA. Queste rivolte manifestano la crescente disperazione delle popolazioni che soffrono per la destrutturazione dei rapporti sociali, sottoposte alle conseguenze traumatiche e drammatiche dell’impoverimento legato al collasso economico o a delle guerre senza fine. Inoltre, esse prendono sempre più di mira la corruzione delle cricche al potere e, più in generale, le élite politiche.

Sulla scia della crisi da Covid-19, tali esplosioni di rabbia si stanno moltiplicando, prendendo la forma di manifestazioni e persino di rivolte. Esse tendono a cristallizzarsi intorno a tre poli:

a) dei movimenti interclassisti che esprimono una rivolta di fronte alle conseguenze economiche e sociali della crisi da Covid-19 (esempio dei “gilet gialli”);

b) dei movimenti identitari, di origine populista (MAGA) o parcellari, tendenti a esacerbare le tensioni tra componenti della popolazione (come le rivolte razziali (BLM), ma anche i movimenti di ispirazione religiosa (in India per esempio), ecc.;

c) dei movimenti anti-establishment e anti-Stato in nome della “libertà individuale”, di tipo nichilista, senza reali “alternative”, come i “no-vax” o i movimenti cospirativi (“recuperare le mie istituzioni dalle mani delle élite”).

Questi tipi di movimenti sfociano spesso in rivolte e saccheggi, servendo da valvola di sfogo per bande di giovani provenienti da quartieri afflitti dal degrado. Se questi movimenti mettono in evidenza la grave perdita di credibilità delle strutture politiche della borghesia, nessuno di essi offre in alcun modo una prospettiva per la classe operaia. Non tutte le rivolte contro lo Stato sono un terreno favorevole al proletariato: al contrario, esse lo deviano dal suo terreno di classe verso un terreno che non gli è proprio.

2.5. L’utilizzo della minaccia ecologica nelle campagne della borghesia

  • La pandemia illustra il drammatico peggioramento del degrado ambientale, che sta raggiungendo livelli allarmanti secondo i risultati e le previsioni che sono ormai unanimemente accettati negli ambienti scientifici e che la maggioranza degli stessi settori borghesi di tutti i paesi hanno fatto proprie (Accordo di Parigi, 2015): inquinamento urbano dell’aria e dell’acqua degli oceani, alterazione del clima con fenomeni meteorologici sempre più violenti, desertificazione che avanza, scomparsa accelerata di specie vegetali e animali che minaccia sempre più l’equilibrio biologico del nostro pianeta. “Tutte queste calamità economiche e sociali, se sono in generale un’espressione della decadenza del capitalismo, per il grado di accumulazione e l’ampiezza raggiunti costituiscono la manifestazione dello sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione. Un sistema in cui le politiche economiche, le ricerche, gli investimenti, tutto è realizzato sistematicamente a discapito del futuro dell’umanità e, pertanto, a discapito del futuro del sistema stesso.” (Punto 7 delle Tesi sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo).

La classe dominante non è in grado di attuare le misure necessarie a causa delle stesse leggi del capitalismo e più specificamente dell’acuirsi delle contraddizioni provocate dallo sprofondamento nella decomposizione; di conseguenza, la crisi ecologica non può che peggiorare e generare nuove catastrofi in futuro. Tuttavia, negli ultimi decenni, la borghesia ha recuperato la dimensione ecologica nel tentativo di proporre una prospettiva di “riforme nel sistema”. In particolare, le borghesie dei paesi industrializzati pongono la “transizione ecologica” e l’“economia verde” al centro delle loro attuali campagne per far accettare una prospettiva di austerità draconiana nel quadro delle loro politiche economiche “post-Covid” volte a ristrutturare e rafforzare la posizione di concorrenza dei paesi industrializzati. Così, sono al centro dei “piani di ripresa” della Commissione europea per i paesi dell’UE e delle misure di rilancio dell’amministrazione Biden negli Stati Uniti. Nei prossimi anni, quindi, l’ecologia sarà più che mai una grande mistificazione che i rivoluzionari dovranno combattere.

3. Conclusioni

Questo rapporto ha dimostrato che la pandemia non inaugura un nuovo periodo, ma che è anzitutto un indicatore del livello di disfacimento raggiunto durante 30 anni di decomposizione, un livello spesso sottovalutato fino ad oggi. Allo stesso tempo, la crisi pandemica preannuncia anche una significativa accelerazione di vari effetti della decomposizione nel prossimo periodo, come illustrato in particolare dall’impatto della crisi da Covid-19 sulla gestione dell’economia da parte degli Stati e dai suoi effetti devastanti sui paesi industriali centrali, in particolare sulla superpotenza americana. Ci sono possibilità di controtendenze specifiche, che possono imporre una pausa o anche una certa ripresa di controllo da parte del capitalismo di Stato, ma questi eventi specifici non significheranno che la dinamica storica di sprofondamento nella fase di decomposizione, evidenziata in questo rapporto, sia messa in discussione.

Se la prospettiva non è quella di una guerra mondiale generalizzata (tra blocchi imperialisti), l’attuale caduta nel “ciascuno per sé” e la frammentazione porta comunque la cupa promessa di una moltiplicazione di conflitti bellici cruenti, di rivolte senza prospettive annegate nel sangue o di catastrofi per l’umanità:

Il corso della storia è irreversibile: la decomposizione porta, come indica il nome stesso, alla dislocazione ed alla putrefazione della società, al niente. Lasciata alla sua propria logica, alle sue ultime conseguenze, essa conduce l’umanità allo stesso risultato di una guerra mondiale. Essere annientati brutalmente da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, la radioattività delle centrali nucleari, la fame, le epidemie ed i massacri delle differenti guerre locali (dove potrebbe anche essere usata l’arma atomica), il risultato è lo stesso. La sola differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più rapida mentre la seconda è più lenta e quindi molto più sofferta.” (Tesi 11 sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo).

La progressione della fase di decomposizione può anche portare a ridurre la capacità del proletariato a condurre la sua azione rivoluzionaria. Quest’ultimo è così impegnato in una corsa col tempo contro lo sprofondamento della società nella barbarie di un sistema storicamente obsoleto. Certo, le lotte operaie non possono impedire il progredire della decomposizione, ma possono creare un freno ai suoi effetti, sul “ciascuno per sé”. Ricordiamo che “la decadenza del capitalismo era necessaria perché il proletariato fosse in grado di rovesciare questo sistema; al contrario, l’apparizione del fenomeno storico della decomposizione, risultato del perpetuarsi della decadenza in assenza della rivoluzione proletaria, non costituisce affatto una tappa necessaria per il proletariato sul cammino della sua emancipazione.” (Tesi 12 Tesi 11 sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo)

La crisi da Covid-19 genera così una situazione ancora più imprevedibile e confusa. Le tensioni sui diversi piani (sanitario, socio-economico, militare, politico, ideologico) genereranno grandi sconvolgimenti sociali, massicce rivolte popolari, rivolte distruttive, intense campagne ideologiche, come quella sull’ecologia. Senza un solido quadro di comprensione degli eventi, i rivoluzionari non saranno in grado di svolgere il loro ruolo di avanguardia politica della classe, ma contribuiranno invece alla sua confusione, al declino della sua capacità di realizzare la sua azione rivoluzionaria.

 

[1] Termine usato a livello internazionale per indicare la forma di depressione prodotta dalla pandemia da Corona virus.

[3] Purtroppo le cifre sono continuamente cresciute da quando il rapporto è stato scritto e oggi, secondo il Ministero della Salute, si contano più di 4 milioni di morti in tutto il mondo, di cui 600 mila negli USA, 1 milione tra India e Brasile ed oltre 1 milione in Europa.

[4] 8° Congresso della CCI. La Situazione internazionale: presentazione e risoluzione, 1989, Rivista internazionale n. 13.

[5] Questo testo è stato scritto nel luglio 2020, e non ha potuto tener conto di una recente informazione che considera plausibile la tesi che l’epidemia abbia avuto la sua origine in un incidente di laboratorio a Wuhan, in Cina (Vedi a questo proposito il seguente articolo: “Origines du Covid-19: l’hypothèse d’un accident à l’Institut de virologie de Wuhan relancée après la divulgation de travaux inédits”). Detto questo, questa ipotesi, se verificata, non diminuirebbe in alcun modo la nostra analisi che la pandemia è un prodotto della decomposizione del capitalismo. Al contrario, illustrerebbe che questo non risparmia la ricerca scientifica in un paese la cui crescita fulminea negli ultimi decenni porta proprio il marchio della decomposizione.

[6] Queste manifestazioni continuano ancor oggi prendendo spunto in particolare dalla decisione di adottare il green pass per accedere alle varie attività o ambiti quali ristoranti, spettacoli, musei, concorsi pubblici, etc.

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