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A proposito del libro Il comunismo primitivo non è più ciò che era
Perché scrivere oggi sul comunismo primitivo? Nel momento in cui la caduta verticale in una crisi economica catastrofica e lo sviluppo di lotte attraverso il pianeta pongono nuovi problemi ai lavoratori del mondo intero, che l’avvenire del capitalismo si fa scuro e la prospettiva di un mondo nuovo pena tanto a nascere, ci si può chiedere quale interesse possa suscitare lo studio della società della nostra specie, dalla sua apparizione (circa 200.000 anni fa), fino al periodo neolitico (che data circa 10.000 anni fa), una società nella quale ancora oggi vivono certe popolazioni umane. Tuttavia, restiamo convinti che la questione è tanto importante per i comunisti di oggi quanto lo fu per Marx ed Engels nel diciannovesimo secolo, sia per il suo interesse scientifico generale in quanto elemento di studio dell'umanità e della sua storia, e sia per la comprensione della prospettiva e della possibilità di una società comunista futura che possa sostituire la società capitalista moribonda.
È per questa ragione che non possiamo che salutare la pubblicazione nel 2009 di un libro scritto da Christophe Darmangeat e intitolato Il comunismo primitivo non è più ciò che era; siamo anche contenti che il libro sia già alla sua seconda edizione, il che indica un certo interesse per l'argomento trattato.[1] Attraverso una lettura critica di questo libro, noi cercheremo in questo articolo di riprendere i problemi riguardanti le prime società umane; approfitteremo anche dell'occasione per esplorare le tesi esposte più di 20 anni fa da Chris Knight[2] nel suo libro Blood Relations (Relazioni di sangue)[3].
Prima di entrare nel vivo dell'argomento, precisiamo una cosa: la questione della natura del comunismo primitivo e dell'umanità in quanto specie non sono questioni politiche ma scientifiche. In questo senso, per esempio, non vi può essere una “posizione” da parte di un’organizzazione politica a proposito della natura umana. Se siamo convinti che l'organizzazione comunista deve stimolare il dibattito e la sete di conoscenza per le questioni scientifiche tra i suoi militanti e più generalmente all’interno del proletariato, lo scopo è di incoraggiare lo sviluppo di una visione materialista e scientifica del mondo basato, per quanto possibile, per la maggior parte di noi che non sono degli scienziati, su una conoscenza delle teorie scientifiche moderne. Le idee presentate in questo articolo non sono dunque delle “posizioni” della CCI ed impegnano soltanto l’autore.[4]
Perché la questione delle origini è importante?
Perché dunque la questione delle origini della specie e delle prime società umane è importante per i comunisti? I termini del problema sono cambiati sensibilmente dal diciannovesimo secolo quando Marx ed Engels si entusiasmarono per i lavori dell'antropologo americano Lewis Morgan. Nel 1884, quando Engels pubblica L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, si era appena usciti da un'epoca in cui le stime dell'età della Terra e della società umana si basavano sui calcoli biblici del vescovo Ussher, per il quale la Creazione aveva avuto luogo nel 4004 A.C. Engels, nella sua Prefazione del 1891, scrive: “Non è possibile parlare di una storia della famiglia fino all’inizio degli anni sessanta. In questo settore la scienza storica era ancora completamente sotto l'influsso dei cinque libri di Mosé. La forma patriarcale della famiglia, descritta in essi più dettagliatamente che altrove, non solo veniva senz’altro ritenuta la più antica, ma era anche identificata - escludendo la poligamia - con l’attuale famiglia borghese, sicché in realtà la famiglia non avrebbe subito in generale alcuno sviluppo storico”.[5] Lo stesso valeva per la nozione di proprietà, per cui la borghesia poteva ancora opporre al programma comunista della classe operaia l'obiezione secondo cui la "proprietà privata" era insita nella natura stessa della società umana. L'idea dell'esistenza di uno stadio di comunismo primitivo della società era a tal punto sconosciuta nel 1847 che lo stesso Manifesto Comunista comincia il suo primo capitolo con le parole “La storia di ogni società esistita fino a questo momento è la storia di lotte di classi”. (Affermazione che Engels ha ritenuto necessario rettificare in una nota nel 1888).
Il libro di Morgan, Ancient Society (Società antica), ha largamente contribuito a smantellare la visione astorica della società umana eternamente basata sulla proprietà privata, anche se il suo apporto è stato spesso eluso o passato sotto silenzio dall'antropologia ufficiale, particolare da quella inglese. Come dice ancora Engels nella sua Prefazione, “Morgan passò la misura, criticando non solo la civiltà, la società della produzione di merci, la forma fondamentale della nostra società odierna, in un modo che fa venire in mente Fourier, ma parlando di una trasformazione a venire di questa società con parole che avrebbe potuto dire Karl Marx”.
Oggi, nel 2012, la situazione è del tutto cambiata. Le successive scoperte hanno spostato ancora più indietro nel passato le origini dell'Uomo, così che adesso sappiamo non solo che la proprietà privata non è un fondamento eterno della società ma che, al contrario, è una invenzione relativamente recente poiché l'agricoltura - e dunque la proprietà privata e la divisione della società in classi - datano solo a circa 10000 anni fa. Certamente, come mostrato da Alain Testart nel suo libro Les chasseurs-cueilleurs ou l'origine des inégalités[6], la formazione delle classi e delle ricchezze non si è fatta in una notte; è dovuto trascorrere un lungo periodo prima dell'apparizione dell'agricoltura propriamente detta dove lo sviluppo dello stoccaggio ha favorito l’emergere di una ripartizione impari delle ricchezze accumulate. Tuttavia, oggi è chiaro che la parte più lunga della storia umana non è quella della lotta delle classi, ma di una società senza classi, comunista: quello che si chiama comunismo primitivo.
L'obiezione che si sente oggi all'idea di una società comunista non è più dunque che essa violerebbe i principi eterni di proprietà privata ma, piuttosto, che essa sarebbe contraria a “la natura umana”. “Non si può cambiare la natura umana”, ci dicono, e con questo si intende riferirsi alla pretesa natura violenta, competitiva ed egocentrica dell'Uomo. Dunque l’ordine capitalista non sarebbe più eterno, ma solo il risultato logico ed inevitabile di una natura immutabile. Quest’argomentazione non è limitata agli ideologi di destra. Alcuni scienziati umanistici, pensando di seguire la stessa logica di una natura umana determinata dalla genetica, arrivano a conclusioni simili. Il New York Review of Books (giornale intellettuale piuttosto orientato a sinistra) ce ne dà un esempio in un numero di ottobre 2011: “Gli esseri umani si fanno concorrenza per le risorse, lo spazio vitale, i partner sessuali, e quasi per tutto il resto. Ogni essere umano si trova all’apice di una linea di concorrenti che hanno avuto successo e che risale fino alle origini della vita. La pulsione competitiva è presente praticamente in tutto ciò che facciamo, lo si voglia o no. Ed i migliori concorrenti sono spesso i meglio premiati. Basta considerare Wall Street per trovarne un esempio clamoroso (...). Il dilemma umano di sovrappopolazione e di super sfruttamento delle risorse è determinato fondamentalmente dagli impulsi primordiali che hanno permesso ai nostri antenati di raggiungere un successo riproduttivo al di sopra della media”.[7]
Questo argomento può sembrare a prima vista inoppugnabile: non bisogna cercare lontano per trovare esempi a non finire della cupidigia, della violenza, della crudeltà e dell'egoismo nella società umana di oggi o nella sua storia. Ma questi esempi sono forse una prova del fatto che queste tare sono il risultato di una natura determinata - si direbbe oggi - geneticamente? Per niente. Per fare un esempio, un albero che si trovi su una scogliera battuta dal vento marino rischia fortemente di crescere gracile e storto: ma ciò non avviene perché questi caratteri sono determinati integralmente dai suoi geni, tanto è vero che, in condizioni più favorevoli, l'albero crescerebbe diritto.
Possiamo dire la stessa cosa per gli esseri umani?
È un'evidenza, spesso sollevata nei nostri articoli, che la resistenza del proletariato mondiale è ben al di sotto del livello degli attacchi che subisce da parte di un capitalismo in crisi. La rivoluzione comunista forse non è mai sembrata così necessaria e, allo stesso tempo, così difficile. E - a nostro avviso - una delle ragioni risiede nel fatto che i proletari non hanno fiducia non solo nelle loro proprie forze ma nella stessa possibilità del comunismo. “Una bella idea”, ci dicono, “ma sapete, la natura umana …”.
Per prendere fiducia in sé stesso, il proletariato deve affrontare non solo i problemi immediati della lotta ma anche i problemi più vasti, storici, posti dallo scontro rivoluzionario potenziale con la classe dominante. Tra questi problemi, c'è proprio quello della natura umana; e noi dobbiamo trattare questo problema con uno spirito scientifico. Non si tratta di provare che l'uomo è “buono”, ma di arrivare ad una migliore comprensione di quale è precisamente la sua natura, in modo da potere integrare questa conoscenza nel progetto politico del comunismo. Così, non facciamo dipendere il progetto comunista dalla "bontà naturale" dell'uomo: il bisogno di comunismo oggi è inscritto nei dati della società capitalista come sola soluzione al blocco della società, che condurrà senza alcun dubbio l'umanità verso un avvenire catastrofico se il capitalismo non sarà rovesciato dalla rivoluzione comunista.
Il metodo scientifico
Prima di entrare nel vivo dell'argomento, dobbiamo effettuare alcune considerazioni sul metodo scientifico e, più particolarmente, sul metodo scientifico applicato allo studio della storia e del comportamento umano. Un passaggio, all’inizio del libro di Knight, relativo al posto dell’antropologia all’interno delle scienze, ci sembra porre in maniera molto appropriata la domanda: Più di ogni altro dominio della conoscenza, l'antropologia, presa nel suo insieme, scavalca il baratro che ha diviso tradizionalmente le scienze naturali ed umane. Potenzialmente, se non praticamente sempre, essa occupa un posto centrale tra le scienze nel loro insieme. Gli elementi cruciali che, se solo potessero essere riuniti, potrebbero collegare le scienze naturali alle scienze umane, attraversano l'antropologia più di ogni altro campo. È qui che le due estremità si congiungono; è qui che lo studio della natura si conclude, e che comincia quello della cultura. In quale momento dell'evoluzione i principi biologici hanno lasciato il posto a dei nuovi principi dominanti, più complessi? Dove, precisamente, si trova la linea di divisione tra la vita animale e la vita sociale? La differenza è di natura, o solamente di grado? E, alla luce di questa domanda, è realmente possibile studiare i fenomeni umani con la stessa obiettività disinteressata con cui un astronomo può provare le galassie, o un fisico le particelle subatomiche? Se questo campo dei rapporti tra le scienze sembra confuso per molti, è solo in parte a causa delle difficoltà reali che incontra. Da un lato, la scienza è radicata nella realtà obiettiva ma, dall'altro, è radicata nella società ed in noi stessi. In fin dei conti, è per ragioni sociali ed ideologiche che la scienza moderna, frammentata e distorta dalle immense pressioni politiche e, tuttavia, largamente non riconosciute, ha incontrato il suo più grande problema e la sua più grande sfida teorica: riunire le scienze umane e le scienze naturali in una sola scienza unificata sulla base di una comprensione dell'evoluzione dell'umanità, e del posto di quest’ultima nell'universo”. (pp. 56-57).
La questione della “linea di demarcazione” tra il mondo animale non-umano, dove il comportamento è determinato soprattutto dal patrimonio genetico, ed il mondo umano, dove il comportamento dipende molto più dall'ambiente naturale, in particolare sociale e culturale, ci sembra effettivamente la questione cruciale per comprendere la “natura umana”. Le grandi scimmie sono capaci di apprendere, di inventare e di trasmettere, fino ad un certo punto, dei comportamenti nuovi, ma ciò non vuole dire che possiedano una “cultura” nel senso umano del termine. Questi comportamenti appresi restano “periferici alla continuità sociale e strutturale del gruppo” (ibid., p. 11)[8]. Ciò che ha permesso alla cultura di prendere il sopravvento, in una “esplosione creativa” (ibid p. 12), è lo sviluppo della comunicazione tra gruppi umani, lo sviluppo di una cultura simbolica basata sul linguaggio ed il rito. Knight fa peraltro il confronto tra la cultura simbolica ed il linguaggio, che hanno permesso agli uomini di comunicare e di trasmettere le idee e dunque la cultura in modo universale, e la scienza, che è basata su un simbolismo che ha incontrato un accordo universale tra scienziati a livello planetario e, potenzialmente almeno, tra tutti gli esseri umani. La pratica della scienza è inseparabile dal dibattito, e dalla capacità di ciascuno di verificare le conclusioni alle quali essa arriva; essa è dunque nemica di ogni forma di esoterismo che vive solo di conoscenze segrete, interdette ai non-iniziati.
Poiché la scienza è una forma di conoscenza universale che, dalla Rivoluzione industriale, è anche a pieno titolo una forza produttiva che necessita del lavoro associato di scienziati nel tempo e nello spazio[9], essa supera per natura il quadro nazionale e, in questo senso, il proletariato e la scienza sono degli alleati naturali[10]. Ciò non vuol dire assolutamente che possa esistere una “scienza proletaria”. Nel suo articolo “Marxismo e scienza”, Knight cita queste parole di Engels: “più la scienza avanza in modo implacabile e disinteressata, più si trova in armonia con gli interessi degli operai”. E Knight prosegue: “La scienza in quanto unica forma di conoscenza universale, internazionale, unificatrice della specie che l'umanità possieda, deve essere in testa. Se deve radicarsi negli interessi della classe operaia, è solamente nella misura in cui deve radicarsi negli interessi dell'umanità nel suo insieme, e nella misura in cui la classe operaia dà corpo a questi interessi nell'epoca attuale”.
Ci sono altri due aspetti del pensiero scientifico che sono stati messi in evidenza nel libro di Carlo Rovelli a proposito del filosofo greco Anassimandro di Mileto[11], e che riprendiamo qui perché ci sembrano fondamentali: il rispetto per i predecessori ed il dubbio.
Rovelli mostra che l’atteggiamento di Anassimandro verso il suo maestro Talete rompe con gli atteggiamenti caratteristici della sua epoca che erano o di rigetto totale del vecchio “maestro” per porsi al suo posto come nuovo “maestro”, o una devozione totale alle sue parole per mantenerle allo stato mummificato. L’atteggiamento scientifico, invece, si basa sui lavori dei “maestri” che ci hanno preceduto, pur criticandone gli errori, per cercare di andare più lontano nella conoscenza. È questo l’atteggiamento di Knight verso Lévi-Strauss e di Darmangeat verso Morgan, atteggiamento che si deve salutare.
Il dubbio - al contrario del pensiero religioso che cerca sempre la certezza e la consolazione nell’invarianza di una verità immutabile - è fondamentale per la scienza. Come dice Rovelli[12], “La scienza offre le migliori risposte proprio perché non considera le sue risposte come sicuramente vere; è per questo che essa è sempre capace di apprendere, di ricevere nuove idee”. È in particolare il caso dell’antropologia e della paleoantropologia, i cui dati sono sparsi e spesso incerti e le cui teorie al momento più in voga possono trovarsi rimesse in questione, addirittura rovesciate dall’oggi al domani, da nuove scoperte.
Ma è possibile avere una visione scientifica della storia? Karl Popper[13], che è un riferimento presso la maggior parte degli scienziati, pensava di no, poiché considerava la storia come un “avvenimento” unico, non riproducibile, e che la verifica di un’ipotesi scientifica dipendeva dalla riproducibilità delle esperienze o delle osservazioni. Popper, per le stesse ragioni, aveva ugualmente considerato a prima vista la teoria dell’evoluzione come non scientifica mentre oggi questa è di una tale evidenza che il metodo scientifico ha potuto mettere a nudo i meccanismi fondamentali dell’evoluzione delle specie al punto da permettere all’umanità di manipolare il processo di evoluzione grazie all’ingegneria genetica. Senza seguire Popper, è chiaro che utilizzare il metodo scientifico per fare delle previsioni sulla base dello studio della storia resta un esercizio molto rischioso: da un lato perché la storia umana - come la meteorologia per esempio – incorpora un numero incalcolabile di variabili, dall'altro - e soprattutto – perché, come diceva Marx, “gli uomini fanno, loro, la propria storia”; la storia è dunque determinata non solo dalle leggi ma anche dalla capacità o non degli esseri umani di basare le loro azioni sul pensiero cosciente e sulla conoscenza di queste leggi. L’evoluzione della storia resta sempre sottomessa a dei vincoli: ad un dato momento, certe evoluzioni sono possibili, altre no. Ma il modo in cui una data situazione evolverà è anche determinato dalla capacità degli uomini di divenire coscienti di questi vincoli e di agire di conseguenza.
È dunque particolarmente ardito da parte di Knight accettare tutto il rigore richiesto dal metodo scientifico, e sottomettere la sua teoria alla prova dell’esperienza. Evidentemente, non è possibile “riprodurre” la storia in modo sperimentale. A partire dalle sue ipotesi sugli inizi della cultura umana, Knight fa dunque delle previsioni (nel 1991, data di pubblicazione di Blood Relations) relative alle scoperte paleontologiche a venire: in particolare che sarebbe stata ritrovata, tra le tracce più antiche della cultura simbolica dell’uomo, un’utilizzazione importante dell’ocra rossa. Nel 2006, 15 anni più tardi, queste previsioni sembrerebbero confermate dalle scoperte nelle caverne di Blombos (Africa del sud) delle prime tracce conosciute della cultura umana (vedere i lavori della Conferenza di Stellenbosch riunita in The cradle of language – La culla del linguaggio, OUP, 2009, o ancora l’articolo pubblicato sul sito web di La Recherche nel novembre 2011); vi si trova dell’ocra rossa ed anche delle collezioni di conchiglie utilizzate apparentemente come decorazione corporale[14], cosa che si integra nel modello evolutivo proposto da Night (vi ritorneremo più avanti). Evidentemente, questo non costituisce in sé una “prova” della sua teoria, ma ci sembra innegabile che ciò gli dà una maggiore consistenza.
Questa metodologia scientifica è molto diversa da quella seguita da Darmangeat. Quest’ultimo sembra concentrarsi su una logica induttiva che parte da una raccolta di fatti osservati per tentare di estrarre dei tratti comuni. Il metodo non è senza valore per lo studio storico e scientifico: ogni teoria deve conformarsi, dopo tutto, ai fatti osservati. Darmangeat sembra del resto molto reticente nei confronti di ogni teoria che cerchi di andare oltre. Questo ci sembra un atteggiamento empirico più che scientifico: la scienza non avanza per induzione a partire dai fatti osservati, ma per ipotesi che devono certo essere conformi alle osservazioni, ma che devono ugualmente proporre un percorso (sperimentale se possibile) da seguire per avanzare verso nuove scoperte, dunque verso nuove osservazioni. In fisica, la teoria delle stringhe ce ne offre un chiaro esempio: sebbene in accordo, per quanto si possa fare, con i fatti osservati, questa non può essere verificata in modo sperimentale poiché gli elementi di cui postula l’esistenza sono inaccessibili per la loro piccola taglia per gli apparecchi di misura di cui oggi disponiamo. La teoria delle stringhe resta dunque un’ipotesi speculativa, ma senza questo genere di speculazione ardita, non ci sarebbe neanche avanzamento scientifico.
Un altro inconveniente del metodo induttivo è che, per forza di cose, esso deve prima di tutto operare una selezione nell'immensità della realtà osservata. È ciò che fa Darmangeat quando si basa unicamente su delle osservazioni etnografiche lasciando da parte ogni considerazione evoluzionistica o genetica, cosa che ci sembra limitante in un’opera che cerca di chiarire “l’origine dell’oppressione delle donne” (sottotitolo del libro in questione).
Morgan, Engels ed il metodo scientifico
Dopo queste modeste considerazioni sulla metodologia, torniamo adesso al libro da Darmangeat che ha motivato questo articolo.
L’opera è divisa in due parti: la prima esamina il lavoro dell’antropologo Lewis Morgan, su cui Engels ha basato la sua Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato; la seconda riprende la questione posta da Engels a proposito dell’origine dell’oppressione delle donne. In questa seconda partita, Darmangeat fa riferimento soprattutto all’idea dell’esistenza di un comunismo primitivo, oggi sparito, che si sarebbe basato sul matriarcato.
La prima parte del libro ci sembra particolarmente interessante[15] e noi non possiamo che schierarci decisamente con l’autore quando insorge contro una certa concezione pretestuosamente “marxista” che assegna ai lavori di Morgan, (e a fortiori di Engels), lo statuto di testi religiosi intoccabili. Niente potrebbe essere più estraneo allo spirito scientifico del marxismo. Se i marxisti devono avere una visione storica della nascita e dello sviluppo della teoria sociale materialista, e dunque tenere conto delle teorie precedenti, ci sembra assolutamente evidente che non possano prendere dei testi del diciannovesimo secolo come la parola finale che si possa esprimere sulla storia, ignorando l’accumulazione impressionante di conoscenze etnografiche raccolte successivamente. Certo, conviene conservare uno spirito critico sull'utilizzazione di queste conoscenze: Darmangeat, come del resto Knight, hanno ben ragione di insistere sul fatto che la lotta contro le teorie di Morgan è ben lontana dalla scienza “pura” e “disinteressata”. Quando gli avversari contemporanei e successivi di Morgan segnalavano gli errori commessi da quest’ultimo o quando mettevano in evidenza le scoperte che non quadravano con la sua teoria, lo scopo non era in generale neutro. Attaccando Morgan, si attaccava la visione evoluzionistica della società umana e si cercava di ristabilire quelle categorie “eterne” della società borghese che sono la famiglia patriarcale e la proprietà privata come fondamenti di ogni società umana passata, presente e futura. Ciò è perfettamente esplicito in Malinowski, uno dei più grandi etnografi della prima metà del ventesimo secolo, di cui Knight, in “Early Human Kinship was Matrilineal”[16] cita i propositi in un’emissione radio: “Credo che l’elemento più perturbante delle tendenze rivoluzionarie moderne sia l’idea che la funzione di genitori possa essere resa collettiva. Se mai ci sbarazzassimo della famiglia individuale come elemento essenziale della nostra società, saremmo confrontati con una catastrofe sociale rispetto alla quale gli sconvolgimenti politici della Rivoluzione francese ed i cambiamenti economici del bolscevismo sarebbero insignificanti. La questione di sapere se la maternità di gruppo sia mai esistita come istituzione, se è una sistemazione compatibile con la natura umana e l’ordine sociale, è dunque di un interesse pratico considerevole”. Quando facciamo dipendere le nostre conclusioni scientifico da un partito politico preso, si è lontano dall'obiettività scientifica...
Passiamo dunque alla critica di Morgan fatta da Darmangeat. Questa critica è secondo noi di grande interesse, se non altro per il fatto che essa comincia con un riassunto abbastanza dettagliato della sua teoria, rendendo così quest’ultima molto più accessibile per un lettore non esperto. Abbiamo particolarmente apprezzato il quadro che fa l’accostamento tra gli stadi dell’evoluzione sociale (“selvaggio”, “barbarico”, ecc.) definite dall’antropologia di Morgan con quelli utilizzati oggi (paleolitico, neolitico, ecc.), che ci permette di situarsi meglio nel tempo, ed i diagrammi esplicativi dei differenti sistemi di parentela. Il tutto è corredato da spiegazioni chiare e didattiche.
Il fondo della teoria di Morgan è di collegare tipo di famiglia, sistema di parentela e sviluppo tecnico in un’evoluzione progressiva che passa da “lo stato selvaggio” (prima tappa dell’evoluzione sociale umana, che corrisponderebbe al paleolitico), alla “barbarie” (il neolitico e l’età dei metalli) ed infine alla civiltà. Questa evoluzione sarebbe determinata dall’evoluzione della tecnica e le contraddizioni apparenti che Morgan notava presso numerosi popoli (gli Irochesi in particolare) tra il sistema di parentela ed il sistema familiare, rappresenterebbero proprio delle tappe intermedie tra un’economia ed una tecnica più primitiva e una tecnica più evoluta. Purtroppo per la teoria si trova, guardando più da vicino, che non è questo il caso. Per prendere solamente uno dei molteplici esempi che ci propone Darmangeat: il sistema “punalua” di parentela che, secondo Morgan, è supposto rappresentare una delle tappe sociali e tecniche più primitive, si trova nelle Hawaii; è una società che conosce ricchezze, disuguaglianze sociali, uno strato sociale aristocratico, e che sarebbe sul punto di passare verso una società statale. La famiglia, i sistemi di parentela sono determinati dunque dai bisogni sociali, ma non secondo una traiettoria dritta dai più primitivi fino ai più moderni.
Dobbiamo forse concludere che l’evoluzionismo sociale marxista sia da rigettare? Niente affatto, secondo l’autore. Per contro, bisogna dissociare ciò che Morgan, e poi Marx ed Engels dopo di lui, avevano cercato di associare: l’evoluzione della tecnica (ossia della produttività) ed i sistemi familiari. “I modi di produzione, sebbene differenti da un punto di vista qualitativo, possiedono tutti una quantità comune, la produttività, che permette di ordinarli in una serie crescente, che si trova per di più corrispondere globalmente alla cronologia (…) [Per la famiglia] non esiste nessuna quantità alla quale le differenti forme possano essere riportate ed a partire dalla quale si possa costituire una serie crescente” (p. 136). È evidente che - per riprendere i termini di Engels - “in ultima istanza” l’economia è determinante: se non ci fosse l’economia (vale a dire la riproduzione di tutto ciò che è necessario alla vita umana), non ci sarebbe neanche vita sociale. Ma questa “ultima istanza” lascia molto spazio alle altre influenze, geografiche, storiche, culturali, ecc. Le idee, la cultura - nel suo senso più largo - sono anche dei determinanti dell’evoluzione della società. Ed è lo stesso Engels che si è rammaricato, verso la fine della sua vita, che la necessità che avevano, lui e Marx, di stabilire il materialismo storico su delle basi sicure, e di battersi per difenderlo, li abbia talvolta portati a lasciare così poco spazio nelle loro analisi ad altri determinanti storici.[17]
Critica dell’antropologia
È nella seconda parte del suo libro che Darmangeat espone le sue proprie riflessioni. Vi troviamo, in qualche modo, due trame: da una parte, una critica storica delle teorie antropologiche sulla posizione delle donne nelle società primitive; dall’altra, l’esposizione delle sue conclusioni sull’argomento. Questa critica storica è imperniata intorno all’evoluzione di ciò che Darmangeat considera essere la visione marxista, o almeno marxisteggiante, del comunismo primitivo, dal punto di vista del posto delle donne nella società primitiva, e costituisce una denuncia in piena regola dei tentativi di sostenere una visione “femminista” che cerca di difendere l’idea di un matriarcato originario nelle prime società umane.
La scelta è ragionevole ma, a nostro avviso, non è sempre felice e conduce l’autore ad ignorare certi teorici del marxismo che avrebbero dovuto avere il loro posto, ed ad includerne altri che non vi hanno niente a che fare. Per fare solo qualche esempio, Darmangeat dedica parecchie pagine a criticare le idee di Alessandra Kollontai[18], mentre passa quasi sotto silenzio Rosa Luxemburg. Ora, qualunque sia potuto essere il ruolo della Kollontai nella Rivoluzione russa e nella resistenza alla sua degenerazione, (era una figura importante dell’Opposizione operaia dopo la rivoluzione), questa rivoluzionaria non ha mai giocato un ruolo importante nello sviluppo della teoria marxista, ed ancora meno nell'antropologia. La Luxemburg, invece, era non solo una teorica di primo piano, ma anche l’autrice dell’Introduzione all’economia politica in cui si accorda uno spazio importante alla questione del comunismo primitivo, basandosi sulle conoscenze dell’epoca. Il solo motivo che giustifica questo squilibrio è che la Kollontai è stata molto impegnata, all’interno del movimento socialista e poi nella Russia sovietica, nella lotta per i diritti delle donne, mentre la Luxemburg non si è mai interessata da vicino di femminismo. Nemmeno altri due autori marxisti che hanno scritto sul tema delle società primitive vengono evocati: Karl Kautsky (L’etica e la concezione materialista della storia), ed Anton Pannekoek (Anthropogenesi).
Per le “inclusioni” infelici, prendiamo per esempio, quella di Evelyn Reed: membro del Socialist Workers' Party americano, organizzazione trotskista che ha sostenuto in modo “critico” la partecipazione alla Seconda Guerra mondiale, la Reed trova il suo posto nell’opera per avere scritto nel 1975 un libro di successo nell’ambiente di sinistra, Femminismo ed antropologia. Ma, come dice lo stesso Darmangeat, il libro è stato ignorato quasi sistematicamente dagli antropologi, in gran parte a causa della debolezza delle sue argomentazioni, sottolineate peraltro anche da critiche benevoli.
Ancora ci sono assenze tra gli antropologi: Claude Lévi-Strauss, una delle figure più importanti del ventesimo secolo in questo campo, e che ha basato la sua teoria del passaggio dalla natura alla cultura sulla nozione dello scambio di donne tra gli uomini[19], è menzionato solo di sfuggita, e Bronislaw Malinowski non figura per niente.
L’assenza più sorprendente é forse quella di Knight. Il libro di Darmangeat è imperniato in modo particolare sulla condizione delle donne nelle società comuniste primitive e sulla critica delle teorie che si trovano in una certa tradizione marxista, o almeno marxisteggiante, sull'argomento. Ora, Blood Relations di Chris Knight, che si rivendica esplicitamente alla tradizione marxista, tratta precisamente del problema che preoccupa Darmangeat. Si sarebbe potuto immaginare che quest’ultimo gli avrebbe prestato la più grande attenzione, tanto più che lui stesso riconosce la “grande erudizione” di Knight. E invece niente, tutto al contrario: Darmangeat non dedica che una pagina (p. 321), dove ci dice, tra l’altro, che la tesi di Knight “reitera i più gravi errori di metodo presenti in Reed e Briffault, (Knight osserva il silenzio sulla prima, ma cita abbondantemente il secondo)”, cosa che può far credere al lettore che non ha letto il libro che Knight non fa che seguire delle persone di cui Darmangeat avrebbe già dimostrato la scarsa serietà[20]. Ma un semplice sguardo alla bibliografia di Blood Relations basta a dimostrare che se Knight cita nei fatti Briffault, dà molto più posto a Marx, Engels, Lévi-Strauss, Marshall Sahlins... e ci fermiamo qui. E che se andiamo appena a consultare i riferimenti a Briffault, constatiamo immediatamente che Knight considera che il libro di questo ultimo[21] (pubblicato nel 1927) “è datato nelle sue fonti e nella sua metodologia” p. 328.
Tutto sommato, la nostra sensazione è che la scelta di Darmangeat sia quella di chi non si sbilancia: si finisce con una narrazione critica che non è né una vera critica delle posizioni difese dai marxisti, né una vera critica delle teorie antropologiche, e ciò talvolta ci da l’impressione di essere i testimoni di una tenzone contro dei mulini a vento. In più la nostra impressione è che questa scelta di partenza tenda ad oscurare un’argomentazione peraltro molto interessante.
Segue
Jens - agosto 2012
[1] Edizioni Smolny, Tolosa 2009. Abbiamo preso conoscenza dell'uscita della 2a edizione del libro di Darmangeat (Smolny, Tolosa 2012) mentre ci preparavamo a pubblicare questo articolo. Ci siamo chiesti evidentemente se non bisognava riprendere interamente la nostra critica. Dopo avere preso visione della nuova edizione, c'è sembrato di poter lasciare legittimamente l'essenziale di questo articolo così come è. Lo stesso autore ci segnala nella nuova prefazione di non avere “modificato le tesi essenziali del testo e gli argomenti su cui esse poggiano”, ciò che, alla lettura, si conferma. Ci siamo dunque limitati ad elaborare certi argomenti sulla base della 2a edizione. Salvo indicazione contraria, le citazioni ed i riferimenti ai numeri di pagina sono della prima edizione.
[2] Chris Knight è un antropologo inglese, membro del “Radical Anthropology Group”. Ha partecipato ai dibattiti sulla scienza al 19o Congresso della CCI e noi abbiamo pubblicato sul nostro sito i suoi testi “Marxisme et Science Première partie e “La solidarietà umana ed il gene egoista”.
[3] Yale University Press, New Haven and London, 1991. Il libro è disponibile purtroppo solamente in lingua inglese.
[4] Ciò detto, sarebbe stato impossibile sviluppare queste idee senza lo stimolo delle discussioni con i compagni all’interno dell’organizzazione.
[5] Engels, L’origine della famiglia, della proprietà private e dello Stato. Prefazione alla IV edizione del 1891. Newton Compton Editori.
[6] I cacciatori-raccoglitori o l’origine delle disuguaglianze, edito in lingua francese dalla Societé d’Ethnographie, 1982.
[8] Si può fare qui un’analogia con la produzione mercantile e la società capitalista. Se la produzione mercantile e il commercio esistono dall’inizio della civiltà, e forse anche prima, è solo con il capitalismo che diventano determinanti.
[9] Vedi a questo proposito il nostro articolo "Reading notes on science and marxism", https://en.internationalism.org/icconline/201203/4739/reading-notes-science-and-marxism
[10] Va così per la scienza come per le altre forze produttive sotto il capitalismo: “Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l’applicazione della chimica all'industria e all’agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d’interi continenti, la navigabilità dei fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo - quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive? […] Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l’esistenza della proprietà borghese”. Karl Marx e Friedrich Engels, Il Manifesto comunista, “Borghesi e proletari”, Edizione Einaudi, pp. 106 e 108.
[11]Carlo Rovelli, Che cos'è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro, Mondadori Università (collana Scienza e filosofia), 2011. Di Carlo Rovelli esiste anche un’interessante lezione magistrale su youtube dal titolo: "Cos'è la scienza? Da Anassimandro alla gravità quantistica” tenuta il 30 ottobre 2012 al Festival della Scienza 2011, Palazzo Ducale, Genova.
[12] Questo passaggio viene citato anche nel nostro articolo La place de la science dans l'histoire humaine (à propos du livre "Anaximandre de Milet"), in Révolution internationale n° 422.
[13] Karl Popper (1902-1994) è uno dei più influenti filosofi della scienza del ventesimo secolo ed un riferimento inevitabile per ogni scienziato che si interessi di questioni di metodologiche. Egli insiste particolarmente sulla nozione di “rifiutabilità”, l'idea secondo cui ogni ipotesi, per essere scientifica, dovrebbe permettere l’elaborazione di esperienze o di osservazioni che potrebbero permettere di confutarla; in assenza della possibilità di tali esperienze od osservazioni, un’ipotesi non potrebbe essere qualificata come scientifica. È su questa base che Popper considerava che il marxismo, la psicanalisi e - in un primo tempo - il darwinismo, non potevano pretendere uno statuto di scienza.
[14] L’articolo de La Recherche segnala anche la scoperta di un “nécessaire per il trucco” vecchio di 100 000 anni (vedi www.larecherche.fr/content/recherche/article?id=30891).
[15] È probabilmente per una forma di ironia che Darmangeat, nella 2a edizione del suo libro, ha preferito spostare tutta la parte su Morgan in appendice, apparentemente per timore di scoraggiare il lettore non esperto a causa della sua “aridità”, secondo il termine dell’autore.
[16] “La prima Parentela Umana era Matriarcale”, pubblicato in Early Human Kinship: From Sex to Social Reproduction, (Prima Parentela Umana: Dal Sesso alla Riproduzione Sociale), 2008, Blackwell Publishing Ltd.
[17] “Del fatto che da parte dei più giovani si attribuisca talvolta al lato economico più rilevanza di quanta convenga siamo in parte responsabili anche Marx ed io. Di fronte agli avversari dovevamo accentuare il principio fondamentale, che essi negavano, e non sempre c’era il tempo, il luogo e l’occasione di riconoscere quel che spettava agli altri fattori che entrano nell’azione reciproca. Ma appena si arrivava alla descrizione di un periodo storico, e perciò a un'applicazione pratica, le cose cambiavano, e nessun errore era qui possibile. Ma purtroppo è fin troppo frequente che si creda di aver capito a fondo una nuova teoria e di poterne senz’altro fare uso non appena ci si sia impadroniti dei suoi principi fondamentali, e anche questo non sempre in modo corretto. E questo rimprovero non posso risparmiarlo neanche a qualcuno dei recenti "marxisti", e ne è venuta fuori anche della robaccia incredibile”. (Lettera di Engels a J. Bloch, 21-22 settembre, in Marx, Engels. Opere Complete. Vol. XLVIII, pag. 494. Editori Riuniti).
[18] Nella 2a edizione, si trova anche un sottocapitolo interamente dedicato alla Kollontai.
[19] La critica della teoria di Lévi-Strauss è trattata in modo approfondita in Blood Relations.
[20] La critica di Knight nella seconda edizione non è più corposa rispetto alla prima, tranne che per la citazione di una rivista critica del libro da parte di Joan M. Gero, antropologa femminista ed autrice di Engendering archaeology: Women and Prehistory. Questa critica ci sembra molto superficiale ed include un preconcetto molto ideologico. Eccone un esempio: “Ciò che Knight mette avanti come prospettiva, da un punto di vista del sesso, delle origini della cultura, è una visione paranoica e distorta della “solidarietà femminile”, presentando (tutte) le donne come se sfruttassero sessualmente e manipolassero (tutti) gli uomini. Le relazioni uomo-donna sono caratterizzate da sempre ed ovunque come relazioni tra vittime e manipolatrici: si sono sempre supposte donne sfruttatrici con tendenza a intrappolare, in un modo o in un altro, gli uomini, e la loro cospirazione finalizzata a questo sarebbe proprio la base fondamentale dello sviluppo della nostra specie. I lettori possono anche sentirsi offesi dall’idea che gli uomini sono sempre stati volubili e che solo una piacevole attività sessuale, distribuita con parsimonia e con civetteria dalle donne calcolatrici, può trattenerli a casa e mantenere il loro interesse per la loro prole. Questo scenario è non solo improbabile e non dimostrato, ripugnante per le femministe così come per chiunque altro, ma il ragionamento sociobiologico spazza via tutte le versioni sfumate della costruzione sociale delle relazioni tra generi, delle ideologie e delle attività che sono diventate così centrali ed affascinanti per gli studi di genere oggi”. (tradotto da noi). Tutto sommato, non solo Gero non ha visibilmente compreso granché dell’argomentazione che pretende di criticare ma, peggio ancora, c’invita a rigettare una tesi scientifica non perché sia falsa – cosa che Gero non si dà neanche la pena di cercare di dimostrare - ma perché sarebbe “ripugnante” per - tra gli altri - le femministe.
[21] The Mothers: A Study of the Origins of Sentiments and Institutions, 1927.