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Prima di tutto che i capi del mondo e gli stati che loro rappresentano sono in grado di affrontare la catastrofe economica che minaccia il sistema capitalista. Come ha detto Gordon Brown il 2 aprile: “questo è il giorno in cui il mondo si è unito nella lotta contro la recessione globale non con le parole ma con un piano per una ripresa globale.”
Però questo ‘mondo’ del G20 si basa sulla concorrenza per i mercati. Un capitalista può prosperare solo a spese di un altro e lo stesso vale per i paesi capitalisti. Naturalmente hanno anche interessi in comune: devono tutti cooperare per tenere sotto controllo gli schiavi salariati, o anche sono riluttanti nel lasciare nazioni intere andare in fallimento anche quando sono loro concorrenti perché queste sono anche mercati per la loro merce o perché debitori. Ma non possono realizzare i loro profitti in un circolo infinito vendendo l’uno all’altro e perciò soffrono la maledizione della sovrapproduzione – il blocco dei mercati che porta alla bancarotta, il collasso delle industrie e la pandemia della disoccupazione.
La crisi attuale di sovrapproduzione è causata, non come dicono gli esperti economici da qualche ‘disequilibrio’ temporaneo dell’economia mondiale, ma dai rapporti sociali di base del capitalismo, dove la grande massa della popolazione produce ‘plusvalore’ che può essere realizzato solo tramite una estensione costante del mercato. Non essendo più in grado di espandersi dentro ciò che Marx chiamava i ‘campi di produzione esterni’ e conquistare nuovi mercati fuori di se stesso, il capitalismo per decenni ha affrontato questo problema nel rimpiazzare i veri mercati con il mercato artificiale del debito. Il ‘crollo del credito’ di oggi ha mostrato brutalmente i limiti di quel rimedio che adesso è diventato un veleno che erode il cuore stesso dell’economia.
Il ‘piano per una ripresa mondiale’ di Brown è in realtà un piano per lo stesso tipo di falsa ripresa che abbiamo visto così spesso durante gli ultimi 40 anni - una ripresa basata sulla bolla del credito.
Lo stato non è in grado di salvarciNaturalmente ci dicono che non possiamo permetterci di andare avanti come negli ultimi decenni. Lasciato a se stesso il ‘mercato libero’ porterà ad una depressione devastante come è successo negli anni ’30 e come minaccia di fare adesso. Allora ciò di cui abbiamo bisogno è molto più intervento statale per impedire che l’avarizia dei banchieri e speculatori sfugga ai controlli, trovare (o semplicemente stampare) i soldi necessari per stimolare l’economia e nazionalizzare le banche e altri settori economici chiave quando non c’è più altro da fare. Questo è il nuovo ‘keynesianismo’ che viene presentato come la soluzione al ‘neoliberismo’.
Ciò che non ci viene detto è che il ‘neoliberismo’ – con la sua enfasi sull’introduzione della concorrenza diretta in ogni aspetto dell’economia, sulla privatizzazione, sul ‘libero’ movimento dei capitali nelle aree del mondo dove la forza lavoro può essere sfruttata ad un prezzo molto più basso - era concepito come una risposta al fallimento del ‘keinesianismo’ alla fine della ripresa boom del dopoguerra negli anni ’70, quando l’economia mondiale iniziava ad affossarsi nelle paludi della stagflazione - recessione combinata con l’inflazione alle stelle.
Un'altra cosa che non ci viene detta è che il neoliberismo - includendo la sua recente meravigliosa invenzione, il ‘boom delle case’ – è stato fin dall’inizio una politica decisa e coordinata dallo Stato. Quindi tutte le politiche economiche fallite degli ultimi 40 anni, keinesiane o neoliberali sono fallimenti del capitalismo controllato o diretto dallo Stato.
Come può essere altrimenti? Lo Stato, come ha mostrato Engels attorno al 1880, non è altro che il capitalista collettivo ideale. La sua funzione non è di eliminare i rapporti capitalisti ma di preservarli a tutti i costi. Se le contraddizioni dell’economia mondiale si trovano nella fondamentale relazione sociale del capitalismo, lo Stato capitalista non può fare di più che cercare di tenere a bada gli effetti di queste contraddizioni.
Il capitalismo non può mettere mai le persone al primo postoI mass media ufficiali cercano in tutti i modi di convincerci che dobbiamo avere fiducia nelle buone intenzioni dei leader del mondo. Hanno parlato soprattutto della politica del ‘cambiamento’, personificata in Barack Obama e la sua adorabile moglie. Ma in Francia e Germania Sarkozy e Merkel hanno recitato come politici pronti a contrastare il potere americano e gli ‘irresponsabili’ imbrogli fiscali degli anglosassoni.
Ma questo lavoro di copertura ideologica non è perfetto. Non può passare inosservato, per esempio, che il G20 è un club delle economie più potenti del mondo e per questo motivo può essere che non si preoccupi troppo degli effetti delle sue decisioni sui popoli più poveri del mondo. Una delle decisioni del G20 è stata di aumentare il ruolo del Fondo Monetario Internazionale negli affari economici del mondo. Lo stesso FMI che ha guadagnato una spaventosa reputazione nell’imporre un’austerità draconiana in cambio del sostegno delle economie più deboli del mondo. Analogamente alla faccia delle previsioni sempre più pessimistiche di una imminente catastrofe ecologica era palese che il cambiamento del clima apparisse nelle decisioni dei capi del mondo non più di una semplice nota.
Allora a chi tocca il compito di abbellire il tutto? Questo è il ruolo della sinistra – le persone che organizzano grandi manifestazioni chiamando i leader del mondo a “mettere le persone al primo posto”. La coalizione dei sindacati, i gruppi della sinistra, le associazioni ambientaliste, religiose e caritatevoli, quelli che fanno campagne contro la povertà e gli altri che hanno fatto un appello per la manifestazione nazionale del 28 marzo esigevano un “processo trasparente e responsabile per riformare il sistema finanziario internazionale” che “ richieda il consulto di tutti i governi, parlamenti, sindacati e società civili, con le Nazioni Unite che giocano un ruolo chiave”. Loro pretendono che “queste raccomandazioni prevedono un pacchetto integrato per aiutare i leader del mondo a trovare una via d’uscita dalla recessione” e può aprire la strada ad “un nuovo sistema che cerchi di far sì che l’economia lavori per le persone e il pianeta” con “il governo democratico dell’economia”, “posti di lavori decenti e servizi pubblici per tutti”, e “una economia verde” e così via.
Queste forze politiche non combattono in nessun modo la menzogna che lo Stato capitalista può trovare una via d’uscita dalla catastrofe in cui ci ha portato. Loro dicono semplicemente che nel mobilitare il ‘popolo dal basso’ noi possiamo mettere una sufficiente pressione sullo Stato per fargli assumere politiche veramente democratiche, umane ed ecologiche di cui approfitterà l’umanità e il pianeta. In altre parole vendono illusioni e ci incoraggiano a utilizzare le nostre energie per le riforme di un sistema sociale che non è riformabile ed è destinato a morire.
La resistenza non è inutileUn altro messaggio proclamato ad alta voce all’incontro del G20: la resistenza è inutile. Evidentemente, dice la linea ufficiale, noi rispettiamo il diritto del popolo di protestare pacificamente e democraticamente. Possiamo anche capire perché le persone sono arrabbiate con questi banchieri avari. Ma se si va oltre i limiti della protesta accettabile e se sei preso, o più precisamente, ‘intrappolato’ dalle ben addestrate e armate truppe di polizia che ti tengono bloccato per ore, non importa se tu sei un anarchico con una maschera nera o una persona anziana o disabile che cerca disperatamente un bagno. L’utilizzo di questa tattica il primo giorno del G20 a Londra è stata una dimostrazione deliberata della repressione statale con lo scopo di scoraggiare lo scontento sociale e la rivolta che la borghesia sa bene che è all’orizzonte di ogni paese.
Non è danneggiando una banca nel contesto di una dimostrazione pianificata (come è stato il 1 aprile a Londra) che si ha una rivolta. Ma i segni di un genuino e massiccio scontento sociale sono abbastanza chiari quando tu guardi le recenti ondate di ribellioni degli studenti, insegnanti, disoccupati e molti altri che sono avvenute in Europa recentemente, culminando nel dicembre greco; gli scioperi selvaggi nelle raffinerie in Gran Bretagna, le occupazioni delle fabbriche contro i licenziamenti in Francia, Waterford, Belfast, Basildon e Enfield; gli scioperi di massa in Egitto, Bangladesh, o nelle Antille; i moti per la fame in una dozzina di paesi. I segni sono visibili anche nel numero crescente di giovani che discutono idee rivoluzionarie su internet, che formano circoli di discussione, mettono in discussione le false soluzioni offerte dai mass media ufficiali e di ‘sinistra’, che aprono il dibattito con le organizzazioni comuniste… Tutti questi sono i verdi germogli della rivoluzione che vengono nutriti dalla crisi del capitalismo in tutto il pianeta.
La resistenza non è inutile. Resistere agli attacchi economici del capitalismo e alla repressione politica, resistere ai suoi veleni ideologici è solo il punto iniziale per un vero movimento per cambiare il mondo.
(4/3/9, tradotto da WR n°323)