Abbiamo letto. IL PROBLEMA DELL’AVANGUARDIA DI CLASSE: COORDINAMENTO DI OPERAI O ORGANIZZAZIONE POLITICA PROLETARIA?

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Quella che segue è una lettera che abbiamo spedito ai due compagni del Gruppo Operaio Fiat, estensori di un documento di minoranza dal titolo “Dove va ‘Operai Contro’, dove vanno i gruppi operai”. Questo documento, scritto in occasione del Convegno di Milano del 6 novembre '82[1] e fornitoci contemporaneamente da uno dei due compagni nel novembre scorso, attende ancora una risposta dalle persone cui esso è rivolto. Non poteva essere che così visto che i compagni estensori, in larga misura in maniera inconsapevole, hanno fornito in esso le prove del fallimento del gruppo operaio Fiat, del Coordinamento di cui esso fa parte, nonché del giornale “operaio” prodotto da quest’ultimo.

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Cari compagni, dal vostro documento emergono alcune ben precise critiche al Gruppo Operaio Fiat su cui siamo in buona parte d’accordo e che si possono cosi puntualizzare:

1.      il coordinamento dei gruppi operai di fatto non esiste; ogni gruppo non sa cosa fa o che pensa un altro gruppo. Questo coordinamento esiste solo a livello di alcuni individui che lavorano nei vari gruppi. Non è un caso, aggiungiamo noi, che questi individui fanno parte di “Operai e Teoria”;

2.      il giornale “Operai Contro”, gestito ufficialmente dal Coordinamento, “sta sempre più diventando il posto dove i compagni più preparati politicamente ci fanno gli articoli teorici sulle grandi questioni, mentre gli altri ci scrivono le corrispondenze dalle fabbriche”;

3.      esiste una forte disomogeneità politica nel gruppo operaio Fiat che “viene a galla con chiarezza non appena nel giornale cominciano ad apparire articoli che non sono solo più la critica alla piattaforma sindacale ma arrivano a prendere posizioni più générali, tipo le lotte in Polonia, in cui si afferma che l’ala radicale di Solidarnosc è quella marxista-leninista e di fatto si appoggia questo sindacato attaccando solo l’ala moderata di Walesa. Oppure l’articolo sulla Palestina in cui di fatto si appoggia l’O.L.P. (...);

4.      “il problema della crescita politica dei compagni è una questione di cui tutto il coordinamento deve farsi carico, perché non si tratta di studiare e di sapere delle cose, si tratta soprattutto di confronto, di discussione, ecc.”;

5.      “non deve più succedere che su avvenimenti così importanti, come le lotte nazionali, una parte dei compagni non sa che posizione prendere, altri invece lo sanno benissimo e infatti prendono posizione sul giornale, ma è una posizione che non fa gli interessi degli operai, ma entra nelle fabbriche e fa agli operai stessi un pessimo servizio.”;

6.      “di fatto si agisce come uno dei tanti e tanto disprezzati gruppi politici con la differenza che al nostro interno non c'è la stessa omogeneità che esiste in un gruppo a cui la gente aderisce sulla base di una piattaforma”.

Dalle riflessioni che voi sviluppate appare chiaro un elemento: c'è chi campa sull’isolamento dei vari gruppi operai e sulla disomogeneità che esiste all’interno di ognuno di essi, e si tratta per l’appunto degli individui che fanno capo ad “Operai e Teoria”. Questo gruppo, nato col vessillo della difesa intransigente della classe operaia ma inquinato da pesanti eredità staliniste, ha finito per imporre la propria dominazione gerarchica su questi gruppi soffocandone la discussione interna: in questo modo i gruppi operai che facevano capo al “Coordinamento di Sesto S. Giovanni”, o almeno quello che ne rimane, costituiscono la divisa mimetica con cui “Operai e Teoria” si presenta all’esterno, riproponendo l’ennesimo mascheramento di un gruppo politico dietro una struttura “di base”. Ma attenzione. Non ci si può limitare a criticare 1’atteggiamento opprimente di Operai e Teoria e continuare a difenderne le posizioni politiche. L’operaismo sfrenato con cui si è presentato questo gruppo, le contorsioni sugli strati bassi del proletariato, ecc. hanno finito per essere, bene o male, le vostre posizioni. Qual è il bilancio che ne tirate? Intanto una cosa possiamo dire ai compagni: di andarsi a rileggere le posizioni sviluppate da Operai e Teoria sull’aristocrazia operaia e sul ruolo centrale ed insostituibile degli operai come artefici in prima persona della loro teoria e della loro organizzazione, alla luce del vergognoso “appello agli intellettuali” (intellettuali tra 1’altro di matrice “autonomia”) che appare nel manifesto di convocazione del suddetto convegno (1). Che passi da gigante hanno fatto gli accaniti difensori degli “strati bassi del proletariato” nel giro di qualche anno!

Ma al di là di Operai e Teoria, come potrebbe realmente funzionare un gruppo operaio e un coordinamento di gruppi operai? La vostra risposta appare molto chiara: una struttura operaia, per poter lavorare seriamente, ha bisogno che ogni singolo compagno sappia coprire i vari piani, dallo scrivere “un articolo sulla guerra alla ciclostilatura”. Occorre quindi un processo di maturazione e di omogeneizzazione sui punti politici fondamentali (e citate quasi tutti i punti della nostra piattaforma). In più, perché sia possibile il massimo di discussione e di interazione fra vari gruppi operai, proponete delle riunioni di coordinamento ogni uno o due mesi e la stampa di un regolare bollettino interno. Tutto ciò nella prospettiva “che non ci siamo mai nascosti, di mirare all’unificazione di tutti i gruppi operai in un’unica organizzazione, certo questo non sarà nell’immediato, sarà frutto della discussione, del confronto e della chiarificazione che ci sarà tra i gruppi e all’interno dei vari gruppi”.

Ora, cari compagni, forse non ve ne rendete conto, ma avete fornito tutti gli elementi per caratterizzare “uno dei tanti e tanto disprezzati gruppi politici”: criterio stretto di militante che deve rispondere su tutti i piani; omogeneità politica all’interno del coordinamento su tutte le questioni fondamentali, che corrisponde all’acquisizione di una piattaforma politica comune; strumenti di discussione interna quali bollettini e riunioni periodiche; strumenti di intervento politico quali il giornale, i volantini, ecc. Tutto ciò corrisponde esattamente alla definizione formale di un gruppo politico. Dove sta la differenza dagli altri gruppi politici? Nel fatto che questo sarebbe costituito tutto da operai a partire da esperienze operaie. In questo modo compromettete tutte e due le cose: il concetto di gruppo operaio e quello di gruppo politico.

Se per gruppo operaio si intende una struttura che serve agli operai per incontrarsi, discutere, chiarirsi le idee sui problemi della loro vita di salariati e delle loro lotte, questa struttura non può che essere aperta a tutti gli operai e non può soffrire la restrizione che di fatto voi ponete con la richiesta di una omogeneità politica globale. Ammesso che venga raggiunta questa omogeneità fra tutti voi, infatti, un nuovo compagno a quel punto potrebbe fare parte effettiva del gruppo solo dopo aver raggiunto la stessa omogeneità.

Quindi il vostro concetto di gruppo operaio è niente altro che quello di un gruppo politico col marchio DOC della classe operaia, tradendo invece l’esigenza che ha la classe di propri momenti e luoghi di confronto e dibattito per sviluppare la propria azione di lotta o decantare alcuni elementi di riflessione. Non è una caso che in occasione dei momenti caldi a Torino, Milano, ecc., questi gruppi operai sono stati sistematicamente ignorati e ricoperti dall’onda della lotta operaia.

Ma lo stesso concetto di gruppo politico cui voi volete giungere è falsato in partenza da una pericolosa impronta operaista. Intanto, per coerenza, che ci fa tra di voi un ben noto personaggio, di professione insegnante di scuola? Forse che i professori sono negli strati bassi del proletariato? D’altra parte, per chi si rifà al marxismo e a Marx, tenga presente che il buon Federico Engels era un padrone di industria e il bravo Marx è stato a lungo mantenuto dal primo, e che nessuno dei due è mai stato operaio. Non parliamo poi di Lenin e di tutti gli altri... Tutti i migliori rivoluzionari della storia hanno fatto di tutto tranne che gli operai. Viceversa gli operai tipo Walesa in Polonia o lo storico Noske in Germania risultano essere tra i più infami traditori della classe operaia. Il problema a livello di una singola persona o anche di un insieme limitato di persone (come nel caso di un gruppo politico) non si pone mai a livello di collocazione sociale dei singoli individui, che in sé non costituisce alcuna garanzia, ma di adesione ad un programma politico.

Tiriamo allora le somme. La struttura operaia che voi avete sperimentato, come tante altre, ha avuto, nella sua fase iniziale, una vita reale ed ha costituito un’occasione effettiva di incontro e di discussione tra compagni con esperienze diverse. Ma con 1’andare del tempo, inevitabilmente, questa struttura ha finito col perdere i connotati iniziali per trasformarsi via via in un mezzo gruppo politico.

Adesso voi vi rendete conto di stare a metà strada e volete giustamente portare a termine il processo con la costituzione di una vera organizzazione politica omogenea e con le idee chiare sul da farsi. Sta bene, ma siete sicuri che con le divergenze che vi caratterizzano riuscirete a costituire tutti un’unica organizzazione politica? O ancora, è proprio certo che tutte le persone adatte o disponibili a costituire questa organizzazione si trovino nel gruppo Fiat o anche nel Coordinamento dei gruppi operai? Ma soprattutto, è proprio certo che non si può attingere nulla dai “tanti e tanto disprezzati gruppi politici”, del presente e del passato?

Un requisito preliminare di serietà politica che si impone a chi si accinge a costituire un nuovo gruppo politico è una critica politica precisa dell’inadeguatezza dei gruppi già esistenti. L’avete già svolto questo lavoro? Non ci pare. E se il carattere di novità che volete introdurre sta tutto nel fatto della composizione esclusivamente operaia del gruppo politico, non solo vi legate mani e piedi ad una formula sbagliata, ma compromettete tutto il vostro lavoro.

Noi crediamo infatti che esista una differenza profonda tra gli operai considerati singolarmente e la classe operaia nel suo movimento storico e reale all’interno della società. Chi vive nelle fabbriche sa bene qual è il grigiore e l’apatia, a volte 1’opportunismo, che caratterizzano tanti operai. Eppure sono questi stessi operai grigi, apatici e opportunisti che sono destinati a fare la rivoluzione, e non solo questo, ma anche a dirigerla politicamente e a creare una nuova società. Come si spiega questo miracolo? Che in un caso gli operai atomizzati vivono da soli tutto il peso della società borghese, nell’altro trovano nella lotta e nell’unità della classe la forza di contrapporvisi. Nella costituzione della nostra organizzazione politica noi abbiamo fatto riferimento alla classe come insieme, alle lezioni che ci ha lasciato la sua lotta storica, ed oggi operiamo per la sua riunificazione, processo che può realizzarsi solo nella lotta e attraverso un graduale riconoscimento dei propri unici interessi di classe. Nel fare questo non ci siamo curati di quanti operai fossero presenti nella nostra organizzazione, ma solo del fatto che la nostra piattaforma e il nostro lavoro fossero inseriti nel solco degli interessi immediati e storici del proletariato.

Viceversa sembra che voi nutriate il progetto di formare un’organizzazione politica che si dice operaia perché contiene solo operai. E’ chiaro che voi intendete reclutare non i grigi, gli apatici, ecc., ma quelli dinamici, politicizzati. Va bene. E quand’anche 1’avete fatto cos’è che vi caratterizzerà politicamente: l’estrazione sociale dei singoli membri o non piuttosto una piattaforma politica? E questa piattaforma politica, qualunque essa sia, è forse oggi patrimonio dei singoli operai? Non ci pare, anzi tra gli operai è possibile trovare le posizioni politiche più disparate e, per lo più, questi risultano influenzati dalla ideologia borghese. Per cui dire oggi che la garanzia per un’organizzazione politica proletaria sta nella estrazione sociale operaia dei suoi militanti significa da una parte nascondere i veri problemi (definizione di una piattaforma, di un’analisi politica della situazione attuale, dei compiti del momento) e dall’altra alimentare la falsa illusione, presente tra alcuni di voi, che attraverso un’opera di lento convincimento questo primo nucleo politico di operai possa allargarsi fino a coprire la quasi totalità della classe operaia.

Il processo di unificazione seguirà viceversa una dinamica travolgente che si farà beffe di tutti gli schemi e i piani preparati a tavolino dai più arguti pensatori.

Sia ben chiaro, per finire, che la nostra posizione non ha nulla a che vedere con la calata di braghe di Operai e Teoria nei confronti degli intellettuali dell’autonomia. Nel caso nostro i militanti “intellettuali” hanno tradito la loro classe di origine per schierarsi politicamente e praticamente all’interno del fronte proletario. Nel caso di Operai e Teoria, degli operai rincoglioniti da anni di militanza stalinista, dopo averci recentemente rotto le scatole con il loro fanatismo operaista, propongono una collaborazione a degli intellettua1i non per farli aderire al fronte proletario, ma per utilizzarli come tali, come piccolo borghesi detentori di cultura. La classe operaia non sa che farsene della cultura della borghesia e dei suoi scrivani piccolo-borghesi. La classe operaia non scende a patti con nessuno, se la vuole spuntare.

O troverà al suo interno, con le sue avanguardie, la forza per spezzare la rete che le ha stretto intorno la borghesia, o non ci sarà alleanza tattica che tenga alla sconfitta definitiva.

Marzo ’83       Ezechiele



[1] Il Manifesto di convocazione del convegno di Milano è riportato sul n°8 di Operai Contro.

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