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La CCI ha adottato nel maggio 1990 delle tesi intitolate "La decomposizione, fase ultima della decadenza capitalista", che presentavano la nostra analisi globale della situazione mondiale durante e dopo il crollo del blocco imperialista dell'Est, fine 1989. L'idea centrale di queste tesi, come ne indica il titolo, era che la decadenza del modo di produzione capitalista, iniziata con la prima guerra mondiale, era entrata in una nuova fase della sua evoluzione, quella dominata dalla decomposizione generalizzata della società. Nel corso del suo 22° congresso, nel 2017, adottando un testo intitolato "Rapporto sulla decomposizione oggi (maggio 2017)", la nostra organizzazione aveva ritenuto necessario aggiornare il documento del 1990, per "confrontare i punti essenziali delle tesi con la situazione attuale: in che misura gli aspetti evidenziati siano stati verificati, addirittura amplificati, oppure smentiti o da completare". Questo secondo documento, scritto 27 anni dopo il primo, mostrava che l'analisi adottata nel 1990 era stata ampiamente verificata. Allo stesso tempo, il testo del 2017 aveva affrontato aspetti della situazione mondiale che non apparivano nel testo del 1990 ma che completavano il quadro presentato da quest’ultimo, assumendone maggiore importanza: l’esplosione dei flussi di rifugiati in fuga dalle guerre, carestie, persecuzioni e anche l’ascesa del populismo xenofobo che andava ad incidere in maniera crescente sulla vita politica della classe dominante.
Oggi, la CCI ritiene necessario effettuare un nuovo aggiornamento dei testi del 1990 e del 2017, non un quarto di secolo dopo quest’ultimo, ma solo 6 anni dopo e questo perché, in quest’ultimo periodo, abbiamo assistito ad una spettacolare accelerazione e amplificazione delle manifestazioni di questa decomposizione generale della società capitalista.
Questa evoluzione catastrofica e accelerata dello stato del mondo non è ovviamente sfuggita all’attenzione dei principali dirigenti politici ed economici del pianeta. Nel “Global Risks Report 2023” (GRR) basato sulle analisi di una moltitudine di “esperti” (1200 nel 2022) e che viene presentato ogni anno al forum di Davos (World Economic Forum – WEF), che riunisce questi leader, possiamo leggere: "I primi anni di questo decennio hanno segnato un periodo particolarmente turbolento della storia umana. Il ritorno a una 'nuova normalità' dopo la pandemia da COVID-19 è stato rapidamente compromesso dallo scoppio della guerra in Ucraina, inaugurando una nuova serie di crisi alimentari ed energetiche – scatenando problemi che decenni di progresso stavano cercando di risolvere.
All’inizio del 2023, il mondo si trova ad affrontare una serie di rischi del tutto nuovi e terribilmente familiari. Abbiamo assistito al ritorno di “vecchi” rischi – inflazione, crisi del costo della vita, guerre commerciali, deflussi di capitali dai mercati emergenti, disordini sociali generalizzati, scontri geopolitici e lo spettro della guerra nucleare – che pochi leader aziendali e dirigenti pubblici di questa generazione hanno conosciuto. Questi fenomeni sono amplificati da sviluppi relativamente nuovi nel panorama mondiale dei rischi, tra cui livelli di debito insostenibili, una nuova era di bassa crescita, investimenti globali ridotti e deglobalizzazione, un declino dello sviluppo umano dopo decenni di progresso, lo sviluppo rapido e incontrollato di tecnologie a duplice uso (civile e militare) e la crescente pressione degli impatti e delle ambizioni legate ai cambiamenti climatici in una finestra di transizione verso un mondo a +1,5°C che non cessa di fermarsi. Tutti questi elementi convergono per dare forma ad un decennio unico, incerto e travagliato". (Principali conclusioni: alcuni estratti).
In generale, sia nelle dichiarazioni dei governi che nei grandi media, la classe dominante cerca di attenuare le osservazioni sull’estrema gravità della situazione mondiale. Ma quando riunisce i principali leader del mondo, dove parla solo a sé stessa, come durante l’annuale Forum di Davos, non può fare a meno di esprimere una certa lucidità. D'altra parte è significativo che le allarmanti osservazioni contenute in questo rapporto abbiano avuto ben poca risonanza nei principali media, la cui vocazione fondamentale non è quella di informare onestamente la popolazione, e in particolare gli sfruttati, ma di agire come agenzie di propaganda destinate a far loro accettare una situazione che sta diventando sempre più catastrofica, per nascondere loro il completo fallimento storico del modo di produzione capitalista.
In effetti, le osservazioni contenute nel rapporto presentato al Forum di Davos nel gennaio 2023 sono ampiamente in linea con il testo adottato dalla CCI nell’ottobre 2022 intitolato “L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità". In realtà, l’analisi della CCI ha preceduto non di pochi mesi quella degli “esperti” più informati della classe dominante ma di diversi decenni poiché i risultati fissati nel nostro documento dell’ottobre 2022 non sono che una conferma eclatante delle previsioni che avevamo già avanzato alla fine degli anni '80, in particolare nelle nostre "tesi sulla decomposizione". Che i comunisti abbiano un certo vantaggio, addirittura un netto vantaggio, rispetto agli “esperti” borghesi nel prevedere le grandi tendenze catastrofiche che sono all’opera nel mondo capitalista non sorprende: la classe dominante può, di regola, nascondere a sé stessa e alla classe che sfrutta e che sola può fornire una soluzione alle contraddizioni che minano la società, il proletariato, una realtà fondamentale: come i modi di produzione che lo hanno preceduto, il modo di produzione capitalista non è eterno. Come i modi di produzione del passato, esso è destinato a essere sostituito, se non distrugge prima l'umanità, da un altro modo di produzione superiore corrispondente allo sviluppo delle forze produttive da lui raggiunto in un determinato momento della sua storia. Un modo di produzione che abolirà i rapporti mercantili che sono al centro della crisi storica del capitalismo, dove non ci sarà più spazio per una classe privilegiata che vive dello sfruttamento dei produttori. Ma poiché non riesce a prevedere la sua scomparsa, la classe borghese è in generale incapace di considerare con lucidità le contraddizioni che portano alla caduta della società da essa dominata.
Nella postfazione alla seconda edizione tedesca del Capitale, Marx scriveva: "Quello che più vivamente fa avvertire al pratico borghese il movimento contraddittorio della società capitalistica sono le incerte vicende del ciclo periodico che ha percorso la moderna industria, e il termine ultimo di esse, cioè la crisi generale. Essa si sta di nuovo muovendo, sebbene sia ancora solo agli inizi; e, per l'universalità del suo apparire oltre che per l'intensità dei suoi effetti, caccerà la dialettica persino nella testa dei fortunati parassiti del nuovo sacro impero prusso-tedesco. ".
Nello stesso momento in cui la CCI ha adottato le tesi sulla decomposizione che annunciavano l'ingresso del capitalismo in una nuova fase, la fase ultima della sua decadenza, segnata da un aggravamento qualitativo delle contraddizioni di questo sistema e da una decomposizione generale della società, il "borghese pratico", in particolare nella persona del presidente Bush senior, era estasiato dalla nuova gloriosa prospettiva che, ai suoi occhi, il crollo dei regimi stalinisti e del blocco "sovietico" inaugurava, un'era di "pace" e di "prosperità". Oggi, di fronte al "movimento contraddittorio della società capitalista", non nella forma di una crisi ciclica come quelle del XIX secolo, ma di una crisi permanente e insolubile della sua economia che genera uno sconvolgimento e un caos crescente nella società, questo stesso "borghese pratico" è costretto a fare entrare nella sua testa un po' di "dialettica".
È per questo motivo che l’aggiornamento delle tesi si baserà in gran parte sulle analisi e previsioni contenute nel “Global Risks Report” del 2023 contestualmente al nostro testo dell’ottobre 2022 di cui costituisce, attraverso un'attenta visione, una conferma. Una conferma portata dalle più lucide istanze della classe dominante, in realtà una vera e propria ammissione del fallimento storico del suo sistema. L'utilizzo di dati e analisi forniti dalla classe nemica non è una "innovazione" della CCI. Infatti, i rivoluzionari generalmente non hanno i mezzi per raccogliere i dati e le statistiche che l’apparato statale e amministrativo della borghesia raccoglie per i propri bisogni di gestione della società. È sulla base, in parte, di questo tipo di dati che Engels ha elaborato, ovviamente con occhio critico, il suo studio su "La situazione della classe operaia in Inghilterra". E Marx, soprattutto nel Capitale, usa spesso le “note blu” delle inchieste parlamentari britanniche. Per quanto riguarda le analisi e le previsioni degli “esperti” della borghesia occorre essere ancora più critici sui dati di fatto, soprattutto quando corrispondono a una propaganda intesa a “dimostrare” che il capitalismo è il migliore o l’unico sistema capace di garantire il progresso e il benessere umano. Tuttavia, quando queste analisi e previsioni sottolineano l’impasse catastrofica in cui si trova questo sistema, che ovviamente non può corrispondere alla sua apologia, è utile e importante fare affidamento su di esse per sostenere e rafforzare le nostre stesse analisi e previsioni.
Parte I: Gli anni 2020 inaugurano una nuova fase della decomposizione del capitalismo
Nel testo adottato nell’ottobre 2022 possiamo leggere:
"Gli anni '20 del 21° secolo si annunciano come uno dei periodi più convulsi della storia e già si accumulano catastrofi e sofferenze indescrivibili. Essi sono cominciati con la pandemia del Covid-19 (che ancora continua) e una guerra nel cuore dell’Europa, che dura già da più di 9 mesi e di cui nessuno può prevedere l’esito. Il capitalismo è entrato in una fase di gravi sconvolgimenti su tutti i piani. Dietro questa accumulazione e interconnessione di convulsioni si profila la minaccia della distruzione dell’umanità (...).
Con l’improvvisa irruzione della pandemia Covid, abbiamo messo in evidenza l’esistenza di quattro caratteristiche proprie della decomposizione:
- La crescente gravità dei suoi effetti (…)
- L'irruzione degli effetti della decomposizione a livello economico (…)
- L'interazione crescente dei suoi effetti, che aggrava le contraddizioni del capitalismo a un livello mai visto prima (…)
- La crescente presenza dei suoi effetti nei paesi centrali (…)
L’anno 2022 ha fornito una illustrazione clamorosa di queste quattro caratteristiche, attraverso:
- Lo scoppio della guerra in Ucraina.
- L'apparizione di un'ondata di rifugiati mai vista prima.
- La continuazione della pandemia insieme a sistemi sanitari sull’orlo del fallimento.
- Una crescente perdita di controllo da parte della borghesia sul suo apparato politico, di cui la crisi politica in Gran Bretagna ne è la manifestazione più spettacolare.
- Una crisi agricola che porta alla penuria di molti prodotti alimentari in un contesto di sovrapproduzione generalizzata, cosa che costituisce un fenomeno relativamente nuovo in più di un secolo di decadenza (...)
- Carestie terrificanti che toccano sempre più paesi.
L’aggregazione e l’interazione dei fenomeni distruttivi sbocca in un “effetto vortice” che concentra, catalizza e moltiplica ognuno degli effetti parziali, provocando dei danni ancora più disastrosi. (…) Ora, questo “effetto vortice” costituisce un cambiamento qualitativo le cui conseguenze saranno ancora più manifeste nel prossimo periodo.
In questo quadro bisogna sottolineare il ruolo motore della guerra in quanto azione voluta e pianificata dagli Stati capitalisti, diventando il fattore più potente e grave del caos e della distruzione. Nei fatti, la guerra in Ucraina ha avuto un effetto moltiplicatore dei fattori di barbarie e di distruzione (…)
In questo contesto bisogna comprendere in tutta la sua gravità l’espansione della crisi ambientale che arriva a dei livelli mai visti prima:
- Un’ondata di calore durante l’estate, la peggiore dal 1961, con la prospettiva di veder queste canicole diventare permanenti.
- Una siccità mai vista, secondo gli esperti la peggiore in 500 anni, che tocca anche fiumi come il Tamigi, il Reno e il Po, di solito a scorrimento veloce.
- Incendi devastanti, anche questi i peggiori da decenni.
- Inondazioni incontrollabili, come quelle in Pakistan dove hanno interessato un terzo della superficie del Paese (lo stesso è avvenuto in Thailandia).
- Un rischio di scioglimento della calotta glaciale a seguito della fusione di ghiacciai con una superficie paragonabile a quella del Regno Unito, con conseguenze che possono essere catastrofiche.”
Le osservazioni degli “esperti” del WEF non sono differenti:
"Il prossimo decennio sarà caratterizzato da crisi ambientali e sociali, alimentate dalle tendenze geopolitiche ed economiche sottostanti. La "crisi del costo della vita" è classificata come il più grave rischio mondiale per i prossimi due anni, con un picco a breve termine. La "perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi" sono considerati come uno dei rischi globali che peggioreranno più rapidamente nel prossimo decennio, e tutti e sei i rischi ambientali figurano tra i primi dieci rischi per i prossimi dieci anni. Nove rischi figurano nella classifica dei primi dieci rischi a breve e lungo termine, tra cui lo "scontro geo-economico" e "l'erosione della coesione sociale e della polarizzazione sociale", nonché due nuovi arrivati nella classificazione: "criminalità informatica generalizzata, sicurezza informatica" e "migrazione involontaria su larga scala".
I governi e le banche centrali potrebbero trovarsi nella condizione di far fronte a pressioni inflazionistiche persistenti nei prossimi due anni, principalmente in ragione della possibilità di una guerra prolungata in Ucraina, di persistenti costrizioni legate alla pandemia e di una guerra economica che porterà al disaccoppiamento delle catene di approvvigionamento. Anche rischi al ribasso per le prospettive economiche sono significativi. Uno squilibrio tra le politiche monetarie e di bilancio aumenterà la probabilità di shock di liquidità, segnalando una recessione economica più prolungata e un eccesso di debito globale. Il perdurare dell’inflazione guidata dall’offerta potrebbe portare alla stagflazione, le cui conseguenze socioeconomiche potrebbero essere gravi, data un’interazione senza precedenti con livelli storicamente elevati di debito pubblico. La frammentazione dell’economia globale, le tensioni geopolitiche e le ristrutturazioni più difficili potrebbero contribuire a un diffuso sovraindebitamento per i prossimi dieci anni. (…)
La guerra economica diventa la norma, con crescenti scontri tra le potenze mondiali e crescenti interventi statali sui mercati nei prossimi due anni. Le politiche economiche saranno utilizzate in modo difensivo, per rafforzare l’autosufficienza e la sovranità di fronte alle potenze rivali, ma saranno sempre più utilizzate anche in modo offensivo per limitare l’ascesa di altri. L’intensa militarizzazione geo-economica metterà in luce le vulnerabilità della sicurezza poste dall’interdipendenza commerciale, finanziaria e tecnologica tra le economie integrate a livello globale, rischiando così un’escalation del ciclo di sfiducia e disaccoppiamento.
Gli intervistati del GRPS prevedono che nei prossimi 10 anni gli scontri interstatali rimarranno in gran parte di natura economica. Tuttavia, il recente aumento della spesa militare e la proliferazione di nuove tecnologie a più attori potrebbero portare a una corsa agli armamenti globale in tecnologie emergenti. Il panorama dei rischi globali a lungo termine potrebbe essere definito da conflitti multicampo e da guerre asimmetriche, con il dispiegamento mirato di nuove armi tecnologiche su una scala potenzialmente più distruttiva di quanto visto negli ultimi decenni.
Il crescente intreccio delle tecnologie nel funzionamento critico delle società espone le popolazioni a minacce interne dirette, comprese quelle che cercano di interrompere il funzionamento della società. Insieme all’aumento della criminalità informatica, i tentativi di interrompere risorse e servizi tecnologici critici diventeranno più comuni, con attacchi previsti all’agricoltura e all’acqua, ai sistemi finanziari, alla sicurezza pubblica, ai trasporti, all’energia e alle infrastrutture di comunicazione nazionali, spaziali e sottomarine.
La distruzione della natura e il cambiamento climatico sono intrinsecamente legati: un fallimento di un’area si riverserà nell’altra. In assenza di cambiamenti politici o investimenti significativi, l’interazione tra gli effetti del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, della sicurezza alimentare e del consumo di risorse naturali accelererà il collasso degli ecosistemi, minaccerà le forniture alimentari e i mezzi di sussistenza nelle economie vulnerabili al clima, amplificherà gli effetti dei disastri naturali e limiterà i progressi messi in atto per mitigare il cambiamento climatico.
Le crisi aggravate ampliano il loro impatto sulle società, colpendo i mezzi di sussistenza di una fascia molto più ampia della popolazione e destabilizzando più economie in tutto il mondo rispetto alle comunità tradizionalmente vulnerabili e agli Stati fragili. Sulla base dei rischi più gravi attesi per il 2023 – in particolare la “crisi dell’approvvigionamento energetico”, “l’aumento dell’inflazione” e la “crisi dell’approvvigionamento alimentare” – si sta già avvertendo una crisi mondiale del costo della vita. (…)
I perturbamenti sociali e l'instabilità politica non si limiteranno ai mercati emergenti, poiché le pressioni economiche continuano a prosciugare la fascia di redditi medi. La crescente frustrazione dei cittadini per le perdite di sviluppo umano e il declino della mobilità sociale, così come il crescente divario nei valori e nell’uguaglianza, rappresentano una sfida esistenziale per i sistemi politici di tutto il mondo. L’elezione di leader meno centristi e la polarizzazione politica tra le superpotenze economiche nei prossimi due anni potrebbero anche ridurre ulteriormente lo spazio per la risoluzione collettiva dei problemi, rompendo le alleanze e portando a dinamiche più volatili.
Con la riduzione dei finanziamenti del settore pubblico e le preoccupazioni legate alla sicurezza, la nostra capacità di assorbire il prossimo shock globale si sta riducendo. Nei prossimi dieci anni, meno paesi disporranno di margini di manovre economiche per investire nella crescita futura, nelle tecnologie verdi, nell’istruzione, nell’assistenza e nei sistemi sanitari.
Gli shock concomitanti, i rischi profondamente interconnessi e l’erosione della resilienza aumentano il rischio di policrisi, dove crisi disparate interagiscono in modo tale che l’impatto complessivo supera di gran lunga la somma di ciascuna parte. L’erosione della cooperazione geopolitica avrà effetti a catena sul panorama dei rischi globali nel medio termine, contribuendo anche ad una potenziale policrisi di rischi ambientali, geopolitici e socioeconomici interdipendenti legati alla domanda e all’offerta di risorse naturali. Il rapporto delinea quattro potenziali futuri incentrati sulla carenza di cibo, acqua, metalli e minerali, che potrebbero innescare una crisi umanitaria ed ecologica, che va dalle guerre per l’acqua e per le carestie al continuo sfruttamento eccessivo delle risorse ecologiche, fino al rallentamento della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico". (Principali conclusioni: alcuni estratti)
"La combinazione di eventi meteorologici estremi e di un approvvigionamento limitato potrebbe trasformare l'attuale crisi del costo della vita in uno scenario catastrofico di fame e disagio per milioni di persone nei paesi dipendenti dalle importazioni o trasformare la crisi energetica in una crisi umanitaria nei mercati emergenti più poveri.
Secondo le stime, le inondazioni in Pakistan hanno distrutto più di 800.000 ettari di terreni agricoli, ... Le previste siccità e carenze idriche potrebbero portare al declino dei raccolti e alla morte del bestiame nell'Africa orientale, nell'Africa settentrionale e meridionale, esacerbando così l'insicurezza alimentare.
Gli "shock gravi o la volatilità dei prezzi dei prodotti di base" rappresentano uno dei cinque rischi principali per i prossimi due anni nei 47 paesi esaminati dai dirigenti (EOS) del Forum, mentre le "gravi crisi di approvvigionamento di prodotti di base" rappresentano un rischio più localizzato, come una delle principali preoccupazioni in 34 paesi, tra cui Svizzera, Corea del Sud, Singapore, Cile e Turchia. Gli effetti catastrofici della carestia e della perdita di vite umane possono anche avere ripercussioni di vasta portata, poiché aumenta il rischio di violenza diffusa e la migrazione involontaria". (Crisi del costo della vita p.15)
“Alcuni paesi non saranno in grado di contenere gli shock futuri, d'investire nella crescita futura e nelle tecnologie verdi, o di rafforzare la resilienza futura nell’istruzione, nella sanità e nei sistemi ecologici, essendo gli impatti esacerbati dai più potenti e sopportati in modo sproporzionato dai più vulnerabili”. (Rallentamento economico, pag.17) "Di fronte alle vulnerabilità evidenziate dalla pandemia e poi dalla guerra, la politica economica, soprattutto nelle economie avanzate, è sempre più orientata verso obiettivi geopolitici. I paesi cercano di costruire "autosufficienza" sostenuti dagli aiuti pubblici, e di ottenere "sovranità" nei confronti delle potenze rivali, (…)
Ciò potrebbe causare esiti contrari agli obiettivi desiderati, determinando una minore resilienza e crescita della produttività e segnalando la fine di un’era economica caratterizzata da capitali, mano d'opera, materie prime e beni più economici e globalizzati.
Questa situazione probabilmente continuerà a indebolire le alleanze esistenti dal momento che le nazioni si ripiegano su sé stesse". (Confronto Geo-economico, p.19) "Oggi, i livelli atmosferici di anidride carbonica, metano e protossido di azoto hanno raggiunto dei record. Le traiettorie delle emissioni rendono altamente improbabile il raggiungimento dell'ambizione mondiale di limitare il riscaldamento a 1,5°C. Gli eventi recenti hanno evidenziato una divergenza tra ciò che è scientificamente necessario e ciò che è politicamente opportuno.
Tuttavia, le tensioni geo-politiche e le pressioni economiche hanno già limitato – e in alcuni casi invertito – i progressi nella mitigazione del cambiamento climatico, almeno nel breve termine. Ad esempio, l’UE ha speso almeno 50 miliardi di euro per la creazione e l’espansione delle infrastrutture e delle forniture di combustibili fossili, e alcuni paesi hanno riavviato le centrali elettriche alimentate a carbone.
La dura realtà di 600 milioni di persone in Africa che non hanno accesso all’elettricità mostra l’incapacità di portare il cambiamento a coloro che ne hanno bisogno e la continua attrazione verso soluzioni rapide basate sui combustibili fossili, nonostante i rischi che ciò comporta.
Il cambiamento climatico diventerà in tal modo sempre più un fattore chiave di migrazione e ci sono indicazioni che esso abbia già contribuito all’emergere di gruppi terroristici e conflitti in Asia, Medio Oriente e Africa". (La pausa dell’azione climatica, p. 21)
Ritroviamo in questa osservazione dello stato del mondo d'oggi tutti gli elementi che erano menzionati nel nostro testo dell’ottobre 2022, e spesso in modo più dettagliato. In particolare le quattro principali caratteristiche della situazione attuale:
- La crescente gravità degli effetti della decomposizione
- L'irruzione degli effetti di decomposizione a livello economico
- La crescente interazione dei suoi effetti, che aggrava le contraddizioni del capitalismo a un livello mai raggiunto prima
- La crescente presenza dei suoi effetti nei paesi centrali (…)
sono presenti nel documento del WEF, anche se con parole e articolazioni leggermente diverse e se l’impatto politico della decomposizione sui paesi più avanzati viene affrontato in termini un po’ “timidi”: non bisogna infastidire i governi e le forze politiche di questi paesi evocando le loro politiche sempre più irrazionali e caotiche.
In particolare, il rapporto del WEF evidenzia la crescente interazione degli effetti di decomposizione che chiamiamo “effetto vortice”. Per fare questo esso introduce il termine “policrisi” usato già negli anni Novanta da Edgar Morin, un “filosofo” francese amico di Castoriadis, mentore del gruppo Socialisme ou Barbarie. Le definizioni di questo termine che riprende il rapporto WEF sono le seguenti:
"Un problema diventa crisi quando mette alla prova la nostra capacità di farvi fronte e quindi minaccia la nostra identità. Nella policrisi, gli shock sono disparati, ma interagiscono in modo tale che il tutto è ancora più travolgente della somma delle parti.
Un’altra spiegazione per la policrisi potrebbe essere la seguente: quando molteplici crisi in molteplici sistemi mondiali si intrecciano causalmente in modo tale da degradare significativamente le prospettive dell’umanità”.
Questo "significativo peggioramento delle prospettive dell'umanità" si ritrova nel rapporto del WEF nel capitolo intitolato "Global Risks 2033: Tomorrow’s Catastrophes" ["Rischi mondiali 2033: le catastrofi di domani"], titolo che è già significativo nel tono di queste prospettive. Significativi anche alcuni sottotitoli: “Ecosistemi naturali: il punto di non ritorno è stato superato”, “Salute umana: pandemie permanenti e sfide croniche relative alla capacità di affrontarle”, “Sicurezza umana: nuove armi, nuovi conflitti”.
Più concretamente, ecco alcuni esempi di come il rapporto del WEF declina questi temi:
“La biodiversità all’interno e tra gli ecosistemi sta già diminuendo più velocemente che in qualsiasi momento della storia umana.
Gli interventi umani hanno avuto un impatto negativo su un ecosistema naturale mondiale complesso e delicatamente equilibrato, innescando una catena di reazioni. Nei prossimi dieci anni, l’interazione tra perdita di biodiversità, inquinamento, consumo di risorse naturali, cambiamento climatico e fattori socioeconomici costituirà una miscela pericolosa. Dato che si stima che più della metà della produzione economica mondiale dipenda in misura moderata o elevata dalla natura, il collasso degli ecosistemi avrà conseguenze economiche e sociali di vasta portata. Tra queste citiamo l’aumento della frequenza di malattie zoonotiche, il calo della resa e del valore nutrizionale dei raccolti, l’aumento dello stress idrico che esacerba conflitti potenzialmente violenti, la perdita di mezzi di sussistenza dipendenti dai sistemi alimentari e dai servizi naturali come l’impollinazione, nonché inondazioni sempre più drammatiche, innalzamento del livello del mare e erosione dovuta al degrado dei sistemi naturali di protezione dalle inondazioni, come le praterie acquatiche e le mangrovie costiere.
La distruzione della natura e il cambiamento climatico sono intrinsecamente legati: il fallimento di un ambito si ripercuoterà sull’altro, e il raggiungimento dello zero netto richiederà una mitigazione su entrambe le leve. Se non riusciamo a limitare il riscaldamento a +1,5°C o addirittura a +2°C, il continuo impatto dei disastri naturali e dei cambiamenti di temperatura e precipitazioni diventerà la causa principale della perdita di biodiversità, in termini di composizione e funzione.
I continui danni ai pozzi di assorbimento di carbonio derivanti dalla deforestazione e dallo scongelamento del permafrost, ad esempio, e il calo della produttività dello stoccaggio del carbonio (suolo e oceano) potrebbero trasformare questi ecosistemi in fonti “naturali” di emissioni di carbonio e metano. L’imminente collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale potrebbe contribuire all’innalzamento del livello del mare e alle inondazioni costiere, mentre il “deperimento” delle barriere coralline a bassa latitudine, che sono i vivai della vita marina, avrà sicuramente ripercussioni sull’approvvigionamento alimentare e sugli ecosistemi marini più ampi.
È probabile che la pressione sulla biodiversità venga ulteriormente amplificata dalla continua deforestazione a fini agricoli, con una domanda associata di ulteriori terreni coltivabili, in particolare nelle aree subtropicali e tropicali ad alta densità di biodiversità, come l’Africa sub-sahariana e il sud-est asiatico.
Tuttavia, bisogna considerare un meccanismo di verifica più esistenziale: la biodiversità contribuisce alla salute e alla resilienza dei suoli, delle piante e degli animali, e il suo declino mette a repentaglio la resa della produzione alimentare e il suo valore nutrizionale. Ciò potrebbe quindi alimentare la deforestazione, aumentare i prezzi dei prodotti alimentari, minacciare i mezzi di sussistenza locali e contribuire a malattie e morti legate all’alimentazione. Può anche portare a migrazioni involontarie su larga scala.
È chiaro che la portata e il ritmo necessari per la transizione verso un’economia verde richiedono nuove tecnologie. Tuttavia, è probabile che alcune di queste tecnologie abbiano un nuovo impatto sugli ecosistemi naturali, e le possibilità di "testare i risultati sul campo" sono limitate." (Ecosistemi naturali: il punto di non ritorno è superato, p.31) “La sanità pubblica mondiale è sottoposta ad una crescente pressione e i sistemi sanitari in tutto il mondo rischiano di diventare inadeguati.
Date le crisi attuali, la salute mentale può anche essere aggravata dall’aumento di fattori di stress come la violenza, la povertà e la solitudine.
I sistemi sanitari si trovano ad affrontare la carenza di lavoratori e persistenti penurie in un momento in cui il consolidamento finanziario rischia di deviare l’attenzione e le risorse altrove. Nel prossimo decennio, epidemie di malattie infettive sempre più frequenti e diffuse, in un contesto di malattie croniche, rischiano di spingere i sistemi sanitari esausti sull’orlo della bancarotta in tutto il mondo. (…)
Si prevede inoltre che il cambiamento climatico aggraverà la malnutrizione a causa della crescente insicurezza alimentare. L’aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera può portare a carenze nutrizionali nelle piante e persino ad un assorbimento accelerato di minerali pesanti, che sono stati collegati al cancro, al diabete, alle malattie cardiache e ai disturbi della crescita”. (Salute umana: pandemie croniche e difficoltà ad affrontarle, p.35)
"Un'inversione della tendenza alla smilitarizzazione aumenterà il rischio di conflitto, su una scala potenzialmente più distruttiva. La sfiducia ed il sospetto crescenti tra le potenze mondiali e regionali hanno già implicato una ridefinizione delle priorità relative alle spese militari ed un ristagno dei meccanismi di non proliferazione. La diffusione della potenza economica, tecnologica e, quindi, militare a più paesi e attori è all'origine dell'ultima iterazione di una corsa mondiale agli armamenti.
La proliferazione di armi militari più distruttive e di nuove tecnologie può consentire nuove forme di guerra asimmetrica, consentendo alle piccole potenze e agli individui di avere un impatto maggiore a livello nazionale e globale". (Sicurezza umana: nuove armi, nuovi conflitti, p.38) "La serie di emergenti preoccupazioni sulla domanda e sull'offerta di risorse naturali sta già diventando motivo di crescente inquietudine. Gli intervistati al GRPS [Global Risks Perception Survey - Sondaggio sulla percezione dei rischi globali] hanno identificato forti relazioni e collegamenti reciproci tra le "crisi delle risorse naturali" e gli altri rischi identificati nei capitoli precedenti.
Il rapporto descrive quattro potenziali futuri incentrati sulla carenza di cibo, acqua, metalli e minerali, che potrebbero innescare una crisi umanitaria ed ecologica: dalle guerre per l’acqua e le carestie al continuo sfruttamento eccessivo delle risorse ecologiche e al rallentamento dell'attenuazione e dell’adattamento climatico. (Rivalità per le risorse: quattro prospettive future, p.57)
La conclusione del rapporto ci offre un quadro sintetico di come sarà il mondo nel 2030:
“La povertà globale, le crisi dei mezzi di sussistenza sensibili al clima, la malnutrizione e le malattie legate all’alimentazione, l'instabilità degli Stati e le migrazioni involontarie sono tutti aumentate, prolungando ed estendendo l’instabilità e le crisi umanitarie (…)
L’insicurezza alimentare, energetica e idrica sta diventando un fattore di polarizzazione sociale, disordini civili e instabilità politica.
Il sovrasfruttamento e l’inquinamento – la tragedia dei beni comuni globali – si sono estesi. La carestia è tornata su una scala mai vista nel secolo scorso. La portata delle crisi umanitarie e ambientali evidenzia la paralisi e l’inefficienza dei principali meccanismi multilaterali di fronte alle crisi con le quali si sta scontrando l’ordine mondiale, trasformandosi in una spirale di policrisi che si perpetuano e si aggravano".
Il rapporto cerca a volte di non disperare troppo i suoi lettori dicendo, ad esempio:
"Alcuni dei rischi descritti nel rapporto di quest'anno sono prossimi a un punto di svolta. Ora è il momento di agire collettivamente, con decisione e con una prospettiva a lungo termine, per tracciare il percorso verso un futuro più positivo, più inclusivo e più stabile". Ma, nel complesso, dimostra che i mezzi “per agire collettivamente, con decisione” non esistono nel sistema attuale.
Nel testo del 1990, abbiamo basato lo sviluppo della nostra analisi sull'osservazione che a livello mondiale stavano sorgendo, aggravandosi, tutta una serie di manifestazioni mortali o caotiche della vita sociale. Possiamo ricordarle qui per vedere come la situazione attuale, così come presentata sopra, abbia accentuato e amplificato queste manifestazioni:
- "Crescente carestia nei paesi del 'terzo mondo'"
- "Trasformazione di questo stesso 'terzo mondo' in un'enorme baraccopoli e sviluppo dello stesso fenomeno nel cuore delle grandi città dei paesi 'avanzati'"
- "Aumento dei disastri 'accidentali' e degli effetti, sempre più devastanti sul piano umano, sociale ed economico dei disastri 'naturali'"
- "Degrado dell'ambiente (fiumi morti, discariche oceaniche, aria irrespirabile delle città, contaminazione radioattiva, effetto serra")
- "Sviluppo delle epidemie"
- "L'incredibile corruzione che cresce e prospera nell'apparato politico della classe dominante"
Il fenomeno della corruzione non è trattato nel rapporto del WEF (non irritare i corrotti!). Nonostante tutti i programmi “virtuosi”, questa piaga non fa che prosperare, in particolare nei paesi del Terzo Mondo: ad esempio, la vittoria dei talebani in Afghanistan e l’avanzata dei gruppi jihadisti nel Sahel devono molto alla corruzione sfrenata di regimi che erano o sono alla loro testa. Nei paesi generati dall’ex Unione Sovietica, a cominciare da Russia e Ucraina, governano Stati apertamente mafiosi. Ma questo fenomeno non risparmia i paesi più sviluppati con tutti gli imbrogli (che sono solo la punta dell'iceberg) rivelati dai "Panama Papers" e da altre autorità. Allo stesso modo, i "petrodollari" affluiscono verso i paesi avanzati, in particolare quelli europei, per comprare la compiacenza dei "decisori di questi paesi" per decisioni assurde e dannose come l'assegnazione della Coppa del mondo di calcio al Qatar o (incredibile ma vero) l’assegnazione dei Giochi Asiatici Invernali all’Arabia Saudita! Ma uno dei picchi è stato raggiunto quando la vicepresidente del Parlamento europeo, un'istituzione che dovrebbe, tra l'altro, combattere la corruzione, è stata sorpresa con valigie di banconote provenienti dal Qatar.
Infine, è chiaro che il terribile bilancio in termini di vite umane del terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria all’inizio di febbraio è essenzialmente il risultato della corruzione che ha consentito ai costruttori di aggirare le norme antisismiche ufficiali per aumentare i propri profitti.
“Tendenza generale della borghesia a perdere il controllo sulla condotta della sua politica”: Come abbiamo visto, la questione viene trattata con molta cautela nel rapporto del WEF, soprattutto quando si fa riferimento a “una sfida esistenziale per i sistemi politici di tutto il mondo” e “all’elezione di leader meno centristi”.
Infine, le manifestazioni di decomposizione individuate nel 1990 non sono menzionate direttamente nel rapporto del WEF (per ragioni spesso “diplomatiche”) né nel nostro testo dell’ottobre 2022 perché erano secondarie rispetto all’idea centrale di questo testo: il notevole passo compiuto dalla decomposizione con l'ingresso negli anni 2020.
“Aumento permanente della criminalità e dell’insicurezza, della violenza urbana, in cui sono sempre più coinvolti i bambini”: Possiamo citare due esempi (tra molti altri): la continuazione degli omicidi di massa negli Stati Uniti e i recenti omicidi di numerosi adolescenti da parte di altri adolescenti in Francia.
"Sviluppo del nichilismo, del 'no futuro' dell'odio e della xenofobia": La crescita dell’odio razzista (spesso in nome della religione) che è il terreno fertile su cui prosperano i populismi di estrema destra (Nigel Farrage nel Regno Unito, Trump e i suoi “fan” negli Stati Uniti, Le Pen in Francia, Meloni in Italia, ecc.)
“L’ondata di droga colpisce soprattutto i giovani”: Nessuna inversione di tendenza di questa piaga da parte della potenza delle bande di narcotrafficanti come in Messico.
"Profusione di sette, risveglio dello spirito religioso, anche in alcuni paesi avanzati": Ci sono molti esempi oggi dell’aggravarsi di questo fenomeno con l’aumento:
- del salafismo, la versione più oscurantista dell'Islam;
- del fanatismo cristiano di estrema destra dimostrato dal peso crescente degli evangelisti, come negli Stati Uniti o in Brasile;
- di un Induismo belligerante e xenofobo in India (il Paese più popoloso del mondo);
- di un "ebraismo di lotta" d'estrema destra in Israele.
Ovviamente il rapporto del WEF evita accuratamente di menzionare questi fenomeni: bisogna essere educati nei confronti dei partecipanti al Forum di Davos che rappresentano governi la cui religione e fanatismo religioso costituiscono uno dei principali strumenti politici del loro potere.
"Rifiuto del pensiero razionale, coerente, costruito, anche da parte di certi ambienti 'scientifici'": Recenti sviluppi del complottismo, soprattutto al tempo della pandemia da Covid, spesso associati a un’ideologia di estrema destra. Con una contropartita dall'altra parte dello scacchiere politico: il crescente successo del "wokismo", una corrente proveniente dalle università americane, il cui radicalismo "consiste nel raggrupparsi in piccole cappelle "militanti" attorno a temi totalmente borghesi che pretendono di "combattere il sistema".
"'Ognuno per sé', atomizzazione degli individui": Un esempio drammatico, quello dell’isolamento degli anziani durante la pandemia prima dell’uso dei vaccini, soprattutto nelle case di riposo. E anche l’angoscia dei familiari dei defunti.
Tutti i passaggi tra virgolette sono tratti dalle tesi del 1990. Essi rendono conto delle caratteristiche già presenti nel mondo in quel momento e che ci avevano permesso di fondare la nostra analisi. Questo accumulo simultaneo di tutte queste manifestazioni catastrofiche, la loro quantità, indicava che stava iniziando un periodo qualitativamente nuovo nella storia della decadenza del capitalismo. Nelle Tesi, l'interazione tra alcune di queste manifestazioni era già presente. Ma allora avevamo messo in luce soprattutto l'origine comune di queste manifestazioni che, in un certo modo, sembravano svilupparsi parallelamente senza interagire tra loro. In particolare, avevamo osservato che se, fondamentalmente, la crisi economica del capitalismo era all'origine del fenomeno della decomposizione della società, essa non veniva realmente toccata dalle diverse manifestazioni di questa decomposizione.
• Al 22° Congresso, oltre a evidenziare l'affermazione di due nuove e correlate manifestazioni di decomposizione, l'immigrazione massiccia e l'ascesa del populismo, abbiamo sottolineato che l'economia cominciava a essere colpita dalla decomposizione (in particolare attraverso l'ascesa del populismo), mentre in precedenza era stata relativamente risparmiata. Oggi, questa interazione tra aspetti fondamentali della situazione mondiale e di cruciale importanza storica conosce uno sviluppo spettacolare e drammatico. Il nostro testo dell’ottobre 2022, così come il rapporto del WEF, evidenzia la misura attraverso la quale queste diverse manifestazioni ora si determinano a vicenda.
Così, con il suo ingresso negli anni 2020, e in particolare nel 2022, assistiamo a un’accelerazione della storia, a un nuovo drammatico peggioramento della decomposizione che sta trascinando la società umana, anzi la specie umana, e questo è percepito da un numero crescente di persone, alla sua distruzione.
Questa intensificazione delle diverse convulsioni che il pianeta sta vivendo, la loro crescente interazione, costituisce una conferma non solo della nostra analisi ma anche del metodo marxista su cui si basa, un metodo che altri gruppi del milieu politico proletario tendono a “dimenticare” quando rifiutano la nostra analisi della decomposizione.
Parte II: Il metodo marxista, strumento indispensabile per comprendere il mondo di oggi
Questa parte del rapporto che pubblichiamo di seguito è stata arricchita da un insieme di sviluppi che fanno parte del metodo di comprensione della realtà attraverso il marxismo. Essi non erano esplicitamente presenti nella versione sottoposta al congresso ma ne sono alla base. Lo scopo di tale aggiunta è quello di alimentare il dibattito pubblico in difesa della concezione marxista del materialismo contro la concezione volgare difesa dalla maggior parte delle componenti del milieu politico proletario, in particolare dai damenisti e dai bordighisti.
La storia è la storia della lotta di classe
Nel complesso, i gruppi del MPP (milieu politico proletario) hanno capito ben poco di ciò che intendiamo nella nostra analisi sulla decomposizione. Chi si è preso la briga di andare più lontano nel confutare questa analisi è il gruppo bordighista che pubblica Le Prolétaire in Francia. Alla nostra analisi dell'ascesa del populismo in vari paesi e al suo legame con l'analisi sulla decomposizione (che definisce "famosa e fumosa") ha dedicato due articoli, di cui riportiamo alcuni estratti:
"Revolution Internationale ci spiega le radici di questa cosiddetta "decomposizione": "l'attuale incapacità delle due classi fondamentali e antagoniste, che sono la borghesia e il proletariato, di proporre la propria prospettiva (guerra mondiale o rivoluzione) ha generato una situazione di "blocco temporaneo" e di putrefazione della società". I proletari che vedono quotidianamente peggiorare le loro condizioni di sfruttamento e peggiorare le loro condizioni di vita, saranno felici di apprendere che la loro classe è capace di bloccare la borghesia e impedire ad essa di attuare le sue “prospettive”…” (LP 523)
"Neghiamo quindi che la borghesia abbia" perso il controllo del suo sistema politico" e che le politiche perseguite dai governi di Gran Bretagna o Stati Uniti siano dovute a una misteriosa malattia chiamata "populismo" causata dalla "stagnazione della società nella barbarie".
Per dirla in termini molto generali, questi punti di svolta (a cui si potrebbe aggiungere il progresso dell’estrema destra in Svezia o in Germania, con il sostegno di una parte del personale politico borghese) hanno la funzione di rispondere a un’esigenza di dominio, sia a livello interno che esterno, in una situazione di accumulo di rischi economici e politici a livello internazionale – e non qualcosa che “disturbi il gioco politico con la conseguenza di una crescente perdita di controllo dell’apparato politico borghese su terreno elettorale'" (LP 530)
Per quanto riguarda l’idea che il populismo corrisponda a una politica veramente “realistica” della borghesia e da essa controllata, ciò che è accaduto nel Regno Unito negli ultimi anni dovrebbe far riflettere questo gruppo.
Come si vede, Le Prolétaire si prende la briga di entrare nel vivo della nostra analisi: la situazione di blocco tra le classi sorta in seguito alla ripresa storica del proletariato mondiale nel 1968 (che esso non ha riconosciuto come l'intero MPP). Dietro questa ignoranza, infatti, si nasconde l’incomprensione e il rifiuto della nozione di percorso storico che si riferisce al disaccordo che abbiamo con i gruppi nati dal Partito del 1945.
Negare l'esistenza del periodo di decomposizione significa per questi bordighisti negare il ruolo storico fondamentale svolto dalla lotta tra le classi nello sviluppo della situazione mondiale. In altre parole, un grande allontanamento dal metodo marxista. Riconoscere il fattore decisivo della lotta di classe solo nei momenti eccezionali in cui il proletariato si manifesta apertamente sulla scena mondiale, cioè quando le capacità della classe operaia sono evidenti a tutti, è un indice del declino degli epigoni della Sinistra italiana.
Il fatto che la borghesia abbia sempre, in ogni momento, sia nei periodi di sconfitta o di ritirata, sia in quelli di rivoluzione, imparato a tener conto delle disposizioni della classe operaia, ciò è noto al marxismo dal 1848, dopo la sanguinosa repressione dell'insurrezione del proletariato francese nel giugno di quello stesso anno. Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte di Marx, che Engels ha sempre presentato come un eccellente esempio dell'applicazione del metodo del materialismo storico agli avvenimenti mondiali, mostra che dopo gli avvenimenti del 1848 la borghesia fu comunque costretta a riconoscere nella classe operaia, sebbene sconfitta, il suo avversario storico. Questo riconoscimento fu un fattore importante per allineare la classe dominante dietro il colpo di stato di Luigi Bonaparte del 1852 e per la repressione della fazione repubblicana della borghesia [[1]].
Altro erede del Partito del 1945, anche la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI, ex-Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario) rinuncia all'ABC del materialismo storico secondo il quale "la storia è la storia della lotta delle classi" e mostra orgogliosamente la sua ignoranza sull’attuale periodo di decomposizione del capitalismo mondiale e sulle sue cause di base che risiedono nella situazione degli antagonismi di classe.
La TCI cerca anche di presentare la nostra analisi come non marxista e idealista:
"Dopo il crollo dell'URSS, la CCI dichiarò improvvisamente che questo crollo aveva creato una nuova situazione in cui il capitalismo aveva raggiunto una nuova fase, che essa chiamò "decomposizione". Nella sua incomprensione del funzionamento del capitalismo, per la CCI, quasi tutto ciò che è male – dal fondamentalismo religioso alle molte guerre scoppiate dopo il crollo del blocco dell’Est – non è altro che un’espressione del Caos e della Decadenza. Noi pensiamo che ciò equivale all'abbandono completo del terreno del marxismo, perchè queste guerre, così come le guerre precedenti della fase decadente del capitalismo, sono il risultato di questo stesso ordine capitalista (…) La sovrapproduzione di capitale e di merci, provocata ciclicamente dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, conduce a delle crisi economiche e a delle contraddizioni che, a loro volta, generano delle guerre imperialiste. Non appena un capitale sufficiente viene svalutato e i mezzi di produzione vengono distrutti (dalla guerra), può iniziare un nuovo ciclo di produzione. Dal 1973 ci troviamo nella fase finale di tale crisi, e un nuovo ciclo di accumulazione non è ancora iniziato". (Marxismo o idealismo - Le nostre divergenze con la CCI)
Potremmo chiederci se i compagni della TCI (che pensano che è stato in seguito al crollo del blocco dell’Est nel 1989 che abbiamo improvvisamente tirato fuori dal cappello la nostra analisi della decomposizione) si siano dato la pena di leggere il nostro testo di base del 1990. Nella sua introduzione, siamo molto chiari: "Anche prima che si verificassero gli avvenimenti dell'Est, la CCI aveva già messo in luce questo fenomeno storico (vedi in particolare la Revue internationale, n°57)". E dimostrano anche una straziante superficialità nell’attribuire a noi l'idea che "quasi tutto ciò che è male (...) è solo l'espressione del Caos e della Decomposizione”. E ci colpiscono con un'idea fondamentale alla quale pensano che non avessimo pensato: "queste guerre, come le precedenti guerre della fase decadente del capitalismo, sono il risultato di questo stesso ordine imperialista”. Quale scoperta! Non abbiamo mai detto altro, ma la domanda che poniamo, e che loro non si pongono, è in quale contesto storico generale si colloca oggi l’ordine imperialista. Per i militanti della TCI è sufficiente distruggere abbastanza capitale costante perché possa iniziare un nuovo ciclo di accumulazione. Da questo punto di vista, la distruzione che si verifica oggi in Ucraina è un vantaggio per la salute dell’economia globale. Il messaggio dovrà essere trasmesso ai dirigenti economici della borghesia che, al recente Forum di Davos, come abbiamo visto, sono allarmati dalla prospettiva del mondo capitalista e in particolare dall’impatto negativo della guerra in Ucraina sull'economia mondiale. Infatti, chi ci attribuisce una rottura con l'approccio marxista farebbe bene a rileggere (o leggere) i testi fondamentali di Marx ed Engels e cercare di capire il metodo da essi utilizzato. Se i fatti stessi, l’evoluzione della situazione mondiale, confermano, giorno dopo giorno, la validità della nostra analisi, è in gran parte perché essa si fonda saldamente sul metodo dialettico del marxismo (anche se nelle tesi del 1990 non vi è alcun riferimento esplicito a questo metodo né citazioni di Marx o Engels).
Nel suo rifiuto dell'analisi della decomposizione del capitalismo mondiale, la TCI si distingue, e si mette in imbarazzo, abbattendo la sua ascia polemica, seppur smussata, anche su un altro pilastro del metodo marxista del materialismo storico, che è riassunto nella prefazione di Marx a il “Contributo alla critica dell'economia politica” del 1859 (e ripreso nel primo punto della piattaforma della CCI). I rapporti di produzione in ogni formazione sociale della storia umana - rapporti che determinano gli interessi e le azioni delle classi contrapposte da essa scaturite - si trasformano sempre da fattori di sviluppo delle forze produttive in fase ascendente, in impedimenti negativi di queste stesse forze in un’altra fase, creando la necessità di una rivoluzione sociale. Ma il periodo di decomposizione, punto culminante di un secolo di decadenza del capitalismo come modo di produzione, semplicemente non esiste per la TCI.
Sebbene la TCI usi l'espressione “fase di decadenza del capitalismo”, non ha capito cosa significhi questa fase per lo sviluppo della crisi economica del capitalismo o delle guerre imperialiste che ne derivano.
Nell’era dell’ascesa del capitalismo, i cicli produttivi – comunemente noti come boom e crolli – erano il battito cardiaco di un sistema in progressiva espansione. Le guerre limitate di quest’epoca potevano accelerare questa progressione attraverso il consolidamento nazionale – come fece per la Germania la guerra franco-prussiana del 1871 – o conquistare nuovi mercati attraverso la conquista coloniale. La devastazione delle due guerre mondiali, le distruzioni imperialiste del periodo decadente e le loro conseguenze esprimono per contrasto la rovina del sistema capitalista e la sua impasse come modo di produzione.
Per la TCI, tuttavia, la sana dinamica dell’accumulazione capitalistica del XIX secolo è eterna: per questa organizzazione, i cicli di produzione sono solo aumentati di dimensione. E questo li porta all’assurdità che un nuovo ciclo di produzione capitalistica possa essere fecondato dalle ceneri di una Terza Guerra Mondiale [[2]]. Perfino la borghesia non è così stupidamente ottimista riguardo alle prospettive del suo sistema e ha una migliore comprensione dell’era di disastri che si trova ad affrontare.
La TCI è forse “economicamente materialista”, ma non nel senso marxista di analizzare lo sviluppo dei rapporti di produzione in condizioni storiche radicalmente mutate.
Nelle 3 opere fondamentali del movimento operaio, Il Capitale di Marx, Accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg e Stato e rivoluzione di Lenin, troviamo un approccio storico alle questioni studiate. Marx dedica molte pagine a spiegare come si sia sviluppato nel corso della storia il modo di produzione capitalistico, che già dominava pienamente la società del suo tempo. Rosa Luxemburg esamina come è stata posta la questione dell'accumulazione da diversi autori più antichi e Lenin fa lo stesso sulla questione dello Stato. In questo approccio storico si tratta di rendere conto del fatto che le realtà che esaminiamo non sono cose statiche, immateriali, esistite in ogni tempo, ma corrispondono a processi in continua evoluzione con elementi di continuità ma anche e soprattutto di trasformazione e perfino di rottura. Le tesi del 1990 cercano di trarre ispirazione da questo approccio presentando la situazione storica attuale nella storia generale della società, quella del capitalismo e più in particolare la storia della decadenza di questo sistema. Più concretamente, mettono in luce le similitudini tra la decadenza delle società precapitaliste e quella della società capitalistica ma anche, e soprattutto, le differenze tra queste, questione che è al centro della sopraggiunta fase di decomposizione all’interno di quest’ultima: "mentre, nelle società del passato, i nuovi rapporti di produzione che erano chiamati a soppiantare i vecchi ormai superati potevano svilupparsi al loro fianco, all’interno della stessa società - cosa che poteva, in un certo modo, limitare gli effetti e l’ampiezza della sua decadenza - la società comunista, la sola che possa succedere al capitalismo, non può in alcun modo svilupparsi al suo interno; non esiste dunque alcuna possibilità di una qualunque rigenerazione di questa società in assenza di un rovesciamento violento del potere della classe borghese e dell’estirpazione dei rapporti di produzione capitalisti”. (Tesi 1)
Al contrario, il materialismo astorico della TCI può spiegare tutti gli eventi, tutte le guerre, in tutte le epoche applicando in modo incantatorio la stessa formula: “cicli di accumulazione”. Questo materialismo oracolare, poiché spiega tutto, non spiega nulla e per questo non può esorcizzare il pericolo dell'idealismo. Al contrario, le lacune create dal materialismo volgare devono essere colmate con cemento idealistico. Quando le condizioni reali della lotta rivoluzionaria del proletariato non possono essere comprese o spiegate, è necessario un deus ex-machina idealista per risolvere il problema: "il partito rivoluzionario". Ma non si tratta del partito comunista che emerge e si costruisce in determinate condizioni storiche, ma di un partito mitico che può essere gonfiato in qualsiasi periodo con aria fritta opportunistica.
La componente dialettica del materialismo storico
Gli epigoni della sinistra italiana [[3]], rigettando l’esistenza di un periodo di decomposizione del capitalismo mondiale, hanno dovuto quindi cercare di rimuovere due grandi pilastri del metodo marxista del materialismo storico. In primo luogo, il fatto che la storia del capitalismo, come tutta la storia precedente, è la storia della lotta di classe e, in secondo luogo, il fatto che il ruolo determinante delle leggi economiche evolve con l’evoluzione storica di un modo di produzione.
C'è una terza esigenza dimenticata, implicita negli altri due aspetti del metodo marxista: il riconoscimento dell'evoluzione dialettica di tutti i fenomeni, compreso lo sviluppo delle società umane, secondo l'unità degli opposti, che Lenin descrive come l'essenza della dialettica nel suo lavoro sulla questione durante la prima guerra mondiale. Mentre gli epigoni vedono lo sviluppo solo in termini di ripetizione, di aumento o diminuzione, il marxismo comprende che la necessità storica - il determinismo materialista - si esprime in modo contraddittorio e interattivo, in modo che la causa e l'effetto possano cambiarsi posto e che la necessità si riveli attraverso un percorso tortuoso.
Per il marxismo la sovrastruttura delle formazioni sociali, vale a dire la loro organizzazione politica, giuridica e ideologica, nasce sulla base dell'infrastruttura economica ed è determinata da questa. Questo è ciò che hanno capito gli epigoni. Ma sfugge loro il fatto che questa sovrastruttura possa fungere da causa – se non da principio – oltre che da effetto. Engels, verso la fine della sua vita, ha dovuto insistere su questo punto preciso in una serie di lettere indirizzate negli anni Novanta dell'Ottocento al materialismo volgare degli epigoni dell'epoca. La sua corrispondenza è una lettura assolutamente essenziale per coloro che oggi negano che la decomposizione della sovrastruttura capitalista possa avere un effetto catastrofico sulle basi economiche del sistema.
"Lo sviluppo politico, giuridico, filosofico, religioso, letterario, artistico, ecc., si basa sullo sviluppo economico. Tutti reagiscono gli uni sugli altri e sulla base economica. Non è vero che la situazione economica sia l'unica causa attiva e tutto il resto è solo un effetto passivo. C'è, piuttosto, un'interazione sulla base della necessità economica, che in ultima analisi si afferma sempre? (Engels a Borgius, 25 gennaio 1894)
Nella fase finale del declino capitalistico, il suo periodo di decomposizione, l’effetto retroattivo della sovrastruttura in decomposizione sulle infrastrutture economiche è sempre più accentuato, come hanno dimostrato in maniera lampante gli effetti economici negativi della pandemia da Covid, del cambiamento climatico e della guerra imperialista in Europa - fatta eccezione per i discepoli ciechi di Bordiga e Damen [[4]].
Marx non ha avuto la possibilità di esporre, così come ne aveva formulato il progetto, il suo metodo, quello che impiega in particolare nel Capitale. Egli menziona questo metodo, solo brevemente, nella postfazione alla seconda edizione tedesca del suo libro. Da parte nostra, soprattutto di fronte alle accuse, spesso stupide, del MPP (e ancor più dei parassiti) secondo cui la nostra analisi "non è marxista", è "idealista", tocca a noi evidenziare la fedeltà dell’approccio delle tesi del 1990 riguardo al metodo dialettico del marxismo di cui possiamo richiamare alcuni elementi aggiuntivi:
La trasformazione della quantità in qualità:
È un’idea che ricorre spesso nel testo del 1990. Manifestazioni di decomposizione potevano esistere nella decadenza del capitalismo ma, oggi, l’accumularsi di queste manifestazioni dimostra una trasformazione-rottura nella vita della società, segnalando l’ingresso in una nuova era di decadenza capitalista dove la decomposizione diventa l’elemento determinante. Questa componente della dialettica marxista non si limita ai fatti sociali. Come sottolinea Engels, soprattutto nell'Antidühring e nella Dialettica della natura, si tratta di un fenomeno che si riscontra in tutti i campi e che, del resto, è stato colto da altri pensatori. Così, nell'Anti Dühring, Engels cita una frase di Napoleone Bonaparte che dice (in sintesi) "Due Mamelucchi erano assolutamente superiori a tre francesi; (...) 1.000 francesi hanno sempre rovesciato 1.500 Mamelucchi" a causa della disciplina che diventa efficace quando si tratta di un gran numero di combattenti. Engels insiste molto sul fatto che questa legge trova piena applicazione anche nel campo della scienza. Di fronte all’attuale situazione storica e al moltiplicarsi di tutta una serie di fatti catastrofici, è voltare le spalle alla dialettica marxista (cosa normale da parte dell’ideologia borghese e della maggior parte degli accademici “specialisti”) piuttosto che basarsi su questa legge della trasformazione della quantità in qualità, come tuttavia avviene per l’intero MPP che cerca di applicare una causa specifica ed isolata a ciascuna delle manifestazioni catastrofiche della storia presente.
Il tutto non è la semplice somma delle parti:
Le diverse componenti della vita sociale, se hanno ciascuna una specificità, se possono acquisire in determinate circostanze anche una relativa autonomia, si determinano a vicenda all'interno di una totalità governata, “in ultima istanza” (ma solo in ultima istanza, come diceva Engels nella famosa lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890), attraverso i modi e i rapporti di produzione e la loro evoluzione. Questo è uno dei principali fenomeni della situazione attuale. Le diverse manifestazioni di decomposizione che, all'inizio, potrebbero sembrare indipendenti ma la cui accumulazione già indicava che eravamo entrati in una nuova epoca di decadenza capitalista, ora si influenzano sempre più l'una con l'altra in una sorta di "reazione a catena", di "vortice" che imprime alla storia l’accelerazione di cui siamo testimoni (compresi gli “esperti” di Davos).
Il ruolo decisivo del futuro
Infine, il prestito alla dialettica marxista dell'approccio storico, di questo aspetto essenziale che costituisce il movimento, la trasformazione, è al centro dell'idea centrale della nostra analisi sulla decomposizione: "nessun modo di produzione è capace di vivere e svilupparsi, assicurare la coesione sociale, se non è capace di presentare una prospettiva all’insieme della società da esso dominata. E ciò è particolarmente valido per il capitalismo in quanto rappresenta il modo di produzione più dinamico della storia" (Tesi 5). E giustamente oggi nessuna delle due classi fondamentali, la borghesia e il proletariato, può, per il momento, offrire una simile prospettiva alla società.
Per quelli che ci trattano da "idealisti", è un vero scandalo affermare che un fattore ideologico, l'assenza di un progetto nella società, possa avere un impatto importante sulla vita di quest'ultima. In realtà, essi dimostrano che il materialismo da loro rivendicato non è altro che un materialismo volgare già criticato a suo tempo da Marx, in particolare nelle Tesi su Feuerbach. Nella loro visione, le forze produttive si sviluppano in modo autonomo. E lo sviluppo delle forze produttive è il solo a dettare i cambiamenti nei rapporti di produzione e nei rapporti tra le classi.
Secondo costoro, le istituzioni e le ideologie, vale a dire la sovrastruttura, rimangono in vigore finché legittimano e preservano i rapporti di produzione esistenti. E quindi elementi come le idee, la moralità umana o anche l’intervento politico nel processo storico sono esclusi.
Il materialismo storico contiene, oltre ai fattori economici, altri fattori come le risorse naturali e i fattori contestuali. Le forze produttive contengono molto più che macchine o tecnologia. Contengono conoscenza, il saper fare, l'esperienza. In realtà tutto ciò che rende possibile il processo lavorativo o che lo ostacoli. Le forme di cooperazione e associazione sono esse stesse forze produttive e costituiscono anche un importante fattore di trasformazione e di sviluppo economico.
Quelli che si potrebbero definire “antidialettici” [5[5]] negano la distinzione tra condizioni oggettive e condizioni soggettive della lotta rivoluzionaria. Essi fanno derivare la capacità della classe dalla semplice difesa dei propri interessi economici immediati. Ritengono che gli interessi di classe del proletariato creeranno la capacità del proletariato di realizzare e difendere questi interessi. Negano le forze in atto per disorganizzare sistematicamente la classe operaia, annientare le sue capacità, dividerla e oscurare il carattere di classe della sua lotta.
Come ha osservato Lenin, dobbiamo fare analisi concrete della situazione concreta. E nella società capitalista più sviluppata un ruolo molto importante è assegnato all’ideologia, a un apparato che deve difendere e giustificare gli interessi borghesi e dare stabilità al sistema capitalista. Questo è il motivo per cui Marx sosteneva che affinché la rivoluzione comunista avesse luogo, le sue condizioni oggettive e soggettive dovevano essere soddisfatte. La prima condizione è la capacità dell’economia di produrre in abbondanza sufficiente per la popolazione mondiale. La seconda condizione, un livello sufficiente di sviluppo della coscienza di classe. Ciò ci riporta alla nostra analisi sulla questione dell'“anello debole” e della necessaria esperienza storica che si esprime nella coscienza.
I “deterministi” rimuovono lo sviluppo delle forze produttive dal loro contesto sociale. Tendono a negare QUALSIASI significato alla sovrastruttura ideologica, anche se non lo dicono. Le lotte dei lavoratori tendono ad apparire come una pura questione di riflessi. Si tratta di una visione fondamentalmente fatalistica che è ben espressa nell'idea di Bordiga secondo cui "la rivoluzione è certa come se fosse già avvenuta". Una tale visione porta a una sottomissione passiva, una sottomissione che attende gli effetti automatici dello sviluppo economico. In definitiva, non lascia spazio alla lotta di classe come condizione fondamentale per ogni cambiamento, in contraddizione con la prima frase del Manifesto Comunista: “La storia di ogni società fino ai giorni nostri non è stata altro che storia di lotte di classe”.
La terza tesi su Feuerbach ci offre una buona comprensione del materialismo storico e rigetta ogni rigido determinismo:
"La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen).
La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.”
L’importanza del futuro nella vita delle società umane:
È probabile che i nostri detrattori considerino questa una visione idealistica, ma noi sosteniamo che la dialettica marxista attribuisca al futuro un posto fondamentale nell'evoluzione e nel movimento della società. Dei tre momenti di un processo storico, passato, presente, futuro, è quest'ultimo a costituire il fattore fondamentale nella sua dinamica.
Il ruolo del futuro è fondamentale nella storia dell’umanità. I primi esseri umani che lasciarono l'Africa alla conquista del mondo, gli aborigeni che lasciarono l'Australia per conquistare il Pacifico, erano alla ricerca di nuovi mezzi di sussistenza per il futuro. È la preoccupazione per il futuro che anima il desiderio di procreazione, così come è per la maggior parte delle religioni. E poiché i nostri detrattori hanno bisogno di “buoni esempi economici”, possiamo citarne due nel funzionamento del capitalismo. Quando un capitalista investe, non è con lo sguardo rivolto al passato, è per ottenere un profitto futuro. Allo stesso modo, il credito, che gioca un ruolo così fondamentale nei meccanismi del capitalismo, non è altro che un progetto sul futuro.
Il ruolo del futuro è onnipresente nei testi di Marx e più in generale del marxismo. Questo ruolo è ben dimostrato in questo noto passo del Capitale:
"Il nostro punto di partenza è il lavoro in una forma che appartiene esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che somigliano a quelle del tessitore, e l'ape sorprende con la struttura delle sue cellette di cera l'abilità di più di un architetto. Ma ciò che distingue il peggiore architetto dall’ape più esperta è che esso ha costruito la cella nella sua testa prima di costruirla nell’alveare. Il risultato a cui porta il lavoro preesiste idealmente nell’immaginario del lavoratore. Non è che egli operi solo un cambiamento della forma nei materiali naturali; egli realizza nello stesso tempo il proprio scopo di cui ha coscienza, che determina come legge il suo modo di agire e al quale deve subordinare la sua volontà".
Ovviamente, questo ruolo essenziale del futuro nella società è ancora più fondamentale per il movimento operaio, le cui lotte del presente assumono un significato reale solo nella prospettiva della rivoluzione comunista del futuro.
“La rivoluzione sociale del XIX secolo [la rivoluzione proletaria] non può trarre la sua poesia dal passato, ma solo dal futuro”. (Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte)
"i sindacati agiscono utilmente come centri di resistenza all'invasione del capitale. In parte falliscono nel loro scopo non appena fanno un uso sconsiderato del loro potere. Falliscono completamente nel loro scopo non appena si limitano a una guerra di scaramucce contro gli effetti del regime esistente, invece di lavorare allo stesso tempo per la sua trasformazione e di usare la loro forza organizzata come leva per l'emancipazione definitiva della classe operaia, vale a dire per l'abolizione definitiva del lavoro salariato". (Marx, Salari, Prezzi e Profitto)
“Lo scopo finale, qualunque esso sia, è nullo, il movimento è tutto' [secondo Bernstein]. Ora, lo scopo finale del socialismo è l'unico elemento decisivo che distingue il movimento socialista dalla democrazia borghese e dal radicalismo borghese, l'unico elemento che, invece di dare al movimento operaio il vano compito di intonacare il regime capitalista per salvarlo, ne fa una lotta di classe contro questo regime, per l'abolizione di questo regime..." (Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione?)
“Che fare?”, “Da dove cominciare?” (Lenin)
E poiché la società attuale è privata proprio di questo elemento fondamentale, il futuro, la prospettiva (che sempre più persone avvertono, soprattutto tra i giovani), la prospettiva che solo il proletariato può offrirle, la vediamo sprofondare nella disperazione ed imputridire.
Parte III: La prospettiva per il proletariato
Il rapporto del WEF 2023 ci mette in guardia in modo molto convincente sull’estrema gravità dell’attuale situazione mondiale, che sarà molto peggiore entro il 2030 “in assenza di cambiamenti politici o investimenti significativi”. Nello stesso tempo, "mette in evidenza la paralisi e l'inefficienza dei principali meccanismi multilaterali per fronteggiare le crisi che attanagliano l'ordine mondiale" e rileva la "divergenza tra ciò che è scientificamente necessario e ciò che è politicamente opportuno". In altre parole, la situazione è disperata e la società attuale è definitivamente incapace di invertire il corso della sua distruzione, il che conferma il titolo del nostro testo dell’ottobre 2022: “L’accelerazione della decomposizione capitalista solleva apertamente la questione della distruzione dell’umanità” e conferma anche e pienamente la prognosi già contenuta nelle nostre tesi del 1990.
Allo stesso tempo, questo rapporto solleva ripetutamente la prospettiva di “disordini sociali generalizzati” che “non si limiteranno ai mercati emergenti” (nel senso che colpiranno anche i paesi più sviluppati) e che “costituiscono una sfida esistenziale per i sistemi politici a livello mondiale. Nientemeno! Per il WEF, e per la borghesia in generale, questi disordini sociali rientrano nella categoria negativa dei “rischi” e delle minacce all’“ordine mondiale”. Ma le previsioni del WEF aggiungono timidamente e involontariamente acqua al mulino della nostra analisi, segnalando che il proletariato continua a rappresentare una minaccia per l'ordine borghese. Come tutta la borghesia, il WEF non fa distinzione tra i diversi disordini sociali: tutto questo è fattore di “disordine” e di “caos”. Ed è vero che alcuni movimenti dovrebbero essere collocati in questa categoria, come è avvenuto ad esempio con la “Primavera araba”. Ma in realtà, ciò che spaventa di più la borghesia, senza che essa lo dica apertamente o ne abbia piena consapevolezza, è che, tra questi “disordini sociali”, ce ne sono alcuni che prefigurano il rovesciamento del suo potere sulla società e sul sistema capitalista: le lotte del proletariato.
Così, anche sotto questo aspetto, il WEF illustra le nostre tesi del 1990 e il nostro testo dell'ottobre 2022. Riprende l'idea che, nonostante tutte le difficoltà incontrate, il proletariato non ha perso la sua parte, che "la prospettiva storica resta completamente aperta" (tesi 17). E ricorda che “Nonostante il colpo che il crollo del blocco dell’est ha inferto alla presa di coscienza del proletariato, questo non ha subito nessuna sconfitta importante sul terreno della sua lotta. In questo senso, la sua combattività resta praticamente intatta. Ma in più, ed é questo l’elemento che determina in ultima istanza l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che si trova all’origine dello sviluppo della decomposizione, cioè l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità." (ibid.).
Di più: “la crisi economica, contrariamente alla decomposizione sociale che concerne essenzialmente le sovrastrutture, è un fenomeno che colpisce direttamente l’infrastruttura della società sulla quale riposano queste sovrastrutture; in questo senso, essa mette a nudo le cause ultime dell’insieme della barbarie che si abbatte sulla società, permettendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente sistema, e non di cercare di migliorare degli aspetti di questo.” (ibid).
E infatti oggi possiamo constatare che, nonostante il peso della decomposizione (in particolare il crollo dello stalinismo) e il lungo torpore che l’ha colpita, la classe operaia è ancora presente sulla scena della storia e ha la capacità di riprendere la sua lotta, come dimostrano in particolare le lotte nel Regno Unito e in Francia (i due proletariati che furono all'origine della fondazione dell'AIT nel 1864: una strizzatina d'occhio della storia!)
- In questo senso, se le differenti manifestazioni di decomposizione agiscono in modo negativo sulla lotta del proletariato e sulla sua coscienza (peso del populismo, dell'interclassismo, delle illusioni democratiche), abbiamo oggi una nuova conferma che solo gli attacchi direttamente economici consentono al proletariato di mobilitarsi sul suo terreno di classe e che gli attacchi che si scatenano in questo momento, e che sono destinati a peggiorare, creano le condizioni per uno sviluppo significativo delle lotte operaie su scala internazionale. Dobbiamo quindi sottolineare quanto scritto nel testo di ottobre 2022:
- "Gli anni 20 del 21° secolo avranno, dunque, in questo contesto, un’importanza considerevole sull’evoluzione storica. Essi mostreranno con maggior chiarezza rispetto al passato che la prospettiva della distruzione dell’umanità è insita nella decomposizione capitalista. Sull’altro polo il proletariato comincerà a fare i suoi primi passi, come quelli accennati attraverso la combattività delle lotte in Gran Bretagna, per difendere le sue condizioni di vita di fronte alla moltiplicazione degli attacchi di ogni borghesia e ai colpi della crisi economica mondiale con tutte le sue implicazioni. Questi primi passi saranno spesso esitanti e pieni di debolezze, ma essi sono indispensabili perché la classe operaia possa riaffermare la sua capacità storica di imporre la sua prospettiva comunista. Così i due poli della prospettiva si scontreranno nell’alternativa: distruzione dell’umanità o rivoluzione comunista, anche se quest’ultima alternativa resta ancora lontana e si scontra con enormi ostacoli”.
In effetti, il cammino che il proletariato deve percorrere è estremamente lungo e difficile. Da un lato, dovrà affrontare tutte le trappole che la borghesia metterà sul suo cammino, e ciò in un clima ideologico avvelenato dalla decomposizione della società capitalista che ostacola permanentemente la lotta e la coscienza del proletariato:
- “l'azione collettiva, la solidarietà, trovano di fronte ad esse l'atomizzazione, il 'ciascuno per sé', l''arrangiarsi individuale';
- il bisogno di organizzazione si scontra con la decomposizione sociale, con la distruzione dei rapporti che sono alla base di tutta la vita sociale;
- la fiducia nel futuro e nelle proprie forze è costantemente minata dalla disperazione generale che invade la società, dal nichilismo, dalla “mancanza di futuro”;
- La coscienza, la lucidità, la coerenza e l'unità di pensiero, il gusto per la teoria, hanno difficoltà ad affermarsi di fronte alla fuga nelle chimere, nella droga, nelle sette, nel misticismo, nel rifiuto della riflessione, nella distruzione del pensiero che caratterizza il nostro tempo" (Tesi 13).
Le tesi del 1990 sottolineano queste difficoltà. Sottolineano in particolare che “è (…) fondamentale comprendere che quanto più il proletariato tarda a rovesciare il capitalismo, tanto maggiori saranno i pericoli e gli effetti dannosi della decomposizione”. (Tesi 15)
"Contrariamente alla situazione esistente negli anni ‘70, occorre mettere in evidenza che oggi il tempo non gioca più a favore della classe operaia. Finché la minaccia di distruzione della società era rappresentata unicamente dalla guerra imperialista, il semplice fatto che le lotte del proletariato fossero capaci di mantenersi come ostacolo decisivo di un tale evento era sufficiente a sbarrare la strada a questa distruzione. Invece, contrariamente alla guerra imperialista che per potersi realizzare richiede l’adesione del proletariato alle idee della borghesia, la decomposizione non ha nessun bisogno di imbrigliare la classe operaia per distruggere l’umanità. In effetti, le lotte operaie sono incapaci di costituire un freno alla decomposizione così come non riescono in nessun modo ad opporsi al crollo dell’economia borghese. In queste condizioni, anche se la decomposizione sembra essere per la vita della società un pericolo più lontano rispetto a quello di una guerra mondiale, essa è tuttavia ben più insidiosa. Per mettere fine alla minaccia costituita dalla decomposizione, le lotte operaie di resistenza agli effetti della crisi non sono più sufficienti: solo la rivoluzione comunista può bloccare una tale minaccia.” (Tesi 16)
La brutale accelerazione della decomposizione alla quale assistiamo oggi e che rende sempre più minacciosa la prospettiva della distruzione dell'umanità, agli stessi occhi dei settori più lucidi della borghesia, costituisce una conferma di questa analisi. E poiché solo la rivoluzione comunista potrà porre fine alla dinamica distruttiva della decomposizione e ai suoi effetti sempre più deleteri, ciò può dare un’idea della difficoltà del cammino che porta al rovesciamento del capitalismo. Un percorso durante il quale i compiti che il proletariato deve assolvere sono immani. In particolare, dovrà riappropriarsi pienamente della propria identità di classe, che è stata fortemente colpita dalla controrivoluzione e dalle varie manifestazioni di decomposizione, in particolare dal crollo dei regimi cosiddetti “socialisti”. Sarà anche necessario, e anche questo è fondamentale, riappropriarsi della sua esperienza passata, il che è un compito immenso perché questa esperienza è stata dimenticata dai proletari. Questa è una responsabilità fondamentale dell'avanguardia comunista: dare un contributo decisivo a questa riappropriazione da parte dell'intera classe delle lezioni di oltre un secolo e mezzo di lotta proletaria.
Le difficoltà che il proletariato dovrà affrontare non scompariranno con il rovesciamento dello Stato capitalista in tutti i paesi. Seguendo Marx, abbiamo spesso insistito sull'immensità del compito che attende la classe operaia durante il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, compito incommensurabile con tutte le rivoluzioni del passato poiché si tratta di uscire dal "regno della necessità al regno della libertà”. Ed è chiaro che quanto più la rivoluzione tarda a realizzarsi, tanto più immenso sarà il compito: giorno dopo giorno il capitalismo distrugge sempre di più il pianeta e, di conseguenza, le condizioni materiali del comunismo. Inoltre, la presa del potere da parte del proletariato farà seguito ad una terribile guerra civile che aumenterà le devastazioni di ogni genere già causate dal modo di produzione capitalistico ancor prima del periodo rivoluzionario. In questo senso, il compito di ricostruzione della società che il proletariato dovrà svolgere sarà incomparabilmente più gigantesco di quello che avrebbe dovuto svolgere se avesse preso il potere durante l'ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra. Allo stesso modo, se le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale furono già considerevoli, esse colpirono solo i paesi interessati dai combattimenti, il che permise una ricostruzione dell’economia mondiale, tanto più che la principale potenza industriale, gli Stati Uniti, era stata risparmiata da questa distruzione. Ma oggi l’intero pianeta è colpito dalla crescente distruzione di ogni tipo causata dal capitalismo agonizzante. Di conseguenza, deve essere chiaro che la presa del potere da parte della classe operaia su scala mondiale non garantirà di per sé che essa sarà in grado di portare a termine il suo compito storico, l’instaurazione del comunismo. Il capitalismo, consentendo un enorme sviluppo delle forze produttive, ha creato le condizioni materiali per il comunismo, ma la decadenza di questo sistema, e la sua decomposizione, potrebbero minare queste condizioni, lasciando in eredità al proletariato un pianeta completamente devastato e irrecuperabile.
È quindi responsabilità dei rivoluzionari sottolineare le difficoltà che il proletariato dovrà affrontare nel cammino verso il comunismo. Il loro ruolo non è quello di fornire consolazioni per non portare la classe operaia alla disperazione. La verità è rivoluzionaria, come diceva Marx, per quanto terribile possa essere.
Detto questo, se riuscirà a prendere il potere, il proletariato disporrà di un certo numero di risorse per realizzare il suo compito di ricostruire la società.
Da un lato, potrà mettere al suo servizio gli enormi progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnologia nel corso del XX secolo e dei due decenni del XXI secolo. Il rapporto del WEF menziona questo progresso, precisando che si tratta di “tecnologie a duplice uso (civile e militare)”. Quando il proletariato avrà preso il potere, l'uso militare non sarà più necessario, il che rappresenta un notevole progresso poiché è chiaro che oggi la sfera militare fa la parte del leone (insieme a numerose altre spese improduttive) nei benefici apportati dai progressi tecnologici.
Più in generale, la presa del potere da parte del proletariato dovrà consentire una liberazione senza precedenti delle forze produttive imprigionate dalle leggi del capitalismo. Non solo verrà eliminato l’enorme peso delle spese militari e improduttive, ma anche il mostruoso spreco rappresentato dalla concorrenza tra i vari settori economici e nazionali della società borghese nonché da una fenomenale sottoutilizzazione delle forze produttive (obsolescenza programmata, disoccupazione di massa, assenza o carenze dei sistemi educativi, ecc.).
Ma la principale risorsa del proletariato in questo periodo di transizione-ricostruzione non sarà tecnologica o strettamente economica. Sarà fondamentalmente politica. Se il proletariato riuscirà a prendere il potere, ciò significherà che esso ha raggiunto durante il periodo dello scontro con lo Stato capitalista, della guerra civile contro la borghesia, un altissimo livello di coscienza, di organizzazione e di solidarietà. E questi sono risultati che saranno preziosi per affrontare le immense sfide che gli si presenteranno. Soprattutto, il proletariato potrà contare sul futuro, su questo elemento fondamentale della vita della società, su questo futuro la cui assenza nella società attuale è all’origine del suo imputridimento.
Nel suo Rapporto sullo sviluppo umano 2021-22 [2021/2022 Human Development Report] pubblicato lo scorso ottobre e intitolato “Tempi incerti, vite instabili” l'ONU ci dice:
"Nuovi strati di incertezze interagiscono per creare nuovi tipi di incertezze - un nuovo complesso di incertezze - mai visto prima nella storia umana. Oltre all'incertezza quotidiana che le persone affrontano da tempi immemorabili, ora stiamo navigando in acque sconosciute, intrappolati in tre correnti volatili incrociate:
- Il pericoloso cambiamento planetario dell’Antropocene.
- Il perseguimento di trasformazioni sociali su larga scala, come la rivoluzione industriale.
- I rischi e le oscillazioni delle società polarizzate. (...)
Le crisi globali si sono accumulate: la crisi finanziaria globale, la crisi climatica globale in corso e la pandemia da Covid-19, un’incombente crisi alimentare mondiale. Abbiamo l'assillante sensazione che il controllo che abbiamo sulle nostre vite stia svanendo, che le norme e le istituzioni su cui facevamo affidamento per la stabilità e la prosperità non possano competere con il complesso di incertezza di oggi".
Come possiamo vedere, questo rapporto dell’ONU va nella stessa direzione di quello del WEF. In un certo senso va anche oltre poiché ritiene che la terra sia entrata in un nuovo periodo geologico a causa dell'azione dell'uomo, che inizia nel XVII secolo e che lui chiama Antropocene e che noi chiamiamo capitalismo. Soprattutto, sottolinea la profonda disperazione, il “no futur” che permea sempre più la società (che lui chiama “complesso di incertezza”).
Proprio il fatto che la rivoluzione proletaria restituisca alla società umana un futuro che ha perduto costituirà un fattore potente nella capacità della classe operaia di raggiungere finalmente la “terra promessa” del comunismo dopo non 40 anni, ma ben più di un secolo di “attraversamento del deserto”.
[1]) “Il loro istinto diceva loro che se la Repubblica rende più completo il loro dominio politico, essa mina allo stesso tempo le sue basi sociali opponendole alle classi oppresse della società e obbligandole a lottare contro di esse senza intermediari, senza la copertura della corona, senza poter deviare l'interesse della nazione con le loro lotte subalterne tra loro e contro la regalità. Era il sentimento della loro debolezza che li faceva tremare davanti alle pure condizioni del loro dominio di classe e rimpiangere le forme meno complete, meno sviluppate e, di conseguenza, meno pericolose del loro dominio”. (Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, parte III)
[2]) Questo fondamentale cambiamento qualitativo (e non solo quantitativo) nella vita del capitalismo è chiaramente evidenziato dal Manifesto dell’Internazionale Comunista (marzo 1919): “Se l’assoluta sottomissione del potere politico al capitale finanziario ha portato l’umanità al massacro imperialista, questa carneficina ha permesso al capitale finanziario non solo di militarizzare fino in fondo lo Stato, ma di militarizzare se stesso, in modo che non possa più adempiere alle sue funzioni economiche essenziali se non con il ferro e il sangue. (...) La statalizzazione della vita economica, contro la quale il liberalismo capitalista ha tanto protestato, è un fatto compiuto. Il ritorno non alla libera concorrenza, ma solo al dominio dei trust, dei sindacati e delle altre piovre capitaliste, è ormai impossibile". Ma evidentemente i compagni della TCI non conoscono questo documento; a meno che non siano in disaccordo con questa posizione fondamentale dell’IC, la qual cosa andrebbe detta da loro con chiarezza.
[3]) Ci permettiamo di usare questo termine perché i discendenti del Partito del 1945 voltarono le spalle al lavoro teorico rivoluzionario di Bilan, la Sinistra Italiana in Esilio, negli anni Trenta.
[4]) A questi discepoli sembra perfettamente adatta un'altra lettera di Engels sul metodo marxista: Quel che manca a questi signori, è la dialettica. Vedono sempre solo da una parte la causa, dall'altra l'effetto. Che ciò è una vuota astrazione, che nel mondo reale tali metafisiche opposizioni polari si danno solo nei momenti di crisi, mentre tutto il gran corso dello sviluppo avviene nella forma dell'azione reciproca - anche se di forze assai impari, di cui il movimento economico è di gran lunga la più forte e la più originaria, la più decisiva - che qui niente è assoluto e tutto è relativo, questo neanche lo vedono; per loro Hegel non è mai esistito (...) (Engels a Conrad Schmidt, 27 ottobre 1890)
[5]) È necessario distinguere la dialettica marxista, oggettiva, dalla dialettica vuota e soggettiva delle varie correnti dell'anarchismo e del modernismo, che restano confuse trovando contraddizioni ovunque. Possono ben riconoscere alcuni dei fenomeni di decomposizione, ma tipicamente rifiutano di vedere la causa ultima e la logica del periodo di decomposizione nella bancarotta economica del sistema capitalista. Per loro la dialettica storica oggettiva è un anatema, perché li priverebbe della loro preoccupazione principale, vale a dire la conservazione dogmatica della loro libertà di opinione individuale. Se il fattore economico viene trattato come un fattore tra altri di pari importanza, la loro dialettica resta soggettiva, astorica e, come gli epigoni della sinistra italiana, incapace di cogliere la traiettoria degli eventi.