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Una crisi da paura!
Ormai la crisi economica non è più soltanto un argomento importante di discussione. La crisi è diventata qualcosa che si vive e si patisce ogni giorno, con i licenziamenti e la mancanza di lavoro per i giovani, con l’aumento di qualunque genere di prima necessità e la riduzione al lumicino degli ammortizzatori sociali, con un governo che sforna una legge dopo l’altra per togliere il pane di bocca a famiglie già allo stremo e con il controcanto di partiti e sindacati che fanno finta di fare opposizione per giustificare la propria esistenza ma che, alla fine, fanno passare qualunque porcheria. Come giustamente ha ricordato più volte la Fornero, questo è un governo che è stato chiamato a svolgere un compito preciso, quello di fare la pelle alla povera gente per rimettere in sesto un capitalismo ormai barcollante. Insomma esattamente come avviene per i killer assoldati per compiere il lavoro sporco che altri non vogliono o non possono fare. I lavoratori precari e le partite iva “mascherate”, utilizzati ormai al posto dei dipendenti in numerosi settori, sono oggi più che mai sotto ricatto e ridotti alla pura sopravvivenza; quelli “disdettati” dall’oggi al domani sono ridotti alla fame perché non è per loro previsto nessun tipo di ammortizzatore sociale e sempre più cadono in profonda disperazione alimentata anche dalle condizioni di isolamento e concorrenza nelle quali abitualmente lavorano. Gli “esodati”, ovvero quei lavoratori (da 130.000 a 300.000) che avevano accettato di lasciare le aziende in crisi pensando di poter andare in pensione dopo pochi mesi, si sono ritrovati tra capo e collo una riforma previdenziale che ha aumentato l’età di pensionamento, finendo incredibilmente in una situazione sociale che non prevede per loro né una pensione né uno stipendio fino a maturazione della nuova età pensionabile prevista dalla nuova legge, ovvero tra 2, 3, 4… anni.
Nessuna meraviglia che questa situazione porti allo sconforto più profondo. Già nel 2010[1]ben 392 disoccupati si erano tolti la vita. E, a dimostrazione del fatto che la crisi non è un escamotage degli imprenditori per tenere sotto ricatto i lavoratori ma l’espressione di un processo oggettivo, fa dolorosamente da contrappunto la notizia che nello stesso anno 336 imprenditori hanno a loro volta deciso di suicidarsi. Insomma in media ogni giorno un lavoratore dipendente e un imprenditore decidono che non riescono più a sopportare le sofferenze che comporta questa società. E il governo che fa? Continua nella sua marcia di stritolamento della popolazione come se niente fosse, affrontando adesso la riforma del lavoro e la modifica dell’articolo 18. Certo, l’abolizione dell’articolo 18 sarebbe una vera porcheria. Ma c’è da chiedersi come mai i media, i politici, i sindacati, soprattutto quelli di "sinistra", hanno dato tanta enfasi all'articolo 18. Forse che questo è servito in passato a difendere dei posti di lavoro, a bloccare il dilagare della precarizzazione o a restituire ai giovani e meno giovani una prospettiva di vita decente? Non ci pare proprio! Ed allora, perché la Camusso solo in questa occasione ha fatto la tosta, “minacciando” una lotta “durissima”?[2] La realtà è che l’attacco serio è già passato o sta passando, ma attraverso altre forme, mentre l’articolo 18 può far comodo sia per veicolare tutto lo scontento su una singola questione che per creare un elemento di divisione all’interno del mondo del lavoro. Nel 2010 sono “quasi 7 milioni i “protetti”, circa 6 milioni e 400 mila gli “esclusi”. (…) Tra gli esclusi (…) 4 milioni e 640 mila dipendenti in aziende con meno di 15 dipendenti, 825 mila dipendenti a termine delle aziende medio-grandi e poco più di 900 mila collaboratori e partite iva con un unico committente. (…) Scendendo lungo lo stivale il rapporto tra lavoratori protetti e non diminuisce, anche perché sale la proporzione di lavoratori in aziende con meno di 15 dipendenti. Solo per il 45% delle donne vale il reintegro sul posto di lavoro, ed il divario tra giovani ed adulti in protezione dal licenziamento è di quasi 20 punti percentuali, a causa anche dell’elevata incidenza di contratti a termine tra gli Under 30.”[3] Si capisce bene dalle cifre riportate come la focalizzazione su questo punto possa essere utilizzata per creare una spaccatura a vari livelli all’interno della classe tra chi è coinvolto dalla misura e chi, non essendo toccato, può essere indotto a pensare che forse è addirittura meglio che ci sia un unico destino per tutti, che nessuno venga protetto dalla legge e così via. Inoltre il ridimensionamento dell’articolo 18, anche se non ha un significato economico immediato, tornerà utile in certe occasioni per liberarsi di lavoratori “scomodi”; infatti, con la nuova versione dell’art.18, sarà più facile trovare un “pretesto” economico per licenziare chi dà fastidio; stanno usando insomma la gravità della crisi sia per dare mazzate che servono nell’immediato, sia per aumentare ancora di più la ricattabilità dei lavoratori.
D’altra parte, di fronte alla necessità di procedere ad ulteriori attacchi (“Sacrifici fino al 2013, ci battiamo per evitare il destino della Grecia”, Monti, 18 aprile 2012) e di fronte alla prospettiva più che probabile di scossoni sociali sempre più forti, la borghesia non ha altra carta da giocarsi che quella di confondere l’avversario, appunto cercando di dividerlo. Così si mettono dipendenti privati contro dipendenti pubblici, impiegati a tempo indeterminato contro precari e partite iva, come già per le pensioni sono stati messi anziani contro giovani, dipendenti contro autonomi o come per la lotta all'evasione sono stati contrapposti dipendenti contro autonomi, commercianti ecc., il tutto con la partecipazione attiva del Presidente della Repubblica, ex-“comunista”, dei sindacati e dei partiti di “sinistra”.
Almeno servisse a qualcosa tutto questo sacrificarsi!
Eppure ci avevano raccontato che questa crisi era di natura finanziaria e che la sua origine era colpa di qualche banchiere e di pochi “furbetti”, e che se si era aggravata era per colpa di politici incapaci e dediti solo a fare festini e bunga-bunga, che non erano capaci di intervenire contro l’aumento della disoccupazione, l’evasione fiscale, ecc. E’ per questo che è stato chiamato, con un’insistenza da parte di tutti i paesi europei, il nuovo governo composto da tecnici, professori ed esperti che dovevano, con onestà e rigore, rimettere le cose a posto. Oggi da questo governo, appoggiato dai tre partiti più rappresentativi, ci viene detto che per “salvarci”, per non fare la fine della Grecia, dobbiamo fare ancora “sacrifici”, e che non c’è altra via di salvezza; che il rigore e l’onestà ci riporteranno ad essere un paese solido e “virtuoso”; che finalmente questo governo farà pagare le tasse a tutti; che grazie alle manovre (fatte di tagli ed aumenti di tasse) fin qui approvate è sceso lo spread ed è aumentata la credibilità del nostro paese nel panorama mondiale, grazie anche alla migliore ”immagine” di questo governo rispetto al precedente.
C’è pure il discorso secondo il quale se tutti pagassero le tasse, allora il povero imprenditore non sarebbe arrivato al suicidio. Per cui i blitz fatti dalla guardia di finanza nelle ricche città del turismo di lusso servono per mostrare che la situazione è difficile ma che “ci stiamo dando da fare”.
Ci raccontano anche che gli italiani, anche se molto preoccupati, hanno capito e sono solidali con questo governo formato da gente seria ed onesta, e ci sentiamo dire da più parti che se il Professor Monti si dovesse presentare alle prossime elezioni politiche del 2013 prenderebbe la maggioranza schiacciante dei voti.
Ma dopo cinque mesi di governo “tecnico” del Professor Monti, non solo la crisi continua, ma le previsioni a livello internazionale sono decisamente critiche mentre il famoso spread, che è stato l’espediente per far fuori Berlusconi, torna a puntare su quota 400 e le borse crollano. Possibile che dopo tutto quanto abbiamo fatto siamo ancora al punto di partenza?
La disoccupazione è in notevole aumento, le tariffe lievitano, le tasse aumentano vistosamente così come i prezzi dei generi di prima necessità, a fronte di una diminuzione dei redditi, insomma quel tanto decantato miglioramento dov’è?
Assistiamo semmai ad un crescente impoverimento generale!
In risposta a questa situazione abbiamo finora assistito a reazioni e a lotte da parte dei lavoratori, già descritte in precedenti articoli[4]4, con i sindacati a farla da padrone nel frenare e dividere eventuali spinte dal basso.
La situazione alla quale stiamo in questo momento assistendo è quella di una borghesia del tutto incapace di dare una risposta credibile a questa crisi per il semplice motivo che non c’è una risposta, che mette a rischio la sopravvivenza del suo stesso sistema e che tira mazzate alla cieca, tentando di dividere ed isolare e portando sempre più larghi strati di popolazione alla disperazione.
Ma tutto ciò dimostra solo che questo sistema è alla frutta e che la borghesia, nonostante la sua palese incapacità di trovare vie di uscita, piuttosto che lasciare è disposta a distruggere tutto, il che rende evidente che senza l’abbattimento di questo sistema ci aspetta la barbarie. Per questo oggi più che mai è necessario che il proletariato si unisca e prenda coscienza del compito che lo aspetta.
Tommaso, 20/4/2012
[1] Dato Istat riportato dalla stampa il 18 aprile scorso.
[2] Cioè 16 ore di sciopero, mamma mia che paura per i padroni.
[4] “Lotta di classe in Italia: perché le lotte non riescono ad unirsi in un unico fronte contro il capitale?” https://it.internationalism.org/node/1125 e “Tolto Berlusconi, venuto Monti, restano la crisi e le batoste sulla pelle dei proletari. Come possiamo rispondere?”, https://it.internationalism.org/node/1147