Militarismo e decomposizione in Medio Oriente

Printer-friendly version

"In Siria, ogni giorno che passa apporta il suo nuovo carico di massacri. Questo paese si aggiunge alla lista delle guerre imperialiste del Medio Oriente. Dopo la Palestina, l'Iraq, l'Afghanistan e la Libia, è ora giunto il tempo della Siria. Purtroppo, questa situazione pone immediatamente una questione particolarmente inquietante. Che cosa accadrà nel prossimo futuro? In effetti, il Medio Oriente nel suo insieme sembra essere al limite di un incendio di cui difficilmente si scorge la conclusione. Nella guerra in Siria, oggi è l'Iran ad attizzare tutte le paure e gli appetiti imperialisti, ma tutti i principali briganti imperialisti sono impegnati a difendere i loro interessi nella regione infognata in una guerra irrazionale le cui drammatiche conseguenze potrebbero essere distruttrici per lo stesso sistema capitalista". 

È così che esordiva l'articolo della Revue Internationale n°149, "La minaccia di un cataclisma imperialista in Medio Oriente", scritto quasi tre anni fa. La situazione da allora non ha fatto che peggiorare e la minaccia di una generalizzazione dei conflitti è sempre più forte. 

Lo Stato islamico si rafforza e si estende

Ad oggi, sono cinque anni che la guerra imperialista devasta la Siria: in essa sono implicate le grandi potenze Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia – ma anche potenze regionali come l'Iran, l'Arabia Saudita, la Giordania, Israele, ecc. Sembra che questo conflitto non abbia vie d’uscita e, al contrario, la guerra e l'instabilità si estendono. In particolare, lo Stato islamico ed il suo Califfato, espressione particolare dell'irrazionalità e della decomposizione capitalista, si rafforzano. A Tikrit, a Mossul, a Raqqa ed in altre regioni lo Stato islamico continua ad estendersi. A fine marzo, le forze jihadiste di al-Nosra hanno preso la seconda capitale provinciale della Siria, Idleb, solo alcuni giorni dopo che, nel Sud, al-Nosra, con l'aiuto di interventi militari israeliani che, de facto, lavorano con i jihadisti, aveva preso la vecchia capitale arabo-romana di Bosra nella regione di Deraa. Lo stesso tipo di cooperazione è stato osservato nell'immenso campo di profughi palestinesi di Yarmouk nei pressi di Damasco dove al-Nosra ha fatto da battistrada all'avanzata assassina dello Stato islamico in un'enclave, già soggetta a due anni di assedio e carestia, che può essere considerata come un microcosmo della decomposizione generale. 

Ma un’alleanza del genere è fragile, come è sempre più effimera la stessa tendenza alle coalizioni imperialiste. Così a Yarmuk, le resistenze alla cooperazione con i jihadisti sono molto forti. E queste stesse alleanze in seno alle differenti frazioni sunnite sono congiunturali e pericolose per il fatto che molte frazioni sunnite si odiano tra loro, ancora più di quanto non odino gli sciiti. A Yarmuk, sta per esplodere una battaglia su tre o quattro fronti; sono coinvolte forze palestinesi pro-Assad così come il gruppo jihadista sunnita anti-regime di Aqnaf Beit al-Maqdis (il Consiglio Shura moujahidin dei dintorni di Gerusalemme - attivo anche nella penisola del Sinai) odiato al tempo stesso dallo Stato islamico e da al-Nosra.

Lo Stato islamico ha anche esteso la sua influenza in Africa settentrionale nelle regioni della Libia destabilizzata dagli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia e nella penisola sempre instabile del Sinai, malgrado l'intervento in queste due zone del regime militare egiziano. Tutto ciò ha delle conseguenze per nuovi attacchi terroristici in Europa ed oltre. L'instabilità e l'armamento libico, la disoccupazione massiccia in tutta la regione e l'ideologia religiosa irrazionale prodotta dalla deliquescenza generale della società capitalista ha  aperto un grande corridoio ai gruppi legati ad al-Qaïda, Boko-Haram in Nigeria ed al-Shabaab in Kenya che continuano a diffondere terrore e guerra sia all'interno che all'esterno delle loro frontiere. I paesi che subiscono ciò sono la Somalia, il Sud-Sudan (dove sono presenti truppe cinesi), il Camerun (le cui forze speciali coinvolte da Israele sono mobilitate per combattere), ed il Ciad (le cui forze speciali anti-terroristiche con base a Forte Carson, Colorado, lavorano con istruttori britannici e con forze speciali francesi. Le forze dell'imperialismo francese sono state aumentate prima e dopo gli attentati di Parigi, attentati che si dice ispirati da al-Qaïda della penisola arabica (AQPA). 

Le conseguenze dell’ascesa del jihadismo costituiscono una spirale di violenza e di distruzione senza precedenti in Medio Oriente ed in Africa. Per riprendere allo Stato islamico la città siriana di frontiera di Kobane, per esempio, dove i combattimenti proseguono ancora oggi nei villaggi vicini, le potenze occidentali ed i combattenti curdi hanno bombardato la città distruggendola totalmente; e la stessa cosa sembra essere avvenuta a Tikrit in Iraq. Alla politica di terra bruciata ed al terrore dello Stato islamico rispondono la terra bruciata ed il terrore dell'occidente e dei suoi alleati. La devastazione di tutta la regione supera ogni buon senso e mentre i democratici della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Francia, così come quel covo di briganti rappresentato dalle Nazioni Unite, denunciano ipocritamente la distruzione da parte dello Stato islamico degli antichi siti storici e culturali, i loro aerei non sono da meno.

Nonostante i bombardamenti che subisce, lo Stato islamico costituisce una forza enorme ed una minaccia in estensione. Patrick Cockburn, celebre giornalista de The Independant, scrive: "Lo Stato islamico non esploderà a causa del malcontento popolare che aumenta dentro le sue frontiere. I suoi nemici possono schernire le sue pretese di essere uno Stato vero ma, in ciò che riguarda la sua capacità ad arruolare delle truppe, ad aumentare le tasse ed ad imporre la sua brutale variante di islam, è più bravo dei suoi numerosi vicini regionali"[1]. L'esempio di Tikrit mostra fino a che punto è difficile sloggiare lo Stato islamico. In questa città, alcune centinaia di jihadisti hanno tenuto testa per settimane all'assalto coordinato di migliaia di forze speciali irachene e di milizie sciite e benché Bagdad abbia annunciato di avere ripreso Tikrit[2], lo Stato islamico ne controlla sempre delle parti così come le province ben più grandi di Anbar e di Ninive. E quel che è peggio è che l'assalto sembra avere provocato anche dei problemi tra il governo iracheno, gli Stati Uniti e le milizie sciite sostenute dall'Iran, dal momento che la conclusione è stata un aumento dei bombardamenti aerei americani e un sostegno de facto alle forze iraniane. Queste relazioni di cooperazione tra l’America e l'Iran sollevano una grande costernazione e grandi timori tra i vecchi alleati dell'ex-blocco dell'ovest, in particolare in Arabia Saudita ed in Israele.

C’è un avvicinamento tra gli Stati Uniti e gli Iran?

Un avvicinamento è cominciato a delinearsi durante la guerra condotta dallo Stato islamico in Iraq ed in Siria perché l’ascesa dello Stato islamico ha posto alla politica guerriera degli Stati Uniti un dilemma ancora più grande. Se il regime di Assad fosse stato vinto, la strada di Damasco sarebbe stata aperta dallo Stato islamico. Recentemente, il direttore della CIA, John Brennan, l'ha riconosciuto esplicitamente quando ha dichiarato che non voleva che il governo di Assad crollasse[3], parole alle quali, alcuni giorni più tardi, il segretario di Stato John Kerry ha fatto eco durante le discussioni in vista di un accordo sul nucleare con gli ufficiali iraniani. 

Le tensioni tra gli Stati Uniti ed Israele, in particolare con la cricca di Netanyau, sono emerse pubblicamente. Gli israeliani si sentono indeboliti e vulnerabili a causa di quello che certi politici israeliani chiamano la politica americana di "Perno verso la Persia", dopo la politica chiamata Perno verso l’Asia. O Assad o lo Stato islamico, o la peste o il colera, questo è l'insolubile dilemma al quale la politica estera americana è confrontata. 

Se Israele si preoccupa dell'avvicinamento irano-americano -una cooperazione che in realtà è esistita fino alla fine degli anni 1970 quando lo Scià dell'Iran rappresentava il gendarme della regione al servizio della Gran Bretagna e degli Stati Uniti - anche l'Arabia Saudita è preoccupata ed è principalmente per tale motivo che si è spinta nell'attuale avventura nello Yemen. La "rivoluzione" islamica del 1979 che rovesciò lo Scià, cominciò a costituire una minaccia per l'Arabia Saudita, con i suoi "appelli agli oppressi" - arma dell'imperialismo iraniano per guadagnare vantaggio sui suoi rivali locali. Da allora, l'Iran ha perso i favori dell'occidente e, allo stesso tempo ed indipendentemente, il regime dell'Arabia Saudita ha sviluppato una linea dura di islam wahabita per promuovere ed incoraggiare i sentimenti e le attività anti-sciite estremiste[4]. Lo Stato Saudita, preoccupato per la possibilità che l'Iran diventi una potenza nucleare, ha espresso chiaramente le proprie aspirazioni al nucleare.

Un altro fattore che gioca in favore di un "asse" americano-iraniano - da cui siamo ancora lontani, anche se un accordo è stato ottenuto sulla capacità nucleare iraniana - è che questo sarebbe, per la Russia, principale alleato dell'Iran e sostenitore di Assad, un serio manrovescio. La Russia sarebbe respinta dentro i suoi territori, accerchiata e compressa. Ciò che farebbe dell'Europa un luogo ancora più pericoloso perché la minaccia dell' imperialismo russo a lungo termine aumenterebbe per cercare di rompere questo accerchiamento.

Nello Yemen: un confronto tra l’Arabia Saudita, l'Iran ed altri

Anche rispetto a ciò che è abituale in Medio Oriente - conflitti tra comunità religiose, distruzione gratuita, macchinazioni e guerre imperialiste costanti e crescenti - l'attacco condotto dall'Arabia Saudita nello Yemen a marzo scorso ha raggiunto nuovi livelli di assurdità: l'Arabia Saudita dirige una coalizione musulmana sunnita di dieci nazioni in cui è compreso il Pakistan, un paese non-arabo che dispone dell'arma nucleare, per attaccare lo Yemen. I gangster locali, come gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait ed il Qatar sono implicati ma anche il dittatore egiziano al-Sissi così come la cricca genocida del Sudan di el-Béchir. Tutti questi despoti sono sostenuti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna che hanno offerto alla coalizione un sostegno "in logistica ed in informazioni". La forza di questa coalizione non è tuttavia chiara, dato che il Sultanato dell'Oman ha rifiutato di aderirvi, che il Qatar è esitante e che il Pakistan alla fine apparentemente sembrerebbe aver abbandonato. Ulteriore difficoltà, lo Yemen, per la sua situazione geografica, è una specie di Afghanistan, come le forze imperialistiche britanniche, egiziane ed altri nel passato hanno imparato a loro spese. Lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo. Si stima a dieci milioni il numero di bambini al limite della malnutrizione; la povertà e la corruzione sono endemici. Questo paese che non ha conosciuto gravi conflitti etnici nella sua storia, negli ultimi anni è stato succhiato fino al midollo dalle altre potenze imperialiste e da guerre, e adesso si continua con questa nuova guerra. A settembre scorso, il presidente Obama ha qualificato un'operazione di droni americani sul territorio un "successo anti-terrorista", ed anche un "modello"[5] nel genere. Lo Yemen e la sua popolazione che soffrono da molto, subiranno una nuova serie di tensioni e distruzioni che, con ogni probabilità, non faranno che rafforzare la posizione di al-Qaïda e dello Stato islamico nella penisola arabica. 

I ribelli Huthi che attualmente si rafforzano nello Yemen vengono dalla setta zaïdista - ramo oscuro dell'islam sciita del clan al-Huthi del nord dove questa popolazione vive da mille anni. Sono nati all'inizio degli anni 1990 come movimento evangelista pacifico, chiamato "la Gioventù credente". Come molti altri, questo movimento si è radicalizzato in seguito all'invasione occidentale dell'Iraq nel 2003. L'Iran lo chiama la rivoluzione "Ansarullah" e certamente ha fornito un'assistenza sulla scala ridotta della situazione regionale. Gli Huthi non sono semplici marionette di Tehran. Hanno già battuto, fino ad ora, le forze governative americane ed il presidente Saleh, sostenuto dall’Arabia Saudita ed anche da truppe di AQPA. Il presidente Saleh ha dimissionato nel 2012, e lui, suo figlio e centomila suoi soldati sostengono l'avanzata degli huthi, un'avanzata che attualmente è stata facilitata dalla disperazione e dalla diffidenza verso le autorità. Il nuovo presidente yemenita Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita e dall’occidente, è fuggito di fronte all'avanzata degli huthi ad Aden dove sono restate alcune forze a lui favorevoli, e si dice che attualmente sarebbe a Ryad. L'affiliazione sunnita di Hadi è fuorilegge in Arabia Saudita, ciò che costituisce un altro elemento di contorsione di questa situazione. Le ambasciate sono state chiuse e le truppe americane sono scappate di fronte agli Huthi. Gli Huthi avanzano, ed hanno raccolto materiale militare, abbandonato dall'esercito americano, valutato mezzo miliardo di dollari. Altro fattore di instabilità: l'alleanza del presidente Saleh con gli Huthi è molto fragile, elementi delle sue truppe si sono riuniti in Arabia Saudita e sono scappati di fronte ai bombardamenti dei loro quartieri. Ciò indica che il rivolgimento di questo esercito contro gli Huthi è possibile, qualora si orientasse nuovamente verso l'Arabia Saudita ed i suoi vecchi sostenitori occidentali.

Certi giornalisti[6] specialisti del Medio Oriente hanno sottolineato la complessità ed i pericoli della guerra che si svolge nello Yemen. La qualificano "pluridimensionale", che è una descrizione chiara della decadenza in atto. 

Ci sono gli Huthi, adesso ben armati, non grazie all'Iran ma agli Stati Uniti; l'AQPA- che da 15 anni è mortalmente efficace in questa regione contro i bersagli occidentali e locali, lo Stato islamico che ha annunciato l'apertura del suo ramo yemenita l'anno scorso ed ha finanziato l'attentato di una moschea il 21 marzo, uccidendo più di cento sciiti huthi; le forze sunnite, declinanti, sostenute dall’Arabia Saudita e la costa occidentale del paese in parte dominata dai pirati e dai signori della guerra. Ed è in questo inferno, che l'Arabia Saudita, fortemente armata dall'occidente, vuole condurre dei bombardamenti e mandare delle forze di invasione! L'Arabia Saudita sembra che stia mobilitando 150.000 soldati e prepara la sua artiglieria per attaccare lo Yemen. Le dimensioni militari, economiche e geo-strategiche del conflitto nello Yemen non sono ignorate dai giornalisti: da un lato, ci sono il mare Rosso ed il canale di Suez, dall'altro il golfo di Aden e lo stretto di Bab-el-Mandeb, e questa è un'altra ragione per la quale lo Yemen è una posta così importante nell'arena imperialistica. L'aviazione saudita ha cominciato a bombardare lo Yemen, colpendo inevitabilmente i campi profughi e le regioni civili. L'Arabia Saudita si preoccupa anche della sua popolazione e della stabilità del suo regime con l'approfondimento generale della crisi: è notorio che circa la metà dell'esercito saudita è composta di tribù yemenite. 

L'Arabia saudita ha chiamato i suoi piani di guerra yemenita "Operazione Tempesta decisiva", in eco al nome di "Tempesta del deserto" dato all'operazione americana in Iraq nel 1991 che aveva determinato, tra gli altri, il massacro di soldati e di civili iracheni sulla famosa "Autostrada della morte" verso Bassora. L'Iran non apprezzerà l'implicazione dell'Arabia saudita e, secondo l'agenzia Reuters del 29/11/2010, è a conoscenza dell'appello che questa aveva fatto all'America - rivelata da Wikileaks nel novembre 2010 - "bisogna tagliare la testa del serpente" iraniano. Che ci sia o no un avvicinamento tra gli Stati Uniti e l'Iran, le tensioni e le guerre in questa regione non possono che esacerbarsi. Questo è il futuro che il capitalismo riserva a questa regione e, in fin dei conti, al mondo intero.

(Da World Revolution, organo di stampa della CCI in Gran Bretagna)

 


[1] 20/03/2015.

[2] The Guardian, 1/04/2015

[3] Middle East Eye, 14/03/2015

[4] È chiaro che le potenze imperialiste della regione e, evidentemente, le diverse gang armate sunnite e sciite hanno sostenuto un ruolo di primo piano suscitando le divisioni sunnite/sciite che nel passato erano ben meno importanti. Ma l'esacerbazione di queste divisioni è anche una produzione "spontanea" della decomposizione, di una società nella quale tutti i legami sociali si sciolgono e vengono sostituiti da un'atmosfera fetida di deterioramento.

[5] Il Sunday Telegraph ha pubblicato un articolo su un rapporto delle Nazioni Unite mostrando recentemente che nel 2011, il presidente Saleh, pure essendo sostenuto dall'occidente e dall'Arabia saudita, aveva incontrato dei rappresentanti di alta rango dell'AQPA ed aveva concesso loro un asilo sicuro nel sud del paese dove non sarebbero stati disturbati dai movimenti delle sue truppe. Ciò è tipico dei rapporti e delle combinazioni machiavelliche nella decomposizione del capitalismo. Come i suoi compari dello stesso stampo, Saleh e la sua cricca hanno scroccato anche miliardi di dollari.

[6] Vedere gli articoli di Nussalbah Younis in The Oberver del 29/03/2015 e di Robert Fisk in The Indipendent per esempio del 28/03/2015.

Geografiche: 

Questioni teoriche: 

Rubric: 

Conflitti imperialisti