Dalle riunioni pubbliche della CCI. L’Emergenza rifiuti in Campania: un sintomo del degrado del capitalismo

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Dopo tre mesi dallo scoppio dell’emergenza rifiuti la situazione in Campania continua ad essere critica. La città di Napoli è stata in parte ripulita, ma nella periferia esistono cumuli di rifiuti ormai in piena fermentazione da prima di Natale che continuano ad invadere le strade e le “soluzioni” del commissario De Gennaro non fanno che esasperare ancora di più la popolazione. Intanto le 7mila pseudo eco-balle sparse sul territorio stanno ancora lì, così come le discariche legali ed abusive i cui effetti devastanti sull’uomo e sull’ambiente sono già stati accertati da tempo. Tutti sanno che questa “emergenza” dura in realtà da 14 anni, ma adesso che la gente si mobilita perché la spazzatura gli arriva fin sotto il naso ed è stanca di essere imbrogliata, da una parte arriva l’esercito per tenere “sotto controllo la situazione”, dall’altra fioccano conferenze e dibattiti eruditi di esperti, scienziati ed ecologisti d’ogni sorta che ci vengono a spiegare cosa si dovrebbe fare per risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti. Intanto si moltiplicano le iniziative per “l’auto raccolta differenziata”, come se la soluzione dipendesse semplicemente dalla buona volontà di chi ci governa o, ancor di più, dal “senso civico” dei cittadini.

La situazione paradossale ed inaccettabile raggiunta in Campania ha provocato non solo una mobilitazione da parte delle popolazioni direttamente colpite dal problema, ma anche una riflessione sul degrado che siamo costretti a subire e sulle sue cause. “Come è possibile arrivare a tonnellate di spazzatura nelle strade che non si sa dove mettere?”, “Di chi è la responsabilità? Dei napoletani che non vogliono fare la raccolta differenziata?”, “Delle popolazioni dei singoli comuni della regione che rifiutano nuove discariche o impianti vicino casa? Di Bassolino, della Iervolino, della camorra che fa affari d’oro con i rifiuti?”, “Si può fare qualcosa? E cosa?”, queste sono le questioni che un po’ tutti si sono posti in questi mesi e continuano a porsi.

La nostra organizzazione ha tenuto a gennaio delle riunioni pubbliche a Napoli e Milano su questo tema. I compagni possono trovare la relazione introduttiva alla discussione fatta dalla CCI sul nostro sito web (“Emergenza rifiuti in Campania: di chi la responsabilità?”, www.internationalism.org).

In questa presentazione, che ha cercato di dare una risposta a queste domande, pur riconoscendo l’innegabile responsabilità delle istituzioni locali e nazionali nella gestione dei rifiuti ed il peso che in questa assume la collusione tra potere politico e camorra (collusione che non si limita certo alla gestione dei rifiuti), abbiamo cercato di andare al di là della contingenza immediata e locale del problema mettendo in evidenza che:

“Quello che succede in questa regione è solo l’espressione più drammatica di una contraddizione che è tipica della produzione capitalista …. E’ con la società capitalista che il rifiuto diventa un problema perché il bene diventa una merce che deve essere venduta e commercializzata per realizzare il massimo profitto in un mercato dove l’unica legge è quella della concorrenza.

E questo comporta:

- una produzione irrazionale della merce con un’eccedenza di prodotti …

- una produzione abnorme di involucri, imballaggi, ecc. costituiti tra l’altro in larga misura da sostanze tossiche non degradabili che si accumulano nell’ambiente” perché il tutto deve essere prodotto al minor costo possibile.

“La logica di questo sistema non è produrre quello che serve a soddisfare i bisogni dell’umanità e quindi consumare secondo le reali necessità della collettività. Nel capitalismo la logica è quella del guadagno dell’impresa, del singolo capitalista, del singolo Stato capitalista e questa logica porta a quantità enormi di prodotti di rifiuto (miliardi di tonnellate all’anno nel mondo)… Come per il problema più generale dell’inquinamento ambientale, di cui la questione dei rifiuti fa parte, questo è un problema generale la cui radice sta nel modo di produzione capitalistico e non può trovare una soluzione effettiva se non eliminando questo sistema di produzione”.

I compagni presenti, pur condividendo che il problema di fondo sta nella produzione abnorme di rifiuti insita nel modo di produzione capitalista, hanno animato la discussione con tutta una serie di questioni dall’insieme delle quali è possibile trarre tre ordini di problematiche che riprenderemo qui brevemente.

Perché in Campania il problema dei rifiuti assume proporzioni così drammatiche mentre altrove si riesce a smaltire i rifiuti con la raccolta differenziata, il riciclaggio, ecc.?

La risposta che generalmente viene data a questa domanda, in particolare dalle varie forze della sinistra “alternativa” e dai vai paladini del buon costume quali Grillo e compagni, è che in Campania c’è un intreccio così forte tra le istituzioni e la camorra da impedire una buona e sana gestione dei rifiuti. Dunque cambiando i politici ed i responsabili del settore, facendo rispettare la legge e mettendo in galera tutti i camorristi ed i collusi con essa, il problema dovrebbe essere risolto.

La discussione ha mostrato come non c’è niente di più illusorio e mistificatorio. E per due motivi:

1. L’illegalità, la truffa, la collusione tra mafie, mondo politico ed imprenditoriale sono proprie del capitalismo per il quale non esiste etica, non esiste morale se non quella del profitto. Pretendere un capitalismo pulito, onesto, significa chiedere al capitalismo di non essere più capitalismo.

2. Alla base della difficoltà della borghesia a gestire i vari aspetti della produzione e della società c’è la crisi economica senza via d’uscita1 che, inasprendo la concorrenza, rende sempre più necessario ridurre all’osso i costi di produzione e di conseguenza rende sempre più difficile alla borghesia gestire in modo efficiente i diversi piani della società. Il che è tanto più vero per lo smaltimento dei rifiuti la cui velocità di produzione è in continuo aumento. Questo porta a situazioni estreme nelle economie più deboli (in Africa, Asia e America Latina, alle periferie delle grandi città, si vive su montagne di spazzatura), ma diventa una realtà ormai tangibile anche nei paesi più forti dove certe cose minime fino ad ora si potevano fare. Un esempio significativo è stato dato da una compagna inglese che ha raccontato come a Londra, dove la raccolta differenziata dei rifiuti è da decenni un fatto acquisito e praticato con meticolosità da tutti, negli ultimi tempi in alcuni quartieri è stato comunicato agli abitanti che non potevano più portare i sacchetti della differenziata nei centri di raccolta perché … l’amministrazione non aveva più soldi per assicurare questo servizio.

In questi giorni i vari “esperti” sfornano le loro proposte per un adeguato smaltimento dei rifiuti, ed è vero che le conoscenze scientifiche e la tecnologia per poterlo fare ci sono e non da oggi. Ma allora bisogna chiedersi: perché non si mettono in pratica? Come mai, pur essendoci la possibilità di fare imballaggi e buste con materiale biodegradabile, si continua a farli di plastica? Semplicemente perché, come ha giustamente sottolineato un altro compagno nella discussione, queste vie alternative, sicuramente meno dannose per l’ambiente, costano però di più e richiederebbero inoltre una riconversione degli impianti, per cui l’imprenditore o lo Stato che dovesse adottarle fallirebbe schiacciato dalla concorrenza sul mercato.

Le inefficienze e gli intrallazzi a livello di amministrazione locale, particolarmente prosperi là dove l’economia è più povera come appunto in Campania, non fanno che aggravare un problema che è ben più ampio: la crescente incapacità della classe dominante ad assicurare un minimo di condizioni adeguate di vita. La miseria crescente, l’aumento delle morti sul lavoro, la mancanza di prospettiva per i giovani, l’insicurezza sociale, la guerra endemica, l’inquinamento ambientale, sono tutte conseguenze del fatto che il capitalismo, per poter sopravvivere alla crisi economica profonda che l’attanaglia da più di 40 anni, è costretto a scaricarne i costi sui proletari e, sempre più, sull’insieme della società. Il che non toglie che queste diverse piaghe assumano una maggiore o minore virulenza a seconda delle condizioni specifiche e storiche delle varie parti del mondo.

Ma lo Stato non dovrebbe salvaguardare i cittadini facendo rispettare la legge?

Durante la discussione una compagna si meravigliava del fatto che, pur essendoci leggi che regolano la gestione dei rifiuti, lo Stato non le faccia rispettare da quegli imprenditori che, con l’aiuto della camorra, disperdono rifiuti tossici e nocivi nelle campagne per evitare i costi per il loro conferimento in discariche speciali.

Questa idea, largamente diffusa tra i proletari e che si basa sulla convinzione che il mondo della politica sia nettamente separato da quello economico, è frutto della più grande mistificazione di cui la borghesia si serve per giustificare il suo dominio: la democrazia. Nella visione democratica lo Stato sarebbe al di sopra delle parti, sarebbe il garante del rispetto delle regole, dell’equità tra le diverse componenti della società. E se questo non succede è solo colpa degli uomini che si trovano a capo di questa istituzione, della loro brama di potere, della loro corruzione. In realtà la storia ci ha mostrato che la forma di potere e gestione politica assunta nelle differenti società è stata sempre espressione del sistema economico della società stessa. L’Impero nell’antica Roma e il Feudo nella società medioevale corrispondevano ai modi di produzione esistenti nelle rispettive epoche. Lo Stato nazionale non è altro che lo strumento di dominio della classe dominante nel capitalismo sull’intera società e dunque le sue leggi ed il fatto che siano rispettate o meno dipendono dalle esigenze di questa. Se alle grosse aziende conviene far smaltire i loro rifiuti tossici dalla camorra abbassando così i costi, se le leggi sulla sicurezza nei posti di lavoro non vengono rispettate per far aumentare la produttività, lo Stato non ha nulla da obiettare perché è l’economia nazionale che deve marciare sul mercato internazionale e non la salute delle popolazioni o dei lavoratori.

Non esiste uno Stato al di sopra delle parti, così come non esiste un’etica nel suo operato.

C’è un sistema economico e politico sbagliato e bisogna cambiarlo. Ma per cambiarlo ci vorrà molto tempo ed allora nell’immediato cosa facciamo?

Questa domanda, posta da una compagna nel corso della discussione, esprime un sentimento comune alla maggior parte dei compagni, dei lavoratori e di quanti avvertono uno sdegno crescente verso questa società: la voglia di agire, di cambiare lo stato attuale, ma al tempo stesso la difficoltà a vedere cosa fare. Sgomenta l’idea di rimanere fermi mentre il mondo va a rotoli ed il più delle volte questo spinge a cercare una soluzione alla contingenza immediata o qualche strumento che possa “aprire gli occhi a tutti”. Nel caso specifico la compagna diceva “una risposta immediata potrebbe essere iniziare a far valere nei quartieri la raccolta differenziata… Incominciamo a rifiutare il sacchetto di plastica quando compriamo qualcosa e lanciamo questo messaggio, facciamo un tam-tam, in modo da impedire che ci impongano i sacchetti, la plastica, gli imballi …”.

Altri compagni hanno sottolineato che, se queste proposte manifestano una giusta preoccupazione e se è vero che la raccolta differenziata si sarebbe dovuta fare in Campania, come la si fa in altre parti del mondo, ciò non elimina il problema della massa enorme di rifiuti prodotti e del loro smaltimento con processi adeguati. Così come il rifiuto della busta di plastica, oltre ad essere poco praticabile per il tipo di vita che si è costretti a condurre, è una logica che non porta a niente. Secondo questa logica dovremmo rifiutare di fare la spesa nei supermercati dove tutti i generi sono impachettati con plastica e pellicola, dovremmo rifiutare di comprare l’acqua minerale o i giornali spesso impacchettati con il supplemento, il gadget o altro, dovremmo utilizzare i fazzoletti di stoffa invece di quelli di carta che sono impacchettati nella plastica, e così via.

Ma la conseguenza più insidiosa è che questo approccio, nel tentativo di “fare qualcosa subito”, fa perdere di vista la dimensione più ampia del problema e la sua causa di origine, finendo così per lasciarci intrappolati nella logica capitalista che invece vogliamo rigettare.

Nelle ultime settimane in Campania, ed in particolare a Napoli, sono proliferate iniziative per sensibilizzare la gente sulla raccolta differenziata: Greenpeace organizza la differenziata per 50 famiglie in una via di Napoli; in Piazza del Gesù si installa un presidio permanente con la parola d’ordine “auto-differenziamoci” dove si sensibilizza la gente che passa, gli si insegna come si fa la differenziata e dove vengono raccolti i sacchetti di rifiuti frutto dell’auto-differenziazione (che in verità non si sa poi che fine facciano, vista la mancanza di strutture per l’intero ciclo di recupero e trattamento delle diverse componenti differenziate). Iniziative di questo tipo sembrano rispondere all’esigenza di “fare qualcosa di concreto”, ma quale idea trasmettono? L’idea che la responsabilità è di Bassolino, della Iervolino e della camorra che pensano ai loro interessi (il che è sicuramente vero), o di Pecoraro Scanio e del governo che non fanno rispettare le leggi e se ne fregano della salute dei cittadini. La logica conseguenza è che, se si cambiano i dirigenti e se i cittadini si fanno carico responsabilmente della raccolta differenziata, i rifiuti non saranno più un problema. Questa è la stessa idea che i sindacati cercano di ficcare nella testa dei lavoratori: i licenziamenti, le morti sul lavoro, i salari da fame? Il responsabile è questo o quel padrone o, quando conviene, questo o quel governo di turno. E’ ancora la stessa idea propagandata da Beppe Grillo ed i grillini vari: facciamo pulizia nel parlamento, facciamo le liste civiche e quando il cittadino comune sarà al governo staremo meglio. In altre parole, basta trovare le persone giuste, delle persone pulite e oneste e la società potrà svilupparsi senza più problemi.

Questa è l’idea che fa più comodo alla classe dominante perché allontana il pericolo che i lavoratori, riflettendo e facendo il legame tra i vari aspetti della propria condizione, si rendano conto che quello che bisogna cambiare è il sistema nel suo insieme.

La discussione, al tempo stesso, ha sottolineato come il riconoscimento delle insidie presenti nelle iniziative come “l’auto-differenziazione dei rifiuti”, non significhi essere condannati alla passività. Al contrario! Bisogna opporsi ad ogni ulteriore degrado delle nostre condizioni di vita, e per farlo bisogna lottare perché non possiamo certo illuderci che la borghesia conceda spontaneamente qualcosa. Ma un fattore essenziale in queste lotte è capire realmente perché siamo costretti a vivere sempre peggio e quale è la prospettiva che abbiamo di fronte, perché questo ci permette di capire contro chi dobbiamo lottare e come: se dobbiamo darci da fare per far cadere il Bassolino di turno o piuttosto combattere lo Stato democratico garante di questo sistema sociale; se dobbiamo utilizzare tutta la nostra energia per “dimostrare che la raccolta differenziata si può fare” e fare il tam-tam contro l’uso dei sacchetti di plastica o piuttosto utilizzarla per discutere, confrontarci con gli altri proletari, per fare avanzare la coesione nella classe anche sui problemi dell’ambiente, anzi fare un tutt’uno tra questi e quelli di ordine salariale e sociale in genere. Perché è questa presa di coscienza che permetterà all’umanità di liberarsi dalla barbarie di questo sistema e salvare dalla distruzione l’intero pianeta.

Eva, 15-2-2007

1. Vedi articolo “Verso una violenta accelerazione della crisi economica” in questo stesso numero.

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