Polemica con Le Proletaire. Il proletariato non deve sottostimare il nemico di classe

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Con il crollo dei regimi stalinisti dell’Europa dell’est alla fine degli anni ‘80 e tutte le campagne propagandistiche che si sono scatenate sulla “morte del comunismo”, la “fine della lotta di classe”, o ancora la “scomparsa della classe operaia”, il proletariato mondiale ha subito una sconfitta ideologica massiccia, una sconfitta aggravata dagli eventi successivi, in particolare la guerra del Golfo del 1991, e che hanno ulteriormente amplificato il suo senso di impotenza. In seguito, soprattutto a partire dai grandi movimenti dell’autunno 1992 in Italia, il proletariato ha ritrovato il cammino delle lotte di classe, attraverso molte difficoltà ma in maniera indiscutibile. Ad alimentare questa ripresa delle lotte proletarie sono stati essenzialmente gli attacchi continui e sempre più brutali che la borghesia di tutti i paesi è costretta a sferrare a mano a mano che il suo sistema economico affonda in una crisi senza uscita. La classe dominante sa perfettamente che non potrà far passare questi attacchi ed impedire che essi portino ad una radicalizzazione delle lotte operaie a meno che non metta in piedi tutto un arsenale politico destinato a deviarle, a condurle in vicoli ciechi, a svuotarle e annullarle. E per fare ciò essa deve contare sulla efficacia di questi organi dello Stato borghese in ambiente operaio che sono i sindacati. In altri termini la capacità della borghesia di imporre la sua legge alla classe sfruttata dipende e dipenderà dal credito che i sindacati ed il sindacalismo saranno capaci di guadagnarsi presso quest’ultima. E’ proprio ciò che gli scioperi della fine del 1995 in Francia ed in Belgio hanno dimostrato in modo chiaro., così come la successiva agitazione sindacale nel principale paese europeo: la Germania.

In due numeri precedenti della Révue Internationale, abbiamo esaminato i mezzi impiegati dalla borghesia all’epoca degli scioperi in Francia della fine del 1995, per prendere l’iniziativa di fronte alla prospettiva del risorgere delle lotte operaie. L’analisi che abbiamo sviluppato su questi eventi può riassumersi nei seguenti estratti dell’articolo che abbiamo pubblicato sulla Revue n. 84 quando il movimento non era ancora concluso:

“In realtà, il proletariato in Francia è il bersaglio di un’ampia manovra destinata ad indebolirlo nella sua coscienza e nella sua combattività, una manovra che si rivolge anche alla classe operaia degli altri paesi allo scopo di fargli trarre false lezioni dagli eventi francesi.” (“Lottare dietro i sindacati porta alla sconfitta”, in italiano in Rivista Internazionale n. 19)

E la principale falsa lezione che la borghesia si proponeva di far tirare alla classe operaia è che i sindacati sono dei veri organi della lotta proletaria:

“Questa opera di ricredibilizzazione dei sindacati costituiva per la borghesia un obiettivo fondamentale, un preambolo indispensabile per sferrare gli attacchi futuri che saranno ancora più brutali di quelli attuali. E’ solo a questa condizione che essa può sperare di sabotare le lotte che non mancheranno di scoppiare al momento di questi attacchi.” (Ibidem.)

Nel n. 85 della Revue abbiamo fatto vedere come, contemporaneamente alla manovra della borghesia francese, la borghesia belga, traendo profitto da quest’ultima, ne aveva sviluppato una copia conforme, incorporando tutti i suoi principali ingredienti:

- una serie di attacchi che toccano tutti i settori della classe operaia (nello specifico contro la previdenza sociale) ma particolarmente provocatori per un settore specifico (in Francia, i lavoratori delle ferrovie e dei trasporti parigini; in Belgio i lavoratori delle ferrovie e della compagnia aerea nazionale); il “metodo Juppé” che concentrava in un breve lasso di tempo una valanga di attacchi, attuati con arroganza e cinismo, fa parte della manovra: bisogna far esplodere il malcontento;

- appelli estremamente radicali dei sindacati all’estensione della risposta operaia che sottolineavano l’esempio del settore “di avanguardia” scelto dalla borghesia;

- dietrofront della borghesia sulle misure specifiche più provocatorie: i sindacati gridano alla vittoria della “mobilitazio-ne” che essi hanno organizzato, i settori “di punta” riprendono il lavoro il che porta alla smobilitazione degli altri settori.

Il risultato di queste manovre è stato che la borghesia è riuscita a far passare le misure di portata più generale, quelle che toccano l’insieme della classe operaia, pur dando l’impressione di fare marcia indietro di fronte alle lotte per accreditare l’idea che queste, sotto la guida dei sindacati, erano state vittoriose. Questo, tutto a beneficio sia dei padroni e del governo che dei sindacati. Così ciò che appariva per molti operai come una “vittoria” o una semi-vittoria (non era difficile per la grande massa dei lavoratori constatare come su delle questioni essenziali, come la assistenza sociale, il governo non aveva fatto marcia indietro) era, in realtà, una sconfitta; una sconfitta sul piano materiale, evidentemente, ma soprattutto una sconfitta politica poiché il principale nemico della classe operaia, il più pericoloso perchè si presenta come suo alleato, l’apparato sindacale, ha accresciuto la sua presa  tra gli operai.

Le analisi dei gruppi comunisti

Le analisi delle convulsioni sociali della fine del 1995 fatte dalla CCI, sia sulla stampa che nelle sue riunioni pubbliche, hanno suscitato interesse e approvazione nella maggioranza dei lettori e di coloro che assistevano alle riunioni. Non sono state condivise invece dalla maggior parte delle altre organizzazioni dell’ambiente politico proletario. Nella  Révue n. 85, abbiamo messo in evidenza come le due organizzazioni che compongono il BIPR, la Communist Workers Organisation e Battaglia Comunista, si erano lasciate ingannare dalla manovra della borghesia essendo del tutto incapaci di individuare questa manovra. Questi compagni, per esempio, hanno rimproverato alla nostra analisi di veicolare l’idea che gli operai sono degli imbecilli perchè si sarebbero lasciati imbrogliare dalle manovre borghesi. Più in generale essi considerano che, con la nostra visione, la rivoluzione proletaria sarebbe impossibile poichè gli operai sarebbero sempre vittime delle mistificazioni attuate dalla borghesia. Niente di più falso.

Innanzitutto il fatto che gli operai possano oggi lasciarsi ingannare dalle manovre borghesi non significa che sarà sempre  così.  La storia  del movimento  operaio  è piena di esempi in cui gli stessi operai che si lasciavano intrappolare dietro le bandiere borghesi sono stati capaci, poi, di condurre delle lotte esemplari, anche rivoluzionarie. Sono gli stessi operai russi e tedeschi che, dietro le loro bandiere nazionali si erano sgozzati gli uni con gli altri a partire dal 1914, che in seguito si sono lanciati nella rivoluzione proletaria del 1917, e con successo, i primi, e nel 1918 i secondi, imponendo alla borghesia la fine della carneficina imperialista. La storia ci ha insegnato, più in generale, che la classe operaia è capace di trarre degli insegnamenti dalle sue sconfitte, di sventare le trappole in essa era caduta precedentemente.

E tocca proprio alle minoranze rivoluzionarie, alle organizzazioni comuniste, contribuire attivamente a questa presa di coscienza della classe, ed in particolare denunciare in modo chiaro e deciso le trappole tese dalla borghesia.

E’ così che, nel luglio 1917, la borghesia russa ha tentato di provocare una insurrezione prematura del proletariato della capitale. La frazione più avanzata della classe operaia, il partito bolscevico, ha individuato la trappola ed è chiaro che senza il suo comportamento chiaroveggente, volto ad impedire agli operai di Pietrogrado di lanciarsi nell’avventura, questi ultimi avrebbero subito una sconfitta sanguinosa che avrebbe smorzato lo slancio che li ha condotti poi alla insurrezione vittoriosa di Ottobre. Nel gennaio 1919 (vedi i nostri articoli sulla rivoluzione tedesca nella Révue), la borghesia tedesca ha ripetuto la stessa manovra. Questa volta il suo colpo è andato a segno: il proletariato di Berlino, isolato, è stato schiacciato dai corpi franchi, il che ha inflitto un colpo decisivo alla rivoluzione in Germania e a livello mondiale. La grande rivoluzionaria Rosa Luxemburg è stata capace, con la maggioranza della direzione del partito comunista appena fondato, di comprendere la natura della trappola tesa dalla borghesia., mentre il suo compagno Karl Liebknecht, per quanto aguerrito dagli anni di militantismo rivoluzionario, in particolare durante la guerra imperialista, vi ci cascò. Ciò facendo, egli ha partecipato, per il suo prestigio e suo malgrado, ad una disfatta tragica della classe operaia, che d’altra parte gli costò la vita come a molti altri suoi compagni, tra cui Rosa Luxemburg stessa. Ma anche se quest’ultima ha fatto di tutto per mettere in guardia il proletariato ed i suoi propri compagni contro la trappola borghese, essa non ha mai pensato che questi vi erano cascati perchè erano degli “idioti”. Al contrario, il suo ultimo articolo, scritto alla vigilia della morte, “L’ordine regna a Berlino” insiste su di un concetto essenziale: il proletariato deve imparare dalle sue sconfitte. Ugualmente, affermando che gli operai francesi o belgi sono stati vittime di un inganno teso dalla borghesia, alla fine del 1995, la CCI non ha mai lasciato intendere, o pensato, che gli operai sarebbero degli “idioti”. In realtà, è vero il contrario.

In effetti, se la borghesia si è data la pena di elaborare un piano particolarmente sofisticato contro la classe operaia, con il lcontributo di tutte le forze del capitale, il governo, i padroni, i sindacati ed anche i gruppi estremisti, è proprio perchè essa non sottovaluta la classe operaia. Sa perfettamente che il proletariato di oggi non è quello degli anni 30, che contrariamente ad allora  non si farà spingere ancora nella demoralizzazione dalla crisi economica, ma si darà a lotte sempre più possenti e coscienti. Nei fatti, per comprendere la natura e la portata della manovra  della fine del 1995 contro la classe operaia, è necessario, preliminarmente, avere riconosciuto che non siamo attualmente in un corso storico dominato dalla controrivoluzione, nel quale la crisi mortale del capitalismo non può portare che alla guerra imperialista mondiale, ma in un corso favorevole agli scontri di classe. Una delle migliori prove di questa realtà si trova nella natura dei temi e dei metodi sostenuti dai sindacati in questa recente manovra. Nel corso degli anni 30, le campagne ideologiche della sinistra e dei sindacati, dominate dall’antifascismo, la “difesa della democrazia” ed il nazionalismo, cioè da temi squisitamente borghesi, sono riuscite a deviare la combattività del proletariato in strade tragiche senza via di uscita e ad intrupparlo, aprendo la porta alla carneficina imperialista. Se, alla fine del 1995, i sindacati sono stati molto discreti su questo tipo di temi, se al contrario hanno adottato un linguaggio “operaio”, proponendo proprio loro delle rivendicazioni e dei “metodi di lotta” classici della classe operaia, è perchè sapevano perfettamente che non potevano riuscire a ridorare il loro blasone agli occhi dei lavoratori, accontentandosi di fare i loro discorsi abituali su “l’interesse nazionale” e altre mistificazioni borghesi. Là dove la bandiera nazionale o la difesa della democrazia potevano essere efficaci nel periodo tra le due guerre per mistificare gli operai, c’è bisogno oggi degli appelli alla “estensione”, a “l’unità di tutti i settori della classe operaia”, alla tenuta di assemblee generali sovrane. Ma bisogna anche notare che se i recenti discorsi sindacali sono riusciti ad ingannare la maggior parte della classe operaia, essi hanno ingannato anche delle organizzazioni che si richiamano alla Sinistra comunista. Il miglior esempio ci è probabilmente fornito dagli articoli pubblicati nel n° 435 del giornale Le Prolétaire, organo del Partito comunista internazionale (PCInt.), che pubblica in italiano Il Comunista, uno dei numerosi PCInt. dell’area bordighista.

Le divagazioni del Prolétaire

Questo numero del Prolétaire dedica più di 4 pagine su 10 agli scioperi della fine del 1995 in Francia. Vengono forniti parecchi dettagli sugli avvenimenti, anche dettagli falsi che provano o che l’autore era ancora male informato o, cosa più probabile, che ha scambiato i suoi desideri per realtà (1). Ma la cosa più sconvolgente in questo numero del Prolétaire è l’articolo di due pagine intitolato “La CCI contro gli scioperi”. Questo titolo già la dice lunga sul tono dell’intero articolo. Nei fatti, noi vi apprendiamo, per esempio, che:

- la CCI sarebbe l’emulo di Thorez, il dirigente stalinista francese, che all’indomani della seconda guerra mondiale dichiarava che “lo sciopero è l’arma dei trust”;

- che si esprime come “un qualunque crumiro”;

- che noi siamo dei “proudhoniani moderni” e dei “disertori (sottolineato da Le Prolétaire) della lotta proletaria”.

E’ certo che l’ambiente parassitario per il quale tutto va bene per denigrare la CCI si è immediatamente rallegrato per questo articolo. In questo senso, Le Prolétaire apporta oggi il suo piccolo contributo (volontario? involontario?) agli attacchi attuali di questo ambiente contro la nostra organizzazione. Noi ’abbiamo sempre dimostrato nella nostra stampa, di non esere contro le polemiche tra le organizzazioni dell’am-biente rivoluzionario. Ma la polemica, per quanto veemente, vuol dire che noi ci situiamo nello stesso fronte della lotta di classe. Per esempio noi non facciamo polemiche con le organizzazioni dell’ estrema sinistra borghese; le denunciamo come organismi della classe capitalista, ciò che Le Prolétaire è incapace di fare perchè definisce un gruppo come Lutte Ouvrière, caposaldo del trotskismo in Francia, come “centrista”. Le sue frecciate più aguzze, Le Prolétaire le riserva alle organizzazioni della Sinistra Comunista come la CCI: se noi siamo dei “disertori”, è perchè avremmo tradito la nostra classe;  grazie per farcelo sapere.

Grazie ugualmente da parte dei gruppi parassiti il cui motivetto è che la CCI sarebbe passata allo stalinismo e altre turpitudini. Bisognerà malgrado tutto che un giorno il PCInt. capisca in quale campo si pone: in quello delle organizzazioni serie della Sinistra comunista, o piuttosto in quello dei parassiti che non hanno ragione di essere se non quella di screditarle a solo vantaggio della classe borghese.

Detto ciò, se Le Prolétaire si propone di farci la lezione sulle nostre analisi degli scioperi della fine del 1995, quello che dimostra innanzitutto il suo articolo è:

- la sua mancanza di chiarezza, per non dire il suo opportunismo, sulla questione, essenziale per la classe operaia, della natura del sindacalismo;

- la sua crassa ignoranza della storia del movimento operaio che la porta ad una incredibile sottovalutazione della classe nemica.

La questione sindacale, tallone d’Achille del PCInt. e del bordighismo

Per aumentare la dose, Le Prolétaire parla dell’ “anti-sindacalismo di principio” della CCI. Ciò facendo dimostra che, per il PCInt., la questione sindacale non è una questione “di principio”. Le Prolétaire vuole mostrarsi molto radicale quando afferma:

“Le strutture sindacali sono diventate, alla fine di un processo degenerativo, accelerato dalla vittoria internazionale della controrivoluzione, degli strumenti della collaborazione di classe”; e ancora “se le grandi organizzazioni sindacali si rifiutano testardamente di utilizzare queste armi (i modi di lotta autenticamente proletari), questo non è semplicemente per una cattiva direzione che basterebbe rimpiazzare: decenni di degenerazione e di addomesticamento da parte della borghesia hanno vuotato questi grandi apparati sindacali degli ultimi residui classisti e li hanno trasformati in organi della collaborazione delle classi, che mercanteggiano le rivendicazioni proletarie con il mantenimento della pace sociale... Ciò è sufficiente a dimostrare la falsità della prospettiva trotskista tradizionale di conquistare o riconquistare alla lotta proletaria questi apparati di agenti professionisti della conciliazione degli interessi operai con le esigenze del capitalismo. Per contro molti esempi stanno là a dimostrare che è del tutto possibile trasformare un trotskista in bonzo...”

In realtà ciò che il PCInt. mostra è la sua mancanza di chiarezza e di fermezza sulla natura del sindacalismo. Non è questo che esso denuncia come arma della classe borghese, ma solo gli “apparati sindacali”. In questo modo, non riesce, malgrado le sue affermazioni, a distinguersi dai trotskisti: nella stampa di un gruppo come Lutte Ouvrière si possono oggi trovare lo stesso tipo di affermazioni. Ciò che Le Prolétaire, credendosi fedele alla tradizione della Sinistra Comunista italiana, rifiuta di ammettere è che ogni forma sindacale, piccola o grande, legale e ben introdotta nelle alte sfere dello Stato capitalista o del tutto illegale (come Solidarnosc, per molti anni in Polonia, e le Commissioni Operaie in Spagna sotto il regime franchista) non può essere altro che un organo di difesa del capitalismo. Le Prolétaire accusa la CCI di essere ostile “ad ogni organizzazione di difesa immediata del proletariato”. In questo modo dimostra o la sua ignoranza della nostra posizione o, più probabilmente, la sua cattiva fede. Noi non abbiamo mai detto che la classe operaia non doveva organizzarsi per condurre le sue lotte. Ciò che affermiamo, nella tradizione della Sinistra tedesca, corrente della Sinistra comunista disprezzata dal bordighismo, è che, nel periodo attuale, questa organizzazione è costituita dalle assemblee generali degli operai in lotta, dai comitati di sciopero eletti da queste assemblee e da esse revocabili, dai comitati centrali di sciopero composti da delegati dei vari comitati di sciopero. Per la loro stessa natura, queste organizzazioni esistono durante e per la lotta e sono destinate a scomparire una volta finita la lotta. La loro principale differenza con i sindacati è proprio che esse non sono permanenti, e che non possono, per questo fatto, essere assorbite dallo Stato capitalista. E’ proprio questa la lezione che il bordighismo non ha mai voluto tirare dopo decenni di “tradimento” di tutti i sindacati, quale che sia la loro forma, i loro obiettivi iniziali, le posizioni politiche dei loro fondatori, che essi si definiscano “riformisti” o anche “di lotta di classe”, o ancora “rivoluzionari”. Nel capitalismo decadente, in cui il sistema è incapace di accordare il minimo miglioramento duraturo delle condizioni di vita della classe operaia, ogni organizzazione permanente che si pone come obiettivo la difesa di queste è destinata ad integrarsi  nello Stato, a divenire uno dei suoi ingranaggi. Citare, come fa Le Prolétaire sperando di chiuderci la bocca, ciò che diceva Marx dei sindacati nel secolo scorso è lungi dall’essere sufficiente per autoaccordarsi un brevetto di “marxismo”. Dopo tutto, i trotskisti non mancano di riportare altre citazioni di Marx ed Engels contro gli anarchici della loro epoca per attaccare la posizione che i bordighisti condividono oggi con l’insieme della Sinistra comunista: il rifiuto di partecipare alla fiera elettorale. Questo modo di fare del Prolétaire non dimostra che una cosa, e cioè che non ha compreso un aspetto essenziale del marxismo a cui si richiama: questo è un pensiero vivo e dialettico. Ciò che era vero ieri, nella fase ascendente del capitalismo: la necessità per la classe operaia di formare dei sindacati, come di partecipare alle elezioni o anche di sostenere alcune lotte di liberazione nazionale, non vale più oggi nel capitalismo decadente. Prendendo alla lettera certe citazioni di Marx, senza valutare le condizioni alle quali si riferiscono, rifiutando di applicare il metodo di questo grande rivoluzionario, Le Prolétaire non dimostra che la povertà del suo pensiero.

Ma il peggio non è questa miseria in sé, il peggio è che essa conduce a diffondere nella classe delle illusioni sulla possibilità di un “vero sindacalismo”, cosa che porta dritto dritto all’opportunismo. E di questo opportunismo troviamo tracce negli articoli di Le Prolétaire, quando mostra la massima timidezza nel denunciare il gioco dei sindacati:

“Ciò che si può e che si deve rimproverare ai sindacati attuali...” I rivoluzionari non rimproverano niente ai sindacati, come non rimproverano ai borghesi di sfruttare gli operai, ai poliziotti di reprimere le loro lotte: essi li denunciano.

“... le organizzazioni alla testa del movimento, la CGT e FO, che verosimilmente avevano negoziato sotto banco col governo per porvi fine... “ I dirigenti sindacali non “negoziano” con il governo, camminano mano nella mano con lui contro la classe operaia. E non è  “verosimilmente”: è sicuro!. Ecco ciò che è indispensabile che gli operai sappiano e che Le Prolétaire è incapace di dir loro.

Il pericolo della posizione opportunista del Prolétaire sulla questione sindacale si manifesta del tutto quando esso scrive. “Ma se noi scartiamo la riconquista degli apparati sindacali, da ciò non concludiamo che bisogna rifiutare di  lavorare in questi stessi sindacati, purché questo lavoro si faccia alla base, in contatto con semplici lavoratori  e non nelle istanze gerarchiche, e su delle basi di classe”. In altri termini, quando  in  modo  assolutamente  sano  e  necessario  degli operai scoraggiati dalle magagne sindacali avranno voglia di strappare la loro tessera, si troverà un militante del PCInt. per accompagnare i discorsi del trotskista di turno: “Non fate ciò, compagni, bisogna restare nei sindacati per farci un lavoro”. Quale lavoro, se non quello di ridorare un po’, alla base, il blasone di queste organizzazioni nemiche della classe operaia?

Perchè non vi è altra scelta:

- o si vuole veramente condurre una attività militante “su delle basi di classe”, e allora uno dei punti essenziali da difendere è la natura antioperaia dei sindacati, non solo della loro gerarchia, ma nel loro insieme; quale chiarezza il militante del PCInt. va a portare ai suoi compagni di lavoro dicendo loro “i sindacati sono nostri nemici, bisogna lottare al di fuori e contro di essi m a io resto dentro”? (2)

- o si vuole restare “in contatto” con la “base” sindacale, “farsi comprendere” dai lavoratori che la compongono, e allora si oppone “base” e “gerarchia imputridita”, cioè la posizione classica del trotskismo; certo si fa allora “un lavoro”, ma non “su delle basi di classe” poichè si mantiene ancora l’illusione che alcune strutture sindacali, la sezione di fabbrica per esempio, possono essere degli organi della lotta operaia.

Vogliamo ben credere che il militante del PCInt., contrariamente al suo collega trotskista, non aspira a diventare un bonzo. Tuttavia avrà fatto lo stesso “lavoro” anti-operaio di mistificazione sulla natura dei sindacati.

Così l’applicazione della posizione del PCInt. sulla questione sindacale ha apportato, ancora una volta, il suo piccolo contributo alla smobilitazione degli operai di fronte al pericolo che rappresentano i sindacati. Ma questa azione di smobilitazione di fronte al nemico non si ferma qua. Essa si scatena di nuovo quando il PCInt. si abbandona ad una sottovalutazione in piena regola della capacità della borghesia di elaborare delle manovre contro la classe operaia.

La sottovalutazione del nemico di classe

In un altro articolo del ProlétaireDopo gli scioperi di questo inverno, Prepariamo le lotte future” si può leggere:

Il movimento di questo inverno mostra proprio che se, in queste circostanze, i sindacati hanno dato prova di una flessibilità inconsueta e hanno lasciato esprimere la spontaneità degli scioperanti più combattivi piuttosto che opporvisi come di consueto, questa tolleranza ha loro permesso di conservare senza grandi difficoltà la direzione della lotta e dunque di decidere in notevole misura del suo orientamento, del suo sviluppo e del suo esito. Quando hanno giudicato che il momento era venuto, hanno potuto dare il segnale della ripresa, abbandonando in un batter d’occhio la rivendicazione centrale del movimento, senza che gli scioperanti potessero opporre alcuna alternativa. L’apparenza democratica e di base della condotta della lotta è stata anche utilizzata contro i bisogni obiettivi del movimento: non sono le migliaia di AG quotidiane degli scioperanti che da sole potevano dare alla lotta la centralizzazione e la direzione di cui essa aveva bisogno, anche se hanno permesso il coinvolgimento e la partecipazione di massa dei lavoratori. Solo le organizzazioni sindacali potevano sopperire a questa carenza e la lotta veniva dunque sospesa con le parole d’ordine e le iniziative lanciate centralmente dalle organizzazioni sindacali e ripercosse dal loro apparato in tutte le AG. L’atmosfera di unità che regnava nel movimento era tale che la massa dei lavoratori non solo non ha sentito né ha espresso del disaccordo con l’orientamento dei sindacati (a parte naturalmente gli orientamenti della CFDT) e la loro direzione della lotta, ma ha anche considerato la loro azione come uno dei fattori più importanti per la vittoria.

Qui Le Prolétaire ci svela il segreto dell’atteggiamento dei sindacati negli scioperi della fine del 1995.. Il problema è che quando bisogna tirare le lezioni da questa evidente realtà Le Prolétaire, nello stesso articolo ci dice che questo movimento è “il più importante del proletariato francese dopo lo sciopero generale del maggio-giugno 68”, che egli saluta la sua “forza” che ha imposto “un parziale dietrofront del governo”. Decisamente la coerenza di pensiero non è il punto forte del Prolétaire. Bisogna ricordare che anche l’opportunismo sfugge la coerenza come la peste, dal momento che cerca in permanenza di conciliare l’inconciliabile?

Per parte nostra, noi abbiamo concluso che questo movimento che non ha potuto impedire al governo di far passare le sue principali misure antioperaie e che è inoltre riuscito bene nel ridare splendore ai sindacati, come mostra chiaramente Le Prolétaire, non si è fatto contro la volontà dei sindacati o del governo, ma che è stato voluto da loro per raggiungere questi obiettivi. Le Prolétaire ci dice che la caratteristica di questo movimento che “deve diventare un’acquisizione per le lotte future, è stata la tendenza generale a superare le barriere corporative e i limiti delle fabbriche o di amministrazione e ad estendersi a tutti i settori”. E’ del tutto vero. Ma il solo fatto che sia stato con la benedizione, o piuttosto molto spesso sotto la spinta diretta dei sindacati, che gli operai abbiano riconquistato dei metodi veramente proletari di lotta, non costituisce affatto un passo avanti della classe operaia visto che questa conquista è associata per la maggioranza degli operai all’azione dei sindacati. Questi metodi di lotta, la classe operaia, era presto o tardi destinata a scoprirli a seguito di tutta una serie di esperienze. Ma se questa scoperta veniva fatta attraverso il confronto diretto contro i sindacati, ciò avrebbe inferto un colpo mortale a questi ultimi mentre erano già fortemente screditati e ciò avrebbe privato la borghesia di una delle sue armi essenziali per sabotare le lotte operaie. Così, era preferibile per la borghesia che questa scoperta, anche a rischio che fosse fatta troppo presto, fosse infettata e sterilizzata dalle illusioni sindacali.

Il fatto che la borghesia abbia potuto manovrare in tal modo sfugge alla comprensione del Prolétaire:

A credere alla CCI ‘essa’ (senza dubbio TUTTA LA BORGHESIA) è straordinariamente astuta: spingere “gli operai” (è così che la CCI battezza tutti i salariati che hanno fatto sciopero) ad entrare in lotta contro le decisioni del governo al fine di controllare la loro lotta, di infliggere loro una sconfitta e di far passare poi delle misure ancora più dure, ecco una manovra che avrebbe senza dubbio stupefatto Machiavelli stesso.

I proudhoniani moderni della CCI si spingono più in là del loro antenato poichè accusano i borghesi di provocare la lotta operaia e di fargli ottenere la vittoria per distrarre gli operai dalle vere soluzioni: essi si colpirebbero da soli per evitare di essere colpiti. Aspettiamo ancora un po’ e vedremo nella lanterna magica della CCI i borghesi stessi organizzare la rivoluzione proletaria e la scomparsa del capitalismo al solo scopo di impedire ai proletari di farlo.” (3)

Le Prolétaire si illude certamente di essere molto spiritoso. Buon pro gli faccia! Il problema è che le sue tirate denotano innanzitutto la totale vacuità della sua comprensione politica. Allora per sua regola e perché non resti completamente idiota, ci permettiamo di richiamare qualche banalità:

Non è necessario che tutta la borghesia sia “straordinariamente astuta” perchè i suoi interessi siano ben difesi. Per esercitare questa difesa, la classe borghese dispone di un governo e di uno Stato (ma forse Le Prolétaire non lo sa) che definisce la sua politica contando su di un esercito di specialisti (storici, sociologi, politologi, ... e dirigenti sindacali). Che ancora oggi vi siano dei padroni che pensano che i sindacati sono i nemici della borghesia, ciò non cambia affatto la cosa: non solo loro che sono incaricati di elaborare la strategia della lora classe come non sono i sottoufficiali che conducono le guerre.

Giustamente tra la borghesia e la classe operaia vi è una guerra, una guerra di classe. Senza che sia necessario essere uno specialista di questioni militari, qualunque essere dotato di una intelligenza media e di un po’ di istruzione (ma è il caso dei redattori del Prolétaire?) sa che l’astuzia è un’arma essenziale degli eserciti. Per battere il nemico, in generale è necessario ingannarlo (a meno che non si disponga di una superiorità materiale schiacciante).

L’arma principale della borghesia contro il proletariato, non è la potenza materiale delle sue forze di repressione, è proprio la furbizia, le mistificazioni che essa è capace di veicolare nelle fila operaie.

Anche se Machiavelli ha, ai suoi tempi, gettato le basi della strategia borghese per la conquista e l’esercizio del potere così come dell’arte della guerra, i dirigenti della classe dominante, dopo secoli di esperienze, ne sanno molto più di lui. Forse i redattori del Prolétaire pensano che è il contrario. In ogni caso farebbero bene a tuffarsi un po’ nei libri di storia, in particolare quelli delle guerre recenti e soprattutto quella del movimento operaio. Vi scoprirebbero che il machiavellismo che gli strateghi militari sono capaci di mettere in atto nei conflitti tra frazioni nazionali della stessa classe borghese non è niente rispetto a quello che essa, nel suo insieme, è capace di impiegare contro il suo mortale nemico, il proletariato.

In particolare essi scoprirebbero due cose elementari: che provocare degli scontri prematuri è una delle armi classiche della borghesia contro il proletariato e che in una guerra i generali non hanno mai esitato a sacrificare una parte delle loro truppe o delle loro posizioni per meglio ingannare il nemico, fornendogli eventualmente un sentimento illusorio di vittoria. La borghesia non farà la rivoluzione proletaria al posto del proletariato per impedirgli di farla. Al contrario per evitarla essa è pronta a degli apparenti “rinculi”, a delle sedicenti “vittorie” degli operai.

E se i redattori del Prolétaire si dessero la pena di leggere le analisi classiche della Sinistra comunista, apprenderebbero infine che uno dei principali mezzi con cui la borghesia ha inflitto al proletariato la più terribile controrivoluzione della sua storia è stato proprio presentare come delle “vittorie” le sue più grandi sconfitte: la “costruzione del socialismo in URSS”, i “Fronti popolari”, la “vittoria contro il fascismo”.

 

Allora non si può che dire una cosa ai redattori di Prolétaire: ricominciate daccapo. Le frasi ben composte e le parole spiritose non bastano per difendere correttamente le posizioni e gli interessi della classe operaia. E vogliamo dar loro un ultimo consiglio: ascoltate ciò che succede realmente nel mondo e tentate di comprendere, per esempio, ciò che succede in Germania.

Le manovre sindacali in Germania, nuovo esempio della strategia della borghesia

Se è necessaria una nuova prova che la manovra concertata da tutte le forze della borghesia alla fine del 1995 in Francia aveva una portata internazionale, la recente agitazione sindacale in Germania la fornisce in maniera lampante. In questo paese, nei fatti, si è appena svolta, evidentemente con le caratteristiche locali, un “rifacimento” dello scenario “alla francese”.

All’inizio la situazione sembra molto diversa. Proprio dopo che i sindacati francesi si sono dati un’immagine di radicalismo, “di organi intransigenti della lotta di classe”, quelli tedeschi, fedeli alla tradizione di negoziatori e di agenti del “consenso sociale”, firmano con il padronato ed il governo, il 23 gennaio, un “patto per l’occupazione” che comporta, tra l’altro, una diminuzione dei salari fino al 20% nelle industrie più minacciate. Alla fine del negoziato, Kohl dichiara che bisogna “fare di tutto per evitare uno scenario alla francese”. Non è allora contraddetto dai sindacati che, poche settimane prima, avevano tuttavia salutato gli scioperi in Francia: la DGB “manifesta la sua simpatia agli scioperanti che si difendono contro un grosso attacco al diritto sociale”; IG-Metal afferma che “la lotta dei francesi è un esempio di resistenza contro i colpi portati ai diritti sociali e politici”.

Ma, in realtà, il saluto dei sindacati tedeschi agli scioperi in Francia non era platonico, esso si inseriva già nella prospettiva delle loro manovre future. Queste manovre si palesavano in tutta la loro ampiezza nel mese di aprile. E’ il momento scelto da Kohl per annunciare un piano di austerità senza precedenti: congelamento dei salari nella funzione pubblica, diminuzione delle indennità di disoccupazione e delle prestazioni di protezione sociale, aumento dei tempi di lavoro, aumento dell’età per la pensione, abbandono del principio dell’indennizzazione al 100% delle assenze per malattia. E ciò che è più eclatante è il modo in cui è annunciato questo piano. Come scrive il giornale francese Le Monde del 20 giugno 1996: “Imponendo in maniera autoritaria il suo piano di risparmio di 50 miliardi di marchi alla fine del mese di aprile, il cancelliere Kohl ha dismesso gli abiti del moderatore - a cui era tanto affezionato - per prendere quelli del decisionista... Per la prima volta, il “metodo Kohl” comincia a somigliare al “metodo Juppè”.”

Per i sindacati, è una vera provocazione alla quale bisogna rispondere con dei nuovi metodi di azione: “Noi abbiamo abbandonato il consenso per cominciare lo scontro” (Dieter Schulte, presidente del DGB). Lo scenario “alla francese”, nella sua variante tedesca, è messo in piedi. Si assiste allora ad un crescendo di radicalismo nell’atteggiamento dei sindacati: “scioperi di avvertimento” e manifestazioni nel settore pubblico (come all’inizio dell’autunno 1995 in Francia): gli asili, i trasporti pubblici, le poste, i servizi di pulizie sono coinvolti. Come in Francia i mass media fanno un gran rumore su questi movimenti, dando l’idea di un paese paralizzato e non risparmiando la loro simpatia verso di essi. Il riferimento agli scioperi della fine del 1995 sono sempre presenti ed i sindacati fanno anche sventolare delle bandiere francesi nelle manifestazioni. Schulte, invocando “l’autunno caldo” francese, promette, nel settore industriale una “estate calda”. E’ allora che comincia la preparazione della grande manifestazione  del 15 giugno che è annunciata in partenza come “la più massiccia dopo il 1945”. Schulte avverte che non sarà “che l’inizio di aspri conflitti sociali che potrebbero portare a delle condizioni alla francese”. Ancora, mentre alcune settimane prima aveva affermato che “non era il caso di chiamare ad uno sciopero generale contro un governo eletto democraticamente”, il 10 giugno dichiara che “anche lo sciopero generale non è più escluso”. Pochi giorni prima della “marcia” su Bonn, i negoziati del settore pubblico arrivano ad un accordo che concede alla fine scarsi aumenti salariali e la promessa di non rimettere in discussione le indennità di malattia, il che permette ai sindacati di far apparire questo “rinculo” come risultato della efficacia delle loro azioni, come era successo in Francia quando il governo aveva fatto “marcia indietro” sul “Contratto di Piano” nelle ferrovie ed il pensionamento degli impiegati pubblici.

 

Alla fine, l’enorme successo del “tutti a Bonn” (350mila manifestanti) ottenuto grazie ad una campagna dei media senza precedenti e agli enormi mezzi messi in piazza dai sindacati (migliaia di pullman e quasi 100 treni speciali) appariva come una manifestazione di forza senza precedenti e nello stesso tempo permetteva di far passare in secondo piano il fatto che il governo non aveva ceduto sull’essenziale del suo piano di austerità.

Il carattere mondiale delle manovre della borghesia

Così, a pochi mesi di distanza, nei due principali paesi del continente europeo, la borghesia ha sviluppato due manovre molto simili, destinate non solo a far passare una valanga di attacchi brutali ma anche a dare una nuova immagine dei sindacati. Certo vi sono delle differenze nell’obiettivo posto da ciascuna delle due borghesie nazionali. per quel che riguarda la Francia, bisogna ridorare agli occhi degli operai lo stemma dei sindacati, uno stemma notevolmente offuscato dal loro sostegno alle politiche condotte dalla Sinistra quando era al governo, il che li aveva costretti a lasciare la prima fila ai coordinamenti nel compito di sabotaggio delle lotte durante lo sciopero dei ferrovieri nel 1986 e degli ospedalieri nel 1988. Per quanto riguarda la Germania, non vi era un problema di discredito dei sindacati. Nell’insieme questi organi dello Stato borghese godevano di una forte presenza nell’ambiente operaio. Però l’immagine che essi avevano presso la classe operaia era quella di specialisti dediti alla negoziazione, che riuscivano, attraverso tutte le “tavole rotonde” alle quali partecipavano, a preservare un po’ le acquisizioni dello “Stato sociale”, il che era facilitato evidentemente dalla maggiore resistenza del capitale tedesco alla crisi mondiale. Ma con la crescita delle difficoltà economiche di quest’ultimo (recessione nel 1995, livello di disoccupazione record, esplosione del deficit statale) questa immagine non poteva durare per molto tempo. Al tavolo dei negoziati, il governo ed il padronato non potranno proporre che attacchi sempre più duri al livello di vita della classe operaia e lo smantellamento dello “Stato sociale”. La prospettiva di esplosioni di collera operaia è ineluttabile ed è dunque importante che i sindacati, per essere all’altezza di sabotare e deviare la combattività cambino i loro abiti di “negoziatori” con quelli di organi della lotta operaia.

Ma al di là delle differenze nella situazione sociale dei due paesi, ciò che è importante è che tutti i punti comuni che vi sono tra questi due episodi aprano gli occhi di coloro che ancora pensano che gli scioperi della fine del 1995 in Francia siano stati “spontanei”, che abbiano “sorpreso la borghesia”, che sono stati voluti e provocati da questa per portare a buon fine la sua politica.

Inoltre, come la manovra della fine del 1995 in Francia aveva una portata internazionale, così non è solo ad uso interno che le varie forze della borghesia tedesca hanno svolto la loro manovra della primavera 1996. Per esempio, in Belgio, se la borghesia aveva organizzato nel corso dell’inverno una copia conforme dello scenario francese, ha dato poi prova del suo mimetismo riprendendo a suo vantaggio lo “scenario tedesco”. In effetti poco dopo la firma del “patto per il lavoro” in Germania, era stato firmato in Belgio un “contratto per l’occupazione” tra sindacati, padronato e governo che prevedeva, anche lì, diminuzioni di salario contro delle promesse di occupazione. Poi i sindacati si sono concessi una giravolta a 180° denunciando bruscamente questo accordo “dopo la consultazione della loro base”. Questa virata, molto enfatizzata dai media ha loro permesso di offrire una immagine di sè “democratica”, di “veri interpreti della volontà degli operai”, ripulendosi da ogni responsabilità nei piani di attacco alla classe operaia preparati dal governo (nel quale partecipa il Partito socialista, tradizionale alleato del sindacato più “combattivo”, la FGTB).

Ma se la dimensione internazionale delle manovre della borghesia francese della fine del 1995, non si è fermata al Belgio, come si è appena visto con le manovre della borghesia tedesca della primavera, la portata di queste ultime non si limita affatto a questo piccolo paese. In realtà l’agitazione sindacale in Germania, ampiamente diffusa dalla televisione nei vari paesi ha un ruolo simile agli scioperi in Francia. Ancora una volta si tratta di rafforzare le illusioni sui sindacati. L’immagine di impronta “combattiva” dei sindacati francesi, grazie alla copertura dei massmedia mondiali, ha potuto rimbalzare sui suoi confratelli degli altri paesi. Inoltre, la radicalizzazione dei sindacati tedeschi, le loro minacce di una “estate calda” e i commenti allarmistici dei media degli altri paesi sulla “fine del consenso alla tedesca” rilanciano a loro volta l’idea che i sindacati sono capaci, anche dove hanno una tradizione di accordi e negoziazioni, di essere degli autentici “organismi di lotta” per la classe operaia e anche efficaci, capaci di imporre, contro l’austerità del governo e dei padroni, la difesa degli interessi operai.

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E’ a livello mondiale che la borghesia mette in atto la sua strategia di fronte alla classe operaia. La storia ci ha insegnato che tutti i contrasti di interesse tra le borghesie nazionali, le rivalità commerciali, gli antagonismi imperialisti, scompaiono quando si tratta di affrontare la sola forza della società che rappresenta un pericolo mortale per la classe dominante, il proletariato. E’ in modo coordinato, di concerto che le borghesie elaborano i loro piani contro di esso.

Oggi, di fronte alle lotte operaie che si preparano, la classe dominante dovrà tendere mille trappole per tentare di sabotarle, ridurle e svuotarle, per fare in modo che esse non permettano una presa di coscienza da parte del proletariato delle prospettive finali di queste lotte, la rivoluzione comunista. Nulla sarebbe più tragico per la classe operaia del sottovalutare la forza del suo nemico, la sua capacità di tendere tali trappole, di organizzarsi a livello mondiale per renderle più efficaci. Tocca ai comunisti di stanarle e denunciarle agli occhi della loro classe. Se non lo sanno fare, non meritano questo nome.

                                               FM, 24 giugno 1996

1) Uno degli esempi eclatanti di questa riscrittura dei fatti è il modo in cui è stata riportata la ripresa del lavoro dopo gli scioperi: non sarebbe cominciata che dopo una settimana dall’annuncio del “passo indietro” del governo, il che è falso.

2) E’ vero che i bordighisti non sono nuovi alle contraddizioni: verso la fine degli anni 1970, mentre in Francia si svolgeva una agitazione tra gli operai immigrati, si potevano vedere i militanti del PCInt. spiegare agli immigrati sbigottiti che dovevano rivendicare il diritto di voto per potersi ... astenere. Più ridicolo di un bordighista, non si può! E’ anche vero che quando dei militanti della CCI hanno tentato di intervenire in un raggruppamento di immigrati per difendervi la necessità di non lasciarsi chiudere in delle rivendicazioni borghesi, quelli del PCInt. hanno dato man forte ai maoisti per cacciarli...

3) Bisogna notare che il n. 3 di L’esclave salarié (“ES”, bastardo parassitario dell’ex Ferment Ouvrier Révolutionnaire), ci fornisce una interpretazione originale dell’analisi della CCI sulla manovra della borghesia. “Ci teniamo a felicitarci con la cci (ES trova molto spiritoso scrivere in minuscolo le iniziali della nostra organizzazione) per la sua ragguardevole analisi che ci lascia pieni di ammirazione e ci chiediamo come questa élite pensante riesca ad infiltrarsi nella classe borghese per trarne tali informazioni sui suoi piani e le sue trappole. E’ da chiedersi se la cci non venga invitata agli incontri della borghesia e allo studio dei suoi comportamenti antioperai contattata in segreto e nei riti della franco-massoneria.” Marx non era francomassone e non era invitato ai meeting della borghesia ma ha dedicato una gran parte della sua attività militante a studiare, chiarire e denunciare i piani e le trappole della borghesia. Bisogna credere che i redattori di ES non hanno mai letto Le lotte di classe in Francia o La guerra civile in Francia. Sarebbe logico da parte di persone che disprezzano il pensare, che non è monopolio di una “élite”: Non era necessario essere massoni per scoprire che gli scioperi della fine del 1995 in Francia erano il risultato di una manovra borghese: bastava osservare in quale modo essi erano presentati ed incensati dai massmedia in tutti i paesi d’Europa e d’America, fino in India, in Australia ed in Giappone. E’ vero che la presenza in questi paesi di sezioni o di simpatizzanti della CCI ha facilitato il suo lavoro, ma la vera causa della povertà politica di ES non sta nella sua scarsa estensione geografica. Ciò che è provinciale di questo gruppo è innanzitutto la sua intelligenza politica, provinciale... e “minuscola”.

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