Iran: il proletariato non ha un fronte borghese da difendere contro un altro

Printer-friendly version
In Iran, la schiacciante maggioranza della popolazione vive nella miseria più assoluta. Ma, in più, ogni giorno la paura serpeggia per le strade, nei luoghi pubblici! Non è dunque strano che dalle ultime elezioni del 2009, siano scoppiate rivolte e manifestazioni di continuo. Questo paese sta sprofondando nel caos. Le divisioni all’interno dell’apparato politico e del clero si moltiplicano; il potere religioso, indebolito esso stesso dall’esercizio del potere politico, si sfalda in maniera sempre più evidente. Per la classe operaia, per la popolazione povera e senza lavoro, esasperata da tanta ingiustizia e miseria, c’è allora il grande pericolo di ritrovarsi inquadrata e repressa all’interno di lotte che non sono le sue.

Di fronte alle manifestazioni, il potere risponde con la repressione sanguinosa

Nello scorso mese di dicembre, in occasione della festa dell’Achoura[1] (per gli Sciiti si tratta tra l’altro della commemorazione del massacro dell’imam Hussein e di 72 suoi seguaci da parte del califfato di omayyade a Kerbala nell’anno 680), le strade delle principali città del paese sono state nuovamente invase da immense manifestazioni. Queste hanno toccato la maggior parte delle grandi città iraniane: Teheran, Chiraz, Ispahan, Qazvin, Tabriz ed anche Qom, la città santa. A decine di migliaia sono le persone che si sono ritrovate per strada. Ma la risposta del potere non si è fatta attendere. Le milizie baasiste, spalleggiate dalle forze dell’ordine, hanno allora effettuato una feroce repressione. La polizia ufficiale parla di cinque morti tra i manifestanti, ma la realtà é evidentemente ben più drammatica! Bisogna ricordare che in occasione del 12 giugno scorso al momento dell’elezione del presidente Ahmadinejad, il bilancio era stato di sessanta morti e di 4000 arresti. Oggi, in una popolazione ferita, presa dalla collera, gli slogan si radicalizzano e non se la prendono più soltanto con il governo e con Ahmadinejad, ma anche, il che è una novità, con la stressa guida suprema: Ali Khamenei.

Crisi e divisioni all’interno della borghesia e del clero iraniano

Nel mese di giugno scorso, in occasione delle elezioni, lo stato di deliquescenza della borghesia iraniana era già apparsa in tutta evidenza. La crescita di potere di Hossein Moussavi ne era l’espressione più visibile. Dietro la frazione di Ahmanidejad che manteneva il potere, appoggiata dai guardiani della rivoluzione islamica (i bassiji) comandati dal generale Mohammad Ali Jafari, vera rete di gangster che ha le mani in pasta in tutti i traffici illegali del paese, si ritrova tutta una parte del clero la cui guida suprema é l’ayatollah Ali Khamenei che, in quanto tale, è il capo degli eserciti. Al contrario un’altra parte del clero cerca sempre più di prendere le distanze da coloro che considera come una banda di canaglie che hanno preso le redini del potere. All’inizio di gennaio, un influente dignitario religioso conservatore, Ahmad Janati, ha chiamato i servizi segreti a punire i «corrotti sulla terra», un’accusa passibile di pena di morte. Pena di morte che sembra venga già applicata visto che Ali Moussavi, membro della famiglia di Mir Hossein Moussavi, principale oppositore al regime sul posto, è stato assassinato dalle milizie bassidji.

Per conoscere la vera natura dell’opposizione, occorre ascoltare il suo capofila: «Io credo che sia necessario sottolineare che noi abbiamo, all’interno del movimento verde, un’identità islamica e nazionale e siamo contro qualunque dominazione straniera» (Jeune Afrique del 2 gennaio). In poche parole è detto tutto! Di fronte alla fazione corrotta e sanguinaria di Ahmadinedjad, noi troviamo delle persone che gli sono simili come delle gocce d’acqua! Anche loro sono chiaramente per una repubblica islamica e per il proseguimento della fabbricazione della bomba atomica iraniana. Tutte queste persone si somigliano perché difendono tutte i loro propri interessi nazionalisti e personali! E’ per questo e soltanto per questo «che una buona parte del clero condanna la repressione. Anche se i mullah si sono eclissati davanti ai guardiani della rivoluzione, il regime non può ignorarli senza corre qualche pericolo. Può un regime teocratico fare a meno della legittimità religiosa? Moussavi che l’ha compreso va spesso nella città santa di Qom. Un’occasione per avvicinarsi al più celebre rappresentante ayatollah d’Irak, Ali Sistani, molto popolare in Iran.» (Contre info, giugno 2009).

La classe operaia in Iran ha tutto da perdere seguendo un campo o l’altro campo

La borghesia iraniana e il suo clero si frantumano. Una guerra senza pietà si sviluppa al loro interno per il potere. Le ragioni sono semplici, la crisi economica devasta il paese. La miseria e la collera si diffondono come una cortina di fumo. L’instabilità e la corruzione guadagnano tutti i livelli delle classi dominanti iraniane, religiose e civili. La torta da dividere si restringe a vista d’occhio mentre la piazza rumoreggia! Hussein Moussavi cerca di canalizzare la collera della classe operaia e della popolazione dietro i propri interessi popolari e di cricca. Ahmadinejdad e la parte del clero che lo sostiene, da parte loro, sono spinti in una fuga in avanti che si accompagna sempre più ad una repressione sanguinosa e a delle provocazioni verbali. In questo paese devastato dalla crisi economica e dalla senilità della sua borghesia, la classe operaia non può che sviluppare ancor più la sua combattività e la sua collera. Ma non deve in nessun caso farlo sostenendo una cricca borghese piuttosto che un’altra, o una frazione religiosa in lotta contro un’altra. Su questo cammino infatti gli operai incontreranno soltanto sconfitte e morte.

Tino (27 gennaio)



[1] Inizio dell’anno musulmano.

Geografiche: