Inviato da RivoluzioneInte... il
Il 14 aprile scorso si è tenuto a Milano un “convegno contro l’aggressione imperialista nel Medio Oriente” organizzato dal “Comitato di lotta internazionalista (…) nato agli inizi del 2005 come sforzo unitario di alcuni compagni e gruppi politici di Milano, Torino, Genova, La Spezia, Pavia, Roma, con lo scopo di agire nel movimento reale, nelle lotte sociali e di classe su un terreno conseguentemente anticapitalista che, necessariamente, per esserlo, deve esercitare la sua politica in un fronte internazionale e con posizioni internazionaliste”. (1)
Pur sapendo che avrebbe attirato un insieme eterogeneo e frastagliato di componenti politiche, noi abbiamo aderito con convinzione a questa iniziativa riconoscendo in essa un momento di una dinamica ben più ampia, di dimensione internazionale, che vede sorgere una nuova generazione di elementi politicizzati alla ricerca di una strada da percorrere per uscire dall’inferno di questa società. In particolare abbiamo colto, nella lettera di invito al convegno, diversi spunti interessanti. Tra gli altri ce ne sono due che vogliamo riprendere. Il primo, in cui si afferma che:
“La necessità di confrontarsi nel reale scontro politico e di classe, ci spinge ad accelerare ogni iniziativa per andare ad un lavoro comune con forze ed individui che hanno, come noi, l’obiettivo di sviluppare un movimento politico internazionalista partendo altresì dall’approfondimento delle questioni teoriche alla luce del "laboratorio politico” espresso dal movimento dei lavoratori, senza settarismi, ma su alcune discriminanti e coordinate del marxismo.” (2),
costituisce un ottimo biglietto da visita nella misura in cui, come si evince dai passaggi da noi sottolineati, si parla della necessità di unificare le forze che si pongono su un piano internazionalista ma sulla base di un approfondimento delle questioni teoriche che sia fatto senza settarismi ma a partire dal marxismo.
Nel secondo passaggio si dice invece che:
“Molto tempo è passato dai tempi della funzione progressista e rivoluzionaria della borghesia lodata da Marx dalle pagine del Manifesto del 1848: oggi, le borghesie di questi Paesi dominati e/o controllati dall'imperialismo non giocano più un ruolo contro di esso per uno sviluppo unificante del mercato. La rivoluzione democratica d'Area può fondarsi solo sul ruolo autonomo del proletariato e le masse dei contadini poveri contro gli imperialismi e le varie borghesie che sono al governo nei Paesi del Medio Oriente o, come altri compagni sostengono, all’ordine del giorno vi può essere solo la rivoluzione socialista tout court. Queste due opzioni presenti nel nostro movimento, sono strategicamente diverse e come tali è di estrema importanza la loro soluzione politica per l'azione rivoluzionaria.” (3)
Nella nostra lettera di adesione al convegno, a cui abbiamo allegato un contributo sulla questione mediorientale (4), abbiamo dichiarato che eravamo “interessati ad avere una presenza e a partecipare alla discussione da voi promossa. In particolare saremo interessati a ricevere il materiale dei vari aderenti all’iniziativa e vi chiediamo se avete previsto uno spazio dove sia possibile esprimere dei commenti ai singoli contributi anche prima della data del 14 aprile, (o anche dopo) e in che forma. Vi chiediamo questo perché la questione della comprensione della natura e del ruolo dell’imperialismo nell’epoca attuale è di fondamentale importanza per comprendere il ruolo dei comunisti oggi e, se è vero, come appare dalla vostra stessa lettera di invito, che su questo ci sono diverse vedute nella vostra stessa associazione, tanto più c’è da attendersi, e non ce ne meravigliamo, una eterogeneità di vedute tra i partecipanti al convegno.”
La finalità di questo convegno poteva e doveva essere dunque l’analisi delle due opzioni, tanto più necessaria in quanto, come diceva la stessa lettera di invito, portavano a due strategie opposte. E in effetti nella mattinata gli interventi di vari partecipanti - tra cui il nostro - oltre ad esprimere le diverse analisi, hanno fatto presente la necessità di chiarimento su molte questioni. La funzione di un convegno dovrebbe essere questa, l’approfondimento delle analisi sulle questioni in oggetto, la richiesta reciproca di spiegazioni perché non sempre tutto è chiaro, la dimostrazione di un certo percorso. Non può essere invece la pura e semplice propaganda delle proprie posizioni, perché questo porterebbe non alla discussione ma all’ascolto fideistico, al mancato approfondimento, alla conoscenza superficiale delle questioni, all’attivismo puro e semplice. Il proletariato a livello mondiale, oggi più che mai, si trova in una fase cruciale, una fase di ripresa della lotta di classe e di crescita delle sue organizzazioni. È necessario quindi che i comunisti non improvvisino il percorso da scegliere o ricadano nelle trappole ideologiche della borghesia, è necessario rifarsi alle analisi politiche delle sue minoranze storiche e questo richiede una attenta riflessione, un confronto, un vaglio delle differenti prospettive.
Tutto questo è stato sottovalutato da molti partecipanti al convegno nella seconda parte della discussione, quella del pomeriggio. Ma più che una sottovalutazione si è trattato di una vera battaglia di tutto un settore politico che era presente al convegno e che era convinto che “agire subito” fosse l’essenziale, che credeva di perdere il treno della rivoluzione se non “si faceva qualcosa”, senza pensare che salire sul primo treno in partenza senza guardare in che direzione va fa correre addirittura il rischio di allontanarsi ancora di più dalla meta. Tutte le preoccupazioni di questi compagni sul fatto che il 1° di maggio si dovesse creare il cosiddetto spezzone rivoluzionario partiva dal principio implicito che gli altri 100.000 lavoratori, precari o disoccupati, presenti al corteo non avessero nulla da dire. La fissazione di fare a tutti i costi un volantino con le firme delle varie organizzazioni e sigle, che nelle intenzioni di questa componente del convegno avrebbe dovuto dare una impressione di unità e forza alla classe, prescinde completamente dal fatto che l’unità della classe operaia si compie attraverso un processo di presa di coscienza collettiva dei proletari sui problemi che gli stanno di fronte. Di conseguenza un volantino frutto di una serie di compromessi politici “per fare numero” e che non sia l’espressione di una reale convergenza politica basata su un confronto serio, non può che disorientare e demoralizzare ancora di più la classe operaia.
Passato il 1° di maggio questo cosiddetto spezzone di partito, eludendo la richiesta di approfondimento politico che proveniva dalla richiesta iniziale del convegno, ha cercato altri “appuntamenti” dove manifestare la sua forza, quali la manifestazione a Novara contro la costruzione di un nuovo aereo militare da parte della borghesia italiana, la manifestazione a Roma contro l’arrivo di Bush, ecc.
Le basi di questo “movimento”, che va alla ricerca di appuntamenti “per fare qualcosa”, a parte la correttezza o meno delle sue analisi politiche, poggiano sulla sabbia. E non è un caso che, leggendo le lettere della mail-list proletari_nowar nata dopo il convegno di Milano, si noti la sorpresa più che legittima di un iscritto sull’utilità di queste manifestazioni e sulla loro inconsistenza. “Di fronte al miserando esito della manifestazione del 19 maggio, invito i compagni del coordinamento proletario no war a non prendere lucciole per lanterne, mettendosi al rimorchio di iniziative promosse da organismi, molto bravi a suonare la gran cassa per mascherare la propria inconsistenza politica e sociale. La forza di questi organismi risiede solo nel loro rapporto con settori della borghesia, un rapporto mal celato dai cosiddetti sinistri «radicali», pronti a quei compromessi deteriori che aprono la via a pericolose derive moderate”.
Interventi come questi devono sempre più farsi avanti, prendere coraggio, proprio per aiutare quegli elementi che, spesso in tutta buona fede, vanno in direzione opposta, alla ricerca della chimera della occasione buona per dare la spallata decisiva, come quel compagno che, rispetto alla manifestazione del 9 giugno a Roma contro la visita di Bush, diceva: “Mi sembra che al corteo Campo Antimperialista e Carc siano stati gli unici a sottolineare il ruolo di Hamas ed Hezbollah nella resistenza all’imperialismo e al sionismo.” Quando non si discute fino in fondo, quando si evita il confronto e si cerca l’aggregazione per l’aggregazione, si finisce, in nome dell’iniziativa da portare avanti ad occhi chiusi, per lasciar passare come antimperialisti proprio i massacratori di proletari: dobbiamo ricordare noi quanto sta facendo in questi giorni Hamas in Cisgiordania contro altri palestinesi? Ritornando al convegno, alle due opzioni espresse, ricordiamoci che esse “sono strategicamente diverse e come tali è di estrema importanza la loro soluzione politica per l’azione rivoluzionaria.” Riprendere la discussione è necessario non per rincorrere il presidente americano di turno per le strade di Roma, ma per gettare le basi di un forte movimento proletario contro tutti i presidenti di tutte le borghesie di tutto il mondo.
Oblomov
1. Dalla lettera di invito di questo comitato, che si può contattare attraverso la mail: [email protected].
2. idem, sottolineature nostre.
3. idem, sottolineature nostre.
3. “Guerra in Libano, in Medio Oriente, in Iraq. Esiste un’alternativa alla barbarie capitalista?”, estratto dalla Rivista Internazionale n° 28 e pubblicato anche sulla pagina italiana del nostro sito it.internationalism.org.