Inviato da RivoluzioneInte... il
Dal 10 gennaio scorso, la Guinea conosce una situazione sociale esplosiva caratterizzata da un movimento di scioperi senza precedenti, dopo anni di scioperi che si susseguono a ripetizione. La classe operaia di Conakry, seguita da quella di numerose grandi città, come Kankan, e sostenuta dall’insieme della popolazione, si è lanciata in un movimento di protesta che esprime una gigantesca rabbia. In questo paese, sottomesso al pugno di ferro del presidente-generale Lansana Conté, successore del pro-stalinista Seku Ture, la popolazione vive una situazione di miseria fenomenale ed irrimediabilmente crescente. Dal 1995 i prezzi al consumo aumentano del 30% all’anno. La deliberata politica inflazionistica fatta dal governo ha gettato la Guinea in una miseria ogni giorno più insopportabile. Tra il 2001 ed il 2007 il franco della Guinea ha subito una svalutazione enorme: da 2000 FG per dollaro nel 2001 si è passati a 6000 FG per dollaro nel 2007. Una persona su due vive con meno di un dollaro al giorno, il salario annuale di un operaio è meno di 20 dollari (cioè 120.000 FG) quando un sacco di riso, alimento di base della popolazione, costava 150.000 FG all’inizio di gennaio per passare a 250.000 FG dopo lo sciopero del 10. Stremati da uno sfruttamento senza freni e sottomessi alla brutale repressione poliziesca e militare dagli uomini di Lansana Conté, gli operai della Guinea si sono lanciati con tutte le loro forze nella lotta per reclamare l’abbassamento del prezzo del riso ed aumenti salariali. Già l’anno scorso, quando ci furono degli scioperi in giugno, Conarky era stata teatro di scontri violenti tra studenti in sciopero e le forze dell’ordine che fecero più di trenta morti. Ma la repressione non ha fatto abbassare le braccia agli scioperanti, al contrario ha rafforzato la loro determinazione. Come diceva un manifesto “siamo già morti, dunque non abbiamo più niente da perdere”. Quanto alla ripresa del lavoro, si sentiva dire “Quale lavoro?. Non ce n’è. E quelli che hanno un salario non possono neanche comprare un sacco di riso” (riportato da Jeune Afrique). Di fronte a questa determinazione, a questo oltranzismo espressi dalla popolazione e dagli operai, i sindacati si sono imposti come leader del movimento al fine di snaturarlo. Ed infatti l’intersindacale, con a capo l’Unione generale dei lavoratori di Guinea (USTG), si è premunita di aggiungere alle rivendicazioni sui salari e sul prezzo del riso della dichiarazione di sciopero del 10 gennaio, il ritorno in prigione del “padrone dei padroni della Guinea”, Mamadu Sylla accusato di imbrogli di ogni genere, ma sostenuto dal presidente-generale. Questo focalizzare sulla corruzione nel governo (che è assolutamente reale) ha permesso in un secondo tempo ai sindacati di porre come condizione per la fine allo sciopero non più le rivendicazioni operaie iniziali, ma la nomina di un nuovo primo ministro. Di fronte allo sviluppo importante del movimento che aveva portato al blocco di ogni traffico di merci nel porto di Conakry, tranne il riso e lo zucchero, l’intersindacale poteva in questo modo far cessare lo sciopero il 28 gennaio, laddove la repressione ed i suoi 60 morti avevano invece rafforzato la determinazione degli scioperanti.
Il 9 febbraio, dopo 12 giorni di larvata tregua, Lansana Conté, senza aver rispettato nessuno degli impegni sulle rivendicazioni salariali, né sul pagamento delle giornate di sciopero, nomina Eugene Samara, uno dei suoi, generando una fiammata di collera nella popolazione, una ripresa dello sciopero ed una nuova ondata di repressione da parte dello Stato installatosi il 12.
In questa situazione i sindacati hanno avuto buon gioco a focalizzare ancora di più l’attenzione sulla questione del governo e della presidenza, chiamando alla cacciata di Lansana Conté le cui forze dell’ordine, appoggiate dalle truppe liberiane e della Guinea-Bissau, facevano più di 50 morti a Conakry, ma anche in altre città guadagnate dal movimento e dove i simboli del potere vengono sistematicamente attaccati: Coyah, Maferinya, Boké, Dalaba, Labé, Pita, Siguiri, N’zérékoré, etc.
Attualmente la Guinea vede una crisi politica che si intensifica giorno dopo giorno. Segno dei tempi, il 24 febbraio, il parlamento, pur succube del presidente, ha rifiutato di proclamare lo stato d’assedio. La stampa locale ed internazionale parla sempre più chiaramente di un putsch militare in preparazione e, in questa situazione di fine regno quasi annunciato, la Francia è assai inquieta per aver inviato la “Scirocco”, un cargo militare, nel golfo di Guinea per evacuare i suoi cittadini mentre Chirac preconizza l’intervento delle truppe francesi presenti nella regione. La Guinea è stata al centro dell’ultimo summit franco-africano a Cannes. La Cedevo (Comunità economica degli stati africani dell’ovest), la UA (Unione africana) e l’ONU continuano a lanciare messaggi alla calma ed al regolamento “pacifico” di un conflitto che rischia di destabilizzare tutta la regione. Benché questa preoccupazione sia reale da parte delle borghesie della regione e del mondo, esse amerebbero soprattutto veder finire questo sciopero che paralizza il trasporto della bauxite di cui la Guinea è il primo esportatore mondiale.
Gli operai della Guinea devono sapere che se le fate buone del capitalismo si preoccupano della sorte di questo movimento, non è affatto perché questo riesca ad affermare le proprie rivendicazioni. Se Lansana Conté verrà destituito, come sembra delinearsi, la loro situazione di miseria non migliorerà certo, ma i sindacati stanno facendo di tutto per fargli credere che la prospettiva di un “nuovo governo” è la soluzione ai propri mali e per far ingoiare così la pillola della ripresa del lavoro, senza aver nulla ottenuto…. se non delle promesse per il futuro.
Tuttavia, al di là della necessità per la classe operaia in Guinea, come dappertutto nel mondo, di saper opporsi a questi falsi amici che sono i sindacati ed a lottare al di fuori e contro essi, è certo che l’isolamento degli operai ed il bombardamento ideologico al quale sono sottoposti, rendono difficile lo sviluppo della lotta sul proprio terreno. Per questo è necessario che il proletariato dei paesi sviluppati del capitalismo, là dove esso è più concentrato e forte, faccia da catalizzatore della coscienza e delle espressioni autonome della lotta operaia.
Mulan, 24-2-2007 (Da Révolution Intenrationale n. 377)