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1. Perché ritornare ad una critica delle posizioni di Cervetto?
Da qualche tempo molti compagni ci scrivono per chiederci cosa pensiamo di Lotta Comunista (LC), quali sono le nostre critiche o ancora come mai la consideriamo un gruppo controrivoluzionario visto che questa “si richiama alla Sinistra Comunista”, “difende le posizioni di Lenin” e “mostra un rigore politico non indifferente”. Si tratta in genere o di compagni simpatizzanti di Lotta Comunista che, pur criticandone degli aspetti, considerano tuttavia questo gruppo come un punto di riferimento o ancora di suoi ex militanti che, pur essendo usciti da LC con divergenze anche importanti sia sul piano organizzativo che di analisi, continuano a fare riferimento alle posizioni storiche di LC, cioè a quelle del suo fondatore, Arrigo Cervetto. Che questa necessità di capire se LC risponde o no alle esigenze della lotta di classe emerga in questo momento, non ci sembra strano. Tutto quello che sta succedendo nel mondo, l’accelerazione storica che stiamo vivendo a tutti i livelli (blocchi imperialisti che scompaiono, pezzi interi di economia che crollano, scontri imperialisti incessanti e devastanti, miseria e precarietà dilagante nel cuore del capitalismo, ecc.), non solo fanno aumentare il disgusto per questa società, ma anche la necessità di avere una chiarezza su tutto questo per capire quale può essere la risposta, in che direzione muoversi. Chiarezza e risposte che, a nostro avviso, non possono venire da un gruppo che in sostanza dice che nulla è cambiato da cento anni a questa parte, e che si limita a fare studi sulla componentistica di questo o quel settore produttivo o a riproporre una visione economicista del mondo, mentre continua la nefasta politica di sostegno (“critico”) al sindacato, una delle più subdole armi della borghesia contro i lavoratori. Questa incapacità di LC a dare una risposta ai problemi che oggi la classe ha di fronte non dipende da un suo venir meno alle posizioni ed alla politica originaria di Cervetto, ma proprio da queste posizioni e da questo metodo che non sono mai stati della Sinistra comunista e nei fatti, come vedremo, neanche dello stesso Lenin.
L’azione politica di LC non si limita però a essere inefficiente per la classe operaia. Proprio perché questo gruppo si fa passare come continuità della tradizione storica del movimento operaio, mentre ne deforma i contenuti e gli insegnamenti, costituisce un ostacolo a quel processo di maturazione politica della classe ed in particolare della nuova generazione di elementi alla ricerca di una prospettiva di classe. Come diceva Lenin nel Che fare? criticando il socialdemocratico Kricevski, uno dei difensori dell’economicismo di Bernstein “… si può immaginare cosa più superficiale di un giudizio su tutta una tendenza basato su ciò che dicono di se stessi coloro che la rappresentano?”.
Per questi motivi riteniamo importante sviluppare, a partire da questo articolo, una critica di fondo di LC che parta dalle origini, cioè dal metodo e dalle posizioni di Cervetto, cogliendone gli aspetti essenziali: costruzione del partito, coscienza di classe, rapporto partito-classe, sindacato. I testi cui faremo principalmente riferimento nella discussione sono i due testi di base di Cervetto “Lotte di classe e partito rivoluzionario” (del 1966) e “Tesi sullo sviluppo imperialistico, durata della fase controrivoluzionaria e sviluppo del partito di classe” (del 1957).
In questo primo articolo vedremo quale partito secondo Cervetto bisogna costruire.
2. Quale partito per la rivoluzione comunista mondiale?
L’opuscolo “Lotte di classe e partito rivoluzionario” si propone, come dice lo stesso Cervetto nella prefazione, “di mettere in chiaro le linee fondamentali della concezione leninista del partito”. La stessa prefazione si conclude con l’affermazione che “La necessità di affrontare il problema del partito rivoluzionario studiando seriamente Lenin è oggi più che mai attuale. La costruzione del partito leninista in Italia incontra sul suo cammino questo passo obbligato” (sottolineato da noi). Questo breve passaggio sulla “costruzione del partito leninista in Italia” è tutto un programma. Infatti, nella misura in cui nell’opera di Cervetto (e di LC dell’epoca) non troviamo riferimenti a processi di costruzione dell’avanguardia in altri paesi del mondo, ci viene da chiederci: perché proprio (e solo) in Italia? Possibile che la costruzione del partito che dovrà guidare la rivoluzione mondiale, della classe operaia mondiale, debba nascere proprio e solo in Italia? Ma vediamo meglio da dove viene fuori questa posizione più volte reiterata da Cervetto e mai smentita da LC. Cervetto spiega, nelle sue Tesi del ’57, che “Dato l’attuale livello del mercato mondiale, per cui vastissime zone sono ancora nella prima fase di costruzione del capitalismo (stiamo parlando del ’57, ndr), non si pone ancora concretamente il problema rivoluzionario dell’avvento dell’economia socialista su scala internazionale. (…) Affinché queste condizioni si presentino concretamente occorre che il settore ad economia arretrata (cioè i 2/3 del mondo secondo Cervetto, ndr) superi tutto il primo stadio dell’industrializzazione. (…) Praticamente il problema della rivoluzione socialista su scala internazionale si presenterà all’ordine del giorno solo quando lo sviluppo economico delle zone arretrate sarà giunto al punto da raggiungere una certa autosufficienza e da non poter più assorbire l’importazione di merci e di capitali provenienti dalle potenze imperialiste”. “E’ quindi nel quadro di una valutazione d’ordine internazionale che la Sinistra Comunista deve delineare una propria azione politica” e dove? In Italia naturalmente, visto che “il programma di azione della Sinistra Comunista” sta essenzialmente in tre punti: analizzare la situazione italiana da cui deriva “la tattica verso il PCI” (1) di “lotta contro la direzione del PCI”; “organizzare una propria corrente sindacale nella CGIL” conducendo “trattative con i compagni anarchici”; “organizzare su scala nazionale tutta una serie di gruppi che dalla base locale si coordinino provincialmente e regionalmente sino a formare comitati provinciali e regionali collegati strettamente con il Centro”.
Tralasciamo la critica alla megalomania di chi identifica la Sinistra Comunista al proprio gruppo se non alla propria persona, quando il movimento operaio con questo termine ha sempre inteso l’insieme delle correnti e dei gruppi usciti dalla III Internazionale, che hanno mantenuto saldi i principi ed il metodo marxista contro la degenerazione o il tradimento dei vecchi partiti operai.
La questione centrale è che, dietro la montagna di parole su metodo leninista, analisi scientifica, scienza della rivoluzione, ecc., c’è una assenza totale di metodo marxista e di visione storica. E’ sorprendente come nei testi di Cervetto non ci sia mai un benché minimo riferimento a come si è posta la questione del partito nel movimento operaio ed a quali sono state le risposte date nelle diverse fasi storiche. Se si vuole usare il metodo marxista, come lo stesso Lenin ha fatto, non si può affrontare la questione del partito se non situandola nel contesto economico e sociale della fase storica in cui ci si trova e facendo riferimento all’esperienza del movimento operaio maturata nelle differenti tappe della lotta di classe. Se il partito è un fattore indispensabile per lo sviluppo rivoluzionario della classe, esso è al tempo stesso un’espressione dello stato reale di questa ad un momento dato della sua storia e delle condizioni oggettive esistenti.
Ora, presentare il capitalismo della fine degli anni 60 come un sistema che deve ancora sviluppare a pieno le proprie potenzialità per cui non sarebbe all’ordine del giorno il suo abbattimento, manifesta una completa incomprensione di cosa è il capitalismo. L’estensione del modo di produzione capitalista a livello globale non è sinonimo di industrializzazione di ogni singolo angolo della terra, ma significa che i meccanismi di produzione e di distribuzione delle merci ed i rapporti di produzione che ne derivano governano l’intera economia mondiale. Ma soprattutto lo sviluppo del capitalismo non può avvenire in maniera omogenea perché il modo di produzione capitalista si basa sulla concorrenza. Questo comporta che, ad un certo stadio del suo sviluppo, quando iniziano a venir meno in maniera consistente i mercati dove il plusvalore inglobato nelle merci deve essere realizzato per poter essere reinvestito in nuovi cicli produttivi, lo sviluppo dei capitali nazionali più forti può avvenire solo a scapito di quelli più deboli. Affermare, come fa LC ancora nel 1995 che “Se a cavallo degli anni ’60 circa i due terzi della popolazione del mondo erano immersi nell’arretratezza, oggi si può stimare che quella condizione riguardi circa un terzo dell’umanità”, significa scambiare il crollo economico di interi paesi (dall’ex Unione sovietica, alle famose “tigri asiatiche” e per ultima l’Argentina), lo smantellamento di intere aree industriali dei paesi avanzati, l’incapacità crescente di integrare nel ciclo produttivo parti significative della forza lavoro - tutti effetti della senilità del capitalismo derivanti dalla sua crisi storica - per manifestazioni di crescita adolescenziale (2).
Tornando dunque all’impostazione di Cervetto va detto che questa è clamorosamente sbagliata su due diversi piani. Sia perché un partito costruito su base nazionale, oggi come oggi, non sarebbe più in grado di rispondere alle esigenze politiche del momento, sia perché l’aspirazione alla dimensione internazionale nel lavoro dei rivoluzionari è stato presente sin dagli albori del movimento operaio. Vediamo cosa ci insegna la storia della nostra classe.
Nel 1848 si costituisce la Lega dei Comunisti, primo vero partito del proletariato moderno, sulla base della parola d’ordine “Proletari di tutti i paesi, unitevi. I proletari non hanno patria” che proclama la sua natura di organizzazione internazionale. Nel 1864 nasce l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la I Internazionale che, fondata a partire dall’iniziativa degli operai della Francia e dell’Inghilterra, raggruppa migliaia di lavoratori dei paesi industrializzati o in via di sviluppo, dall’America alla Russia. Benché il proletariato fosse in piena fase di sviluppo, così come il capitalismo, le due organizzazioni politiche della classe, anche se originatesi in paesi specifici, si pongono immediatamente sul piano internazionale perché, come spiega chiaramente già “Il Manifesto”, l’internazionalismo è non solo una possibilità per la classe operaia, che non ha nessun interesse nazionale da difendere, ma è una necessità che le impone la natura del suo compito rivoluzionario. E tutta la lotta condotta da Marx e dal Consiglio Generale all’interno della I Internazionale contro la visione federalista degli anarchici ha alla base questa comprensione di fondo.
La II Internazionale nasce nel 1889, nella fase di pieno sviluppo del capitalismo in cui il riformismo assume un peso preponderante perché il proletariato può effettivamente lottare per ottenere dei miglioramenti reali e duraturi delle sue condizioni di vita e di lavoro. In questa situazione l’Internazionale è essenzialmente una federazione di partiti nazionali che lottano nei rispettivi paesi con programmi diversi (sul piano del parlamentarismo, del sindacalismo, delle riforme sociali, ecc). La possibilità di una politica per le riforme non solo determina il tipo di organizzazione politica della classe (partiti di massa), ma effettivamente restringe l’orizzonte della lotta proletaria nel quadro nazionale. Eppure anche nella II Internazionale una minoranza, tra cui R. Luxemburg, si batte perché le decisioni prese dai congressi di questa siano applicate dai differenti partiti nei rispettivi paesi.
Come sin dall’inizio del movimento operaio, la prospettiva internazionale è stata sempre presente nelle diverse organizzazioni politiche della classe, ma date le condizioni oggettive di sviluppo del capitalismo e di crescita numerica, politica e sociale del proletariato, in questa fase era possibile e necessaria la formazione di partiti di massa che agissero a livello nazionale per favorire questa crescita perché le battaglie per la giornata lavorativa di 10 ore, per il voto, per il sindacato, i proletari le facevano scontrandosi contro la propria borghesia nazionale.
La prima guerra mondiale del 1914 e l’esplosione della prima ondata internazionale rivoluzionaria il cui punto più alto è la rivoluzione proletaria in Russia nel ’17, mostrano il cambiamento di fase storica avvenuto nello sviluppo del capitalismo: il sistema di produzione capitalistico entra nella sua fase di decadenza e si apre l’epoca delle guerre e delle rivoluzioni nella quale si pone l’alternativa comunismo o barbarie. La III Internazionale (1919), costituitasi intorno alle Frazioni ed alle minoranze di sinistra uscite dalla II Internazionale, tra le quali quella bolscevica, sulla base della comprensione che “Una nuova epoca è nata. Epoca di disgregazione del capitalismo, del suo crollo interno. Epoca della rivoluzione comunista” (1° Congresso), riafferma con fermezza l’internazionalismo proletario concependosi non come federazione di partiti nazionali, ma direttamente come organizzazione politica internazionale del proletariato. E proprio Lenin, all’interno dell’IC, si batterà contro le “particolarità” di alcuni partiti che servivano da paravento per il loro opportunismo e difenderà di fronte a R. Luxemburg la necessità di formare un partito mondiale prima ancora che si consolidassero, o si formassero, in ogni paese i partiti comunisti. Se Lenin, nonostante le difficoltà che il passaggio di epoca storica rappresentava per le avanguardie rivoluzionarie dell’epoca, è stato capace di portare tutta una battaglia, all’interno della socialdemocrazia russa prima e nell’IC dopo, per la costruzione di un partito internazionale e centralizzato, che potesse parlare con una sola voce a tutti i proletari del mondo e dare loro delle indicazioni politiche chiare, è perché Lenin è partito sempre da un’analisi storica e dagli interessi generali e storici del proletariato come classe, rifacendosi di continuo a quanto il movimento operaio aveva espresso e stava esprimendo.
E’ a partire da questi insegnamenti, difesi durante la fase controrivoluzionaria del secondo dopoguerra da esigue minoranze rivoluzionarie, quali Bilan ed Internazionalisme (3), che la nostra organizzazione si è costituita nel 1975 direttamente sul piano internazionale, operando un lavoro di confronto e raggruppamento tra i diversi gruppi e nuclei di compagni sorti in Francia, Gran Bretagna, Italia, USA e Spagna in seguito all’ondata di lotta internazionale della fine degli anni ‘60. Se oggi la CCI è presente in 13 paesi del mondo ed è capace di intervenire simultaneamente verso i proletari di questi paesi e ovunque le sia possibile arrivare, è perché parte dalla convinzione che il quadro internazionale è il punto di partenza per l’attività nazionale piuttosto che un risultato di questa ed a tale scopo si è dotata sin dall’inizio di un organo centrale internazionale che le permette di centralizzare la sua attività e parlare con una sola voce ovunque ed in qualsiasi momento.
Con questo primo articolo abbiamo visto come la visione del partito difesa da Cervetto prescinda completamente dalla dimensione internazionale di questo e, limitandone il concetto al quadro nazionale, si fa debitrice di una visione ottocentesca del partito inadeguata alle esigenze dello scontro rivoluzionario. Ma c’è di più. Come vedremo nel prossimo articolo, il tipo di partito che propone Cervetto, per la sua impostazione e la sua pratica, non solo è inadeguato ai tempi che viviamo, ma è l’espressione di un partito borghese.
Eva 1 dicembre 2005
1. Partito Comunista Italiano, vecchio partito stalinista dalla cui dissoluzione sono nati: Rifondazione Comunista di Bertinotti, i Democratici di Sinistra di Fassino e il Partito dei comunisti italiani di Cossutta e Diliberto.
2. Per l’analisi sulle diverse fasi storiche del capitalismo e sulle conseguenze politiche da esse derivanti, vedi il nostro opuscolo “La decadenza del capitalismo”. Numerosi articoli sulle manifestazioni della crisi economica del capitalismo si trovano sul nostro sito internet in diverse lingue.
3. I compagni della Frazione di Sinistra del PCI in Francia che pubblicavano la rivista “Bilan” e quelli di Internationalisme seppero custodire e sviluppare il patrimonio politico dei vecchi partiti rivoluzionari permettendo alla futura generazione di legarsi a questo filo rosso.