Il '900: il secolo più barbaro della storia

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La borghesia ha celebrato il 2000 a modo suo: con grandi feste e decantando le meraviglie che ha apportato all’umanità il secolo che si è chiuso. Essa non ha mancato di sottolineare i formidabili progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnica nel corso di questo secolo e di affermare che il mondo oggi si è dato i mezzi per dividerne i frutti tra tutti gli altri esseri umani. A fianco a questi grandi discorsi euforici abbiamo sentito, ma con minore forza, coloro che sottolineavano le tragedie che hanno colpito il ventesimo secolo o che si preoccupavano delle prospettive future, sottolineando che queste ultime non sembrano particolarmente rosee, che ci sono ancora crisi economiche, fame, guerre, problemi ecologici. Tutti questi discorsi, però, convergono su un punto: non c’è altra società possibile che questa, anche se, per gli uni, bisogna avere fiducia nelle “leggi del mercato”, mentre per gli altri è necessario ammorbidirle e mettere in opera una “vera cooperazione internazionale”.

Tocca ai rivoluzionari, ai comunisti, opporre alle menzogne ed ai discorsi consolatori dei difensori del sistema capitalista il bilancio lucido del secolo che si è chiuso e, a partire da ciò, delineare le prospettive di quello che nel prossimo futuro tocca all’umanità. Questa lucidità non è il frutto di un’intelligenza particolare. Essa risulta dal semplice fatto che il proletariato, di cui i comunisti sono espressione e avanguardia, è la sola classe che non ha bisogno di consolazione, né di mascherare all’insieme della società la realtà dei fatti e le prospettive del mondo attuale, per la semplice ragione che esso è la sola forza capace di cambiare questa prospettiva, non a suo solo beneficio ma a beneficio dell’insieme dell’umanità.

Il carattere mitigato dei giudizi espressi sul 20° secolo da parte dei differenti difensori dell’ordine borghese contrasta con l’unanime entusiasmo che fu la regola quando fu celebrato il 1900. In quest’epoca la classe dominante era talmente sicura della solidità del proprio sistema, sicura che il modo di produzione capitalista fosse capace di apportare dei benefici sempre maggiori alla specie umana che questa illusione aveva cominciato a produrre dei danni importanti all’interno dello stesso movimento operaio. Era l’epoca in cui rivoluzionari come Rosa Luxemburg combattevano nel proprio partito, la Socialdemocrazia tedesca, le idee di Bernstein e compagni che rimettevano in causa il “catastrofismo” della teoria marxista. Queste concezioni “revisioniste” ritenevano che il capitalismo fosse capace di superare definitivamente le sue contraddizioni, in particolare quelle economiche; che esso si incamminasse verso un’armonia ed una prosperità crescenti e che, di conseguenza, l’obiettivo del movimento operaio non potesse consistere nel rovesciamento di questo sistema, ma nel fare pressione dall’interno per trasformarlo a favore della classe operaia. E se, all’interno del movimento operaio organizzato, le illusioni sui progressi illimitati del capitalismo avevano un certo peso, era proprio perché questo sistema aveva dato durante tutto l’ultimo terzo del 19° secolo l’immagine di un vigore e di una prosperità senza precedenti, mentre le guerre che avevano lacerato l’Europa ed altre parti del mondo fino al 1871 sembravano ormai riposte nel museo dell’antichità.

La barbarie del 20° secolo

Evidentemente, il trionfalismo e la buona coscienza che si esprimevano nel 1900 da parte della borghesia oggi non sono più di moda. Infatti, gli stessi apologeti più accaniti del modo di produzione capitalista sono obbligati a riconoscere che il secolo che si è concluso è stato uno dei più sinistri della storia umana. Ed è proprio vero che il carattere eminentemente tragico del 20° secolo è difficile da mascherare. Basti ricordare che questo secolo ha conosciuto due guerre mondiali, avvenimenti che non si erano mai prodotti prima. Così, il dibattito che si era prodotto all’interno del movimento operaio un centinaio di anni fa si è concluso definitivamente nel 1914:

“Le contraddizioni del regime capitalista si sono trasformate per l’umanità, in seguito alla guerra, in sofferenze sovrumane: fame, freddo, epidemie, barbarie morale. La vecchia disputa accademica dei socialisti sulla teoria dell’impoverimento ed il passaggio progressivo dal capitalismo al socialismo è stata così definitivamente risolta. Gli studiosi di statistica ed i pedanti della teoria della risoluzione delle contraddizioni si sono sforzati per anni a cercare in ogni angolo del mondo, fatti reali o immaginari che permettessero di provare il miglioramento di alcuni gruppi o categorie della classe operaia. La teoria dell’impoverimento era insabbiata sotto i sibili sprezzanti degli eunuchi che occupano le care università borghesi e dai bonzi dell’opportunismo socialista. Oggi, non è solo l’impoverimento sociale, ma anche quello fisiologico, biologico nella sua realtà orrenda che ci si presenta.” (Manifesto dell’Internazionale comunista, 6 marzo 1919).

Ma qualunque sia il vigore con cui i rivoluzionari nel 1919 denunciavano la barbarie generata dal capitalismo con la prima guerra mondiale, essi erano lontani dall’immaginare ciò che sarebbe successivamente accaduto: una crisi economica mondiale senza paragone con quelle che Marx ed i marxisti avevano analizzato fino ad allora e soprattutto una seconda guerra mondiale che avrebbe provocato un numero di vittime cinque volte superiore a quello della prima guerra. Una guerra mondiale che ha superato per barbarie qualsiasi immaginazione umana.

La storia dell’umanità non è certo avara di episodi di crudeltà di ogni tipo, di torture, di massacri, di deportazioni o stermini di popolazioni intere sulla base di differenze di religione, di lingua, di cultura, di razza. Cartagine cancellata dalla carta geografica dalle legioni romane, le invasioni di Attila a metà del 5° secolo, l’esecuzione per ordine di Carlo Magno di 4500 ostaggi sassoni in un solo giorno del 782, le camere di tortura ed i roghi dell’Inquisizione, lo sterminio degli indiani d’America, la tratta di milioni di negri africani tra il 16° ed il 19° secolo; questi non sono che degli esempi che ogni studente può trovare sui propri libri di testo. Ancora possiamo aggiungere che la storia ha conosciuto lunghi periodi particolarmente tragici: la decadenza dell’Impero romano, la guerra dei cent’anni durante il Medio Evo tra la Francia e l’Inghilterra, la guerra dei trent’anni che devastò la Germania nel 17° secolo. Tuttavia, anche se passassimo in rivista tutte le altre calamità di questo tipo che si sono abbattute sugli uomini, saremmo ancora lontani dal trovare l’equivalente di quelle che si sono scatenate nel corso del 20° secolo.

Molte riviste che hanno tentato di fare un bilancio del 20° secolo hanno stabilito una lista di tali calamità. Citiamo qui solo i principali esempi:

  • La prima guerra mondiale:  per dozzine di milioni di uomini tra i 18 ed i 50 anni, mesi ed anni nell’orrore delle trincee, nel fango e nel freddo, in compagnia di topi, di pidocchi, del fetore dei cadaveri e con la paura permanente dei proiettili nemici. Nelle retrovie condizioni di sfruttamento degne di quelle del 19° secolo, carestia, malattie e l’angoscia quotidiana di apprendere la morte di un padre, di un figlio, di un marito o di un fratello. In totale, cinque milioni di rifugiati, dieci milioni di morti, il doppio di feriti di cui moltissimi mutilati e invalidi.
  • La seconda guerra mondiale: lotte permanenti per sei anni ai quattro angoli del pianeta, sotto le bombe ed i proiettili, nella giungla o nel deserto, a 20 gradi sotto zero o col calore torrido; ma peggio ancora, un uso sistematico come ostaggi di popolazioni civili, sotto forma di deportazioni o sottomesse ai bombardamenti o, come se tutto ciò non bastasse, sterminate nei “campi di morte” come è avvenuto per intere popolazioni. Bilancio: 40 milioni di profughi, più di 50 milioni di morti di cui la maggioranza erano civili, altrettanti se non di più di feriti e mutilati; alcuni paesi, come la Polonia, l’URSS o la Jugoslavia, hanno perduto dal 10 al 20% della loro popolazione.

Questo è solo il bilancio umano dei due conflitti mondiali, ma bisognerebbe aggiungervi, durante il periodo che li separa, la terribile guerra civile che la borghesia ha scatenato contro la rivoluzione russa tra il 1918 ed il 1921 (6 milioni di morti), le guerre che annunciavano la seconda carneficina mondiale come quella tra Cina e Giappone, o quella di Spagna (in totale, altrettanti morti) ed i “gulag” stalinisti le cui vittime superano i 10 milioni.

L’assuefazione alla barbarie

Paradossalmente, gli orrori della prima guerra mondiale hanno lasciato un’impressione più profonda di quelli della seconda. Tuttavia, il bilancio umano di quest’ultima è terribilmente più spaventoso di quello della “Grande Guerra”.

Molto stranamente, eccetto in URSS per ragioni comprensibili, il numero molto inferiore di vittime della Prima Guerra mondiale ha lasciato delle tracce più profonde rispetto ai numerosi morti della Seconda, come lo confermano i molteplici memoriali ed i monumenti eretti alla fine della Grande Guerra. La Seconda Guerra mondiale non ha prodotto nessun equivalente di monumenti al “milite ignoto” e, dopo il 1945, la celebrazione del “l’armistizio” (l’anniversario dell’11 novembre 1918) ha perduto poco a poco la sua solennità tra le due guerre. I dieci milioni di morti (…) della Prima Guerra sono stati, per quelli che non avevano mai immaginato un simile sacrificio, uno shock più brutale rispetto ai 54 milioni della Seconda per coloro che avevano già fatto l’esperienza di una guerra-massacro.” (L’epoca degli estremi, Eric J. Hobsbawm)

Di questo fenomeno, questo bravo storico, per altro fortemente accreditato, ci dà una spiegazione: “Il carattere totale degli sforzi di guerra e la determinazione dei due campi a condurre una guerra senza limiti ed a qualsiasi prezzo hanno certamente lasciato il loro segno. Senza di ciò, la brutalità e la disumanità crescenti del 20° secolo non si spiegherebbero. Su questo aumento della barbarie dopo il 1914, non c’è disgraziatamente nessun dubbio. All’alba del 20° secolo, la tortura era stata ufficialmente abolita in tutta l’Europa occidentale. Dal 1945, ci siamo di nuovo abituati, senza meravigliarci, a vederla praticare in almeno un terzo degli Stati membri delle Nazioni Unite, comprese alcune tra le più antiche e civilizzate.” (Ibidem)

Effettivamente, non escludendo i paesi più avanzati, la ripetizione dei massacri e di tutti gli atti di barbarie, di cui il 20° secolo è stato così prolifico, ha provocato una specie di fenomeno di assuefazione. Ed è proprio per questo che gli ideologi borghesi possono presentare come una “era di pace” il periodo che inizia dopo il 1945 e che non ha conosciuto in realtà un solo istante di pace con le sue 150‑200 guerre locali che, in totale, hanno prodotto più morti della seconda guerra mondiale.

Eppure questa realtà non è tenuta nascosta dagli organi di informazione borghesi. Anche oggi, che accadano in Africa, in Medio-Oriente o nella stessa “culla della civiltà”, la vecchia Europa, gli stermini di massa di popolazioni accompagnati dalle più inimmaginabili crudeltà occupano frequentemente la prima pagina dei giornali.

Allo stesso modo, altre calamità che colpiscono l’umanità in questo fine secolo sono regolarmente riportate ed anche denunciate dalla stampa: “Mentre la produzione mondiale dei prodotti alimentari di base rappresenta più del 110% dei bisogni, 30 milioni di persone continuano a morire di fame ogni anno, e più di 800 milioni sono sottoalimentati. Nel 1960, il 20% della popolazione mondiale comprendente la parte più ricca disponeva di un reddito medio 30 volte più elevato di quello del 20% comprendente la parte più povera. Oggi, il reddito dei ricchi è 82 volte più elevato! Sui 6 miliardi di abitanti del pianeta, appena 500 milioni vivono nell’agiatezza, mentre 5,5 miliardi vivono nel bisogno. Il mondo marcia a testa in giù. Le strutture statali come quelle sociali tradizionali sono spazzate via in maniera disastrosa. Un po’ dappertutto, nei pesi del Sud, lo Stato si disgrega. Zone di non diritto, entità caotiche ingovernabili si sviluppano, sfuggono ad ogni legalità, recedono in uno stato di barbarie dove solo dei gruppi di predatori sono in grado di imporre la loro legge taglieggiando le popolazioni. Appaiono pericoli di nuovo tipo: crimini organizzati, circoli mafiosi, speculazioni finanziarie, grande corruzione, estensione di nuove epidemie (Aids, virus Ebola, Creutzfeldt–Jakob, etc), inquinamenti di forte intensità, fanatismi religiosi o etnici, effetto serra, desertificazione, proliferazione nucleare, ecc.” (L’anno 2000, Le Monde diplomatique, dicembre 1999).

Tuttavia, ancora una volta, questo tipo di realtà di cui ciascuno può essere informato - quando non lo si subisce direttamente in prima persona - non provoca più né indignazione né una reazione significativa.

In realtà, l’assuefazione alla barbarie, in particolare nei paesi più avanzati, costituisce uno dei mezzi con cui la classe borghese riesce a mantenere il suo dominio sulla società. Essa ha ottenuto questa assuefazione accumulando le immagini degli orrori che hanno colpito la specie umana, accompagnando però queste immagini con commenti menzogneri destinati ad annullare, sterilizzare o canalizzare l’indignazione che esse dovevano suscitare, menzogne che evidentemente vengono rivolte in primo luogo alla sola parte di popolazione che costituisce una minaccia per essa, la classe operaia.

E’ all’indomani della seconda guerra mondiale che la borghesia ha messo in opera, su grande scala, questo mezzo per perpetuare il suo dominio. Per esempio le insopportabili immagini filmate, come le testimonianze scritte, riportate sui campi nazisti al momento della loro “liberazione” sono servite a giustificare la guerra spietata condotta dagli alleati. Auschwitz è servito a giustificare Hiroshima e tutti i sacrifici subiti dalle popolazioni e dai soldati dei paesi alleati.

Oggi, oltre alle informazioni e alle immagini che continuano a giungerci sui massacri, i commentatori si prodigano nel precisare che questa barbarie è dovuta ai “dittatori” senza morale e senza scrupoli, pronti a tutto per soddisfare le loro passioni più mostruose. Se il massacro ha luogo in un paese africano, si insiste parecchio sull’idea che esso dipende dalle rivalità “tribali” messe a profitto da questo o quel despota locale. Se le popolazioni curde sono asfissiate a migliaia con terribili gas, ciò può essere attribuito solo alla crudeltà del “macellaio di Bagdad” che attualmente viene presentato come il diavolo in persona (mentre durante la guerra che condusse contro l’Iran, tra il 1980 ed il 1988, veniva presentato come una sorta di difensore della civiltà). Se le popolazioni dell’ex Yugoslavia sono sterminate in nome della “pulizia etnica” è perché Milosevic è l’emulo di Saddam Hussein. Insomma, come la barbarie che si era scatenata nel corso della seconda guerra mondiale aveva un responsabile ben identificato, Adolf Hitler con la sua follia omicida, la barbarie che si sviluppa oggigiorno risulta dallo stesso fenomeno: la sete di sangue di questo o quel capo di Stato o di cricca.

Nella Rivista Internazionale, abbiamo più volte denunciato la menzogna secondo cui la barbarie estrema di cui il 20° secolo è stato il testimone sarebbe il privilegio esclusivo dei regimi “dittatoriali” o “autoritari”(1). Non ritorniamo qui in maniera dettagliata su questo problema ma ci contenteremo di evocare alcuni esempi significativi del livello di barbarie di cui sono stati capaci i regimi “democratici”.

Per cominciare, bisogna ricordare che la prima guerra mondiale, che all’epoca fu sentita come un limite massimo insuperabile di barbarie, è stata condotta in entrambi i campi da “democratici” (ivi compresa, a partire dal febbraio del 1917, dalla nuova democrazia russa). Ma questa carneficina è ora considerata quasi come “normale” dai discorsi borghesi: dopo tutto, le “leggi di guerra sono state rispettate” poiché ad essersi massacrati a milioni sono stati dei soldati. Nell’insieme, le popolazioni civili sono state risparmiate. Così, non si sono avuti dei “crimini di guerra” durante la prima carneficina imperialista. Al contrario, la seconda si è evidenziata in questo campo ad un punto tale che è stato creato, dal momento dalla sua conclusione, un tribunale speciale, a Norimberga, per giudicare questo genere di crimini. Tuttavia, la caratteristica principale delle accuse di questo tribunale non era relativa al fatto di essere rivolte a degli spietati criminali ma solo al fatto di appartenere al campo dei vinti. Altrimenti, tra i criminali di guerra doveva essere incluso anche il democraticissimo presidente americano Truman che ordinò il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Quest’ultimo avrebbe dovuto essere accompagnato ancora da Churchill e dai suoi colleghi alleati che ordinarono la distruzione di Dresda, il 13 ed il 14 febbraio del 1945, provocando 250.000 morti, cioè tre volte di più dei morti di Hiroshima.

Dopo la seconda guerra mondiale, in particolare nelle guerre coloniali, i regimi democratici hanno continuato a mettersi in mostra: 20.000 morti durante i bombardamenti di Sétif in Algeria ad opera dell’esercito francese, l’8 maggio del 1945 (lo stesso giorno della capitolazione della Germania). Nel 1947 sono 80.000 malgasci che vengono massacrati dall’aviazione, dai blindati e dall’artiglieria dello stesso esercito. E questi sono solo due esempi.

Più vicino nel tempo, la sola guerra del Vietnam ha provocato tra il 1963 ed il 1975 più di 5 milioni di morti, da attribuire, nella loro maggioranza, alla democrazia americana.

Ben inteso, questi massacri erano giustificati dalla necessità di “contenere l’Impero del Male”, il blocco russo (2). Ma questa giustificazione già non esisteva più al momento della guerra del Golfo, nel 1991. Saddam Hussein aveva asfissiato con i gas molte migliaia di Curdi durante gli anni ‘80 senza che ciò sollevasse la benché minima indignazione da parte dei dirigenti del “mondo libero”: questo crimine è stato evocato e denunciato da questi stessi dirigenti solo nel 1990, dopo l’invasione del Kuwait, e per fargliela pagare i generali americani ed alleati, difensori della civiltà, hanno fatto massacrare dozzine di migliaia di civili a colpi di “bombardamenti chirurgici”, sotterrando vivi migliaia di soldati irakeni, contadini e proletari in divisa, ed asfissiandone altre migliaia con bombe ben più sofisticate di quelle di Saddam. Anche oggi, quelli che riescono a sottrarsi dallo stato di ipnosi collettiva suscitata dalla propaganda dei tempi di guerra, sono capaci di vedere che i bombardamenti della NATO al momento della guerra del Kosovo, all’inizio del 1999, hanno provocato un “disastro umanitario” ben peggiore di quello per cui si era stati portati ad intervenire per combatterlo. Sono capaci di comprendere che questo risultato era già conosciuto prima dai governi che hanno lanciato la “crociata umanitaria” e che le loro giustificazioni sono pura ipocrisia. Essi sono ugualmente in grado di capire che i “malvagi” di oggi non sempre sono stati tali e che il “demone Saddam” era presentato come un vero San Giorgio quando combatteva il drago Khomeini, nel corso degli anni ‘80, o meglio ancora che tutti i “dittatori sanguinari” sono stati armati fino ai denti dai virtuosi “democratici”.

E giustamente, per questi elementi che non si lasciano incantare dalle diverse menzogne dei governi, vi sono degli “specialisti” per designare i “veri colpevoli” dell’attuale barbarie, tanto sul piano dei massacri e dei genocidi che su quello della situazione economica mondiale: in particolare, gli USA, la “mondializzazione” e le “multinazionali”.

E’ così che la constatazione del tutto veritiera sullo stato del mondo attuale espressa da Le Monde Diplomatique precisa:

“La Terra conosce così una nuova era di conquista, come durante l’epoca delle colonizzazioni. Ma, mentre gli attori principali delle precedenti espansioni conquistatrici erano gli Stati, questa volta sono imprese e conglomerati, gruppi industriali e finanziari privati che intendono dominare il mondo. Mai i signori della Terra sono stati così poco numerosi e così tanto potenti. Questi gruppi si trovano nella Triade USA-Europa-Giappone ma la metà di loro risiede negli USA. E’ un fenomeno fondamentalmente americano…

La mondializzazione non mira tanto a conquistare dei paesi quanto a conquistare dei mercati. La preoccupazione di questo potere moderno non è la conquista dei territori, come per le grandi invasioni o durante il colonialismo, ma la presa di possesso delle ricchezze.

Questa conquista si accompagna a delle distruzioni impressionanti. Industrie intere sono completamente distrutte, in tutte le regioni. Con le sofferenze sociali che ne conseguono: disoccupazione di massa, sottoccupazione, precarietà, esclusione. 50 milioni di disoccupati in Europa, un miliardo di disoccupati e di sottoccupati nel mondo… Supersfruttamento degli uomini, delle donne e – cosa ancora più scandalosa – dei bambini: 300 milioni di essi sono sfruttati in condizioni di grande brutalità.

La mondializzazione è anche saccheggio delle risorse del pianeta. I grandi gruppi saccheggiano l’ambiente con mezzi smisurati; essi traggono profitto dalle ricchezze della natura che sono i beni comuni dell’umanità; e lo fanno senza scrupoli e senza freni.  Ciò si accompagna ugualmente ad una criminalità finanziaria legata al campo degli affari ed alle grandi banche che riciclano delle somme che superano i 1000 miliardi di dollari per anno, cioè più del Prodotto Nazionale Lordo di un terzo dell’umanità.”

Una volta identificati i nemici della specie umana, è necessario indicare come combatterli: “E’ perciò che i cittadini moltiplicano le mobilitazioni contro i nuovi poteri, come abbiamo visto recentemente in occasione del vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) a Seattle. Essi restano convinti che, in fondo, lo scopo della mondializzazione, in questo inizio del millennio, è la distruzione del collettivo, l’appropriazione da parte del mercato e del privato della sfera pubblica e sociale. E sono decisi ad opporvisi.”

Tocca dunque ai “cittadini” mobilitarsi e realizzare “due, tre Seattle” per cominciare ad apportare una soluzione ai mali che affliggono il mondo. Ed è questa una prospettiva che mettono avanti anche organizzazioni politiche (come i trotskisti) che pretendono di essere “comuniste”. Insomma, è necessario che i cittadini reinventino una “nuova democrazia” destinata a combattere gli eccessi del sistema attuale e che si oppongano all’egemonia della potenza americana. Insomma una posizione più insulsa di quella dei riformisti della Seconda Internazionale di inizio secolo, di quelli che furono all’avanguardia nell’imbrigliamento del proletariato nella prima guerra mondiale e nel massacro degli operai rivoluzionari alla fine di quest’ultima.

Così, tra gli adoratori della “mondializzazione e quelli che la combattono, il terreno è ben controllato: ciò che importa prima di tutto, è portare ognuno una pietra all’accettazione del mondo attuale, è soprattutto allontanare gli operai dalla sola prospettiva che possa mettere fine alla barbarie del capitalismo, la rivoluzione comunista.

Rivoluzione comunista o distruzione dell’umanità

Qualunque sia il vigore della denuncia della barbarie del mondo attuale, i discorsi che si ascoltano attualmente - e che sono ampiamente divulgati dai mezzi di informazione - nascondono l’essenziale. Cioè che il responsabile delle calamità che affliggono il mondo non è questa o quella forma di capitalismo, ma il capitalismo intero come sistema, qualunque sia la sua forma politica.

Infatti, uno degli aspetti maggiori della barbarie attuale non consiste solo nella somma di disperazioni umane che essa genera, ma anche nella differenza enorme che esiste tra ciò che potrebbe essere la società attuale, con le ricchezze che essa ha creato nella sua storia, e ciò che di fatto è. Queste ricchezze, in particolare la padronanza della scienza e l’aumento formidabile della produttività del lavoro, si sono sviluppati proprio grazie allo sviluppo del sistema capitalista. Grazie evidentemente ad uno sfruttamento feroce della classe operaia, esso ha creato le condizioni materiali del suo superamento e della sua sostituzione con una società non più rivolta verso il profitto o la soddisfazione dei bisogni di una minoranza, ma rivolta verso la soddisfazione della totalità degli esseri umani. Queste condizioni materiali esistono dall’inizio del secolo, da quando cioè il capitalismo - costituendo un mercato mondiale - ha sottomesso alla sua legge il mondo intero. Avendo compiuto il suo compito storico di uno sviluppo senza precedenti delle forze produttive, e della prima tra esse - la classe operaia - il capitalismo avrebbe dovuto abbandonare la scena come è successo per le società del passato, in particolare la società schiavista e la società feudale. Ma esso non poteva evidentemente sparire da solo: è al proletariato che tocca il compito, come veniva riportato già dal Manifesto comunista del 1848, di eseguire la sentenza di morte che la storia ha pronunciato contro la società borghese.

Avendo raggiunto il suo apogeo, il capitalismo è entrato in un periodo d’agonia scatenando sulla società una barbarie sempre maggiore. La prima guerra mondiale fu la prima grande manifestazione di questa agonia e giustamente fu nel corso ed in seguito a questa guerra che la classe operaia si lanciò all’assalto del capitalismo per eseguire la sentenza e prendere la direzione della società in vista dell’instaurazione del comunismo. Il proletariato, nell’ottobre del 1917, ha compiuto il primo passo di questo immenso compito storico, ma esso non ha potuto compiere i successivi essendo stato sconfitto nelle principali concentrazioni industriali del mondo, ed in particolare in Germania (3). Dopo essersi ripresa dallo spavento, la classe borghese ha allora scatenato la più terribile controrivoluzione della storia. Una controrivoluzione condotta dalla borghesia democratica ma che ha permesso l’instaurazione di regimi mostruosi come il nazismo e lo stalinismo. Uno degli aspetti che sottolinea di più la profondità e l’orrore di questa controrivoluzione è che lo stalinismo abbia potuto presentarsi per decenni - con la complicità di tutti i regimi democratici - come la testa d’ariete della rivoluzione comunista mentre esso ne era al contrario il principale nemico. Sta in questo una delle caratteristiche maggiori dell’immensa tragedia vissuta dall’umanità nel corso del 20° secolo, una caratteristica che tutti i commentatori borghesi, anche i più “umanitari” e benpensanti, assolutamente tengono nascosta.

E’ proprio perché il proletariato ha subito questa terribile contro-rivoluzione che è stato legato mani e piedi e condotto verso la seconda carneficina mondiale senza che esso abbia potuto sollevarsi contro di essa, come aveva fatto in Russia nel 1917 ed in Germania nel 1918. Ed è in parte questa impotenza che permette di spiegare perché la seconda guerra mondiale fu ben più terribile della prima.

Un’altra delle cause di questa differenza tra le due guerre mondiali è evidentemente l’immensità dei progressi scientifici compiuti dal capitalismo nel corso di questo secolo. Questi progressi scientifici sbalorditivi sono evidentemente salutati rumorosamente oggi da tutti gli apologeti del capitalismo. Malgrado le sue calamità, il capitalismo del 20° secolo avrebbe apportato alla società umana delle ricchezze scientifiche e tecniche senza precedenti. Ciò che si tende a nascondere, invece, è che i principali beneficiari di questa tecnologia, quelli che assimilano in ogni istante i più moderni e sofisticati mezzi, sono gli eserciti, allo scopo di condurre le guerre le più sanguinose possibili. In altri termini, il progresso dalle scienze del 20° secolo è servito principalmente al malessere degli uomini e non al loro benessere, al loro sviluppo. Possiamo immaginare ciò che sarebbe potuta diventare la vita dell’umanità se la classe operaia avesse vinto nella rivoluzione, mettendo a disposizione dei bisogni umani i prodigi tecnologici che sono fioriti nel corso del 20° secolo.

Infine, una delle cause essenziali della maggiore barbarie della seconda guerra mondiale rispetto alla prima, è che tra le due, il capitalismo ha continuato a sprofondare nella sua decadenza.

Durante tutto il periodo della “guerra fredda”, abbiamo avuto davanti agli occhi ciò che avrebbe potuto rappresentare una terza guerra mondiale: la distruzione pura e semplice dell’umanità. La terza guerra mondiale non ha avuto luogo, non grazie al capitalismo, ma grazie alla classe operaia. In effetti, alla fine degli anni ’60, il proletariato esce dalla contro-rivoluzione e comincia a rispondere su un piano di massa sul suo terreno di classe ai primi attacchi di una nuova crisi aperta del capitalismo, impedendo obiettivamente a quest’ultimo di attuare la propria risposta a tale crisi - una nuova guerra mondiale - come invece era successo con la crisi degli anni trenta che aveva avuto come sbocco la seconda guerra mondiale.

Ma se la risposta della classe operaia alla crisi capitalista ha sbarrato il cammino ad un nuovo olocausto, essa non è stata sufficiente a rovesciare il capitalismo o ad incamminarsi direttamente sul cammino della rivoluzione. Questo stallo della situazione storica in un momento in cui la crisi del capitalismo si aggrava sempre di più, ha aperto una nuova fase della decadenza del capitalismo, quella della decomposizione generale della società. Una decomposizione la cui manifestazione maggiore, fino ad oggi, è stato il crollo dei regimi stalinisti e dell’insieme del blocco dell’Est che ha condotto allo sfaldamento dello stesso blocco occidentale. Una decomposizione che si esprime attraverso un caos senza precedenti sull’arena internazionale e di cui la guerra del Kosovo, all’inizio del 1999, i massacri di Timor alla fine dell’estate e oggi ancora la guerra in Cecenia sono solo alcune delle manifestazioni. Una decomposizione che costituisce la causa e la premessa dell’insieme delle tragedie che si scatenano sul mondo attuale, sia che si tratti di disastri ecologici, di catastrofi “naturali” o tecnologiche, di epidemie e di avvelenamenti, sia di ascese irresistibili di mafie, o della droga e della criminalità.

“La decadenza del capitalismo, quale il mondo l’ha conosciuta dall’inizio del secolo, si rivela già come il periodo più tragico della storia dell’umanità. (…) Ma sembra che l’umanità non avesse ancora toccato il fondo. La decadenza del sistema capitalistico significa l’agonia di questo sistema; ma questa agonia ha essa stessa una storia: oggi abbiamo raggiunto la fase terminale, quella della decomposizione generale della società, quella della putrescenza.

Perché è proprio di putrefazione della società che si tratta oggi. Dalla fine della seconda guerra mondiale, il capitalismo era riuscito ad allontanare verso i paesi sottosviluppati le manifestazioni più barbare e sordide della sua decadenza. Oggi, è nel cuore stesso dei paesi più avanzati che si hanno queste manifestazioni di barbarie. Conflitti etnici assurdi in cui le popolazioni si massacrano perché non hanno la stessa religione o la stessa lingua, perché perpetuano tradizioni popolari differenti, sembravano riservati, da decenni, ai soli paesi del terzo mondo, l’Africa, l’India o il Medio Oriente. Ora è in Yugoslavia, a poche centinaia di chilometri dalle metropoli industriali dell’Italia del Nord e dell’Austria, che si scatenano simili assurdità. (…) Quanto alle popolazioni di queste regioni, la loro sorte non sarà migliore di prima ma peggio ancora: disordine economico accresciuto, sottomissione a demagoghi sciovinisti e xenofobi, regolamenti di conti e scontri tra comunità che avevano coabitato fino a quel momento e, soprattutto, divisione tragica tra i differenti settori della classe operaia. Ancora più miseria, oppressione, terrore, distruzione della solidarietà di classe tra i proletari di fronte ai loro sfruttatori: ecco quello che significa il nazionalismo oggi. E l’esplosione di quest’ultimo in questo momento è proprio la prova che il capitalismo decadente ha fatto un nuovo passo in avanti nella barbarie e nella putrefazione.

Ma lo scatenamento dell’isteria nazionalista in certe parti dell’Europa non è la sola manifestazione di questa decomposizione che vede guadagnare i paesi avanzati alla barbarie che il capitalismo fino ad ora aveva riservato alla sua periferia.

Ieri, per fare credere agli operai dei paesi più sviluppati che non avevano ragione di ribellarsi, i mezzi di informazione andavano nelle bidonvilles di Bogotà o sui marciapiedi di Manila per fare dei servizi sulla criminalità e la prostituzione di bambini. Oggi, è nei più ricchi paesi del mondo, a New York, Los Angeles, Washington, che ragazzini di dodici anni vendono il loro corpo o ammazzano per qualche grammo di crack. In questi stessi paesi, è ora che si contano a centinaia di migliaia i senza tetto: a due passi da Wall Street, tempio della finanza mondiale, masse di esseri umani dormono nei cartoni sui marciapiedi, come a Calcutta. Ieri, la concussione e la prevaricazione elevata allo stato di legge sembravano specialità di dirigenti del Terzo Mondo. Oggi, non passa mese senza che scoppi uno scandalo di malcostume del personale politico dei paesi “avanzati”: dimissioni a ripetizione dei membri del governo in Giappone dove trovare un politico “presentabile” per affidargli un ministero diventa una “missione impossibile”; partecipazione alla grande della CIA al traffico di droga; penetrazione della Mafia nelle più alte sfere dello Stato in Italia; auto-amnistia dei deputati francesi per evitarsi la prigione che meriterebbero per le loro turpitudini… Anche in Svizzera, leggendario paese della pulizia, è stato trovato un ministro della polizia e della giustizia compromesso in un affare di riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di droga. La corruzione ha sempre fatto parte delle pratiche della società borghese, ma essa non ha mai raggiunto un tale livello come ai nostri giorni; ed è appunto questa grande generalizzazione che suggerisce l’ulteriore passo in avanti che la decadenza di questa società ha fatto verso la propria putrefazione.

Infatti, è l’insieme della vita sociale che sembra essersi completamente guastato, che si infogna nell’assurdo, nel fango e nella disperazione. E’ tutta la società umana, su tutti i continenti che, in maniera crescente, trasuda barbarie da tutti i suoi pori. Le carestie si sviluppano nei paesi del Terzo Mondo, e presto raggiungeranno i paesi che si pretendevano “socialisti”, mentre in Europa occidentale ed in America del Nord si distruggono stock di prodotti agricoli, si pagano gli agricoltori perché coltivino meno terre e si penalizzano quelli che producono più della quota prefissata. In America latina, le epidemie, come quella del colera, uccidono migliaia di persone, laddove già da lungo tempo questo flagello sembrava sconfitto. Dappertutto nel mondo, le inondazioni o i terremoti continuano ad uccidere decine di migliaia di esseri umani in poche ore mentre la società è perfettamente in grado di costruire delle dighe e delle case che potrebbero evitare tali ecatombe. Nello stesso momento, non si può invocare la “fatalità” o i “capricci della natura”, quando, a Tchernobyl, nel 1986, l’esplosione di una centrale atomica uccise centinaia (se non migliaia) di persone e contaminò più province, quando nei paesi più sviluppati, si assistono a delle catastrofi mortali nel cuore stesso delle grandi città: 60 morti in una stazione parigina, più di cento morti in un incendio della metropolitana a Londra, non molto tempo fa. Ugualmente, questo sistema si rivela incapace di far fronte al degrado dell’ambiente, alle piogge acide, all’avvelenamento di ogni tipo e principalmente nucleare, all’effetto serra, alla desertificazione che mette in gioco  la stessa sopravvivenza  della specie umana.

Nello stesso tempo, assistiamo ad un degrado irreversibile della vita sociale: oltre alla criminalità ed alla violenza urbana che non cessa di crescere dappertutto, la droga provoca dei danni sempre più spaventosi, particolarmente tra le nuove generazioni, testimonianza della disperazione, dell’isolamento, dell’atomizzazione che invade tutta la società.” (Manifesto del IX Congresso della CCI, settembre 1991).

Ecco come si esprimeva la nostra organizzazione all’inizio del decennio. I due esempi che vengono dati nel nostro documento del 1991 sono quelli di cui noi disponevamo all’epoca. Da quel momento, ed in nessun campo la situazione è migliorata, al contrario, e gli avvenimenti di questi ultimi anni sono altrettanto se non addirittura più tragici, e manifestano la barbarie crescente in cui si è infognato il capitalismo. La droga, la violenza urbana, la prostituzione giovanile, etc. hanno fatto un nuovo progresso. Gli scandali della corruzione politica non sono terminati, colpendo, per esempio in Francia, il presidente della più alta carica giuridica, il Consiglio costituzionale, ed in Germania quel paragone di virtù che era il cancelliere Kohl. Infine, i massacri e le nefandezze delle isterie nazionaliste si sono perpetuate nella ex Jugoslavia, mentre si scatenavano in molteplici altri luoghi, e tutt’oggi ancora in Cecenia.

Per ora, una nuova guerra mondiale non è ancora all’ordine del giorno per la scomparsa dei blocchi militari e per il fatto che il proletariato dei paesi centrali non è imbrigliato dietro le bandiere della borghesia. Ma la sua minaccia continuerà a pesare sulla società fin tanto che esisterà il capitalismo. Detto ciò, la società può essere ugualmente distrutta senza una guerra mondiale, ma attraverso un caos crescente, con una moltitudine di guerre locali, di catastrofi ecologiche, da carestie ed epidemie.

Così si chiude il 20° secolo, il più barbaro della storia umana: nella decomposizione della società. Se la borghesia ha potuto celebrare con fasto l’anno 2000, è poco probabile che essa possa fare lo stesso nell’anno 2100. O perché essa sarà stata rovesciata dal proletariato, o perché la società sarà stata distrutta o sarà ritornata all’età della pietra.

FM

1. Vedere per esempio il nostro articolo “I massacri ed i crimini delle ‘grandi democrazie’” (Rivista Internazionale n° 16).

2. La giustificazione era tanto più efficace che i regimi stalinisti hanno perpetrato molti massacri, dai gulag” fino alla guerra in Afghanistan, passando per la repressione sanguinosa in Germania nel 1953, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968, in Polonia nel 1970, etc.

3. Sulla rivoluzione tedesca, vedere la nostra serie di articoli nella Revue Internationale.