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Le guerre si susseguono alle guerre. Dopo il Kosovo, Timor Est. Dopo Timor Est, la Cecenia. Tutti rivaleggiano nell’orrore e nei massacri. Il conflitto tra l’esercito russo e le milizie cecene è particolarmente sanguinario e tragico per la popolazione della Cecenia. “L’ultimo bilancio da parte cecena è di 15.000 morti; 38.000 feriti ; 22.000 rifugiati; 124 villaggi completamente distrutti; ai quali si aggiungono 280 villaggi distrutti all’80%. Dicono che 14.500 bambini sono mutilati e 20.000 orfani” (1) (The Guardian, 20/12/99).
Il paese è devastato, raso al suolo, distrutto; la popolazione affamata, esiliata, dispersa, disperata. Per misurare l’ampiezza della catastrofe “umanitaria” in proporzione alla popolazione, queste cifre, per un paese come gli Stati Uniti, equivarrebbero a 2 milioni di morti, 5 milioni di feriti, mutilati e storpiati e 28 milioni di rifugiati! E queste cifre drammatiche sono certamente ancora aumentate.
Ad esse bisogna aggiungere le perdite russe il cui numero, secondo il Comitato delle madri dei soldati russi, arriva come minimo a 1.000 morti e 3.000 feriti (Moscou Times, 24/12/99).
I sopravvissuti della popolazione civile sono o sotterrati nelle cave di Gronzy distrutte dai bombardamenti, senza acqua, senza cibo, senza riscaldamento, vivendo come dei topi terrorizzati; o rifugiati nelle città e nei villaggi devastati sotto il giogo delle varie bande mafiose cecene o della soldatesca russa a sua volta terrorizzata ed ubriaca di alcool, saccheggi e uccisioni; o ancora ammassati in veri e proprio campi di concentramento nelle repubbliche vicine, senza vettovagliamenti, senza cure, senza riscaldamento, sotto le tende dove spesso non c’è neanche il letto. La situazione in questi campi è drammatica. Come nei campi per i rifugiati kosovari dove l’aiuto internazionale arrivava col contagocce - ed era in gran parte deviato dalle mafie albanesi e l’Esercito di Liberazione del Kosovo (l’UCK) - mentre le grandi potenze della Nato (2) sganciavano bombe per miliardi di dollari sulla Serbia ed il Kosovo. Oggi, mentre altre dozzine di miliardi del FMI finanziano a fondo perduto lo Stato russo e la sua guerra, le grandi potenze lasciano crepare la popolazione cecena. “I malati ed i vecchi sono senza assistenza medica. I residenti per nutrirsi scavano nei bidoni della spazzatura sperando di trovare delle patate ormai marce per fare una zuppa. L’acqua presa da un serbatoio antincendio è marrone e piena di insetti, ed anche dopo averla fatta bollire è cattiva” (Moscou Times, 24/12/99). In questi campi i rifugiati subiscono ancora il terrore dei militari russi dopo essere stati taglieggiati, aggrediti, bombardati e mitragliati durante tutto l’esodo. Come titola un articolo di The Guardian (18/12/99), i “rifugiati della guerra in Cecenia non trovano alcun rifugio nei campi (che nessuno) può lasciare senza un’autorizzazione giornaliera che permette di oltrepassare le porte che sono sotto la sorveglianza di guardie armate”.
Da 200 a 300.000 rifugiati sono fuggiti dagli scontri ed i bombardamenti. Nei fatti , la popolazione cecena subisce un vero e proprio omicidio collettivo. I bombardamenti massicci di villaggi e città, il terrore esercitato dalle truppe russe contro la popolazione e le mitragliate dei convogli di rifugiati nei corridoi che l’esercito russo ha aperto, hanno costretto i ceceni alla fuga. Questa epurazione etnica sanguinosa viene dopo quella del 1996 operata dalle forze cecene in seguito alla loro vittoria sull’esercito di Mosca e che vide 400.000 residenti russi lasciare la regione. Così come l’epurazione etnica delle milizie serbe contro i kosovari è stata seguita dall’epurazione delle milizie dell’UCK contro i civili serbi del Kosovo.
Ecco quello che possono dirci oggi televisione e stampa. Si può essere sorpresi dall’ampiezza della campagna fatta nei paesi occidentali che denuncia l’intervento russo, quando essa aveva sostenuto, e con quale fervore, i bombardamenti contro la Serbia ed il Kosovo. Ma questa campagna è particolarmente ipocrita e tenta di mascherare la doppiezza delle grandi potenze occidentali. Perché ciò che non dicono è che le condizioni, i mezzi e le conseguenze di questa guerra, come delle altre, sono sempre più drammatiche, barbare e che queste preparano conflitti ancora più numerosi, vasti e drammatici.
OGGI LE GUERRE IMPERIALISTE SONO UN’ESPRESSIONE DELLA DECOMPOSIZIONE DEL CAPITALISMO
Da che era episodica e limitata ad alcuni paesi particolarmente arretrati, l’epurazione etnica è diventata la norma delle guerre imperialiste lungo tutti gli anni 90, sia in Africa che in Asia e in Europa. Dozzine di milioni di rifugiati nel mondo non rivedranno mai più le loro città, i loro paesi o le loro case. Sono stipati per sempre in dei campi. La situazione dei palestinesi si impone come la norma in tutti i continenti.
Episodica e limitata fino alla fine degli anni 80, si afferma oggi la moltiplicazione di nazionalismi minoritari – quello che la stampa chiama “l’esplosione dei nazionalismi” – che porta a conflitti nazionali ed alla nascita di Stati uno più mafioso e corrotto dell’altro. Il potere e le lotte delle mafie rivali sono ormai la norma. Il traffico di droga, di armi di ogni genere, il banditismo, il kidnapping (3) che sono e continueranno ad essere le principali risorse di queste “nuove nazioni”, sono anch’esse la norma. La situazione afgana – o africana, o colombiana – è generalizzata. La norma? E’ il caos che si estende e si generalizza su tutti i continenti.
Per contro, i bombardamenti massicci che terrorizzano le popolazioni civili non sono un fenomeno nuovo. Questo è caratteristico di tutti i conflitti imperialisti, locali o generalizzati, proprio del periodo di decadenza del capitalismo a partire dalla prima guerra mondiale del 1914. Lo stato di distruzione dell’Europa e del Giappone nel 1945 non aveva niente da invidiare alla Cecenia dell’anno 2000. Ma ciò che è nuovo è che dove passano la guerra e le distruzioni non c’è, e non ci sarà, ricostruzione a differenza di quanto avvenne dopo la seconda guerra mondiale. Né Pristina nel Kosovo, né Kabul in Afganistan, né Brazzaville nel Congo o Grozny dopo il 1996 sono state e saranno mai ricostruite. Le economie distrutte dalla guerra non si riprenderanno. Non ci saranno e non ci possono essere piani Marshall (4). Questa è la situazione della Bosnia, della Serbia, del Kosovo, dell’Afganistan, dell’Iraq, della maggior parte dei paesi africani, di Timor, paesi che hanno vissuto le distruzioni delle guerre degli anni 90, le guerre “moderne”.
La permanenza, l’accumulazione, la moltiplicazione, la coniugazione di tutte queste caratteristiche delle guerre imperialiste proprie al periodo di decadenza del capitalismo nel corso di questo secolo, sono l’espressione del fallimento storico di questo. Sono un’espressione della sua decomposizione.
Abbiamo parlato di ipocrisia e doppiezza per denunciare le campagne attuali sulla guerra in Cecenia. Queste campagne fingono di denunciare l’intervento russo. In realtà, governi, uomini politici, giornalisti, “filosofi” ed altri intellettuali, sono tutti complici nel giustificare la barbarie capitalista ed il terrore dello Stato. Non criticare, non levarsi contro i crimini di massa in Cecenia ha reso tutto l’apparato democratico degli Stati occidentali, in particolare i mass-media, apertamente complice non solo del terrore di Stato russo, ma anche del sostegno delle grandi potenze occidentali ai massacri.
“Che viviate in Africa, in Europa centrale o non importa dove, se qualcuno vuol commettere dei crimini di massa contro una popolazione civile innocente, sappiate che nei limiti delle nostre possibilità, noi l’impediremo” aveva proclamato Clinton alla fine della guerra del Kosovo. Non far finta di denunciare oggi ciò che era servito da pretesto all’intervento militare ieri, avrebbe ridotto a niente le campagne sui diritti d’ingerenza umanitaria e avrebbe limitato le capacità di interventi militari futuri. Fingere di denunciare, invece, permette di continuare la campagna ideologica e rinnovarla.
Qual è la posta in gioco e quali sono gli interessi nella guerra in Cecenia?
Ma c’è solo l’aspetto di propaganda in queste campagne anti-russe? Queste non manifesta delle reali contrapposizioni tra le potenze occidentali e la Russia? Non ci sono conflitti di interessi economici, politici, strategici, cioè imperialisti nel Caucaso in particolare? Gli Stati Uniti non perseguono dei progetti circa gli oleodotti che passando per la Georgia o la Turchia evitano il territorio russo? Non c’è da parte delle diverse potenze la volontà di controllare il petrolio del Caucaso? Cioè di appropriarsi dei guadagni finanziari del suo sfruttamento?
E’ vero che esistono degli interessi antagonisti tra le grandi potenze anche nel Caucaso. E questo è, insieme alla decomposizione dell’URSS e della Russia, l’altro fattore dei conflitti che toccano il Caucaso e l’insieme delle antiche repubbliche sovietiche dell’Asia. E’ questa la ragione della presenza attiva delle diverse potenze locali, soprattutto della Turchia e dell’Iran, e mondiali, europee ed americane, come la Germania e gli Stati Uniti che si contendono l’influenza sulla Turchia. Ma cosa si intende per interessi imperialisti? E’ solo la brama della “rendita petrolifera” e dei benefici che se ne possono trarre?
Per la rendita petrolifera?
Qual è la realtà del petrolio del Caucaso? “La produzione in questa regione non costituisce più un fattore maggiore (…). Questa industria, congiuntamente al mantenimento di una attività di raffineria, rappresenta senza dubbio una risorsa reale di finanziamento per i clan che ne hanno il controllo sul piano locale, ma certamente non una posta a livello federale (cioè a livello della Russia)” (Le Monde Diplomatique, novembre 1999).
Quale è l’interesse vitale direttamente economico per gli Stati Uniti di assicurarsi una produzione così piccola quando controllano senza alcuna difficoltà la gran parte della produzione mondiale di petrolio, sicuramente quella loro, ma anche quella del Medio Oriente e dell’America latina, e le produzioni messicane e venezuelane? Per gli stati Uniti non c’è nessun beneficio finanziario diretto. Allora perché questa attiva presenza americana? Forse per le vie di transito del petrolio? “Se il Caucaso resta l’oggetto di scontri geopolitici importanti è per un altro aspetto: quello delle vie di transito per gli idrocarburi del mar Caspio, anche se il volume reale sembra dover essere rivisto al ribasso. E, a questo riguardo, il vero braccio di ferro che si gioca tra i due versanti della catena (le montagne che separano le repubbliche del Caucaso del nord, appartenenti alla Federazione di Russia, dalle ex-replubbliche sovietiche del Caucaso del sud) si è nettamente inasprito da un anno. La Russia ha sempre difeso l’idea che la maggior parte del petrolio doveva passare sul suo territorio, utilizzando l’oleodotto Baku-Novorissisk (…). Ma, il 17 aprile 1999, è stato aperto ufficialmente un oleodotto che collega Baku a Supsa, un porto georgiano sulla costa del Mar Nero e che si integra praticamente nel sistema di sicurezza dell’Alleanza Atlantica (…). Ora, i presidenti dell’Azerbaijan e della Turchia hanno confermato a metà ottobre, la costruzione di un oleodotto che collega Baku al porto turco mediterraneo di Ceyhan: tutto il petrolio del sud del Mar Caspio eviterebbe così la Russia” (idem).
Si tratta allora di appropriarsi dei benefici economici di tutto il petrolio del Mar Caspio e delle sue vie? Certo i guadagni finanziari di un tale controllo non sono trascurabili per le ex-repubbliche dell’URSS della regione, per la Russia o per la Turchia stessa. E per gli Stati Uniti?
“Ma che il tracciato (del progetto di oleodotto che attraversa la Turchia) adottato la settimana scorsa – che è strategicamente vantaggioso per gli Stati Uniti ma costoso per le compagnie petrolifere – possa essere rapidamente redditizio è ancora un grosso punto interrogativo. Così come la natura e l’estensione delle ricadute politiche con la Russia, il perdente nell’affare” (International Herald Tribune, 22/11/99).
Il vero interesse, il vero obiettivo degli Stati Uniti non è economico ma strategico, ed è lo Stato americano che comanda e dirige in questo caso, malgrado il parere delle compagnie petrolifere, i grandi orientamenti strategici ed economici del capitalismo nord-americano (5). Nel periodo di decadenza del capitalismo, gli interessi ed i conflitti imperialisti sono determinati da questioni geopolitiche e gli interessi direttamente economici, che comunque continuano ad esistere, sono messi al servizio degli orientamenti strategici: “Per l’amministrazione Clinton la prima preoccupazione è strategica: garantire che ogni oleodotto aggiri la Russia e l’Iran e dunque privare queste nazioni del controllo delle nuove riserve di energia per l’Ovest” (idem).
Per interessi strategici
E qui, il vero obiettivo degli Stati Uniti non è tanto assicurarsi la rendita petrolifera, ma piuttosto privare la Russia e l’Iran del controllo delle vie di transito dell’oro nero al fine di assumerne il controllo di fronte… ai grandi rivali europei, in particolare alla Germania. E’ un po' come nel mondo del calcio dove i club più ricchi comprano i grandi giocatori non perchè ne hanno veramente bisogno, ma per toglierli alle squadre rivali. Le vere poste strategiche in questa zona oppongono, in maniera ancora sorda e nascosta ma reale e profonda, le grandi potenze occidentali. Una Russia instabile, pronta a vendersi al migliore offerente, un Iran anti-americano e pro-europeo, cioè pro-tedesco, e che controllerebbe gli oleodotti del petrolio nella regione, costituirebbero un pericolo di indebolimento strategico per gli Stati Uniti. La corte assidua fatta dagli Stati Uniti e dall’Europa alla Turchia, potenza che ha un’influenza imperialista particolarmente estesa in tutta questa regione di lingua turca, gli uni promettendo un oleodotto, gli altri l’entrata nell’Unione Europea, mostra ben la posta in gioco e le vere linee di frattura tra le grandi potenze imperialiste. Per la borghesia americana assicurarsi il petrolio di questa zona significa poter privarne gli europei se necessario e costituirebbe quindi un mezzo di pressione ulteriore e significativo nei rapporti di forza imperialisti. La padronanza sul petrolio della regione non le darebbe vantaggi finanziari - anzi potrebbe anche comportare dei costi - ma un vantaggio strategico particolarmente importante.
LE POTENZE OCCIDENTALI SOSTENGONO LA RUSSIA IN CECENIA
Ipocrite e complici, le campagne della stampa occidentale sulla guerra in Cecenia non si integrano direttamente in questo conflitto geostrategico. Tuttavia la stampa europea è molto più virulenta, rispetto a quella americana, nella denuncia del-l’intervento russo mentre è piuttosto l’avanzata americana che dovrebbe essere presa di mira. Il fatto è che la guerra in Cecenia, benchè legata a questi antagonismi, soprattutto dal punto i vista russo, non ne fa direttamente parte. O più esattamente, essa non è l’oggetto delle brame occidentali come lo è il Caucaso del sud (Georgia, Armenia, Azerbaijan) di cui le potenze imperialiste si disputano il controllo. “Accettiamo il fatto che Mosca protegga il suo territorio” ha affermato Javier Solana, il coordinatore della politica estera dell’Unione europea (Internetional Herald Tribune, 20/12/99), ma aggiungendo “non in questa maniera”, il che è molto delicato da parte dell’ex-segretario generale della Nato, quello stesso che ha dato l’ordine di radere al suolo la Serbia e di farla “ritornare indietro di 50 anni” nel marzo scorso. “Il loro obiettivo (della Russia) è di vincere i ribelli ceceni e di farla finita con il terrorismo in Russia, di porre fine all’invasione delle province vicine come il Daghestan” (Bill Clinton, International Herald Tribune,10/12/99). A queste si aggiungono le dichiarazioni dei principali dirigenti americani ed europei, quali l’ex-pacifista ecologista tedesco, oggi ministro degli affari esteri nel governo di sinistra di Schröder: “Nessuno mette in questione il diritto della Russia di combattere il terrorismo (...) ma le azioni preventive russe sono spesso in contraddizione con la legge internazionale” (J.Fischer, Internationale Herald Tribune, 18/12/99) questo detto da uno dei più ferventi partigiani dell’intervento militare occidentale in Serbia..., intervento ben più illegale dal punto di vista del diritto internazionale e degli organismi come l’ONU di cui si è dotata la borghesia per tentare di regolare le differenze internazionali.
Perchè questa unanimità? Perchè un tale sostegno alla Russia dandole carta bianca per radere al suolo la Cecenia? Non è contraddittorio con la dinamica stessa dei giochi imperialisti presenti nel Caucaso?
La contraddizione delle potenze occidentali: lottare contro il caos in Russia o difendere i loro interessi imperialisti
“Non è solo l’URSS che è in procinto di disgregarsi, ma anche la sua più grande repubblica, la Russia che è ora minacciata di esplodere senza avere i mezzi, se non quello di un bagno di sangue dagli esiti incerti, di far rispettare l’ordine” (Révue Internationale n°68, dicembre 1991). Dal 1991 questa tendenza alla decomposizione dell’ex-URSS e della Russia si è largamente verificata e realizzata. Questa tendenza all’impu-tridimento che tocca l’insieme del mondo capitalista sul piano statale - soprattutto nei paesi più fragili e della periferia -, sul piano politico, sociale, economico, ecologico, si è manifestato con particolare evidenza in Russia.
La situazione catastrofica e caotica della Russia è una fonte di inquietudine per le grandi potenze occidentali (6). Le condizioni dell’intervento militare russo in Cecenia non sono servite a rassicurarle, al contrario. “I generali hanno minacciato di dimettersi in massa ed anche una guerra civile se i politici si immischiavano nella loro campagna, una nuova nota di inquietudine nella disgregazione del potere civile russo allorché esisteva una forte tradizione dei militari a restare al di fuori della politica. La paura che la Russia ispira oggi, dopo un decennio dalla caduta dl muro di Berlino, è quello dello scompiglio e dell’irrazionalità delle sue debolezze (...) Ciò potrebbe essere la grande svolta dell’evoluzione post-comunista della Russia che vedrebbe la sconfitta della lotta per la democrazia e rilancerebbe il caos ed eventualmente un potere militare. E’ per questo che i governi esitano tanto a reagire” (Flora Lewis, “La Russia rischia l’autodistruzione in questa guerra irrazionale”, International Herald Tribune, 13/12/99).
Questa inquietudine e questa esitazione sono condivise dalle principali potenze occidentali nonostante gli antagonismi imperialisti che le dividono. E anche se gli americani stanno dietro la cricca di Eltsin mentre gli europei sostengono attualmente la cricca Primakov, tutti sono d’accordo a non gettare troppo olio sul fuoco e limitare per quanto possibile il peggioramento del caos in questo paese. Da questo punto di vista il successo elettorale del clan di Eltsin alle elezioni legislative di dicembre sono state piuttosto inquietanti per la stabilità politica del paese, con il ritorno di una equipe particolarmente screditata e incapace - se non di riempirsi le tasche - che deve il suo successo solo alle vittorie militari in Cecenia. Le dimissioni di Eltsin e la sua sostituzione con il primo ministro Putin hanno teso chiaramente a far precipitare le elezioni presidenziali ed a garantire alla famiglia corrotta di Eltsin di fruire, senza minacce giudiziarie o altro, delle molteplici sottrazioni di denaro. La ripresa in mano delle redini del potere da parte di un primo ministro, oggi presidente, che si presenta come “l’uomo di polso” può apparire come un colpo di arresto alla delinquenza dello Stato russo, almeno per il momento, e se i primi successi militari in Cecenia si confermano, il che non è detto nonostante l’enorme superiorità dei mezzi russi.
Ma l’aggravamento ineluttabile della situazione economica della Russia e l’espressione delle tendenze centrifughe della Federazione russa che spingono alla sua esplosione, sono cariche di minacce per il paese stesso e per il mondo capitalista. Benché arrugginiti i missili ed i sottomarini nucleari dell’ex-URSS sono ben pericolosi in un paese in piena anarchia ed instabilità politica. E le minacce di Eltsin che affermavano che Clinton criticando, per finta, gli eccessi dell’intervento militare russo, “avevano dimenticato per un minuto che la Russia ha un arsenale completo di armi nucleari” (International Herald Tribune, 10/12/99), non possono essere considerate semplicemente come pagliacciate di un vecchio ubriacone (7). Il semplice fatto che questo buffone corrotto, pieno di vodka, che pizzicava il culo dei suoi segretari davanti alle televisioni del mondo intero, sia potuto restare dieci anni al potere in Russia, la dice lunga sullo stato di decomposizione dell’apparato politico della borghesia russa. Le grandi potenze imperialiste si trovano in una situazione contraddittoria: da una parte, la logica implacabile della concorrenza imperialista li spinge a sfruttare tutte le occasioni per fare le scarpe ai loro rivali ed accentuare così ancora di più il caos e la decomposizione della società, specialmente di paesi come la Russia; dall’altro, esse sono relativamente coscienti di questa dinamica di caos e decomposizione, ne misurano il pericolo e cercano per il momento di porvi un freno, un colpo di arresto. Ma, siamo chiari, sarebbe illusorio credere che il mondo capitalista possa invertire la tendenza alla sua propria decomposizione, così come sarebbe illusorio credere che la logica infernale della competizione imperialista possa interrompersi e non rilanciare ancora di più il caos, le guerre e i massacri. La volontà comune di non infierire sulla Russia non è che temporanea e la logica implacabile degli interessi imperialisti rilancerà di nuovo la tendenza al caos ed alla decomposizione nel Caucaso, come nelle altre regioni del mondo.
Le potenze occidentali sostengono la Russia per limitare il caos
Di fronte alla minaccia di una Russia completamente incontrollabile, esiste tra gli Stati occidentali un accordo tacito per non disputarle il Caucaso del nord che fa parte della Federazione di Russia; ma con l’avvertimento, altrettanto tacito, di non farle riprendere piede nel Caucaso del sud conteso tra le grandi potenze. E questo accordo ha trovato la sua espressione nel sostegno concreto, nella ”autorizzazione” secondo la stampa russa, che le grandi potenze occidentali hanno dato alla Russia per intervenire ed esercitare il suo “diritto legittimo” a nuotare nel sangue della Cecenia. “Nel quadro del trattato sulle armi convenzionali, il summit (dell’OCSE) d’Istanbul (8) ci autorizza a disporre, nel settore militare del Caucaso-Nord, di molti più uomini e di materiali che nel 1995 (600 carri al posto di 350, 2200 veicoli blindati contro 290, 1000 pezzi di artiglieria invece di 640). E’ certo in Cecenia che la Russia concentrerà questa potenza militare” (Obchtchaïa Gazeta, settimanale russo)
Accordiamo alla stampa russa il merito di parlare francamente e di riprodurre fedelmente le intenzioni delle potenze occidentali: “Vi lasciamo il Caucaso-Nord e ci riserviamo il diritto a disputarci il Caucaso-Sud”. Il calvario delle popolazioni del Caucaso non è finito. Questa regione del mondo, come altre, non conoscerà più la pace e non si libererà mai dalle contraddizioni che l’hanno colpita e continueranno a colpirla.
LA DEMOCRAZIA BORGHESE E’ GUERRA E MISERIA
Ipocrite e complici, le campagne mediatiche occidentali non tendono ad attenuare ed ancor meno a lottare contro la barbarie guerriera del capitalismo. Esse si rivolgono principalmente alle popolazioni occidentali e soprattutto alla classe operaia di questi paesi, per nascondere la realtà del legame tra le guerre imperialiste ed il fallimento economico del capitalismo, per nascondere la dinamica infernale e catastrofica nella quale sta strascinando l’umanità. Denunciano la guerra in Cecenia nel nome del “diritto di ingerenza umanitaria” per meglio giustificare la guerra nel Kosovo. Criticano la passività dei governi occidentali per meglio glorificare la democrazia borghese (9) quando tutti i principali protagonisti delle recenti guerre, Kosovo, Timor e ora la Cecenia, sono degli Stati democratici con dei governi democraticamente eletti. “La democrazia non è una garanzia contro le cose disgustose” (International Herald Tribune, 22/12/99) ci dicono per farne un fine, uno scopo di lotta con la quale tutti devono identificarsi: “Abbiamo bisogno di ritrovare un fine negli affari mondiali che sia moralmente, intellettualmente e politicamente irresistibile. La visione democratica conserva una vitalità enorme. Il nostro dovere è aiutare a definire il 21° secolo come il Secolo democratico (…). La democrazia è ora, in modo evidente, un valore universale” (Max M. Kampelman, vecchio diplomatico americano, International Herald Tribune, 18/12/99).
Menzognere, le campagne mediatiche attuali tendono a far credere che è la mancanza di democrazia che provoca le guerre e la miseria. Credere che “la sfida fondamentale alla quale siamo confrontati è il riconoscimento che la lotta politica si pone sempre tra il modo di vita democratico e la negazione della libertà umana e politica” (idem), s’inscrive – come minimo – nella logica della difesa della democrazia borghese per “più democrazia”, come l’hanno ripetuto ossessivamente al momento della grande messa in scena mediatica in occasione delle manifestazioni anti-OMC a Seattle, identificarsi al proprio Stato nazionale, stringersi dietro la propria borghesia nazionale, tutto questo è un impasse ed una trappola. Lungi dal frenare o stoppare questa discesa agli inferi, ogni adesione delle popolazioni, ed in particolare della classe operaia internazionale, agli “ideali” della democrazia borghese, non farà che accelerare ancora di più il corso del mondo verso la barbarie capitalista. Non è forse questa l’esperienza vissuta dal mondo dopo la fine del blocco imperialista dell’Est e l’accesso di questi paesi alla democrazia borghese di tipo occidentale? Non è questo che cercano di nascondere le ripetute campagne mediatiche sui benefici della democrazia? Il caos in Russia e la guerra in Cecenia sono anch’esse il prodotto della democrazia capitalista.
Sostegno agli internazionalisti in Russia
Salvare l’umanità dalla barbarie capitalista passa per un’altra via. Questa via non viene mai evocata dai media della borghesia internazionale, le espressioni di questa non vengono mai menzionate. Eppure esse esistono ed è chiaro che incontrerebbero un seguito significativo se non venissero nascoste, dileguate, perse e rese appena percettibili sotto il fiume di campagne ideologiche della borghesia. La voce del rifiuto dei sacrifici e delle guerre esiste e si esprime. Fedele ai principi internazionalisti del movimento operaio, l’insieme dei gruppi della Sinistra comunista è intervenuto per denunciare la guerra imperialista in Jugoslavia. Questa voce si è espressa anche in Russia. Nel mezzo di una ostilità generalizzata, di una repressione severa, al prezzo di rischi personali particolarmente importanti, nel mezzo dell’isteria nazionalista, noi salutiamo i militanti che hanno saputo levarsi contro l’intervento imperialista russo in Cecenia, che hanno saputo difendere la sola via che possa realmente frenare prima e poi opporsi alla barbarie guerriera.
ABBASSO LA GUERRA!
Non prendeteci per imbecilli!
I vari Eltisin, Maskhadov, Putin, Bassaev….
Sono tutti della stessa risma!
Sono loro che hanno organizzato il terrore a Mosca, a Vogodonsk, nel Daghestan e in Cecenia. E’ il loro affare, la loro guerra. Ne hanno bisogno per rafforzare il loro potere. Ne hanno bisogno per difendere il loro petrolio. Perché i nostri figli dovrebbero morire per i loro interessi? Che i potenti si uccidano tra di loro!
Non date credito ai discorsi stupidi e nazionalisti: non si può accusare un popolo intero di aver commesso dei crimini che sono stati commessi non si sa da chi, ma ai quali non sono interessati che i governi ed i capi di tutte le nazioni.
Non fatevi coinvolgere in questa guerra e non fateci andare i vostri figli! Resistete il più possibile a questa guerra! Fate sciopero contro la guerra ed i suoi istigatori.
Degli internazionalisti di Mosca (10).
Opporsi alla borghesia e rigettare ogni nazionalismo, opporsi allo Stato che sia democratico o no, rifiutare la guerra del capitale e chiamare la classe operaia alla lotta, a difendere le sue condizioni di vita, a levarsi contro il capitalismo, questa è la via. Questa via è quella che deve intraprendere la classe operaia di tutti i paesi, la via della lotta contro lo sfruttamento capitalista, contro la sua miseria ed i suoi sacrifici. Questa via è quella della distruzione del capitalismo, di questo sistema che semina la morte e la miseria ogni giorno di più dappertutto nel mondo. Questa via è quella della rivoluzione comunista.
Le guerre si moltiplicano. La crisi economica provoca disastri. Le catastrofi si succedono alle catastrofi a causa della produzione capitalista sfrenata che distrugge tutto. Il pianeta diventa ogni giorno più invivibile, più irrespirabile, più infernale. A tutti questi mali tragici che porta in sé il capitalismo che non può che accrescerli ed aggravarli, solo la classe operaia internazionale può dare una risposta. Solo il proletariato mondiale può offrire una prospettiva ed una via d’uscita all’umanità.
R.L., 1/1/2000
1. Gli articoli della stampa internazionale sono tradotti da noi.
2. All’epoca abbiamo denunciato i pompieri piromani che avevano provocato deliberatamente la repressione serba e l’esodo dei kosovari (vedi Revue Internationale n.98, la stampa territoriale della CCI ed il volantino internazionale che denunciava la guerra). Le grandi potenze occidentali allora avevano potuto giustificare l’intervento militare agli occhi della propria “pub-blica opinione” utilizzando senza vergogna le centinaia di migliaia di rifugiati provocati dai bombardamenti della Nato. La provocazione, l’intransigenza e la manipolazione delle grandi potenze, particolarmente degli Stati Uniti, per spingere ad ogni costo la guerra contro la Jugoslavia, sacrificando deliberatamente le popolazioni civili kosovare e serbe, sono state confermate in seguito, a più riprese, da giornali specializzati o in articoli discreti, cioè non destinati al “grande pubblico”. Ancora ultimamente l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OCSE) notava in un rapporto del 6 dicembre che “contrariamente a quello che affermavano parecchi paesi al momento della guerra del Kosovo (…) le esecuzioni sommarie ed arbitrarie (ad opera delle forze serbe) sono diventate un fenomeno generalizzato con l’inizio della campagna aerea della Nato contro la Repubblica federale della Jugoslavia nella notte tra il 24 ed il 25 marzo (…). Fino a quella data, l’attenzione delle forze militari e paramilitari jugoslave e serbe era generalmente portata verso delle zone del Kosovo dove transitavano le forze dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) e là dove l’UCK aveva delle basi” (ripreso da Le Monde, 7/12/99).
3. In una lettera ricevuta dalla Russia un lettore ci ha informato dell’esistenza di un vero e proprio traffico di ostaggi nel quale la complicità degli ufficiali russi con i capi delle bande cecene è un dato di fatto. Questo sembra confermato dalla stampa stessa, in particolare la vendita e la liberazione da parte di ufficiali russi a delle gang cecene di loro propri… soldati! Questi diventano poi oggetto di ricatto presso le loro famiglie, alle quali vengono consegnati dietro pagamento di un riscatto che viene diviso tra gli uni e gli altri!
4. A partire dal 1948 il piano Marshall viene messo in opera, al fine di ricostruire l’Europa dell’Ovest, sotto l’egida degli Stati Uniti. Lungi dall’essere disinteressato, questo “aiuto” americano aveva come obiettivo soprattutto quello di assicurare il dominio degli Stati Uniti sull’Europa occidentale contro le mire imperialiste dell’URSS. Il 1947 infatti segna l’inizio della guerra fredda tra i due blocchi imperialisti dell’epoca.
5. La decisione dello Stato americano di imporre la costruzione dell’oleodotto passante per la Turchia non è che uno degli esempi del ruolo mistificatore delle campagne contro il liberismo e l’impotenza degli Stati di fronte alle grandi multinazionali finanziarie ed economiche. Nei fatti, tutta la politica di liberalizzazione sviluppata a partire dagli anni 80 ha rafforzato e reso più efficace, più “flessibile”, e soprattutto ancora più totalitaria l’impresa Stato su tutti gli aspetti della vita sociale. Lungi dall’indebolirsi con il “liberismo” dei Reagan e Thatcher, il capitalismo di Stato non è mai stato tanto sviluppato come oggi. Le campagne internazionali anti OMC – come le manifestazioni alla conferenza di Seattle – che reclamano una vera “democrazia cittadina” hanno un solo scopo: presentare a livello internazionale un’alternativa democratica e di sinistra, una falsa alternativa, al fine di evitare la messa in discussione del capitalismo come tale.
6. La situazione economica, sociale e politica della Russia è una vera catastrofe. La Russia avrà enormi difficoltà ad onorare le prossime scadenze dei suoi debiti internazionali…mentre miliardi vengono inghiottiti dalla guerra. La situazione della popolazione, già in miseria sotto il capitalismo di Stato staliniano, non ha fatto che deteriorarsi dopo l’avvento della democrazia in tutto questo decennio. Le analisi recenti al riguardo sono ancora più drammatiche. Da un articolo del Washington Post ripubblicato in International Herald Tribune del 10/12/99,
“Se la demografia è il destino, il destino della Russia per i prossimi 50 anni è costernante. (…) Circa il 70% delle donne incinte in Russia hanno serie patologie, non solo di anemia (che riflette mancanza di ferro certamente dovuto a malnutrizione) ma anche di aumento di diabete, …. E di malattie che si propagano per via sessuale (a parte l’AIDS): La sterilità aumenta più del 3% all’ anno e più del 15-20% delle coppie sono oggi sterili. La nuova incidenza della sifilide si è moltiplicata per 77 dal 1990 per i due sessi, e per 50 per le ragazze tra i 10 ed i 14 anni (…). I casi di tubercolosi dovrebbero raggiungere un milione nel 2002. E la resistenza dei casi di tubercolosi – già nel numero di 30.000 - alle molteplici medicine ed i 2 milioni di malati di AIDS previsti, andranno a sommergere il sistema della sanità (…). Le cifre riguardanti il cancro ed i casi di morte per infarto cardiaco per i giovani di 15-19 anni sono il doppio rispetto alle cifre americane così come il numero di suicidi rispetto agli Stati Uniti (…). Queste sono delle questioni cruciali da affrontare per un paese che ha una lunga tradizione di espansione. Esso è oggi di fronte ad un futuro che sembra andare nella direzione opposta.” (Murray Feshbach, “Le statistiche della sanità per la Russia sono sinistre”).
E noi abbiamo già menzionato il grado di corruzione e di decomposizione dell’esercito: quando non vendono i loro soldati come schiavi, gli ufficiali vendono le loro armi al maggiore offerente, spesso anche ai ceceni. L’esercito non è che un esempio della realtà della corruzione e della delinquenza di tutta la società russa.
7. Senza dimenticare le minacce e la corsa agli armamenti nucleari tra l’India ed il Pakistan.
8. Questo summit dell’OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) si è tenuto a Istanbul il 17 novembre 1999.
9. Vedi le Tesi sulla democrazia borghese e la dittatura proletaria pubblicate nella Revue Internationale n.100, I° trimestre 2000.
10. Questa presa di posizione è stata affissa alle fermate degli autobus e nelle metropolitane, e non diffusa sotto forma di volantino a causa della repressione e dell’isteria nazionalista che c’è in questo momento in Russia. La causa immediata di questo clima sciovinista e razzista? Gli attentati attribuiti agli islamici ceceni in Russia che sono quasi certamente l’opera, provocatoria, dei servizi segreti russi.