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L'EVOLUZIONE DEI CONFLITTI IMPERIALISTI
1) Raramente, dopo la fine della seconda guerra mondiale, il mondo ha conosciuto una moltiplicazione e un'intensificazione dei conflitti guerrieri come quelle a cui si assiste oggi. Si diceva che la guerra del Golfo, all'inizio del 1991, avrebbe instaurato un "nuovo ordine mondiale", basato sul "Diritto". Dopo, la serie di conflitti che doveva succedere alla fine della divisione del mondo tra i due mastodontici imperialismi non ha smesso di estendersi ed acuirsi. L'Africa e l'Asia del sud-est, terreni tradizionali degli scontri imperialisti, hanno continuato ad essere sconvolti da convulsioni e dalla guerra. Liberia, Ruanda, Angola, Somalia, Afganistan, Cambogia: questi paesi sono oggi sinonimo di scontri armati e di desolazione malgrado tutti gli "accordi di pace" e gli interventi della "comunità internazionale" patrocinati direttamente o indirettamente dall'ONU. A queste "zone in tempesta" sono venuti ad aggiungersi il Caucaso e l'Asia centrale che pagano al caro prezzo dei massacri inter etnici la scomparsa dell'URSS. Infine, quel porto di stabilità costituito dall'Europa dalla fine della seconda guerra mondiale è oggi in preda ad uno dei conflitti più sanguinosi e barbari che si siano visti. Questi scontri esprimono in modo tragico le caratteristiche del mondo capitalista in decomposizione. Essi derivano, in buona parte, dalla situazione nuova creatasi a causa di quello che costituisce, a tutt'oggi, la manifestazione più importante di questa nuova fase della decadenza capitalista: il crollo dei regimi stalinisti e del blocco dell'Est. Ma, contemporaneamente, questi conflitti sono ulteriormente aggravati da quella che è una delle caratteristiche generali e fondamentali di questa decadenza: l'antagonismo tra le diverse potenze imperialiste. Così, il sedicente "aiuto umanitario" in Somalia non è che un pretesto ed uno strumento dello scontro tra la due principali potenze che si oppongono oggi in Africa: gli Stati Uniti e la Francia. Dietro le varie cricche che si disputano il potere a Kabul si profilano gli interessi delle potenze regionali come il Pakistan, l'India, l'Iran, la Turchia, l'Arabia Saudita, potenze che, per parte loro, iscrivono i loro interessi ed i loro antagonismi all'interno di quelli dei "Grandi" come gli Stati Uniti o la Germania. Infine, le convulsioni che hanno messo a ferro e fuoco l'ex-Yugoslavia a poche centinaia di chilometri dall'Europa "avanzata", traducono, esse stesse, i principali antagonismi che dividono oggi il pianeta.
2) L'ex-Yugoslavia è diventata un punto focale nelle rivalità tra le principali potenze del mondo. Se gli scontri ed i massacri che vi si svolgono da due anni hanno trovato terreno fertile negli antagonismi etnici ancestrali messi sotto silenzio dal regime stalinista, e che il crollo di questo ha fatto risorgere, certo i sordidi calcoli delle grandi potenze hanno costituito un fattore notevole di accentuazione di questi antagonismi. E' certo perché la Germania ha incoraggiato la secessione delle Repubbliche del nord, Slovenia e Croazia, allo scopo di costituirsi uno sbocco verso il Mediterraneo, che si è aperta il vaso di Pandora iugoslavo. E' certo perché gli altri Stati europei, insieme agli Stati Uniti, si erano opposti a questa offensiva tedesca che hanno, direttamente o indirettamente con il loro immobilismo, incoraggiato la Serbia e le sue milizie a scatenare la "purificazione etnica" nel nome della "difesa delle minoranze". Nei fatti, l'ex-Yugoslavia costituisce una specie di riassunto, un esempio parlante e tragico dell'insieme della situazione mondiale nel campo dei conflitti imperialisti.
3) In primo luogo, gli scontri che devastano oggi questa parte del mondo sono una nuova conferma della totale irrazionalità economica della guerra imperialista. Già da molto tempo, e sulla scia della "Sinistra comunista di Francia", la CCI ha rilevato la differenza fondamentale tra le guerre del periodo ascendente del capitalismo, che avevano una certa razionalità per lo sviluppo di questo sistema, e quelle del periodo di decadenza che non fanno che esprimere la totale assurdità economica di un modo di produzione agonizzante. Se l'aggravarsi degli antagonismi imperialisti ha come causa ultima la fuga in avanti di tutte le borghesie nazionali poste di fronte al blocco totale dell'economia capitalista, i conflitti guerrieri non potrebbero apportare alcuna "soluzione" alla crisi, sia a livello dell'insieme dell'economia mondiale che per quella di un qualunque paese in particolare. Come già notava Internationalisme nel 1945, non è più la guerra che è al servizio dell'economia, ma piuttosto l'economia che si è messa al servizio della guerra e della sua preparazione. E questo fenomeno non ha fatto che amplificarsi successivamente. Nel caso della ex-Yugoslavia, nessuno dei protagonisti può sperare nel benché minimo profitto economico dalla sua implicazione nel conflitto. E' evidente per tutte le Repubbliche che si fanno la guerra attualmente: le massicce distruzioni dei mezzi di produzione e della forza lavoro, la paralisi dei trasporti e dell'attività produttiva, l'enorme prelievo rappresentato dagli armamenti a danno dell'economia locale non vanno a beneficio di nessuno dei nuovi Stati in campo. Ugualmente, contrariamente all'idea che si è diffusa nell'ambiente politico proletario, questa economia totalmente devastata non potrà assolutamente costituire un mercato solvibile per la produzione eccedente dei paesi industrializzati. Non sono dei mercati che le grandi potenze si disputano nel territorio della ex-Yugoslavia ma delle posizioni strategiche destinate a preparare quella che è diventata la principale attività del capitalismo decadente: la guerra imperialista ad un livello sempre più vasto.
4) La situazione nella ex-Yugoslavia viene ugualmente a confermare un punto che la CCI aveva sottolineato da molto tempo: la fragilità dell'edificio europeo. Questo, con le sue varie istituzioni, si era costituito essenzialmente come strumento del blocco americano di fronte alla minaccia del blocco russo. L'interesse comune dei differenti Stati dell'Europa occidentale di fronte a questa minaccia (che non escludeva il tentativo di alcuni tra loro, come la Francia di De Gaulle di limitare l'egemonia americana) aveva costituito un fattore notevole di stimolo alla cooperazione, specialmente economica, tra questi stati. Una tale cooperazione non era stata in grado di superare le rivalità economiche tra loro, risultato che non poteva essere raggiunto nel capitalismo, ma aveva permesso l'instaurarsi di una certa "solidarietà" di fronte alla concorrenza commerciale del Giappone e degli Stati Uniti. Con il crollo del blocco dell'est, le basi dell'edificio europeo si sono trovate lesionate. Ormai, l'Unione Europea, che il trattato di Maastricht dalla fine del 1991 ha fatto succedere alla CEE, non potrebbe più essere considerato come uno strumento di un blocco occidentale che ha lui stesso cessato di esistere. Al contrario, questa struttura è divenuta l'arena degli antagonismi imperialisti che sono nati o sono venuti a galla con la scomparsa della vecchia configurazione del mondo. E' quanto è stato messo molto ben in evidenza dagli scontri in Jugoslavia, con la profonda divisione degli Stati europei incapaci di mettere in atto una benché minima politica comune di fronte ad un conflitto che si sviluppava alle loro porte. Oggi, "l'Europa unita" può ancora essere utilizzata dall'insieme dei suoi membri come bastione contro la concorrenza commerciale del Giappone e degli Stati Uniti o come strumento contro l'immigrazione e le lotte della classe operaia. Ma la sua componente diplomatica e militare ne fanno l'oggetto di una disputa sempre più acuta tra quelli (particolarmente la Francia e la Germania) che vogliono farle svolgere un ruolo come struttura capace di rivaleggiare con la potenza americana (preparando la costituzione di un futuro blocco imperialista) e gli alleati degli Stati Uniti (essenzialmente la Gran Bretagna ed i Paesi bassi) che invece svolgono il ruolo di freno di una tale tendenza. (1)
5) L'evoluzione del conflitto nei Balcani è venuta ugualmente ad illustrare una delle altre caratteristiche della situazione mondiale: gli ostacoli sul cammino della ricostituzione di un nuovo sistema di blocco imperialista. Come la CCI ha sottolineato fin dal 1989, la tendenza verso un tale sistema è stata messa all'ordine del giorno da quando il vecchio è scomparso con il crollo del blocco dell'Est. L'emergere di un candidato alla direzione di un nuovo blocco imperialista, che rivaleggi con quello che sarebbe capeggiato dagli Stati Uniti, si è rapidamente confermato con l'avanzata delle posizioni della Germania in Europa centrale e nei Balcani, e ciò quando la libertà di manovra militare e diplomatica di questo paese era ancora limitata dagli obblighi ereditati dalla sua sconfitta nella seconda guerra mondiale. L'ascesa della Germania si è largamente basata sulla sua potenza economica e finanziaria, ma ha anche potuto beneficiare del sostegno di un suo vecchio complice all'interno della CEE, la Francia (azione concertata rispetto all'Unione Europea, creazione di un esercito comune, ecc.). Tuttavia, la Yugoslavia ha evidenziato tutte le contraddizioni che dividono questo tandem: mentre la Germania sosteneva senza indugi la Slovenia e la Croazia, la Francia ha mantenuto per un lungo periodo una politica pro-serba che l'ha fatta schierare con la posizione iniziale della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, il che ha permesso a questa potenza di frapporre ostacoli all'interno dell'alleanza privilegiata tra i due principali paesi europei. Anche se questi due paesi hanno consacrato delle energie particolari al fatto che il cruento imbroglio jugoslavo non comprometta la loro cooperazione (vedi il sostegno della Bundesbank al franco francese contro gli attacchi della speculazione), è sempre più chiaro che non ripongono le stesse speranze nella loro alleanza. La Germania, per la sua potenza economica e la sua posizione geografica, aspira alla leadership di una "Grande Europa" che non sarebbe se non l'asse centrale di un nuovo blocco imperialista. Se è d'accordo nel far giocare un tale ruolo alla struttura europea, la borghesia francese, che dal 1870 ha potuto constatare a sue spese la potenza della sua vicina orientale, non vuole però accontentarsi del posto di secondo piano che questa si propone di concederle. E' perciò che la Francia non è interessata ad uno sviluppo troppo ingente della potenza militare tedesca (accesso al Mediterraneo, armamento nucleare, in particolare) che vedrebbe sminuire le carte vincenti di cui essa ancora dispone per tentare di mantenere una certa parità con la sua vicina nella direzione dell'Europa e alla testa della contestazione della egemonia americana. La riunione di Parigi dell'11 marzo fra Vance, Owen e Milosevic sotto la presidenza di Mitterrand, sta lì ad illustrare, ancora una volta, questa realtà. Così, una delle condizioni perché si ricostituisca una nuova divisione del mondo tra due blocchi imperialisti, l'accrescimento molto sostanzioso delle capacità militari della Germania porta con sé la minaccia di difficoltà serie tra i due paesi europei che sono candidati a capeggiare un nuovo blocco. Il conflitto nella ex-Jugoslavia è dunque venuto a confermare che non è per niente sicuro che giunga a compimento la tendenza verso la ricostituzione di un tale nuovo blocco: la situazione geopolitica specifica delle due borghesie che se ne fanno le principali protagoniste è una ulteriore difficoltà che si somma a quelle generali proprie del periodo di decomposizione che acuisce il "ciascuno per sé" tra tutti gli Stati.
6) Il conflitto nella ex-Jugoslavia infine viene a confermare una delle caratteristiche maggiori della situazione mondiale: i limiti dell'efficacia dell'operazione "Tempesta del Deserto" del 1991 destinata ad affermare la leadership degli Stati Uniti sul mondo. Come la CCI ha affermato all'epoca, questa operazione di grande respiro non aveva come principale bersaglio il regime di Saddam Hussein e nemmeno gli altri paesi della periferia che avrebbero potuto essere tentati ad imitare l'Irak. Per gli Stati Uniti, ciò che si trattava anzitutto di affermare, era il loro ruolo di "gendarme del mondo" di fronte alle convulsioni derivanti dal crollo del blocco russo ed in particolare di ottenere l'obbedienza da parte delle altre potenze occidentali che, con la fine della minaccia venuta dall'Est, si sentivano spuntare le ali. Appena pochi mesi dopo la guerra del Golfo, l'inizio degli scontri in Yugoslavia ha mostrato il fatto che queste stesse potenze, ed in particolare la Germania, erano ben determinate a far prevalere i loro interessi imperialisti a scapito degli Stati Uniti. In un secondo tempo questo paese, se da un lato è riuscito a mettere in evidenza l'impotenza della Unione europea rispetto ad una situazione che è di sua competenza e la mancanza di accordo che regna nelle fila di quest'ultima, compreso tra i migliori alleati che sono la Francia e la Germania, non è riuscito tuttavia a contenere realmente l'avanzata degli altri imperialismi, in particolare quello tedesco che ha, complessivamente, raggiunto i suoi fini nella ex-Yugoslavia. Un tale smacco è evidentemente grave per la prima potenza mondiale perché non può che andare a favore della tendenza di numerosi paesi, su tutti i continenti, a mettere a profitto la nuova situazione mondiale per allentare la morsa a loro imposta dallo Zio Sam per decenni. E' per questa ragione che cresce l'attivismo degli Stati Uniti attorno alla Bosnia subito dopo aver fatto mostra della loro forza militare con il massiccio e spettacolare spiegamento "umanitario" in Somalia e l'interdizione dello spazio aereo del sud dell'Irak.
7) Anche quest'ultima operazione militare ha confermato una serie di fatti evidenziati dalla CCI prima. Essa ha mostrato il fatto che il vero bersaglio individuato dagli Stati Uniti in questa parte del mondo non è l'Irak, poiché è servita a rafforzare il regime di Saddam Hussein sia all'interno che all'estero, ma piuttosto i loro "alleati", coinvolti ancora una volta, ma con minor successo del 1991 (il terzo ladrone della "coalizione", la Francia, si è accontentata questa volta di inviare degli aerei da ricognizione). In particolare, essa ha costituito un messaggio in direzione dell'Iran, la cui crescente potenza militare si accompagna al rafforzamento dei suoi legami con alcuni paesi europei, precisamente la Francia. Questa operazione è venuta a confermare ugualmente, poiché il Kuwait non era più coinvolto, che la guerra del Golfo non era motivata dalla questione del prezzo del petrolio o della conservazione da parte degli Stati Uniti della loro "rendita petrolifera", come avevano affermato i gauchistes e anche, ad un certo punto, alcuni gruppi dell'ambiente proletario. Se questa potenza è interessata a conservare e rafforzare la sua presa sul Medio Oriente ed i suoi giacimenti petroliferi, non è fondamentalmente per delle ragioni commerciali o strettamente economiche. E' innanzitutto per essere in grado, se ce ne sarà bisogno, di privare i suoi rivali giapponesi ed europei dei loro approvvigionamenti di una materia prima essenziale per un'economia sviluppata e maggiormente per ogni impresa militare (materia prima di cui dispone d'altronde abbondantemente il principale alleato degli Stati Uniti, la Gran Bretagna).
8) Così, i recenti eventi hanno confermato che, di fronte ad un accentuarsi del caos mondiale e del "ciascuno per sé" ed all'ascesa in forza dei suoi nuovi rivali imperialisti, la prima potenza mondiale dovrà sempre più fare uso della forza militare per preservare la sua supremazia. I terreni potenziali di scontro non mancano e non fanno che moltiplicarsi. Fin da oggi, il subcontinente indiano, dominato dall'antagonismo fra Pakistan ed India, si trova sempre più coinvolto, come testimoniano per esempio gli scontri in questo ultimo paese tra comunità religiose, che se sono una testimonianza della decomposizione, sono attizzati da questo antagonismo. Ugualmente, l'Estremo Oriente è oggi il teatro di manovre imperialistiche di grande ampiezza come, in particolare, il riavvicinamento tra la Cina ed il Giappone (sigillato dalla visita a Pechino per la prima volta nella storia, dell'Imperatore giapponese). E' più che probabile che questa configurazione delle linee di forze imperialiste non farà che confermarsi nella misura in cui:
- non sussiste più una situazione conflittuale tra Cina e Giappone;
- ciascuno dei due paesi ha un conto aperto con la Russia (tracciato della frontiera russo-cinese, questione delle Kurili);
- cresce la rivalità tra gli Stati Uniti ed il Giappone sull'Asia del Sud-Est e del Pacifico;
- la Russia è "condannata", anche se ciò accresce la resistenza dei "conservatori" contro Eltsin, all'alleanza americana a causa stessa dell'importanza dei suoi armamenti atomici (al cui riguardo gli Stati Uniti non possono tollerare che passino al servizio di una altra alleanza).
Gli antagonismi che mettono alle strette la prima potenza mondiale ed i suoi alleati non risparmiano nemmeno il continente americano in cui i tentativi ripetuti di colpo di stato contro Carlos Andres Perez in Venezuela o la costituzione della NAFTA, al di là delle loro cause o implicazioni economiche e sociali, hanno come fine di frapporre ostacoli alle mire e all'accrescimento dell'influenza di alcuni stati europei. Così la prospettiva mondiale sul piano delle tensioni imperialiste è caratterizzata da un'ascesa ineluttabile di queste con una crescente utilizzazione della forza militare da parte degli Stati Uniti, e non è certo la recente elezione del democratico Clinton alla testa di questo paese che potrebbe rovesciare questa tendenza, ma al contrario. Fino ad oggi queste tensioni si sono sviluppate essenzialmente come ripercussioni del crollo del vecchio blocco dell'Est. Ma sempre più saranno aggravate dalla caduta catastrofica nella sua crisi mortale dell'economia capitalista.
L'EVOLUZIONE DELLA CRISI ECONOMICA
9) L'anno 1992 si è caratterizzato con un aggravarsi considerevole della situazione dell'economia mondiale. In particolare, la recessione aperta si è generalizzata raggiungendo paesi inizialmente risparmiati, come la Francia, e tra i più solidi come la Germania ed il Giappone. Se l'elezione di Clinton rappresenta la prosecuzione, ed anche il rafforzamento, della politica della prima potenza mondiale sull'arena imperialista, essa simboleggia la fine di tutto un periodo nell'evoluzione della crisi e delle politiche borghesi per farvi fronte. Essa prende atto della caduta definitiva delle "reaganomics" che avevano suscitato le speranze più folli nelle fila della classe dominante e numerose illusioni tra i proletari. Oggi, nei discorsi borghesi, non si fa più alcun cenno alle mitiche virtù della "deregulation" e del "meno Stato". Anche uomini politici appartenenti a forze che si erano fatte sostenitrici delle "reaganomics", come Major in Gran Bretagna, ammettono, di fronte all'accumularsi delle difficoltà dell'economia, la necessità in essa di "più Stato".
10) Gli "anni Reagan", prolungati dagli "anni Bush", non hanno affatto rappresentato una inversione della tendenza storica, propria della decadenza capitalistica, di rafforzamento del capitalismo di Stato. Durante questo periodo, delle misure come l'aumento massiccio delle spese militari, il salvataggio del sistema delle casse di risparmio da parte dello Stato federale (che comporta un prelevamento di 1000 miliardi di dollari dal suo bilancio) o la caduta volontaristica dei tassi di interesse al disotto del livello dell'inflazione hanno rappresentato una crescita significativa dell'intervento dello Stato nell'economia della prima potenza mondiale. Nei fatti, quali che siano i temi ideologici impiegati, quali che siano le modalità, la borghesia non può mai, nel periodo di decadenza, rinunciare a fare appello allo Stato per assemblare i pezzi di un'economia che tende al collasso, per tentare di barare con le leggi capitalistiche (ed è il solo che possa farlo, in particolare attraverso la stampa della carta moneta). Tuttavia, con:
- il nuovo aggravarsi della crisi economica mondiale;
- il livello critico raggiunto dalla rovina di certi settori cruciali dell'economia americana (salute ed educazione, infrastrutture ed equipaggiamenti, ricerca, ...) favorito dalla politica "liberale" forsennata di Reagan e compagni;
- l'esplosione surrealista della speculazione a scapito degli investimenti produttivi ugualmente incoraggiati dalle "reaganomics";
lo Stato federale non poteva evitare un intervento molto più aperto, a viso scoperto, in questa economia. In questo senso, il significato dell'elezione del democratico Clinton alla testa dell'esecutivo americano non può essere ridotto a dei soli imperativi ideologici. Questi imperativi non sono trascurabili, proprio allo scopo di favorire una maggiore adesione dell'insieme della popolazione degli Stati Uniti alla politica imperialista della borghesia di questo paese. Ma, molto più importante, il "New Deal" di Clinton è il segno della necessità di un riorientamento significativo della politica di questa borghesia, un riorientamento che Bush, troppo legato alla politica precedente, non era il più adatto ad attuare.
11) Questo riorientamento politico, contrariamente alle promesse del candidato Clinton, non potrebbe rimettere in discussione il peggioramento delle condizioni di vita della classe operaia, che viene definita "classe media" per i bisogni della propaganda. Le centinaia di miliardi di dollari di economia annunciati da Clinton alla fine di febbraio 1993, rappresentano una crescita considerevole dell'austerità destinata ad alleggerire l'enorme deficit federale e a migliorare la competitività della produzione USA sul mercato mondiale. Tuttavia, questa politica si confronta con dei limiti insuperabili. La riduzione del deficit, se sarà veramente realizzata, non potrà che accentuare le tendenze al rallentamento dell'economia che era stata drogata da questo stesso deficit per quasi un decennio. Un tale rallentamento, riducendo le entrate fiscali (malgrado l'aumento previsto delle imposte) porterà ad aggravare ancora questo deficit. Così, quali che siano le misure applicate, la borghesia si trova di fronte ad un vicolo cieco: invece di un rilancio dell'economia e di una riduzione del suo indebitamento (ed in particolare quello dello Stato), essa è condannata, con una scadenza che non potrà essere rimandata per molto, ad un nuovo rallentamento dell'economia ed ad un aumento irreversibile dell'indebitamento.
12) Lo stallo nel quale si trova l'economia americana non fa che esprimere quello dell'insieme dell'economia mondiale. Tutti i paesi sono stretti in una morsa le cui ganasce hanno per nome caduta della produzione ed esplosione dell'indebitamento (ed in particolare quello dello Stato). E' la manifestazione eclatante della crisi di sovrapproduzione irreversibile nella quale affonda il modo di produzione capitalista da più di due decenni. Successivamente, l'esplosione dell'indebitamento del "terzo mondo", dopo la recessione mondiale del 1973-74, poi l'esplosione del debito americano (sia interno che estero), dopo quella del 1981-82, avevano permesso all'economia mondiale di limitare le manifestazioni dirette, e soprattutto di mascherare l'evidenza, di questa sovrapproduzione. Oggi, le drastiche misure che si propone di applicare la borghesia USA segnano la messa da parte definitiva della "locomotiva" americana che aveva tirato l'economia mondiale negli anni 1980. Il mercato interno degli Stati Uniti si ferma sempre più, ed in modo irreversibile. E se ciò non succede per una migliore competitività delle merci made in USA, ciò avverrà attraverso un aumento senza precedenti del protezionismo di cui Clinton, fin dal suo insediamento, ha dato un assaggio (aumento dei diritti sui prodoti agricoli, l'acciaio, gli aerei, chiusura dei mercati pubblici, ...). Così, la sola prospettiva che possa attendere il mercato mondiale è quella di un restringimento crescente ed irrimediabile. E ciò tanto più perché esso è di fronte ad una crisi catastrofica del credito simbolizzata dai fallimenti delle banche sempre più numerosi: a forza di abusare in modo folle dell'indebitamento, il sistema finanziario internazionale si trova sull'orlo di un'esplosione che porterà al precipitare in modo apocalittico del crollo dei mercati e della produzione.
13) Un altro fattore che viene ad aggravare lo stato dell'economia mondiale è il caos crescente che si sviluppa nelle relazioni internazionali. Quando il mondo viveva sotto l'egida dei due giganti imperialisti, la necessaria disciplina che dovevano rispettare gli alleati all'interno di ciascun blocco non si esprimeva solo sul piano militare e diplomatico, ma anche sul piano economico. Nel caso del blocco occidentale, è attraverso delle strutture come l'OCSE, il FMI, il G7 che gli alleati, che erano nello stesso tempo i principali paesi avanzati, avevano stabilito, sotto l'egida del capo fila americano, un coordinamento delle loro politiche economiche e un modus vivendi per contenere le loro rivalità commerciali. Oggi, la scomparsa del blocco occidentale, che fa seguito al crollo di quello dell'Est, ha inferto un colpo decisivo a questo coordinamento (anche se se ne sono mantenute le vecchie strutture) e lascia il campo libero del "ciascuno per sé" nelle relazioni economiche. Concretamente, la guerra commerciale non può che scatenarsi ancora di più, venendo ad accentuare le difficoltà e l'instabilità dell'economia mondiale che ne sono la causa. E' quanto manifesta l'attuale paralisi nei negoziati del GATT. Questi avevano ufficialmente per oggetto di limitare il protezionismo tra "compagni" al fine di favorire gli scambi mondiali e dunque la produzione delle differenti economie nazionali. Il fatto che questi negoziati siano divenuti un'asta, in cui gli antagonismi imperialisti si sovrappongono alle semplici rivalità commerciali, non può che provocare l'effetto inverso: una maggiore disorganizzazione ancora di questi scambi, delle accresciute difficoltà per le economie nazionali.
14) Così, la gravità della crisi ha raggiunto, con l'inizio dell'ultimo decennio del secolo, un livello qualitativamente superiore a quanto il capitalismo abbia mai conosciuto finora. Il sistema finanziario mondiale cammina sull'orlo del precipizio al rischio continuo e crescente di precipitarvi. La guerra commerciale sta per scatenarsi ad un livello mai visto. Il capitalismo non potrà trovare una nuova "locomotiva" per rimpiazzare la locomotiva americana ormai fuori uso. In particolare, i mercati straordinari che si era pensato avrebbero rappresentato i paesi anticamente dominati da regimi stalinisti non sono mai esistiti se non nell'immaginazione di qualche settore della classe dominante (e anche in quella di alcuni gruppi dell'ambiente proletario). Lo sfaldamento senza speranza di queste economie, il baratro senza fondo che esse rappresentano per ogni tentativo di investimento che si propone di raddrizzarle, le convulsioni politiche che agitano la classe dominante e che vengono ulteriormente ad amplificare la catastrofe economica, tutti questi elementi indicano che esse sono sul punto di sprofondare in una situazione simile a quella del Terzo Mondo, che lungi dal poter costituire una boccata d'ossigeno per le economie più sviluppate, esse diventeranno un fardello che peserà sempre più sulle loro spalle. Infine, se in queste ultime l'inflazione ha qualche possibilità di essere contenuta, come è fino ad oggi, ciò non si concretizza affatto in un superamento delle difficoltà economiche che ne sono l'origine. E' al contrario l'espressione della riduzione drammatica dei mercati che esercita una potente pressione alla caduta sul prezzo delle merci. La prospettiva dell'economia mondiale è dunque alla caduta crescente della produzione con la messa da parte di una parte sempre più considerevole del capitale investito (fallimenti a catena, desertificazione industriale, ecc.) e una riduzione drastica del capitale variabile, il che significa, per la classe operaia, oltre che degli attacchi accresciuti contro tutti gli aspetti del salario, dei licenziamenti massicci, una crescita senza precedenti della disoccupazione.
LE PROSPETTIVE DELLA LOTTA DI CLASSE
15) Gli attacchi capitalistici di ogni tipo che si scatenano oggi e che non possono che amplificarsi, colpiscono un proletariato che è stato sensibilmente indebolito nel corso degli ultimi tre anni, un indebolimento che ha toccato sia la sua coscienza che la sua combattività.
E' il crollo dei regimi stalinisti d'Europa e lo smembramento dell'intero blocco dell'Est alla fine del 1989, che ha costituito il fattore essenziale di regresso della coscienza nel proletariato. L'identificazione, fatta da tutti i settori borghesi, per mezzo secolo, di questi regimi col "socialismo", il fatto che questi regimi non siano caduti sotto i colpi della lotta di classe operaia ma al seguito di una implosione della loro economia, ha permesso lo scatenamento di massicce campagne sulla "morte del comunismo", sulla "vittoria definitiva dell'economia liberale" e della "democrazia", sulla prospettiva di un "nuovo ordine mondiale" fatto di pace, di prosperità e di rispetto del Diritto. Se la stragrande maggioranza dei proletari delle grandi concentrazioni industriali aveva smesso, già da tempo, di farsi illusioni sui pretesi "paradisi socialisti", la scomparsa ingloriosa dei regimi stalinisti ha tuttavia inferto un colpo decisivo all'idea che poteva esistere sulla terra una cosa diversa dal sistema capitalista, che l'azione del proletariato poteva condurre ad una alternativa a questo sistema. Ed un tale danno alla coscienza nella classe è stata ulteriormente aggravato dall'esplosione dell'URSS, in seguito al colpo di stato fallito di agosto 1991, una esplosione che riguardava il paese che era stato il teatro della rivoluzione proletaria all'inizio del secolo.
D'altra parte, la crisi del Golfo a partire dall'estate 1990, l'operazione "Tempesta del deserto" all'inizio del 1991, hanno generato un profondo senso di impotenza tra i proletari che si sentivano totalmente incapaci di agire o di avere un peso rispetto a degli eventi della cui gravità erano coscienti, ma che restavano di competenza esclusiva di "quelli in alto". Questo sentimento ha potentemente contribuito ad indebolire la combattività operaia in un contesto in cui questa combattività era già stata alterata, benché in modo minore, dai fatti dell'est l'anno precedente. E questo indebolimento della combattività è stato ancora aggravato dall'esplosione dell'URSS, due anni dopo il crollo del suo blocco, come dallo sviluppo contemporaneo degli scontri nella ex-Jugoslavia.
16) Gli eventi che sono precipitati dopo il crollo del blocco dell'Est, apportando su tutta una serie di questioni una smentita alle campagne borghesi del 1989, hanno contribuito a scalzare una parte delle mistificazioni nelle quali era stata spinta la classe operaia. Così, la crisi e la guerra del Golfo hanno cominciato a portare dei colpi decisivi alle illusioni sull'instaurazione di una "era di pace" che Bush aveva annunciato all'epoca della caduta del rivale imperialista dell'Est. Nello stesso tempo, il comportamento barbaro della "grande democrazia" americana e dei suoi accoliti, i massacri perpetrati contro i soldati iracheni e le popolazioni civili hanno contribuito a smascherare la menzogne sulla "superiorità" della democrazia, sulla vittoria del "diritto delle nazioni" e dei "diritti dell'uomo". Infine, l'aggravarsi catastrofico della crisi, la recessione aperta, i fallimenti, le perdite registrate dalle imprese considerate come le più prospere, i licenziamenti massicci in tutti i settori e in particolare in queste imprese, la crescita inesorabile della disoccupazione, tutte queste manifestazioni irrisolvibili che incontra l'economia capitalista sono sul punto di regolare il loro conto alle menzogne sulla "prosperità" del sistema capitalista, sulla sua capacità di superare le difficoltà che avevano ingoiato il suo preteso rivale "socialista". La classe operaia non ha ancora digerito l'insieme dei colpi che erano stati inferti nel periodo precedente alla sua coscienza. In particolare l'idea che può esistere un'alternativa al capitalismo non deriva automaticamente dalla constatazione crescente del fallimento di questo sistema e può ben sfociare nella disperazione. Ma in seno alla classe le condizioni di un rigetto delle menzogne borghesi, di porsi delle questioni in profondità sono sul punto di svilupparsi.
17) Questa riflessione nella classe operaia prende corpo in un momento in cui l'accumulazione degli attacchi capitalisti e la loro crescente brutalità la obbligano a scuotersi dal torpore che l'aveva invasa da molti anni. Di volta in volta:
- l'esplosione della combattività operaia in Italia durante l'autunno 1992 (una combattività mai completamente spentasi dopo);
- ad un livello minore ma significativo, le manifestazioni di massa degli operai inglesi durante lo stesso periodo, all'annuncio della chiusura della maggior parte delle miniere;
- la combattività espressa dai proletari tedeschi alla fine dell'inverno in seguito ai licenziamenti massicci, specie in quella che costituisce uno dei simboli dell'industria capitalista, la Ruhr;
- altre manifestazioni di combattività operaia, di minore ampiezza ma che si sono moltiplicate in molti paesi d'Europa, specie in Spagna, di fronte a dei piani di austerità sempre più draconiani;
sono venuti a mettere in evidenza che il proletariato era sul punto di aprire la morsa che lo imprigionava dall'inizio degli anni 1990, che si liberava dalla paralisi che l'aveva costretto a subire senza reagire gli attacchi sferrati da allora dalla borghesia. Così, la situazione attuale si distingue fondamentalmente da quella che era stata messa in evidenza al precedente congresso della CCI quando si era constatato che: "... gli apparati della sinistra della borghesia hanno tentato già da molti mesi di lanciare dei movimenti di lotta prematuri con lo scopo di intralciare questa riflessione (in seno al proletariato) e di spargere ulteriore confusione nelle fila operaie." In particolare, l'atmosfera di impotenza che dominava allora tra la maggioranza dei proletari e che favoriva le manovre borghesi volte a provocare delle lotte minoritarie destinate ad impantanarsi nell'isolamento, tende sempre più a lasciare il posto alla volontà di scontrarsi con la borghesia, di rispondere con determinazione ai suoi attacchi.
18) Così, fin da oggi, il proletariato dei principali paesi industrializzati è in grado di rialzare la testa confermando ciò che la CCI non ha mai smesso di affermare: "il fatto che la classe operaia detiene sempre tra le sue mani le chiavi dell'avvenire" (Risoluzione del 9° Congresso della CCI) e che aveva annunciato con fiducia: "... è certo perché il corso storico non è stato rovesciato, perché la borghesia non è riuscita con le sue molteplici campagne e manovre ad infliggere una sconfitta decisiva al proletariato dei paesi avanzati e ad imbrigliarlo dietro le sue bandiere, che il riflusso subito da quest'ultimo, sia al livello della sua coscienza che della sua combattività, sarà necessariamente superato." (Risoluzione del 29 marzo 1992, Revue Internationale n° 70). Tuttavia questa ripresa della lotta di classe si annuncia difficile. I primi tentativi fatti dal proletariato dopo l'autunno 1992 mettono in evidenza che esso subisce ancora il peso del riflusso. In buona parte, l'esperienza, le lezioni acquisite nel corso delle lotte degli anni 1980, non sono state ancora fatte proprie dalla grande maggioranza degli operai. In cambio, la borghesia ha, fin d'ora, dato prova di aver tratto gli insegnamenti dalle lotte precedenti:
- organizzando, già da tempo, tutta una serie di campagne destinate a far perdere agli operai la loro identità di classe, in particolare delle campagne antifasciste ed anti-razziste così come delle campagne volte ad imbottire loro il cranio con il nazionalismo;
- prendendo rapidamente, grazie ai sindacati, le redini delle espressioni di combattività;
- radicalizzando il linguaggio di questi organi di inquadramento della classe operaia;
- dando di primo acchito, là dove era necessario come in Italia, un ruolo di primo piano al sindacalismo di base;
- organizzando o preparando, in un certo numero di paesi, l'allontanamento dal governo dei partiti "socialisti" per potere meglio giocare la carta della sinistra nell'opposizione;
- stando attenta ad evitare, grazie ad una pianificazione internazionale dei suoi attacchi, uno sviluppo simultaneo delle lotte operaie nei diversi paesi;
- organizzando un sistematico black-out su queste.
Inoltre, la borghesia si è mostrata capace di utilizzare il riflusso della coscienza nella classe per introdurre dei falsi obiettivi e rivendicazioni nelle lotte operaie (divisione del lavoro, "diritti sindacali", difesa dell'impresa, ecc.).
19) Più in generale, è ancora lungo il cammino che attende il proletariato prima che sia capace di affermare la sua prospettiva rivoluzionaria. Dovrà evitare le trappole classiche che tutte le forze della borghesia disporranno sistematicamente sul suo cammino. Nello stesso tempo dovrà confrontarsi con tutto il veleno che la decomposizione del capitalismo fa penetrare fra le fila operaie e che la classe dominante (di cui le difficoltà politiche legate alla decomposizione non intaccano la sua capacità di manovra contro il suo nemico mortale) utilizzerà in maniera cinica:
- l'atomizzazione, l'"arrangiarsi" individuale, il "ciascuno per sé", che tende a spezzare la solidarietà e l'identità di classe e che, anche nei momenti di combattività, favorirà il corporativismo;
- la disperazione, la mancanza di prospettiva che continuerà a pesare, anche se la borghesia non potrà utilizzare una nuova volta un'occasione come il crollo dello stalinismo;
- il processo di sottoproletarizzazione derivante da un ambito in cui la disoccupazione massiccia e di lunga durata tende a separare dal resto della loro classe una parte significativa dei disoccupati, ed in particolare i più giovani;
- la crescita della xenofobia, anche tra settori operai importanti, che facilita notevolmente, di ritorno, le campagne anti-razziste ed antifasciste destinate non solo a dividere la classe operaia, ma anche a ricondurla dietro la difesa dello Stato democratico;
- le rivolte urbane, sia spontanee che provocate dalla borghesia (come quelle di Los Angeles nella primavera 1992), che saranno utilizzate da quest'ultima per tentare di deviare il proletariato dal suo terreno di classe;
- le differenti manifestazioni del marciume della classe dominante, la corruzione e la gangsterizzazione del suo apparato politico che, se intaccano la sua credibilità agli occhi degli operai, favoriscono nello stesso tempo le campagne di diversione in favore di uno Stato "proprio" (o "vero");
- la mostra di tutta la barbarie nella quale sprofonda non solo il "terzo-mondo", ma anche una parte dell'Europa, come l'ex-Jugoslavia, il che è terreno benedetto per tutte le campagne "umanitarie" volte a colpevolizzare gli operai, a far loro accettare il degradarsi delle loro proprie condizioni di vita, ma anche a ricoprire con un velo pudico e giustificare le manovre imperialiste delle grandi potenze.
20) Questo ultimo aspetto della situazione attuale mette in rilievo la complessità della questione della guerra come fattore della presa di coscienza del proletariato. Questa complessità è stata già ampiamente analizzata dalle organizzazioni comuniste, e specie dalla CCI, nel passato. Fondamentalmente essa consiste nel fatto che, se la guerra imperialista costituisce una delle manifestazioni maggiori della decadenza del capitalismo, simboleggiando in particolare l'assurdità di un sistema all'agonia ed indicando la necessità di rovesciarlo, il suo impatto sulla coscienza nella classe operaia dipende strettamente dalle circostanze nelle quali essa scoppia. Così la guerra del Golfo, due anni fa, ha contribuito seriamente a che gli operai dei paesi avanzati (paesi che erano praticamente tutti implicati in questa guerra, direttamente od indirettamente) superassero le illusioni diffuse dalla borghesia l'anno precedente, partecipando così alla chiarificazione della coscienza del proletariato. Invece la guerra nella ex-Jugoslavia non ha affatto contribuito al processo di chiarificazione della coscienza del proletariato, il che è comprovato dal fatto che la borghesia non ha avuto bisogno di organizzare delle manifestazioni pacifiste nel momento in cui molti paesi avanzati (come la Francia e la Gran Bretagna) hanno, fin d'ora, inviato migliaia di uomini sul campo. Lo stesso dicasi per l'intervento massiccio del gendarme USA in Somalia. E' chiaro così che, quando il gioco sordido dell'imperialismo può dissimularsi dietro i paraventi "umanitari", cioè finché gli è permesso di presentare i suoi interventi guerrieri come destinati ad alleviare l'umanità dalle calamità dovute alla decomposizione capitalista, non può, attualmente, essere messo a profitto dalle grandi masse operaie per rafforzare la loro coscienza e la loro determinazione di classe. Tuttavia, la borghesia non potrà in tutte le circostanze nascondere il volto odioso della sua guerra imperialista dietro la maschera dei "buoni sentimenti". L'ineluttabile aggravarsi degli antagonismi tra le grandi potenze, costringendole, anche in assenza del pretesto "umanitario" (come per la guerra del Golfo), a degli interventi sempre più diretti, massicci e carnefici (il che costituisce, in fin dei conti, una delle caratteristiche maggiori di tutto il periodo di decadenza del capitalismo), tenderà a far aprire gli occhi agli operai sulle vere poste in gioco della nostra epoca. Ciò è vero per la guerra come per altre manifestazioni dello stallo storico del sistema capitalistico: quando sono una conseguenza della decomposizione di questo sistema, esse si presentano come un ostacolo alla presa di coscienza nella classe; non è che intese come manifestazione generale dell'insieme della decadenza che esse possono costituire un elemento positivo in questa presa di coscienza. E questa potenzialità tenderà a divenire sempre più realtà a mano a mano che la gravità della crisi e degli attacchi borghesi, cosi come lo sviluppo delle lotte operaie, permetteranno alle masse proletarie di identificare la linea che unisce l'impasse economico del capitalismo ed il suo tuffarsi nella barbarie guerriera.
21) Così, l'evidenza della crisi mortale del modo di produzione capitalista, manifestazione prima della sua decadenza, le terribili conseguenze che essa avrà per tutti i settori della classe operaia, la necessità per questa di sviluppare, contro queste conseguenze, le lotte nelle quali ricomincia ad impegnarsi, vanno a costituire un potente fattore nella sua presa di coscienza. L'aggravarsi della crisi evidenzierà sempre più che essa non deriva da una "cattiva gestione", che i borghesi "virtuosi" e gli Stati "propri" sono altrettanto incapaci degli altri di superarla, che essa esprime l'impasse mortale di tutto il capitalismo. Lo spiegamento massiccio delle lotte operaie costituirà un potente antidoto contro gli effetti deleteri della decomposizione, permettendo di superare progressivamente, con la solidarietà di classe che queste lotte implicano, l'atomizzazione, il "ciascuno per sé" e tutte le divisioni che pesano sul proletariato: tra categorie, branche di industria, tra immigrati e nazionali, tra disoccupati e operai al lavoro. In particolare, se a causa del peso della decomposizione, i disoccupati non hanno potuto, nel corso del decennio passato, e contrariamente agli anni 1930, entrare nella lotta (se non in maniera molto puntuale) se non potranno giocare un ruolo d'avanguardia paragonabile a quello dei soldati nella Russia del 1917, come si sarebbe potuto prevedere, lo sviluppo massiccio delle lotte proletarie permetterà loro, specie nelle manifestazioni di strada, di ricongiungersi alla lotta generale della loro classe, e ciò tanto più che, tra loro, la proporzione di quelli che hanno già un'esperienza di lavoro associato e della lotta sul luogo di lavoro non potrà andare che crescendo. Più in generale se la disoccupazione non è un problema specifico dei senza lavoro ma piuttosto una questione che tocca e riguarda tutta la classe operaia, in particolare in quella che costituisce una manifestazione tragica ed evidente del fallimento storico del capitalismo, sono certo queste stesse lotte a venire che permetteranno all'insieme del proletariato di prenderne pienamente coscienza.
22) E' così, e fondamentalmente, attraverso queste lotte di risposta agli attacchi incessanti contro le sue condizioni di vita che il proletariato dovrà superare le conseguenze del crollo dello stalinismo che ha apportato un colpo di una tale violenza alla sua apprensione della sua prospettiva, alla sua coscienza che esiste un'alternativa rivoluzionaria alla società capitalista moribonda. Queste lotte "ridaranno fiducia alla classe operaia, le ricorderanno che essa costituisce, fin da oggi, una forza considerevole nella società e permetteranno ad una massa crescente di operai di rivolgersi nuovamente verso la prospettiva del rovesciamento del capitalismo" (Risoluzione del 29 marzo 1992). E più questa prospettiva sarà presente nella coscienza operaia, più la classe disporrà di carte vincenti per giocare le trappole borghesi, per sviluppare pienamente le sue lotte, per prenderle efficacemente in mano, estenderle e generalizzarle. Per sviluppare questa prospettiva, la classe non ha solo per compito di riprendersi dal disorientamento subito nell'ultimo periodo e di riappropriarsi delle lezioni delle sue lotte degli anni 1980; essa dovrà così riannodare il filo storico delle sue tradizioni comuniste. L'importanza centrale di questo sviluppo della coscienza non può che sottolineare l'immensa responsabilità che spetta alla minoranza rivoluzionaria nel periodo attuale. I comunisti devono partecipare attivamente a tutte le lotte di classe al fine di svilupparne le potenzialità, di favorire al meglio il recupero della coscienza del proletariato indebolita dal crollo dello stalinismo, di contribuire a ridargli fiducia in sé stesso e di mettere in evidenza la prospettiva rivoluzionaria che queste lotte contengono implicitamente. Ciò va di pari passo con la denuncia della barbarie militare del capitalismo decadente e, più in generale, la messa in guardia contro la minaccia che questo sistema in decomposizione fa pesare sulla sopravvivenza stessa dell'umanità. L'intervento deciso dell'avanguardia comunista è una condizione indispensabile del successo definitivo della lotta di classe proletaria.
CCI, aprile 1993
(1) Sembra così ancora una volta che gli antagonismi imperialisti non ricoprano automaticamente le rivalità commerciali, anche se, con il crollo del blocco dell'Est, la carta imperialista mondiale di oggi è più vicina rispetto a quella precedente , il che permette ad un paese come gli Stati Uniti di utilizzare, precisamente nei negoziati del GATT, la sua potenza economica e commerciale come arma di ricatto nei confronti dei suoi alleati. Come la CEE poteva essere talvolta uno strumento del blocco imperialista dominato dalla potenza americana pur favorendo la concorrenza commerciale dei suoi membri contro quest'ultima, dei paesi come la Gran Bretagna o i Paesi Bassi possono molto ben fondarsi oggi sull'Unione Europea per far valere i loro interessi commerciali rispetto a questa potenza pur rappresentando i suoi interessi imperialisti in Europa.