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Di fronte all'angoscia dell'avvenire, alla paura della disoccupazione, allo stillicidio dell'austerità e della precarietà, la borghesia utilizza le elezioni allo scopo di impedire la riflessione degli operai, sfruttando le fortissime illusioni che ancora esistono nel proletariato.
Il rifiuto di partecipare al circo elettorale non si impone in maniera evidente al proletariato per il fatto che questa mistificazione è strettamente legata a ciò che costituisce il cuore dell'ideologia della classe dominante, la democrazia. Tutta la vita sociale nel capitalismo viene organizzata dalla borghesia attorno al mito dello Stato "democratico". Questo mito è fondato sull'idea menzognera secondo la quale tutti i cittadini sono "uguali" e "liberi" di "scegliere", attraverso il voto, i loro rappresentanti politici e il parlamento viene presentato come il riflesso della "volontà popolare". Questa frode ideologica è difficile da evitare per la classe operaia per il fatto che la mistificazione elettorale si appoggia in parte su alcune verità. La borghesia utilizza, falsificandola, la storia del movimento operaio ricordando le lotte eroiche del proletariato per conquistare il diritto di voto. Di fronte alle grossolane menzogne propagandiste, è necessario tornare alle vere posizioni difese dal movimento operaio e dalle sue organizzazioni rivoluzionarie. E mostreremo come queste posizioni non siano una verità astratta, ma la risposta data in funzione dei diversi periodi di evoluzione del capitalismo e dei bisogni della lotta rivoluzionaria del proletariato.
La questione delle elezioni nel 19° secolo nella fase ascendente del capitalismo
Il 19° secolo è il periodo di pieno sviluppo del capitalismo durante il quale la borghesia utilizza il suffragio universale e il Parlamento per lottare contro la nobiltà e le sue frazioni retrograde. Come lo sottolinea Rosa Luxemburg nel 1904 nel suo testo Socialdemocrazia e parlamentarismo: "Il parlamentarismo, lungi dall'essere un prodotto assoluto dello sviluppo democratico, del progresso dell'umanità e di altre belle cose di questo genere, è al contrario una forma storica determinata della dominazione di classe della borghesia e un'espressione della sua lotta contro il feudalesimo. Il parlamentarismo borghese è una forma vivente solo fino a quando dura il conflitto tra la borghesia e il feudalesimo". Con lo sviluppo del modo di produzione capitalista, la borghesia abolisce la servitù ed estende il salariato per i bisogni della sua economia. Il Parlamento diventa l'arena in cui i diversi partiti borghesi si scontrano per decidere sulla composizione e sugli orientamenti del governo in carica. Il Parlamento diviene così il centro della vita politica borghese ma, in questo sistema democratico parlamentare, solo i notabili sono elettori. I proletari non hanno diritto di parola, né il diritto di organizzarsi.
Sotto l'impulso della I e poi della II Internazionale, gli operai ingaggiano delle lotte sociali molto importanti, spesso a prezzo della loro vita, per ottenere dei miglioramenti delle loro condizioni di vita (riduzione del tempo di lavoro da 14 a 10 ore, divieto di lavoro per i bambini e di lavori pesanti per le donne...). Nella misura in cui il capitalismo era allora un sistema in piena espansione, il suo rovesciamento tramite la rivoluzione proletaria non era ancora all'ordine del giorno. E' il motivo per cui la lotta rivendicativa sul terreno economico con l'ausilio dei sindacati e la lotta dei suoi partiti politici sul terreno parlamentare permettevano al proletariato di strappare delle riforme a suo vantaggio. "Una tale partecipazione gli permetteva sia di fare pressione a favore di queste riforme, di utilizzare le campagne elettorali come mezzo di propaganda e di agitazione sul programma proletario sia di impiegare il Parlamento come tribuna per denunciare le ignominie della politica borghese. E' per questo che la lotta per il suffragio universale ha costituito, per tutto il 19° secolo, in un gran numero di paesi, una delle occasioni più importanti di mobilitazione del proletariato".(1) Sono queste le posizioni che Marx ed Engels difenderanno lungo tutto questo periodo di ascesa del capitalismo per spiegare il loro appoggio alla partecipazione del proletariato alle elezioni.
La questione delle elezioni nel 20°secolo, nella fase di decadenza del capitalismo
All'alba del XX secolo il capitalismo ha ormai conquistato il mondo. Una volta arrivati ai limiti della sua espansione geografica, esso incontra il limite oggettivo dei mercati: gli sbocchi alla sua produzione diventano sempre più insufficienti. I rapporti di produzione capitalisti si trasformano da quel momento in ostacoli allo sviluppo delle forze produttive. Il capitalismo, nel suo insieme, entra in un periodo di crisi e di guerre di dimensioni mondiali.
Un tale rovesciamento va a produrre una modificazione profonda del modo di esistenza politica della borghesia, del funzionamento del suo apparato statale e, a maggior ragione, delle condizioni e dei mezzi della lotta del proletariato. Il ruolo dello Stato diviene preponderante perché questo è il solo capace di assumere "l'ordine", il mantenimento della coesione di una società capitalista dilaniata dalle sue contraddizioni. I partiti borghesi diventano, in maniera sempre più evidente, degli strumenti dello Stato incaricati di fare accettare la politica di questo. Il potere politico tende allora a spostarsi dal legislativo all'esecutivo e il Parlamento borghese diventa un guscio vuoto che non possiede più alcun ruolo decisionale. E' questa realtà che nel 1920, in occasione del suo II Congresso, l'Internazionale comunista caratterizza chiaramente: "L'atteggiamento della III Internazionale verso il parlamentarismo non è determinato da una nuova dottrina, ma dalla modificazione del ruolo del Parlamento stesso. Nell'epoca precedente, il Parlamento, in quanto strumento del capitalismo in via di sviluppo ha, in un certo senso, lavorato al progresso storico. Ma nelle condizioni attuali, nell'epoca dello scatenamento imperialista, il Parlamento è diventato uno strumento di menzogna, di frode, di violenza, e un esasperante mulino di parole... Nell'ora attuale, il Parlamento non può essere in nessun caso, per i comunisti, il terreno di una lotta per delle riforme e per il miglioramento della sorte della classe operaia, come fu il caso nel passato. Il centro di gravità della vita politica si è spostata al di fuori del Parlamento, e in maniera definitiva".
Ormai, è fuori questione che la borghesia possa accordare delle riforme reali e durevoli delle condizioni di vita della classe operaia. E' invece l'inverso che succede: sempre più sacrifici, miseria e sfruttamento. I rivoluzionari sono allora unanimi nel riconoscere che il capitalismo ha raggiunto dei limiti storici e che è entrato nel suo periodo di declino, come viene testimoniato dallo scoppio della Prima Guerra mondiale. L'alternativa era ormai: socialismo o barbarie. L'era delle riforme era definitivamente chiusa e gli operai non avevano più nulla da conquistare sul terreno delle elezioni.
Tuttavia un dibattito centrale si sviluppa nel corso degli anni ‘20 all'interno dell'Internazionale comunista sulla possibilità, difesa da Lenin e dal partito bolscevico, di utilizzare la "tattica" del "parlamentarismo rivoluzionario". Di fronte alle innumerevoli questioni suscitate dall'entrata del capitalismo nel suo periodo di decadenza, il peso del passato continuava a pesare sulla classe operaia e le sue organizzazioni. La guerra imperialista, la rivoluzione proletaria in Russia, e poi il riflusso dell'ondata di lotte proletarie a livello mondiale degli anni '20 hanno condotto Lenin e i suoi compagni a pensare che il Parlamento si potesse distruggere dall'interno o che si potesse utilizzare la tribuna parlamentare in maniera rivoluzionaria. Di fatto questa tattica "sbagliata" condurrà la III Internazionale sempre più verso compromessi con l'ideologia della classe dominante. D'altra parte, l'isolamento della rivoluzione russa, l'impossibilità della sua estensione verso il resto dell'Europa con lo schiacciamento della rivoluzione in Germania, spingono i bolscevichi e l'Internazionale, e poi i vari partiti comunisti, verso un opportunismo sfrenato. E' questo opportunismo che portava a rimettere in questione le posizioni rivoluzionarie del I e del II Congresso dell'Internazionale Comunista per andare verso la degenerazione nei Congressi successivi, fino al tradimento e all'avvento dello stalinismo che fu il ferro di lancia della controrivoluzione trionfante.
E' contro questo abbandono dei principi proletari che reagirono le frazioni più di sinistra nei partiti comunisti (2). A cominciare dalla Sinistra italiana con Bordiga alla sua testa che, già prima del 1918, preconizzava il rigetto dell'azione elettorale. Conosciuta all'inizio come "Frazione comunista astensionista", questa si è costituita formalmente dopo il Congresso di Bologna nell'ottobre del 1919 e, in una lettera inviata da Napoli a Mosca, questa affermava che un vero partito, che doveva aderire all'Internazionale comunista, non poteva costituirsi che su delle basi antiparlamentariste. Le sinistre tedesca e olandese svilupperanno a loro volta la critica del parlamentarismo. Anton Pannekoek denuncia chiaramente la possibilità di utilizzare il Parlamento da parte dei rivoluzionari, perché una tale tattica non poteva che condurli a fare dei compromessi, delle concessioni all'ideologia dominante. Questa tattica mirava soltanto a trasmettere un sembiante di vita a queste istituzioni moribonde, a incoraggiare la passività dei lavoratori mentre invece la rivoluzione ha bisogno della partecipazione attiva e cosciente dell'insieme del proletariato.
Negli anni '30 la Sinistra italiana, attraverso la sua rivista Bilan, mostrerà concretamente come le lotte dei proletari francesi e spagnoli erano state deviate su di un terreno elettorale. Bilan affermava a giusto titolo che fu la "tattica" dei fronti popolari nel 1936 a permettere di imbrigliare il proletariato come carne da cannone nella seconda carneficina imperialista mondiale. Alla fine di questo indicibile olocausto, è la Sinistra comunista di Francia (da cui deriva la CCI) che pubblicava la rivista Internationalisme a fare la denuncia più chiara della "tattica" del parlamentarismo rivoluzionario: "La politica del parlamentarismo rivoluzionario ha contribuito largamente a corrompere i partiti della III Internazionale e le frazioni parlamentari sono servite da fortezze per l'opportunismo (...). La verità è che il proletariato non può utilizzare per la sua lotta di emancipazione "i mezzi di lotta politica" propri della borghesia e destinati al suo asservimento. Il parlamentarismo rivoluzionario in quanto attività reale non è, nei fatti, mai esistito per la semplice ragione che l'azione rivoluzionaria del proletariato quando sorge, presuppone la mobilitazione di classe sul piano extra-capitalista e non una presa di posizione all'interno della società capitalista" (3). Ormai, la non partecipazione alle elezioni è una frontiera di classe tra organizzazioni proletarie e organizzazioni borghesi. In queste condizioni, dopo più di 80 anni, le elezioni vengono utilizzate, a livello mondiale, da tutti i governi, quale che sia il loro colore politico, per deviare il malcontento operaio su un terreno sterile e credibilizzare il mito della "democrazia". Non è d'altra parte un caso se oggi, contrariamente al 19° secolo, gli Stati "democratici" conducano una lotta accanita contro l'astensionismo e la disaffezione dai partiti, perché la partecipazione degli operai alle elezioni è essenziale alla perpetuazione dell'illusione democratica.
Le elezioni non sono altro che mistificazione
Contrariamente alla propaganda che vuole convincerci che sono le urne a decidere chi governa, bisogna riaffermare che le elezioni sono una pura farsa. Certo possono esserci delle divergenze tra le frazioni che compongono lo Stato borghese sul modo di difendere al meglio gli interessi del capitale nazionale ma, fondamentalmente, la borghesia organizza e controlla il carnevale elettorale perché il risultato sia conforme ai suoi bisogni di classe dominante. A tale scopo lo Stato capitalista organizza, manipola, usa tutti i mezzi di comunicazione che sono a sua disposizione. Dalla fine degli anni '20 ad oggi, quale che sia il risultato delle elezioni, che sia la destra o la sinistra ad uscire vittoriosa dalle urne, in fin dei conti è sempre la stessa politica anti operaia che viene portata avanti.
In questi ultimi mesi la borghesia, focalizzando l'attenzione sulle elezioni vuole convincere i proletari che da queste può dipende il loro avvenire e quello dei loro figli. Non solo li getta nella miseria, ma li umilia col giochino del circo elettorale. Oggi il proletariato non ha scelta. O si lascia trascinare sul terreno elettorale, sul terreno degli Stati borghesi che gestiscono il suo sfruttamento e la sua oppressione, terreno sul quale può solo ritrovarsi atomizzato e impotente a resistere agli attacchi del capitalismo in crisi. Oppure sviluppa le sue lotte collettive, in maniera solidale ed unita, per difendere le proprie condizioni di vita. Solo così potrà ritrovare la sua forza in quanto classe rivoluzionaria che sta nella sua unità e nella capacità di lottare al di fuori e contro le istituzioni borghesi (parlamento ed elezioni) in vista del rovesciamento del capitalismo. D'altra parte, di fronte all'intensificazione degli attacchi e nonostante il battage elettorale che si ripropone periodicamente in ogni paese, il proletariato sta sviluppando a livello internazionale una riflessione profonda sul significato della disoccupazione di massa, degli attacchi a ripetizione, dello smantellamento del sistema pensionistico e di assistenza sociale. La politica anti operaia della borghesia e la risposta proletaria non possono che sfociare, ad un certo punto, in una presa di coscienza crescente, all'interno della classe operaia, del fallimento storico del capitalismo.
Il proletariato non deve partecipare alla costruzione delle proprie catene, ma deve spezzarle! Al rafforzamento dello Stato capitalista gli operai devono rispondere con la volontà della sua distruzione! L'alternativa che si pone oggi è la stessa di quella evidenziata dalle sinistre marxiste negli anni ‘20: elettoralismo e mistificazione della classe operaia o sviluppo della coscienza di classe ed estensione delle lotte verso la rivoluzione!
D.
1. Piattaforma della CCI.
2. La CCI è l'erede di questa Sinistra comunista e le nostre posizioni ne sono il prolungamento.
3. Leggere questo articolo di Internationalisme n°36 del luglio 1948, riprodotto nella nostra Rivista Internazionale n°36 (versioni in inglese, francese e spagnolo).