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Dopo il volantino che abbiamo pubblicato l’8 novembre scorso (1) sul nostro sito web (www.internationalism.org), l’articolo che segue insiste sulla trappola costituita dagli scontri avvenuti nelle periferie francesi per la classe operaia di tutto il mondo. Questa insistenza non è affatto superflua visto che dobbiamo purtroppo segnalare come molti compagni siano rimasti affascinati dalle fiamme dei roghi e dall’uso della violenza, quasi fossero questi degli obiettivi in sé della lotta. Peggio ancora quando si pensi che questo stesso fascino viene esercitato su organizzazioni che pretendono di essere l’“avanguardia” del proletariato, come nel caso di Battaglia Comunista o della formazione bordighista n+1. E’ anche per questo che in questo numero abbiamo voluto inserire, assieme ad un’ulteriore denuncia del modo in cui la borghesia sfrutta questi scontri per dividere la classe operaia, un editoriale sulle vere lotte che avvengono nel mondo (e che spesso non sono note per il black-out dei media) e ancora l’articolo sulla Polonia ’80, che rievoca le principali lezioni tratte da una delle lotte più significative della fase di ripresa proletaria dopo la fine degli anni ’60. Per finire vogliamo ricordare la pubblicazione di un altro articolo pubblicato sul nostro sito web (2) che non ha trovato posto in questo giornale. Si tratta di un articolo che racconta e denuncia la carneficina di immigrati marocchini alla frontiera spagnola operata dalla polizia del governo Zapatero. A riprova del fatto che per gli immigrati non c’è regime democratico che tenga, di destra o di sinistra che sia. Ma anche a dimostrare che la sorte degli immigrati è un calvario continuo, da quando cercano di entrare nei paesi “ricchi” (vedi la carneficina di immigrati marocchini, ma anche quella dei vari profughi affogati nelle acque del Tirreno e dello Ionio) fino alla loro vita quotidiana fatta di stenti, miseria e ricatti una volta raggiunto il suolo del paese ospite. Ma se le miserie degli immigrati non sono diverse da quelle di tutta la classe operaia, perché questi possano avere una prospettiva che non sia la disperazione, occorre che facciano riferimento all’unica classe che ha come prospettiva una società diversa, il comunismo. Che facciano riferimento alla lotta del proletariato.
Per tre settimane consecutive gli scontri nelle periferie francesi sono stati al centro dell’attualità. Migliaia di giovani, provenienti in gran parte dagli strati più poveri della popolazione, hanno gridato la loro collera e la loro disperazione a colpi di Molotov e di sassi (vedi il volantino pubblicato sul nostro sito internet dal titolo: “Di fronte alla disperazione, solo la lotta di classe porta all’avvenire”).
Le prime vittime di queste distruzioni sono gli operai. Sono infatti le loro vetture che sono state incendiate. Sono i loro luoghi di lavoro che sono stati chiusi, ponendo diverse centinaia di questi in cassa integrazione. Un operaio intervistato per il telegiornale delle 20 ha magistralmente riassunto la perfetta assurdità di questi atti in questi termini: “Questa mattina ho trovato sul parabrezza della mia vettura bruciata questo manifesto. C’è scritto sopra ‘Sarkozy, fottiti’. Ma non è Sarkozy che si è fottuto, ma io!”
Anche se l’esplosione di collera dei giovani delle periferie è del tutto legittima, la situazione sociale che questa ha creato rappresenta un pericolo reale per la classe operaia. Come reagire? Bisogna schierarsi a favore dei moti o per lo Stato “repubblicano”? Per la classe operaia questa è una falsa alternativa in quanto sono entrambe delle trappole da evitare. La prima alternativa consiste nel vedere, attraverso la rivolta disperata di questi giovani, un esempio di lotta da seguire. Ma il proletariato non può incamminarsi su questo cammino di auto-distruzione. D’altra parte anche la “soluzione” gridata alta e forte dappertutto dalla borghesia è essa stessa une impasse.
Profittando della paura suscitata da questi avvenimenti, la classe dominante, con il suo governo, il suo Stato e il suo apparato repressivo, si presenta oggi come il garante della sicurezza delle popolazioni e in particolare dei quartieri operai. Ma dietro i suoi bei discorsi che vorrebbero apparire “rassicuranti”, il messaggio che essa cerca di far passare è carico di minacce per la classe operaia: “Lottare contro l’ordine repubblicano, cioè lo Stato capitalista, significa comportarsi da mascalzoni, da gentaglia”.
La borghesia utilizza la paura per rafforzare il suo arsenale repressivo…
Incapace di risolvere il problema di fondo – quello della crisi economica - la borghesia preferisce naturalmente nasconderlo e sfruttare a proprio profitto il lato spettacolare dei moti: le distruzioni e le violenze… E, su questo piano, possiamo dire che i giornalisti hanno saputo fare del loro meglio per alimentare questa campagna della paura.
Sono andati a cercare l’informazione nel cuore delle città, pubblicando centinaia di immagini di vetture in fiamme o bruciate, moltiplicando le testimonianze delle vittime, realizzando delle inchieste sull’odio di questi giovani per tutta la società.
Non si contano i reportage che mostrano queste bande di giovani in azione durante la notte, con il casco in testa ricoperto a sua volta di un cappuccio che maschera il viso.
E ancora abbiamo potuto vedere in primo piano i lanci di bottiglie Molotov e di sassi, gli scontri con le forze dell’ordine e, tra l’altro, l’intervista di uno dei partecipanti agli scontri che sfogava in diretta la sua collera: “Esistiamo, e la prova sono le macchine che bruciano” (Le Monde del 6 novembre) e ancora “finalmente si parla di noi”.
La borghesia ha sfruttato a meraviglia la violenza disperata dei giovani delle periferie per creare un clima di terrore. Per essa questa è un’occasione ideale per giustificare il rafforzamento del suo arsenale repressivo. La polizia può in effetti concedersi il lusso di apparire come la protettrice degli operai, il garante del loro benessere e della loro sicurezza. Il dibattito tra il partito socialista e l’UMP su questo punto ha dato il “la”. Per la destra, la soluzione evidentemente è quella di dare più mezzi alle forze dell’ordine rafforzando le unità di intervento tipo CRS. Per la sinistra la soluzione è la stessa, ma con un diverso approccio. Il PS ha proposto il ritorno della polizia di zona: altrimenti detto, più poliziotti nei quartieri! E’ proprio per questo che questi due grandi partiti borghesi si sono pronunciati a favore dello Stato d’emergenza.
Tutte queste misure di rafforzamento dell’apparato repressivo non potranno mettere fine alle violenze nelle periferie. Al contrario, se esse possono essere efficaci nell’immediato e per qualche tempo, esse prima o poi finiranno per alimentare la tensione e l’odio di questi giovani nei confronti delle forze dell’ordine. Gli uomini politici lo sanno molto bene. In realtà, ciò a cui mira la borghesia con il rafforzamento del controllo poliziesco dei quartieri “sensibili” non sono le bande di adolescenti inoperose ma la classe operaia. Facendo credere che lo Stato repubblicano voglia proteggere i proletari contro gli atti di vandalismo dei loro figli o quelli dei loro vicini, la borghesia si prepara di fatto alla repressione delle lotte operaie quando queste costituiranno una vera minaccia per l’ordine capitalista. La proclamazione dello Stato d’emergenza, per esempio, ha l’obiettivo di abituare la società, a banalizzare il controllo permanente, la presenza continua della polizia e le perquisizioni legali nei quartieri operai.
…e per dividere la classe operaia
La dimensione più ripugnante della propaganda attuale è quella che consiste nel designare gli immigrati come dei capri espiatori.
Per il fatto che i partecipanti alle sommosse sono in parte figli di immigrati, gli operai immigrati sono stati insidiosamente accusati di minacciare “l’ordine pubblico” e la sicurezza delle popolazioni perché incapaci di badare ai loro figli, di dare loro una “buona educazione” trasmettendo loro dei valori morali. Sono questi genitori “irresponsabili” o “dimissionari” che sono stati indicati come i veri colpevoli. E la palma del razzismo spetta sicuramente al ministro del lavoro, Gérard Larcher, per il quale la poligamia sarebbe “una delle cause delle violenze urbane” (Libération del 17 novembre)!
Ma le stesse forze di sinistra hanno apportato il loro piccolo contributo all’operazione, mettendo avanti, con l’ipocrita copertura di un discorso umanitario, le pretese difficoltà della società francese ad integrare popolazioni di “diversi orizzonti culturali” (per riprendere la loro terminologia). I due più grandi sociologi attuali sulla questione delle periferie, Didier Lapeyronie e Laurent Mucchilie, che si collocano dal punto di vista politico nell’ambito della sinistra radicale, insistono infatti sul fatto che, agli occhi dei giovani provenienti dall’immigrazione, “la promozione a scuola è riservata ai ‘bianchi’, i servizi pubblici non sono più per niente dei vettori di integrazione […] e il motto della Repubblica […] è percepito come la maschera di una società di ‘bianchi’.”(Libération del 15 novembre). I proletari immigrati avrebbero dunque un problema specifico che non avrebbe niente a che vedere con il resto della classe operaia.
Indicando i lavoratori immigrati come i veri responsabili delle violenze urbane, la borghesia cerca così di montare gli operai gli uni contro gli altri, di creare una divisione tra francesi e immigrati. Essa sfrutta la rivolta cieca dei giovani delle periferie allo scopo di mascherare la realtà: la pauperizzazione crescente dell’insieme della classe operaia, quale che sia la sua nazionalità, le sue origini o il suo colore. Il problema della miseria, della disoccupazione, dell’assenza di prospettive non sarebbe la conseguenza dell’insormontabile crisi economica del capitalismo, ma si limiterebbe a un problema “di integrazione” o di “cultura”! Demonizzando così i genitori dei giovani partecipanti agli scontri, la classe dominante trova una giustificazione per attaccare i “fautori dei disordini” di oggi ma che, in realtà, servono per attaccare domani tutta la classe operaia. E’ per esempio il caso della soppressione dei sussidi per le famiglie dei “delinquenti”. E che dire delle misure di espulsione immediata degli stranieri presi durante i moti? Il ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, ha chiesto ai prefetti di espellere “senza esitare dal nostro territorio nazionale” gli stranieri condannati nel quadro delle violenze urbane delle tredici ultime notti, “compresi quelli che hanno un permesso di soggiorno” (Libération del 9 novembre). Ma la classe operaia non deve farsi illusioni. Questa misura non rimarrà una eccezione riservata ai soli “piccoli mascalzoni”. Queste espulsioni territoriali per ‘disturbo dell’ordine pubblico’, lo Stato repubblicano non esiterà a utilizzarle in futuro contro l’insieme della classe operaia quando questa svilupperà le sue lotte: per fare fallire uno sciopero e la sua unità obbligando gli operai che “hanno un permesso di soggiorno” a riprendere il lavoro sotto il ricatto di essere “ricondotti alle frontiere”.
Pawel (17 novembre)
1. Tumulti nelle periferie francesi: di fronte alla disperazione, solo la lotta di classe porta all’avvenire.
2. Crisi dell’emigrazione alla frontiera Spagna-Marocco: l’ipocrisia della borghesia democratica.