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Nella prima parte di questo articolo (Rivoluzione Internazionale n°63) abbiamo visto come il Partito Comunista nato nel ’21 a Livorno sia stato prima castrato del suo programma rivoluzionario (Congresso truccato di Lione, 1926) e successivamente trasformato in un nuovo partito borghese “di sinistra” (Appello di Togliatti ai fascisti italiani, 1936). Questo processo non è stato indolore ed il passaggio alla borghesia è potuto avvenire solo dopo l’annientamento congiunto del partito ad opera della repressione fascista e della liquidazione stalinista. Per rendersi conto dell’ampiezza presa da quest’ultimo processo di distruzione fisica del partito, basta pensare che su 5 membri della Direzione eletta al Congresso di Livorno nel ’21 ben 4 (Bordiga, Repossi, Fortichiari e Terracini) sono stati espulsi come “provocatori” a partire dal 1930, ed hanno salvato la pelle solo perché erano graditi ospiti delle carceri fasciste. Minore fortuna hanno avuto i 200 militanti del PCI che sono riusciti a scappare dalle prigioni di Mussolini ed a “riparare” in Russia, solo per essere assassinati nei lager di Stalin, cui erano stati consegnati uno per uno dall’infaticabile Togliatti: “Il PCdI chiede al PC dell’URSS un aiuto per continuare la lotta contro i rottami dell’opposizione bordighiana (…) il nostro partito non ha niente altro da dire. Chiede solo che si usi il massimo di rigore” (Togliatti a Jaroslavsky, 19 aprile 1929).
In questa seconda parte vedremo come il nuovo PCI borghese si sia rivelato come uno strumento utilissimo per la borghesia, soprattutto durante la II guerra mondiale, quando è riuscito a trascinare il proletariato italiano nella Resistenza Patriottica, inquadrandolo come forza ausiliaria degli eserciti anglo-russo-americano. Forza “nazionale” e governativa, è respinto nel ’47 nell’opposizione, rimanendo però nazionale, patriottico e antioperaio.
Dal 1936 al 1941: dalla guerra di Spagna all'alleanza Hitler‑Stalin
Nel 1936 il proletariato mondiale è ormai sconfitto, ma prima di trascinarlo in una nuova guerra mondiale la borghesia ha bisogno di una "prova generale" che la rassicuri della incapacità proletaria a reagire. Questa prova generale sarà la guerra di Spagna (‘36‑’39) in cui un'iniziale insurrezione operaia contro un golpe militare viene deviata in lotta militare in difesa della Repubblica borghese contro il fascismo. Migliaia di operai accorrono da ogni paese per arruolarsi nelle brigate internazionali, ma per molti di loro alla rapida disillusione seguiranno l'accusa di essere spie fasciste ed una pallottola nella nuca. I militanti della frazione di sinistra del PCI, Turiddu Candoli e Tullio Lecci, recatisi in Spagna per denunciare l'inganno, scampano per miracolo all'assassinio, mentre il coraggioso anarchico Camillo Berneri, prelevato dai poliziotti di un governo che conta fior di ministri anarchici, sarà ritrovato crivellato di colpi all'obitorio.
Tutti i dirigenti stalinisti sguazzano nel sangue, ma tutti prendono ordini da un solo uomo: Palmiro Togliatti, inviato personalmente da Stalin nel giugno '37 per sovraintendere alla "epurazione degli elementi trotzkisti ed anarcosindacalisti". E’ quello stesso Togliatti che nell'agosto '36 (un mese dopo il golpe fascista in Spagna) pubblicava il famoso Appello ai fascisti italiani. Contraddizione? Certamente si per un proletario comunista, certamente no per un borghese stalinista, abituato a cambiare bandiera a seconda di dove tira il vento.
Ed infatti nel 1939 il vento cambia ancora: si è appena concluso il massacro “antifascista” di Spagna, che arriva la bomba del patto Hitler-Stalin e la II Guerra Mondiale comincia con la Russia alleata degli eserciti nazisti.
Togliatti e soci (ovviamente) non fanno una piega, esaltano l’accordo e, (dal ‘39 al ‘41), denunciano gli antifascisti come leccapiedi dell'imperialismo anglo-americano (il che è vero, ma non è molto convincente in bocca a dei leccapiedi dell'imperialismo russo-tedesco). Per non creare fastidi a Mussolini, alleato di Hitler, viene sospesa ogni attività clandestina in Italia ed il PCI, praticamente per due anni, cessa di esistere. Questa inattività cessa improvvisamente dopo l'attacco tedesco all'URSS: si ricostituisce un Centro Interno per il lavoro in Italia (agosto 1941) e si proclama che "la vittoria dell'Inghilterra, dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti (...) sarà la vittoria della democrazia". E' l'imperialismo anglo-americano? Non va più di moda, ora che si tratta di portare gli operai al massacro in nome di Stalin, Churcill e Roosevelt.
Dal 1941 al 1947: dalla Resistenza Patriottica al governo, dal governo all’opposizione
Il ritorno al lavoro del PCI si rivela provvidenziale per la borghesia italiana a partire dall'autunno '42, quando gli eserciti nazifascisti cominciano la loro lunga ritirata (Stalingrado, El Alamein) e l'aviazione alleata inizia i bombardamenti terroristici sulle grandi città italiane.
Il problema che assilla i grandi borghesi come Agnelli e Pirelli (entrambi Senatori del Fascismo) è duplice: da una parte sganciarsi dall'alleanza tedesca per saltare sul carro del vincitore alleato, dall'altro garantirsi che il passaggio dalla forma di dominio fascista a quella democratica avvenga senza che al proletariato venga in mente di farla finita con tutte le forme di dominio borghese. La gravità del problema è dimostrata dalla straordinaria esplosione di scioperi di classe del marzo '43, che costituisce la più alta risposta proletaria al secondo massacro imperialista. Il PCI, attraverso accademici del calibro di Concetto Marchesi, prende contatto con la monarchia e si mette a sua disposizione per il colpo di stato militare con cui il 25 luglio la borghesia si libera dell’ormai ingombrante fascismo. Quando, dopo il tentativo del re di sganciarsi dalla Germania con la richiesta di armistizio l'8 settembre 1943, Hitler occupa l'Italia e mette su lo Stato vassallo della Repubblica di Salò, tocca al PCI il ruolo principale nello strangolamento delle lotte operaie e della loro sottomissione alla logica della borghesia nazionale. Si è sempre parlato di una "svolta di Salerno" che Togliatti avrebbe operato al suo arrivo nel '44, entrando a far parte del governo reazionario e monarchico messo su dagli Alleati nel Sud "liberato". Questa leggenda ha avuto come unica funzione quella di lasciar credere alla base del PCI che esistessero due linee del partito: quella "vera", "di Stalin", la linea dura contro i padroni, e quella del compromesso e del cedimento, di cui sarebbero stati responsabili i furbi dirigenti alla Togliatti. La verità è che la linea "nazionale" di Salerno corrisponde perfettamente alle istruzioni di Stalin che già nel '43 ha sciolto il cadavere dell'Internazionale Comunista per garantire Gran Bretagna e Stati Uniti contro ogni velleità "rivoluzionaria" della base. Svincolati dall'obbedienza formale a Mosca i singoli PC debbono promuovere "la più larga unità nazionale" per contribuire allo sforzo bellico anglo-russo-americano. E' dunque con il beneplacito di Stalin che il vicepresidente del governo monarchico, il ministro Togliatti, scaglia l'accusa di provocatori fascisti contro i cadaveri ancora caldi degli operai e braccianti del Sud che hanno osato turbare lo sforzo bellico con le loro inopportune rivendicazioni. Al Nord, intanto, il PCI ‑ forte della esperienza fatta in Spagna ‑ trasforma il movimento di classe in forza di sostegno all'imperialismo alleato. Alla lotta di classe in difesa delle condizioni operaie, si sostituisce la lotta armata in difesa della patria. Allo strumento di classe dello sciopero, si sostituisce lo strumento borghese del terrorismo contro i proletari in divisa tedeschi, senza distinzioni tra nazisti e tedeschi. I molti, forti gruppi che si oppongono alla linea del PCI (alla Fiat Mirafiori il gruppo Stella Rossa conta 500 militanti contro i 200 del PCI) sono con rare eccezioni condannati in anticipo dalla loro illusione di poter partecipare alla Resistenza Patriottica restando però comunisti. Una volta entrati nell'ingranaggio, la logica militare imperialista li obbliga un po’ per volta ad allinearsi al PCI o ad essere travolti.
Per chi non ci sta, è pronta la "cura di Spagna": vecchi quadri del partito di Livorno '21 ‑ come Atti, Acquaviva, Vaccarella ‑ sopravvissuti a carcere e confino fascisti, cadono sotto le pallottole delle squadracce terroriste di Togliatti.
Visto che ancora oggi c'è chi sostiene che i fedelissimi di Stalin, come Pietro Secchia, si battevano nel PCI contro la svendita della classe operaia, ricordiamo che furono proprio gli elementi come Secchia ad occuparsi della liquidazione politica (e fisica) dei comunisti che si ostinavano a difendere gli interessi operai.
Con la "liberazione" anche agli operai del Nord tocca "credere, obbedire, produrre" come già quelli del Sud. Molti ‑ che credevano alla favola del "doppio binario" del PCI ‑ non ci stanno, obbligando Celere e Carabinieri a fare gli straordinari. Di fronte al momento delicato, la borghesia si affida ad un Ministro di Grazia e Giustizia di tutto rispetto: Togliatti usa il randello della repressione senza troppe preoccupazioni garantiste verso i proletari che non collaborano abbastanza alla ricostruzione dell'economia dei padroni (vedi riquadro). La presenza del PCI al governo dura fino a metà del '47, fino a quando cioè l'avvenuta frattura fra russi ed occidentali rende impossibile un ruolo governativo degli stalinisti in tutti quei paesi che gli accordi di Yalta assegnano agli americani. A questo punto, Stalin si ricorda dell’Internazionale Comunista e fonda un nuovo organismo, il Kominform. Solo ora si comincia a rinfacciare al PCI la collaborazione con le forze conservatrici, anche se il delegato italiano, Luigi Longo cerca di scusarsi ricordando che "non avevano fatto altro che eseguire le istruzioni di Mosca". Ma sono scuse sprecate: il vento è cambiato e non va più di moda chiamare "grandi potenze democratiche" gli imperialismi inglese ed americano. Il PCI comincia il suo onorato servizio di partito borghese "all'opposizione di Sua Maestà". Non sarà meno utile alla borghesia di quanto lo fosse già stato nella sua infame opera di governo.
Federico
Bibliografia:
Siccome i compagni non sono tenuti a credere ad occhi chiusi neanche a noi, possono controllare ed approfondire le nostre informazioni nei seguenti libri:
Giorgio Galli, Storia del PCI (ed. Bompiani); Danilo Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia (ed. Quaderni Piacentini); Paolo Spriano, Storia del PCI (ed. Einaudi); Arturo Peregalli, L’altra resistenza, la dissidenza di sinistra in Italia ‘43-’45 (Centro Studi Pietro Tresso, c/o Paolo Casciola, Via Firenze 18 Foligno); Arturo Peregalli, Il Patto Hitler-Stalin (Erre-emme edizioni, Roma).
Possono essere richiesti al nostro indirizzo: Articoli della Frazione di Sinistra del PCI sulla guerra di Spagna (1933‑1938) e Storia della Sinistra Comunista Italiana (1927‑1952).