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Perché si pone oggi questa questione?
Anzitutto, vi sono degli elementi legati all’attualità che mettono in evidenza la difficoltà a comprendere chiaramente in cosa consiste la classe operaia.
Nell’autunno scorso, alcuni studenti che lottavano contro la legge “LRU” hanno manifestato la loro solidarietà ai ferrovieri in sciopero, cercando anche talvolta di realizzare delle assemblee generali in comune. Per contro, questi non hanno mai tentato di prendere contatti, per esempio, con le infermiere degli ospedali o gli insegnanti, andando sul posto per discutere. Perché?
L’immagine classica, cara alla borghesia e ai suoi mass-media, presenta l’operaio in tuta blu e con le mani callose. Ma che ne è dei milioni di disoccupati, di pensionati, di impiegati di ufficio, di funzionari, di lavoratori precari... ?
Chi fa parte della classe operaia?
Rispondere a queste questioni è una questione primordiale per continuare in avvenire a sviluppare, nella lotta, l’unità e la solidarietà.
Una questione simile si è posta in occasione della lotta della gioventù scolarizzata contro il CPE, nella primavera del 2006: la necessità di una solidarietà tra gli studenti e i lavoratori era evidente, tuttavia gli studenti non parlavano di “classe operaia” ma di “salariati”, il che significava che anche se comprendevano chiaramente che ciò che attendeva la maggior parte di loro era una vita di disoccupazione, di precarietà e di sfruttamento, essi non si consideravano come dei futuri membri della classe operaia.
In secondo luogo, e più in generale, le confusioni sulla natura della classe operaia sono state particolarmente diffuse in occasione del crollo dei regimi cosiddetti “socialisti” nel 1989: campagne sulla “morte del comunismo”, sulla “fine della lotta di classe”, fino alla “scomparsa della classe operaia”.
Perché è importante questa questione?
Perché queste false idee, che sono ampiamente alimentate dalle campagne e dalle mistificazioni della classe dominante, toccano i due punti di forza principali della classe operaia: la sua unità e la sua coscienza.
L’unità della classe operaia
Tutte le forze della borghesia sono interessate e partecipano alla divisione della classe operaia:
- I settori di destra: questi parlano solo di “cittadini tutti uguali davanti alla legge”. Per loro, non vi è divisione né antagonismo tra le classi sociali, tra sfruttati e sfruttatori. Bisogna manifestare una “solidarietà” tra “tutti i partner di una stessa impresa”, tra “tutti i cittadini di un paese”. Conclusione: il nemico dei salariati di tale impresa non è il loro padrone ma i salariati delle imprese concorrenti; il nemico degli sfruttati di un paese non è la loro borghesia nazionale ma gli sfruttati di altri paesi che lavorano per dei salari più bassi (e contro i quali bisogna prendere le armi in caso di guerra).
- I sociologi: sono specialisti nella ricerca di ogni sorta di categoria che tendano a mascherare le vere divisioni sociali tra sfruttati e sfruttatori. Fanno una serie di studi, con tanto di statistiche sulle differenze uomini/donne, giovani/vecchi, italiani/immigrati, credenti/non credenti, diplomati/non diplomati, ecc. (mentre vi sono delle femmine, dei giovani, degli immigrati, dei non credenti o dei non diplomati che appartengono alla classe degli sfruttatori e viceversa).
- La sinistra e soprattutto i sindacati: questi ammettono che vi sono degli sfruttatori e degli sfruttati, ma hanno l’abitudine di dividere questi ultimi tra imprese (parlano di quelli della “Renault”, di quelli della “Fiat”, ecc.), tra branche professionali (federazione sindacale dei trasporti, della funzione pubblica, dell’insegnamento, ecc.) ed anche tra paesi (usando talvolta un linguaggio sciovinista “produciamo italiano” quando si pone il problema della delocalizzazione di una impresa all’estero).
La coscienza della classe operaia
Questa consiste essenzialmente nella fiducia i sé stessa e nella coscienza della sua natura storica, del suo futuro.
- La fiducia in sé della classe operaia: i diversi settori della borghesia vogliono “mostrare” che la classe operaia non è più una forza nella società perché essa è sempre più ridotta di numero in quanto:
· Nei paesi sviluppati, vi sono sempre meno “colletti blu”, lavoratori “manuali” (i soli appartenenti alla classe operaia nelle definizioni ufficiali);
· là dove le “tute blu” aumentano, (Cina, India, ecc.), queste non rappresentano che una piccola minoranza della popolazione.
- La coscienza storica: si vorrebbe mostrare che non c’è niente da tirare dall’esperienza storica della classe operaia in quanto i salariati non sono più gli stessi di quelli del 19° secolo o della prima metà del 20° secolo.
Ecco la conclusione che la borghesia e tutti quelli che sono al suo servizio vogliono far tirare agli sfruttati: le idee socialiste, l’idea di un possibile rovesciamento della società capitalista potevano avere una giustificazione nel 19° secolo o all’inizio del 20° secolo, ma oggi sono delle idee assurde, una fantasticheria impotente.
Chi appartiene alla classe operaia?
- I lavoratori manuali appartengono tutti alla classe operaia?
NO: il panettiere o il macellaio proprietari dei loro commerci lavorano con le loro mani, ma non appartengono alla classe operaia perché questa è una classe sfruttata, che non è proprietaria dei suoi mezzi di produzione. D’altra parte, i piccoli commercianti non sono in generale molto amici degli operai che essi considerano spesso come dei “fannulloni”. In Francia, gli artigiani e i commercianti costituiscono le truppe di assalto di Le Pen. Per contro, il garzone salariato della macelleria o della panetteria appartiene alla classe operaia.
- Tutti gli sfruttati appartengono alla classe operaia?
NO: esiste per esempio (e sono numerosi nei paesi sottosviluppati) dei contadini poveri, non proprietari delle loro terre, che sono sfruttati dai proprietari fondiari a cui essi devono versare una percentuale delle loro entrate o un affitto annuo. Anche se questi possono conoscere uno sfruttamento spaventoso, essi non appartengono alla operaia. D’altra parte, le lotte che questi portano avanti mirano soprattutto a ottenere a ottenere una divisione delle terre, a trasformarsi in piccoli proprietari sfruttatori (come ce ne sono ancora in numero notevole in Francia o in Italia e che non sono esattamente dalla parte degli operai: essi costituiscono piuttosto la clientela di Le Pen). Di fatto, questo tipo di sfruttamento è una vestigia della società feudale, appartiene essenzialmente al passato.
Quali sono i criteri di appartenenza alla classe operaia?
La classe operaia è la classe sfruttata specifica del modo di produzione capitalista che è basato sul rapporto salariato. La specificità del capitalismo risiede nella separazione tra produttori e mezzi di produzione. I lavoratori che mettono in opera I mezzi di produzione non ne sono i proprietari, essi cedono in affitto la loro forza lavoro a quelli che li posseggono. Appartenere alla classe operaia suppone:
· Essere salariati: non si vende il prodotto del proprio lavoro, come fa il panettiere, ma si vende la propria forza lavoro a chi possiede i mezzi di produzione.
· Essere sfruttati: vale a dire che l’ammontare che riceve ogni giorno il salariato è inferiore al valore di quello che ha prodotto. Se ha lavorato per 8 ore, egli riceve l’equivalente di 4 ore e le altre 4 ore sono fatte proprie dal padrone (Marx ha chiamato “plus-valore” questo ammontare che non viene pagato al salariato). Non tutti i salariati sono degli sfruttati: i dirigenti delle grandi imprese sono spesso dei salariati ma con i loro salari di svariati milioni di euro per anno, è chiaro che non sono degli sfruttati. Lo stesso vale per gli alti funzionari.
Ciò suppone ugualmente non avere una funzione nella difesa del capitalismo contro la classe operaia: i preti o i poliziotti non sono proprietari dei loro mezzi di produzione (la chiesa o il manganello), essi sono dei salariati. Tuttavia, essi non hanno un ruolo di produttori di ricchezze ma di difensori dei privilegi degli sfruttatori e di mantenimento dell’ordine esistente.
Bisogna essere un manovale per appartenere alla classe operaia?
Assolutamente no! Per diversi motivi:
· Non vi è una separazione netta tra lavoratore manuale e intellettuale: è il cervello che comanda la mano. Alcuni mestieri “manuali” richiedono un apprendimento molto lungo e mobilitano attivamente il pensiero: un ebanista o un chirurgo sono entrambi dei “manuali”.
· D’altra parte, nel movimento operaio, non è stata fatta mai questa separazione: tradizionalmente, i correttori di bozze si consideravano come operai a fianco dei tipografi o degli operai addetti alle rotative. Spesso, essi erano all’avanguardia delle lotte operaie. Ugualmente, non vi è opposizione tra i conduttori di treni e gli “impiegati degli uffici”. Più in generale non c’è separazione tra “operai dalle mani callose” e impiegati.
· In più, a livello di parole, operaio vuol dire che “opera”, che lavora. In inglese operaio si dice “worker”, cioè chi lavora.
Bisogna arricchire direttamente un padrone per appartenere alla classe operaia?
NO! E’ chiaro che un operaio che lavora all’interno di un ospedale appartiene alla classe operaia. Ma è anche il caso di un infermiere che cura dei malati. Di fatto, questa partecipa a mantenere la forza lavoro che serve ad arricchire il capitalismo.
La stessa cosa vale per una istitutrice che partecipa alla formazione della forza lavoro che, più tardi, entrerà nel processo produttivo.
Ancora, un disoccupato (che momentaneamente non lavora) o un pensionato (vecchio produttore salariato e sfruttato) appartengono alla classe operaia non per la loro collocazione immediata nel processo produttivo ma per il posto da loro occupato nella società.
Conclusioni
Le lotte che possono condurre contro lo sfruttamento gli operai dell’industria, i ferrovieri, gli insegnanti, gli infermieri, gli impiegati di banca, i funzionari mal pagati, i disoccupati, ecc. ma anche gli studenti che entrano in queste professioni appartengono tutti alla lotta generale contro il capitalismo. Sono le lotte di resistenza contro gli attacchi sempre più brutali che questo sistema porta contro quelli che sfrutta. Sono anche delle lotte che preparano lo scontro generale e internazionale contro questo sistema in vista del suo rovesciamento.