Inviato da RivoluzioneInte... il
A metà gennaio, ci sono state violente tempeste in tutti i principali mercati azionari del mondo, dagli USA, all’Europa e all’Asia. Nello spazio di un solo giorno i valori sono caduti fra il 4 ed il 7%. La stampa ha parlato esplicitamente di perdite tra le più spettacolari dal 11 settembre 2001; dei timori crescenti per una recessione negli Stati Uniti con i relativi effetti devastanti sul commercio mondiale; del drastico taglio dei tassi di interesse della Federal Reserve, il più forte da 25 anni ad oggi.
Perché questa caduta nei mercati azionari?
Una dopo l’altra, le banche pubblicano dei risultati giudicati “mediocri” per il 2007. Le perdite legate alla crisi dei subprime continuano a stupire per la loro ampiezza. Le banche americane sono ovviamente molto toccate: ad esempio, gli utili della Bank of America sono caduti del 29% nel 2007, quelli di Walchovia del 98% nel quarto trimestre! Ma tutti i continenti sono toccati. Dopo le banche tedesche WestLB e Commerzbank, tocca oggi alla seconda banca cinese, Bank of China, annunciare perdite per parecchi miliardi di dollari. Il governo britannico è dovuto intervenire direttamente per salvare la Northernrock dal fallimento.
In Francia, dove fino ad oggi le autorità ed i mass media assicuravano che le banche francesi erano più responsabili, che non avevano le mani in pasta nella speculazione selvaggia, ecco un altro patatrac …AXA, BNP Paribas, Crédit Agricole, Richelieu Finance pubblicano a loro volta risultati terribili. Ma il massimo del ridicolo e del grottesco si è avuto quando la Société Generale ed il suo direttore Daniel Bouton hanno spiegato la perdita di 7 miliardi di euro ed il conseguente fallimento con lo “straordinario talento di dissimulazione” di Jérome Kerviel, un trader di 31 anni, sottolineando “l’incredibile intelligenza di questo operatore di base” le cui “motivazioni sono totalmente incomprensibili”. Conoscendo le procedure di controllo a menadito, questi avrebbe creato una “impresa dissimulata nelle sale contrattazioni” della SG, accusando lui da solo 4,9 miliardi di euro di perdita contro “soltanto” 2 miliardi di svalutazione degli utili legati alla profonda crisi dei subprimes! La menzogna è enorme e tutti gli specialisti hanno ovviamente emesso dei “dubbi” sulla validità di questa storia. Ma Bouton, Sarkozy ed il governo non mollano ed anche il segretario generale dell’OCSE, Angel Gurria, dà il suo contributo alla grossa bugia “Quello che succede alla Société Generale è diverso e non è sintomatico di una crisi del sistema”. Ecco lo scopo della manovra! Negare la realtà della crisi, fare credere che si tratti soltanto di un incidente di percorso, di una semplice frode.
Ma questa crisi c’è, eccome!. Non ha nulla di virtuale e la classe operaia inizia già a sentirne le conseguenze. Una dopo l’altra le banche annunciano delle “necessarie ristrutturazioni”, cioè ondate di licenziamenti: 4.000 posti in meno alle Casse di risparmio, 2.400 alla Indymac Bancorp (società di credito americana), 1.000 alla Morgan Stanley (banca americana); da 17.000 a 24.000 alla Citygroup (prima banca mondiale); dal 5 al 10% di effettivi in meno alla Merrill Lynch (banca d’investimento) ed alla Moody's (società di rating finanziario). E si tratta soltanto dei primi avvisi di un’ondata di licenziamenti che toccherà nei prossimi mesi tutto il settore bancario.
Dietro la crisi finanziaria, la crisi dell’economia reale
“Questa deriva borsistica è (...) piuttosto una buona notizia per alcuni. Ciò permette di risanare il mercato” (La Tribune, 22 gennaio). I media ci bombardano la testa con discorsi di questo tipo. Le convulsioni borsistiche e le difficoltà delle banche avrebbero anche un aspetto morale: gli speculatori che hanno commesso qualche eccesso vengono adesso puniti dal mercato e tutto starebbe semplicemente ritornando alla normalità. E’ falso! Dietro la crisi finanziaria attuale si nasconde una crisi profonda dell’economia reale.
La folle speculazione di questi ultimi dieci anni nasce dalle difficoltà delle imprese a vendere le loro merci. Il capitalismo è corroso da una malattia congenita e mortale per la quale non esiste alcun rimedio: la sovrapproduzione1. La sola soluzione del capitalismo è creare artificialmente degli sbocchi con un ricorso massiccio all’indebitamento ed al credito. Per fare fronte alla crisi asiatica del 1997, poi alla recessione del 2001, la borghesia ha aperto al massimo le valvole del credito. Mai i tassi sono stati così bassi, le banche non hanno neanche più verificano la solvibilità di chi chiedeva un prestito! Quest’estate, il reddito delle famiglie povere americane era per l’80% legato al credito, cioè compravano il televisione, il cibo, gli abiti... indebitandosi! I prestiti a rischio, chiamati subprimes hanno rappresentato, nel luglio 2007, 1.500 miliardi di dollari di debiti! Una montagna... ma una montagna che ha iniziato ad erodersi quindi a franare. Tutte queste famiglie indebitate sono state incapaci di rimborsare i loro debiti in scadenza. L’economia reale, fatta per gli operai di ondate di licenziamenti, di aumento della disoccupazione e d’impoverimento, ha riportato l’economia virtuale alla triste realtà. Effetto domino, le banche hanno accumulato le perdite che dichiarano oggi a colpi di miliardi di dollari. Inoltre, approfittando dei bassi tassi d’interesse, le banche, i magnati della finanza ed anche le imprese si sono a loro volta indebitati per poter speculare vendendo e rivendendo tra loro i subprimes contratti dalle famiglie operaie. Non sono quindi solo 1.500 miliardi, ma decine di migliaia di miliardi di dollari che non verranno mai rimborsati!2
È quindi la crisi dell’economia reale la causa delle frenesie speculative di questi ultimi dieci anni e degli scossoni finanziari attuali. Ma oggi, come un boomerang, le difficoltà delle banche si ripercuoteranno a loro volta su tutta la vita economica: “Gli storici lo sanno bene: le crisi bancarie sono le più gravi, perché toccano il centro nevralgico delle economie, in questo caso il finanziamento delle attività e delle imprese” (La Tribune, 22 gennaio). Prese nella tempesta, le banche non potranno più continuare a rischiare di fare prestiti a vuoto, senza essere sicure della solvibilità dei debitori. Le imprese e le famiglie avranno quindi più difficoltà ad indebitarsi, il che comporterà però un rallentano l’attività economica. Come ha scritto La Tribune: “Nella zona euro, dove le piccole e medie imprese dipendono per più del 70% dai finanziamenti delle banche, l’impatto della recessione è certo” (ibidem). È quello che gli specialisti chiamano “credit crunch” (contrazione del credito). Quest’impatto sull’economia reale inizia del resto già a farsi seriamente sentire. In particolare nell’ultimo trimestre 2007 l’economia mondiale ha fortemente rallentato, lasciando intravedere cosa ci riservano il 2008 ed il 2009. Un giornale come Le Monde, solitamente “riservato”, oggi non nasconde più la realtà di questa tendenza alla recessione: “L’indice Baltic Dry Index (BDI), che misura il prezzo del trasporto marittimo delle materie prime, è un buon indicatore del livello di attività del commercio... e dell’economia mondiale. Esso ha appena battuto quattro record al ribasso in un giorno (...) Se le previsioni dell’indice Baltic Dry si avverano, il rallentamento mondiale è già cominciato e sarà doloroso” (Le Monde, 21 gennaio).
Le prime vittime saranno ovviamente i lavoratori. La Ford, ad esempio, ha già annunciato la soppressione di 13.000 posti di lavoro (che si aggiungono ai 44.000 già eliminati nel 2006).
La borghesia non ha alcuna soluzione reale alla sua crisi storica
Di fronte a questa nuova crisi, la borghesia risponde con la sua eterna ed unica “soluzione”: ancora più crediti, ancora più debito. Il presidente americano, George Bush, ha così annunciato un piano eccezionale di 140 miliardi di dollari e la FED (banca centrale americana) un ribasso di 75 punti dei suoi tassi guida. Misure che non potranno affatto fermare lo sviluppo della crisi, al massimo frenarlo un po’.
Nel 1997, iniettando quasi 120 miliardi di dollari, la borghesia riuscì a circoscrivere la crisi in Asia. Nel 2001, lo scoppio della bolla Internet fu compensato dalla creazione di una nuova bolla, la bolla immobiliare. Ma oggi, non si tratta di una crisi di una regione della periferia (la crisi asiatica) o di un problema che può essere limitato ad un settore secondario (la bolla Internet). È il cuore del capitalismo ad essere toccato: l’America, l’Europa, e le banche. La crisi è dunque ben più grave, le sue conseguenze sulle nostre condizioni di vita saranno ben più drammatiche. Tutti gli economisti, al soldo della classe dominante, ci dicono che fortunatamente l’Asia ed i suoi fantastici tassi di crescita sosterranno, nonostante tutto, la crescita mondiale. Ma anche qui, la realtà è tutt’altra. Dinanzi all’evidenza dei fatti alcuni esperti iniziano a riconoscerlo: “Ma occorre constatare che la Tailandia ha annunciato ieri un rallentamento delle sue esportazioni in dicembre, così come Singapore o ancora Taiwan. La Banca mondiale ammette che dei canali di contagio della crisi ai paesi emergenti esistono: l’esposizione delle banche ai subprimes, (...) e (...) l’impatto sull’economia di una recessione negli Stati Uniti” (La Tribune, 22 gennaio). La Cina soffrirà in modo particolare per da diminuzione delle sue esportazioni a causa alla recessione americana. In breve, l’Asia, come tutti i continenti, sarà toccata da questa nuova accelerazione della crisi economica mondiale che qui si tradurrà in un aumento considerevole della povertà e della carestia.
Nei mesi e gli anni a venire, su tutto il pianeta, il proletariato sarà confrontato ad un deterioramento considerevole delle sue condizioni d’esistenza. La borghesia non avrà tregua nell’attaccare ed attaccare ancora. Ma i proletari stanno dimostrando la capacità di sviluppare le loro lotte. Di fronte a questo nuovo peggioramento della crisi ed al deterioramento delle loro condizioni di vita, possono solo continuare ad ampliare le lotte e forgiare la loro solidarietà di classe.
Pawel (26 gennaio)
1. Per una spiegazione più dettagliata dell’economia capitalista, leggi il nostro articolo “Cosa è la decadenza?” su www.internationalism.org.
2. Dopo i subprimes, altri tipi di credito arrivano poco a poco a scadenza ed anche qui si rischia una doccia fredda. Ad esempio, per il Credit Default Swap (CDS, tipo di credito a metà strada tra il prestito classico e l’assicurazione) “il totale del portafoglio commerciale mondiale in CDS si è sviluppato molto rapidamente a partire dall’inizio degli anni 2000 per raggiungere 45.000 miliardi di dollari nel 2007 (più di 3 volte il PIL americano). Si considera che questi profitti hanno grandi similitudini con il mercato dei subprimes. Se le imprese fallissero, le stesse cause produrrebbero gli stessi effetti, su scala molto più ampia” (Commissione per la liberazione della crescita francese, detta Commissione Attali).