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Nelle ultime settimane di marzo degli atroci atti di violenza hanno scioccato il mondo.
All’inizio di marzo, nella provincia afghana di Kandahar, il sergente americano Robert Bales ha sparato freneticamente sulla gente. E’ andato di casa in casa, sparando metodicamente sui civili afghani. Ha ucciso 16 persone, la maggior parte donne e bambini. A metà marzo c’era stato il massacro a Toulouse, in Francia, per mano di Mohammed Merah[1] che ha detto voleva vendicarsi del divieto di portare il burqa in Francia, dell’invio dell’esercito francese in Afghanistan e dell’oppressione dei palestinesi da parte dello Stato di Israele.
La ragione del delirio omicida di Robert Bales è ancora sconosciuta. In ogni casso egli ha perso ogni controllo e nella sua cieca sete di distruzione voleva uccidere più gente possibile.
Non vogliamo soffermarci sulla traiettoria particolare di questo soldato americano che ha affilato gli artigli omicidi “legalizzati” agli ordini dei suoi capi. Né vogliamo qui soffermarci sulle sofferenze infinite che vivono le popolazioni vittime delle molteplici guerre in tutto il mondo. Non è una novità che la guerra apre la porta ai peggiori abusi, collettivi e individuali. Tutta la storia delle società di classe, e al primo posto quella della borghesia e del capitalismo, è piena di prove in tal senso. Le due guerre mondiali del 20° secolo, ma anche tutti gli altri orrori e abomini che hanno puntellato la barbarie dei massacri che si sono moltiplicati negli ultimi 60 anni, hanno dimostrato che questa tendenza non fa che accelerarsi. Vogliamo invece qui soprattutto illustrare attraverso il soldato Bales (e Mohamed Merah) fino a che grado di lavaggio del cervello gli individui vengono spinti in un contesto di nazionalismo esacerbato e di sottomissione alla logica dell’omicidio pianificato e giustificato da e per un’ideologia dell'odio alimentata quotidianamente da tutti i campi della borghesia.
“Voglio aiutare il mio paese....”
Il New York Times del 17 marzo ha riferito che Bales si era arruolato nell’esercito subito dopo l’11 settembre. “Voglio aiutare il mio paese” era stata la sua motivazione. Tuttavia quando è stato inviato sul campo di battaglia, ha preso coscienza che la vita dei soldati americani (come quella di tutte le truppe dell’ISAF[2]) era in pericolo 24 ore su 24. Ogni giorno dovevano aspettarsi un attacco odioso e criminale in qualsiasi momento, spesso a sorpresa. Il giorno prima del massacro, Bales era stato testimone di una scena orrenda in cui uno dei suoi colleghi aveva perso una gamba su una mina. Non sappiamo quante vittime civili o tra combattenti nemici ha visto né a quante fucilazioni ha dovuto partecipare. Ma il caso di Robert Bales non è un’eccezione.
È provato che la guerra crea terribili danni psicologici. “Più di 200.000 persone (cioè un quinto di tutti i veterani della guerra in Iraq e in Afghanistan) fin dall’inizio della guerra in questi paesi, hanno subito un trattamento negli ospedali militari - tutti in trattamento per turbe da stress post traumatiche (PTSD). ‘USA Today’ ha pubblicato dei dati nel novembre 2011 che si rifanno agli archivi dell’Associazione dei Veterani. La stima del numero di casi non riportati di veterani di guerra ammalati è probabilmente molto più elevata. (…) L’esercito riconosce solo 50.000 casi di PTSD (Post Traumatic Syndrom Disorder)”[3].
Circa un terzo dei soldati della guerra del Vietnam tornò a casa con disturbi psicologici molto importanti. Anche se solo l’1% della popolazione ha prestato servizio nell’esercito americano, il suicidio di soldati rappresenta il 20% di tutti i suicidi. Quasi 1.000 veterani tentano di suicidarsi ogni mese. Come loro stessi dicono: “È un orrore. La guerra cambia il tuo cervello. Tra la guerra e la vita a casa c’è un abisso. Tu cambi, che lo voglia o no. Una volta ritornato a casa, non puoi più trovare un equilibrio”[4].
Il caso di Robert Bales nè è un’illustrazione: se ci si fa prendere dal patriottismo e il nazionalismo si viene catturati da un ingranaggio di distruzione che non fa che danneggiare o distruggere la vita del nemico e della sua popolazione civile, ma i soldati stessi ne vengono dilaniati, mutilati mentalmente ed emotivamente destabilizzati, profondamente feriti. Mentre la classe dominante e suoi ideologi abbelliscono le guerre parlando di “missione umanitaria”, di “missioni di stabilizzazione”, la realtà sul teatro di guerra è completamente diversa.
Sul campo di guerra i soldati vengono precipitati nell’abisso, dove la loro inevitabile diffidenza iniziale evolve in odio e paranoia. Se non erano già inclini al facile uso della violenza prima dell’arruolamento, o se non erano già psicologicamente instabili, molti di loro ritorno a casa profondamente destabilizzati. Quello che viene dipinto come intervento “umanitario” si dimostra essere in realtà l’esercizio del terrore sulla popolazione, con l’umiliazione e la tortura. I soldati sviluppano un senso di soddisfazione/compensazione se possono sfigurare o distruggere i simboli che la popolazione locale ha in grande considerazione, o se possono umiliare degli esseri umani direttamente e apertamente. La popolazione locale che è stata spinta in un impasse spesso non sente che disprezzo per i “liberatori” e, tra essa, molti possono essere facilmente mobilitati per degli attacchi suicidi. In breve, la macchina per uccidere gira a pieno regime.
Dopo tante esperienze traumatiche il soldato Bales non poteva più dire “voglio aiutare il mio paese” perché era particolarmente indignato del fatto che dopo 4 campagne era stato di nuovo mandato in Afghanistan. Secondo la sua compagna le truppe avrebbero preferito essere inviate in paesi più pacifici, Germania, Italia o Hawaii. Il corpo e lo spirito di così tanti soldati vengono mutilati. La brutalità si sviluppa. Una volta tornati a casa, la maggior parte di loro devono affrontare la disoccupazione e la sensazione di non essere a casa da nessuna parte. Il caso della città di Los Angeles è rivelatore: “A Los Angeles ci sono molti veterani senza domicilio. Hanno perso tutto: il loro lavoro, il loro partner, la loro casa. Tutto questo a causa dei loro problemi psicologici e perché non ricevono nessun aiuto. Quasi un terzo di tutti i senzatetto di Los Angeles sono dei veterani”[5].
La NAPO (Associazione Nazionale Britannica degli Agenti di libertà vigilata) stima che “12.000 (soldati precedentemente impiegati) sono in libertà vigilata e altri 8.500 dietro le sbarre in Inghilterra e nel Galles. Questo totale di più di 20.000 è più del doppio del numero di militati attualmente in servizio in Afghanistan”[6].
Il soldato Bales può essere condannato alla pena di morte per la legge americana. Invece di cercare e di spiegare perché il patriottismo e il nazionalismo portano necessariamente a orge di violenza e alla distruzione delle vittime, il sistema giudiziario americano, che ne è l’istigatore, agisce da giudice e fa “giustizia”. Vuole lavarsi le mani della sua responsabilità dopo che la guerra e l’esercito hanno talmente danneggiato i soldati da far loro perdere l’auto controllo e “collassare”. Il “benessere” per gli psicologi dell’esercito ha un unico scopo: i soldati devono essere idonei a combattere. Lo psicologo e regista Jan Haaken ha mostrato nel suo documentario “Mind Zone” il ruolo che giocano gli psicologi: “Non siamo qui per ridurre il numero di soldati. In caso di dubbio i soldati sono dichiarati idonei al combattimento, per tutto il tempo che possono fare il lavoro”6.
Mentre la maggior parte dei soldati (che si vedono all’inizio come chi contribuisce alla “liberazione” del paese dal giogo dei talebani), come pure la popolazione locale sottoposta a grande sofferenza fisica e psicologica, lo stesso sistema, dal canto suo, è asfissiato dall’onere economico della guerra. Gli Stati Uniti, che hanno scatenato la guerra più lunga nella loro storia, hanno accumulato una spesa enorme per questa. “La fattura finale sarà almeno di 3,7 miliardi di dollari, secondo il progetto di ricerca ‘Costs of War’(Spese di guerra) dell’Istituto Watson degli Studi Internazionali dell’Università Brown”[7].
La guerra, in quanto meccanismo di “sopravvivenza” del sistema richiede un prezzo sempre più alto. La sopravvivenza di questo modo di produzione decadente diventa una cosa totalmente irrazionale.
Combattere la barbarie con dei mezzi barbari?
La spirale di violenza, la macchina di distruzione, che eliminano tutto ciò che è umano, non possono essere rotti con gli strumenti del sistema capitalista. Per rovesciare questo sistema disumano il fine e i mezzi devono essere in armonia l’un l’altro.
“La rivoluzione proletaria non ha bisogno del terrore per raggiungere i suoi obiettivi. Odia e aborre l’assassinio. Non ha bisogno di questi strumenti, perché lotta non contro gli individui, ma contro le istituzioni, perché non scende in campo con ingenue illusioni da vendicare con il sangue allorquando vengano deluse. Non è il tentativo disperato di una minoranza che con la violenza vuole modellare il mondo secondo il suo ideale, ma l’azione della grande massa di milioni di uomini che compongono il popolo, chiamati ad assolvere al loro compito storico e fare della necessità storica una realtà” (Rosa Luxemburg, Cosa vuole la Lega Spartakus?)
DV (25 marzo)
[1] Vedi “Les drames de Toulouse et Montauban sont des syptômes de l’agonie barbare de la société capitaliste”, https://fr.internationalism.org/icconline/2012/la_folie_meurtriere_du_soldat_bales_en_afghanistan_reflete_la_folie_du_monde_capitaliste.html
[2] . International Security Assistance Force (ISAF) è una forza speciale internazionale che impiega circa 58.300 militari provenienti da una quarantina di nazioni in missione di supporto al governo dell’Afghanistan.
[3]https://www.spiegel.de/politik/ausland/amoklaeufer-bales-litt-offenbar-unter-posttraumatischem-stress-a-822232.html