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Indipendentemente dai cartelli che i manifestanti agitano, tutte queste manifestazioni hanno la loro origine nella crisi mondiale del capitalismo e nelle sue dirette conseguenze: la disoccupazione, il rialzo dei prezzi, l’austerità, la repressione e la corruzione dei governi che dirigono questi attacchi brutali contro le condizioni di vita. Sono le stesse origini della rivolta della gioventù greca contro la repressione poliziesca nel 2008, della lotta contro le “riforme” delle pensioni in Francia, delle ribellioni degli studenti in Italia e in Gran Bretagna, e di tutti gli scioperi dei lavoratori, dal Bangladesh alla Cina, dalla Spagna agli Stati Uniti.
La determinazione, il coraggio ed il senso di solidarietà che si sono visti nelle strade di Tunisi, del Cairo, di Alessandria e di numerose altre città sono una vera fonte di ispirazione. Le masse che hanno occupato la piazza Tahrir al Cairo o altri luoghi pubblici hanno respinto gli attacchi dei teppisti al soldo del regime e della polizia, hanno chiamato i soldati a solidarizzare con loro, hanno curato i loro feriti, hanno apertamente rigettato le divisioni settarie tra musulmani e cristiani, tra religiosi e laici. Nei quartieri, si sono formati dei comitati per proteggere le loro case contro i saccheggiatori manipolati dalla polizia. Decine di migliaia di persone si sono effettivamente messe in sciopero per giorni e anche per delle settimane, per poter aumentare il numero dei manifestanti.
Di fronte allo spettro di una rivolta di massa, con la prospettiva da incubo di una sua propagazione attraverso tutto il mondo arabo, ed anche oltre, la classe dirigente ha reagito nel mondo intero con le sue due armi più importanti, la repressione e la mistificazione:
- In Tunisia, oltre cento persone sono state massacrate nelle strade, ed ora la classe dirigente proclama “l’inizio di una transizione verso la democrazia”;
- In Egitto, il regime di Mubarak, prima di cedere le redini definitivamente all’esercito, ha alternato per giorni vaghe promesse con percosse, insulti e gas lacrimogeni, lasciando per terra 365 vite stroncate;
- A Gaza, Hamas arresta i manifestanti che cercano di esprimere solidarietà alle rivolte in Tunisia ed Egitto;
- In Cisgiordania, l’OLP ha vietato “le riunioni non autorizzate” che chiamano a sostenere le rivolte;
- In Iraq, le manifestazioni contro la disoccupazione e la penuria sono prese di mira dal regime messo su dai “liberatori” americani e britannici;
- In Algeria, dopo il soffocamento dei primi segni di rivolta, vengono fatte delle concessioni per legalizzare delle timide rivendicazioni;
- In Giordania, il re licenzia il suo governo per prevenire situazioni pericolose.
A livello internazionale, la classe capitalista alterna ugualmente i suoi discorsi secondo la convenienza: alcuni, in particolare quelli di destra, e certamente quelli dei dirigenti di Israele, hanno sostenuto apertamente il regime di Mubarak come il solo bastione contro una presa di potere islamica. Ma successivamente, dopo qualche esitazione, Obama ha dato il “la” lanciando il messaggio che Mubarak doveva andare via ed anche in fretta, presentando la “transizione verso la democrazia” come la sola via possibile per le masse oppresse dell’Africa del Nord e del Medio Oriente.
I pericoli che minacciano il movimento
Questo grande movimento, che ha avuto per il momento il suo baricentro nell’Egitto, è dunque confrontato con due diversi pericoli.
Il primo è che lo spirito di rivolta sia annegato nel sangue, cosa a cui ad esempio il regime di Mubarak, per salvarsi, sarebbe arrivato applicando il pugno di ferro se la situazione non avesse superato il segno costringendo la polizia a ritirarsi dalla strada di fronte a manifestazioni di grandi masse di persone, per lasciare il posto a dei teppisti pro-Mubarak. E’ importante in questo contesto comprendere il ruolo dell’esercito, che si è presentato come una forza “neutra”, finanche come una forza scesa in campo a fianco dei manifestanti anti-Mubarak per proteggerli dalle aggressioni dei difensori del regime. Non c’è alcun dubbio che molti soldati simpatizzano per i manifestanti e non sarebbero disponibili a sparare sulle masse presenti nelle strade. D’altra parte, alcuni di loro hanno anche disertato. E’ ugualmente vero che ai vertici della gerarchia dell’esercito vi erano delle frazioni che volevano l’allontanamento di Mubarak. Ma non bisogna farsi illusioni che l’esercito dello Stato capitalista possa essere una forza neutra. La “protezione” della piazza Tahrir da parte sua è anche una specie di confinamento, un enorme accerchiamento dei dimostranti, e quando le cose si metteranno male, l’esercito sarà effettivamente utilizzato contro la popolazione sfruttata, a meno che quest’ultima non riesca a neutralizzare le truppe facendole aderire alla sua causa.
Ma qui arriviamo al secondo grave pericolo che incombe: quello che risiede nelle illusioni ampiamente diffuse sulla democrazia, nel credere che forse lo Stato potrebbe, dopo qualche riforma, essere messo al servizio del popolo, nella convinzione che “tutti gli Egiziani”, ad eccezione forse di qualche corrotto, hanno gli stessi interessi fondamentali, nel credere nella neutralità dell’esercito, nel credere che la terribile povertà alla quale è confrontata la gran parte della popolazione possa essere superata se ci sarà un parlamento funzionante e la fine del regno dispotico di un Ben Ali o di un Mubarak.
Queste illusioni, espresse ogni giorno nelle parole degli stessi manifestanti e sui loro cartelli, disarmano il vero movimento di emancipazione che non può avanzare che come movimento della classe operaia, che combatta per i suoi propri interessi, distinto da quello di altri strati sociali, e che si sviluppi su un percorso diametralmente opposto agli interessi della borghesia e di tutti i suoi partiti e fazioni. Le innumerevoli espressioni di solidarietà e di autorganizzazione che abbiamo finora visto riflettono già l’elemento veramente proletario delle rivolte sociali attuali e, come molti manifestanti l’hanno già detto, lasciano presagire una società nuova e più umana. Ma questa società nuova e migliore non può essere realizzata attraverso delle elezioni parlamentari, che faranno salire un El Baradei o i Fratelli musulmani o qualunque altra fazione borghese alla testa dello Stato. Queste fazioni, che possono essere portate al potere dalla forza delle illusioni delle masse, non esiteranno più tardi a utilizzare la repressione contro queste stesse masse.
Vi sono stati molti discorsi su una presunta “rivoluzione” in Tunisia e in Egitto, sia da parte dei principali mass-media che dell’estrema sinistra. Ma la sola rivoluzione che abbia un senso oggi è la rivoluzione proletaria, perché viviamo in un’epoca in cui il capitalismo, democratico o dittatoriale che sia, non può semplicemente offrire nulla all’umanità. Una tale rivoluzione non può riuscire che a livello internazionale, rompendo il cordone di tutte le frontiere nazionali e rovesciando tutti gli Stati-nazione. Le lotte della classe e le rivolte di massa di oggi sono certamente delle tappe sulla via di una tale rivoluzione, ma esse si scontrano con una serie di ostacoli sulla loro strada. Per raggiungere l’obiettivo della rivoluzione devono ancora prodursi dei profondi cambiamenti nell’organizzazione politica e nella coscienza di milioni di persone.
In qualche modo, la situazione attuale in Egitto rappresenta una sintesi della situazione storica dell’insieme dell’umanità. Il capitalismo è nella sua fase terminale. La classe dirigente non può offrire alcuna prospettiva per l’avvenire del mondo, ma la classe sfruttata non è ancora cosciente della sua forza, della sua prospettiva, del suo programma per la trasformazione della società. Il pericolo maggiore è che questa impasse temporanea porti alla fine a “la rovina comune delle classi in lotta”, come dice il Manifesto Comunista, in un precipitare nel caos e la distruzione. Ma la classe operaia, il proletariato, scoprirà la sua vera forza solo ingaggiandosi in delle vere lotte, è per questo che ciò che sta avvenendo attualmente nell’Africa del nord e in Medio Oriente é, malgrado tutte le debolezze ed illusioni presenti, un vero faro per i lavoratori del mondo intero.
E soprattutto è un appello ai proletari dei paesi più sviluppati, che stanno riprendendo la strada della resistenza agli attacchi, perché compiano il prossimo passo, esprimendo concretamente la loro solidarietà alle masse del “terzo mondo”, intensificando la loro lotta contro l’austerità e l’impoverimento e, così facendo, mettendo a nudo tutte le menzogne sulla libertà e la democrazia capitalista, di cui essi hanno una lunga e amara esperienza.