Emergenza rifiuti in Campania! Di chi è la responsabilità? (Presentazione alle Riunioni Pubbliche di gennaio 2008 della CCI)

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La questione dello smaltimento dei rifiuti in Campania è diventato un caso non solo nazionale, ma anche internazionale. Dei cumuli di spazzatura nelle strade campane se ne parla ormai in Germania, in Gran Bretagna, negli USA ed il Commissariato per l’ambiente dell’Unione Europea è pronto a sanzionare lo Stato italiano per le sue inadempienze su questo piano.

Ma la domanda che sorge è come mai si sia potuti arrivare a tanto, ad avere le strade invase da montagne di spazzatura che non si sa dove mettere. Di chi è la responsabilità? Dei napoletani che sono poco diligenti e che non vogliono imparare le regole della raccolta differenziata? Oppure delle popolazioni dei singoli comuni della regione che si ribellano contro l’insediamento nel loro territorio di una nuova discarica o di un nuovo impianto per la loro gestione? O forse è tutta colpa della camorra, che certamente nel traffico illecito dei rifiuti ci marcia alla grande? Ha ragione Beppe Grillo a urlare contro Bassolino e la Iervolino dicendo loro di tornare a casa? Esiste oggi un’alternativa politica istituzionale su cui puntare? E se no, cosa fare?

Per rispondere a tutte queste domande, abbiamo bisogno anzitutto di capire come mai si pone oggi il problema dei rifiuti in Campania. E per fare questo, dobbiamo ancora chiederci: è proprio vero che è soltanto un problema campano? E se no, da dove nasce? E ancora, in che modo è possibile dare un contributo alla soluzione di questo problema?

Qual è la situazione?

La situazione dei rifiuti in Campania ha dei caratteri veramente allucinanti e drammatici. Dopo 14 anni di commissariamento delle istituzioni locali, dopo 2 miliardi di euro spesi ci siamo ritrovati oggi con 120.000 tonnellate di rifiuti lasciati a terra per le strade della Campania, principalmente tra Caserta e Napoli, bloccati non da un inefficiente o insufficiente servizio di nettezza urbana ma dal fatto che non si sa dove metterli. Le discariche sono piene, gli inceneritori non sono ancora pronti, la raccolta differenziata non è mai decollata e le balle di rifiuti secchi non sono mai diventate vere eco-balle ma sono rimaste spazzatura imballata e basta. Gli attuali 7 milioni di “eco”-balle sparse sottoforma di funeree piramidi in tutto il territorio campano costituiscono oggi una delle vergogne maggiori del sistema capitalista italiano. Queste balle, che avrebbero dovuto essere eco-balle, dovevano andare negli inceneritori e convertirsi in energia. Oggi si viene a sapere che questo non è possibile secondo i metodi normalmente adottati nei termovalorizzatori e si parla già di passare ad una inertizzazione di queste balle (che comunque, essendo spazzatura, producono per dilavamento e fermentazione percolato e dunque contaminazione dei suoli su cui sono depositate) attraverso ad esempio, una cementificazione, che comporta impiego di ulteriore materiale (il cemento), un aumento del volume del rifiuto e la perdita secca dell’energia che poteva essere recuperata. E poi, dove si mettono? Una delle trovate è ammassarle nelle 124 cave dismesse o sequestrate alla camorra. Ma ammettiamo pure che fosse stato possibile recuperare queste balle come combustibile. L’inceneritore di Acerra, che doveva essere pronto per inizio 2008, lo sarà forse per il 2009. Tale impianto, che è un megainceneritore da 750.000 t/anno, funzionando da solo e senza tregua può bruciare tutti e 7 milioni di eco balle in non meno di 9 anni e mezzo. Ma contemporaneamente ci sono tante altre eco balle che vengono prodotte (2200 al giorno in Campania cioè 803.000 l’anno ognuna di 1 tonnellata)) per cui lo scenario che si profila somiglia tanto a quello dell’apprendista stregone che, perso il controllo della bacchetta magica, non riesce più a fermare il flusso dell’acqua che stava cercando di prelevare.

Per risolvere l’emergenza immediata l’altra soluzione trovata è stata quella di riaprire la discarica di Pianura chiusa anni fa perché ormai colma, cercando di fare entrare altra spazzatura nel poco spazio recuperato dall’abbassamento del livello in questi anni, discarica messa adesso sotto sequestro. Intanto, per affrontare l’emergenza, l’unica soluzione è spostare i rifiuti dalla Campania alla Sicilia , alla Sardegna o in Germania.

Ma in effetti la situazione è ancora più drammatica perché non riguarda solo come verranno smaltiti i rifiuti accumulati, ma anche e soprattutto i disastri all’ambiente e di conseguenza alla salute delle persone che la gestione assurda dello smaltimento dei rifiuti ha già provocato e continuerà a provocare. Adesso che è scoppiato il caso escono fuori i dati e le statistiche e si viene a sapere che nelle zone della Campania a maggiore concentrazione di discariche, legali e non, dal ‘91 al 2001 il tasso di mortalità è aumentato del 43% negli uomini e del 47% nelle donne e le morti sono dovute a: tumore allo stomaco, al fegato ed ai polmoni, mentre aumentano le malformazioni fetali. Si viene a sapere che il bestiame di queste zone muore o nascono animali senza occhi, senza mandibole ed altre deformità a causa della diossina accumulata nei terreni. E su questi stessi terreni, dove ci sono anche altre sostanze tossiche, crescono ortaggi, frutta e verdura che arrivano sulle tavole di tutta Italia.

Il problema è globale

Ma pensare che questo sia il problema di Napoli o della Campania sarebbe sbagliato. Quello che succede in questa regione è solo l’espressione più drammatica di una contraddizione che è tipica della produzione capitalista e che non dipende semplicemente dall’incapacità di questo o quel politico di turno (tanto più che nel periodo di 14 anni sono passate giunte di destra e di sinistra) né dalla strafottenza del “popolo napoletano”, ma che è un’espressione dell’irrazionalità del capitalismo. L’umanità ha sempre prodotto rifiuti, ma questi sono stati sempre reintegrati, riutilizzati, recuperati. E’ con la società capitalista che il rifiuto diventa un problema perché il bene diventa una merce che deve essere venduta e commercializzata per realizzare il massimo profitto in un mercato dove l’unica legge è quella della concorrenza. Cosa comporta questo:

1) una produzione irrazionale della merce con un’eccedenza di prodotti. Non si produce per soddisfare i bisogni ma per realizzare profitto;

2) una produzione abnorme di involucri, imballaggi, ecc. costituiti tra l’altro in larga misura da sostanze tossiche non degradabili che si accumulano nell’ambiente. Negli ultimi 25 anni in Italia, a parità di popolazione, la quantità di rifiuti è raddoppiata grazie ai materiali che costituiscono gli imballaggi.

3) la necessità, dettata dalla concorrenza, di produrre enormi quantità di merce e prodotti per la sua commercializzazione (imballaggi, materiale per la pubblicizzazione, ecc) usando materiali e procedure al minor costo possibile, nonostante i danni all’ambiente ed all’uomo stesso che questi producono.

La logica di questo sistema non è produrre quello che serve a soddisfare i bisogni dell’umanità e quindi consumare secondo le reali necessità della collettività. Nel capitalismo la logica è quella del guadagno dell’impresa, del singolo capitalista, del singolo Stato capitalista e questa logica porta a quantità enormi di prodotti di rifiuto. Ogni anno nel modo si producono miliardi di tonnellate di rifiuti. Nella sola Italia negli ultimi 15 anni la produzione dei soli Rifiuti Solidi Urbani è più che raddoppiata raggiungendo nel 2005 la cifra di 30 milioni di tonnellate all’anno, cioè 1,4 kg procapite al giorno di cui il 40% in peso e il 50% in volume costituito da materiale da imballaggio (carta, cartone, materie plastiche, legno). E teniamo presente che i RSU sono solo una parte, e non la più grande, dell’insieme dei rifiuti prodotti.

Come per il problema più generale dell’inquinamento ambientale, di cui la questione dei rifiuti fa parte, questo è un problema generale la cui radice sta nel modo di produzione capitalistico e non può trovare una soluzione effettiva se non eliminando questo sistema di produzione

Ma allora perché solo in Campania scoppia l’emergenza adesso, mentre al nord o in altre nazioni no?

Ma non hanno ragione i vari Grillo e compagni a denunciare una classe dirigente locale inefficiente e collusa con la camorra? Non ha ragione Oreste Scalzone che alla manifestazione del 9 a Napoli ha detto che il capitalismo campano, “a differenza degli altri capitalismi che possono essere liberisti, stalinisti, fascisti … è un capitalismo camorrista”?

Certo! Il degrado della Campania, ed in genere delle regioni del sud - e non solo per quanto riguarda la spazzatura, ma per molti altri aspetti - sono dovuti in buona parte all’inefficienza e alla difesa di interessi economici e di potere di persone e di gruppi politici. Ed è sicuramente vero che la camorra in Campania, così come la ndrangheta in Calabria o la mafia in Sicilia, tengono in mano interi settori dell’economia e non solo quello dei rifiuti, ma anche nell’edilizia ad esempio. Ma bisogna ricordare che il connubio mafie, potere politico (sia periferico che centrale) ed imprenditoriale c’è sempre stato. La mafia siciliana ad esempio ha permesso e reso possibile lo sbarco degli americani in Sicilia per assumere dopo la liberazione il ruolo di cane da guardia della popolazione e della classe operaia in particolare, intervenendo puntualmente contro ogni iniziativa di lotta e svolgendo sul posto una funzione cruciale di repressione per la neonata Repubblica Italiana. Parimenti la camorra è responsabile delle discariche abusive in Campania, ma è anche vero che, come giustamente denuncia Saviano, la camorra non fa altro che farsi veicolo di tutta una serie di imprenditori del nord che scaricano nelle zone depresse della Campania tutta una serie di rifiuti tossici il cui smaltimento a norma costerebbe loro enormemente di più.

Quindi è vero che queste cose esistono, ma la loro esistenza è propria e connaturata al capitalismo, ad un sistema nel quale non esiste etica, non esiste morale se non quella del profitto.

E non è un caso se l’emergenza rifiuti si avverte in Campania, ed in genere nel sud, più che altrove. E’ nelle zone più deboli del capitalismo che emergono prima e con maggior forza le contraddizioni e le falle di un sistema di produzione. E’ così nei paesi del terzo mondo o in quelli del sud America ad esempio. Il meridione è storicamente la zona più arretrata del capitalismo italiano, dove quindi le mafie hanno potuto impiantarsi con maggiore forza, ma soprattutto dove gli aspetti della decomposizione e del degrado di questo sistema sociale sono più evidenti per l’ampiezza che assumono, e non solo per il problema di rifiuti, ma anche per la disoccupazione, la precarizzazione, la delinquenza, ecc.

Se nel nord o in altri Stati la classe dirigente riesce ancora a mantenere un minimo di efficienza nello smaltimento dei rifiuti, questo non deve farci perdere di vista la dimensione globale del problema e la mancanza di una soluzione a questo all’interno del capitalismo.

La reazione della gente

Di fronte ai quintali di spazzatura nelle strade e stanca di decenni di degrado, menzogne e prese in giro, la gente è scesa nelle strade. Famiglie intere, donne, vecchi e bambini hanno fatto barricate per impedire che altri camion di spazzatura fossero scaricati vicino alle loro case. Ha fatto blocchi stradali perché stanca di non poter respirare per la puzza e con l’incubo di ammalarsi se esci di casa. Si batte per impedire che il posto dove vive diventi o ritorni ad essere un luogo dove ci si ammala di tumore. Ci sono stati episodi di esasperazione come l’incendio di cumuli di spazzatura i cui fumi aumentano i rischi per la salute; ci sono stati scontri con la polizia, con arresti e feriti. E certamente la composizione eterogenea del movimento e la situazione di esasperazione ha creato un terreno favorevole per azioni di violenza fine a sé stessa, quali ad esempio l’assalto ai camion dei vigili del fuoco, rispetto alle quali la maggior parte dei partecipanti alla lotta si è dissociata.

Ma occorre anche cogliere degli aspetti inediti importanti che sono emersi, sia nella inquietudine della gente negli ultimi giorni, sia nella manifestazione-fiaccolata del 9 gennaio scorso a Napoli. Il primo di questi aspetti, che ci sembra tra i più importanti, è lo sdegno profondo della gente per il degrado ambientale, sanitario, morale ed anche etico in cui questa è costretta a vivere. La gran parte delle persone presenti alla manifestazione del 9 non era composta dai soliti quadri dei gruppi politici della sinistra extra parlamentare e non (che naturalmente non mancavano), ma da gente comune, di ceti bassi e medi, di gente povera e meno povera, tutti lavoratori in linea di massima, che in buona parte per la prima volta (almeno dopo molti anni) si incamminavano per le strade a fare una manifestazione. Questo sentire profondo dei manifestanti era in realtà l’espressione di un disagio che tutta la popolazione della regione avverte per un problema che sembra irreale per quanto è fuori del normale.

E’ vero che la manifestazione (ed in generale il clima politico intorno a questa vicenda) è stata fortemente plasmata da un’atmosfera di democraticismo, che porta all’illusione che una gestione alternativa della politica possa dare risultati diametralmente opposti a quelli attuali. Il che ha prodotto slogan del tipo: “Nelle vostre dimissioni c’è il nostro futuro …” o ancora “Napoli è qua per la legalità”. Democraticismo ed illusione alimentate dalle varie forze di destra e di sinistra dell’apparato politico della borghesia, ognuna delle quali cerca di sfruttare lo sdegno e la rabbia della gente per gettare sugli altri la responsabilità e proporsi come alleato della popolazione. Ma è anche vero che, proprio a partire dalla concretezza delle cose, la gente ha cominciato a perdere fiducia nella politica rappresentativa dei “partiti”, ha capito dalle questioni concrete che destra e sinistra dicono e fanno le stesse cose.

Una presa maggiore invece, hanno quelle forze “senza partito”, quali appunto i Grillo, gli Alex Zanotelli che, puntando il dito su personaggi quali Bassolino, Jervolino, sul governo di turno o ponendo false alternative come “inceneritore si, inceneritore no” e “lotta alla camorra”, rafforzano la falsa idea che sia possibile vivere meglio in questo sistema, ostacolando una presa di coscienza sulle motivazioni di fondo del degrado a cui si è costretti a vivere.

Un altro elemento va sottolineato. La scelta di inviare De Gennaro come super commissionario per l’emergenza rifiuti non è un caso. De Gennaro è quello che ha saputo assumersi la responsabilità del pugno di ferro durante le manifestazioni contro il G8 di Genova nel 2001 e la sua nomina, oltre che una garanzia di efficienza per la borghesia, è anche un minaccioso messaggio alla popolazione a non andare oltre la democratica e pacifica manifestazione del proprio disagio.

Guarda caso il no global nostrano Caruso, che ha tanto sbraitato ai tempi del G8 contro la repressione da parte dello Stato per mano di De Gennaro, oggi non trova nulla da obiettare al voto dato dal suo partito RC alla nomina di De Gennaro, se non invitarlo al dialogo.

Conclusione

L’emergenza rifiuti non è una specificità campana, né tanto meno italiana: è un’emergenza mondiale, come mondiale è l’emergenza più generale della distruzione dell’ambiente e dell’umanità. La sua causa di fondo sta nel capitalismo, nella sua devastante irrazionalità come sistema di produzione.

E’ per questo che lottare contro il degrado ambientale è importante, a condizione che non ci si faccia irretire dalle chimere del riformismo e della democrazia, perché andare fino in fondo a questa lotta significa inevitabilmente mettere in discussione il capitalismo e la sua irrazionalità che sono all’origine di tale degrado. Perciò lottare contro l’emergenza rifiuti e le sue devastanti conseguenze significa reagire e difendersi dall’ulteriore degrado delle nostre condizioni di vita, ma soprattutto comprendere che la soluzione al problema non sta all’interno del capitalismo ma solo nella costruzione di una società alternativa, di una società comunista, dove la produzione non è più dominata dalla ricerca del massimo profitto, ma è gestita dalla collettività per soddisfare le esigenze dell’insieme dell’umanità.

11 gennaio 2008 CCI

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