1° Maggio contro le morti bianche, ovvero come mistificare i lavoratori

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Quest’anno la borghesia ha pensato bene di “festeggiare” il 1° Maggio con la parola d’ordine “contro le morti bianche”. Già nei giorni precedenti, ed anche successivi, abbiamo visto tanto di titoloni sulle pagine dei giornali su operai morti sul posto di lavoro (a Napoli, a Genova, a Sorrento…), con la consueta profusione di “indignazione” da parte di uomini di governo, partiti e sindacati e, naturalmente, con tanto di buoni propositi di fare qualcosa per la sicurezza dei lavoratori.

Veramente la faccia tosta e l’ipocrisia di questa gente non ha limiti. Scoprono adesso che ogni giorno in Italia si muore sul lavoro? Basta cliccare “morti bianche” su internet per avere tutta una lista di posti dove è morto un operaio. E’ da anni che il numero delle vittime del lavoro aumenta costantemente, e del resto come potrebbe essere diversamente se il lavoro precario, saltuario, a nero è diventato ormai la norma di utilizzo della forza lavoro? E le cifre ufficiali uscite in questi giorni sui giornali non sono che una parte della realtà. Quante sono le vittime sul lavoro, soprattutto tra gli extracomunitari e gli immigrati in genere, che vengono abbandonati per strada lontano dal cantiere o portati davanti agli ospedali dai datori di lavoro1, per evitare che si sappia dove e come si sono feriti o sono morti?

Ma al 1° Maggio abbiamo dovuto subire i bei discorsi di sindaci, sindacalisti, preti e gente di spettacolo, come il premio Nobel Dario Fo, o il “compagno” Bertinotti che ci hanno detto che queste morti sono “ingiuste”, segno di “inciviltà”, di “degrado” e cose simili.

In effetti tutto questo gran parlare, adesso, delle morti bianche serve a distogliere l’attenzione dei proletari dal fatto che è questo governo di sinistra, al pari di tutti i governi che lo hanno preceduto, che sta degradando ulteriormente la nostra esistenza. Non a caso tutta l’attenzione nei comizi del 1° Maggio, nelle dichiarazioni di Prodi, nei commenti dei mass media, sono sul fatto che le leggi per la sicurezza sui posti di lavoro ci sono, ma non vengono rispettate, la responsabilità dunque non è del governo ma del datore di lavoro che non rispetta le leggi. In altri termini, e nulla togliendo alle responsabilità degli stessi datori di lavoro, l’idea che si vuol fare passare è che la responsabilità non è dello Stato capitalista, del suo governo e dei suoi sindacati se per sopravvivere in una città come Napoli o diventi un malvivente o accetti di lavorare per quattro soldi sulle impalcature dei palazzi senza la minima protezione e magari fino all’età di 74 anni. Non è responsabilità di questo sistema capitalista, dove la concorrenza sfrenata porta ogni azienda a tagliare sui costi della manodopera e sulle norme di sicurezza, se nel porto di Genova sei costretto a lavorare ben sapendo che da un momento all’altro puoi rimanere schiacciato da quintali di carta. E neanche se sei costretto a condurre un treno con la preoccupazione che un tuo momento di stanchezza, per i ritmi a cui sei sottoposto, potrebbe provocare la tua morte e quella di decine o centinaia di altre persone.

In realtà la borghesia lo sa che questa consapevolezza si fa strada tra i proletari ed allora, prima che sfoci in lotta aperta e rischi di diventare un potente fattore di unità e di solidarietà nella classe operaia, prende le sue precauzioni cogliendo l’occasione delle ultime disgrazie per puntare il dito sul singolo “padrone senza coscienza”. E quale momento migliore di giocarsi questa carta se non la “festa dei lavoratori”.

Eva 4/5/2007

1.Di lavoro si muore. In continuazione: La velocità di costruzioni, la necessità di risparmiare su ogni tipo di sicurezza e su ogni rispetto d’orario. Turni disumani nove-dodici ore al giorno compreso sabato e domenica. Cento euro a settimana la paga con lo straordinario notturno e domenicale di cinquanta euro ogni dieci ore. I più giovani se ne fanno anche quindici. Magari tirando coca. Quando si muore nei cantieri, si avvia un meccanismo collaudato. Il corpo senza vita viene portato via e viene simulato un incidente stradale. Lo mettono in un’auto che poi fanno cadere in scarpate o dirupi, non dimenticando di incendiarla prima. (…) Quando il mastro è assente spesso il panico attanaglia gli operai. E allora si prende il ferito grave, il quasi cadavere e lo si lascia quasi sempre vicino a una strada che porta all’ospedale. (…) Chiunque prende parte alla scomparsa o all’abbandono del corpo quasi cadavere sa che lo stesso faranno i colleghi qualora dovesse accadere al suo corpo di sfracellarsi o infilzarsi. Sai per certo che chi ti è a fianco in caso di pericolo ti soccorrerà nell’immediato per sbarazzarsi di te, ti darà il colpo di grazia. E così si ha una specie di diffidenza nei cantieri. Chi ti è a fianco potrebbe essere il tuo boia, o tu il suo. Non ti farà soffrire, ma sarà colui che ti lascerà crepare da solo su un marciapiede o ti darà fuoco in un’auto.” (da Roberto Saviano, Gomorra, viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondatori, pag. 237-238).