Nella scorsa primavera la CCI ha tenuto il suo 16° congresso. “Il Congresso internazionale è l’organo sovrano della CCI”, come è scritto nei nostri statuti. Per questo, come sempre dopo una tale scadenza, è nostra responsabilità renderne conto e trarne i principali orientamenti di fronte alla classe (1).
Il congresso ha posto al centro delle sue preoccupazioni l’esame della ripresa delle lotte della classe operaia e le responsabilità che questa ripresa implica per la nostra organizzazione, in particolare di fronte allo sviluppo di una nuova generazione di elementi che si orientano verso una prospettiva politica rivoluzionaria. Evidentemente la barbarie di guerra continua a dilagare in un mondo capitalista confrontato ad una crisi economica insormontabile e dei rapporti specifici sui conflitti imperialisti e sulla crisi sono stati presentati, discussi ed adottati al congresso. L’essenziale di questi rapporti è ripreso dalla risoluzione sulla situazione internazionale (pubblicata sulla Rivista Internazionale n°27).
Come viene ricordato in questa risoluzione, la CCI analizza il periodo storico attuale come la fase ultima della decadenza del capitalismo, la fase di decomposizione della società borghese, quella del suo imputridimento. Come abbiamo messo in evidenza numerose volte, questa decomposizione deriva dal fatto che, di fronte al crollo storico irrimediabile dell’economia capitalista, nessuna delle due classi antagoniste della società, la borghesia ed il proletariato, sono pervenute ad imporre la propria risposta: la guerra mondiale per la prima, la rivoluzione comunista per la seconda. Queste condizioni storiche determinano le caratteristiche essenziali della vita della società borghese attuale. In particolare, è nel quadro di questa analisi della decomposizione che si può pienamente comprendere la permanenza e l’aggravamento di tutta una serie di calamità che colpiscono oggi l’umanità: in primo luogo la guerra, ma anche fenomeni come la distruzione ineluttabile dell’ambiente o le terribili conseguenze delle “catastrofe naturali”, come lo tsunami dell’inverno scorso. Queste condizioni storiche legate alla decomposizione pesano anche sul proletariato e le organizzazioni rivoluzionarie e sono una della maggiori cause delle difficoltà incontrate sia dalla classe che dalla nostra organizzazione dall’inizio degli anni 90, come l’abbiamo spesso evidenziato nei nostri precedenti articoli (Vedi Revue Internazionale n° 62).
La ripresa delle lotte della classe
Il 15° congresso aveva constatato che uno degli elementi che aveva permesso alla CCI di superare la sua crisi del 2001 era l’aveva capito che essa era una manifestazione degli effetti deleteri della decomposizione. Allo stesso tempo il congresso constatava le difficoltà che continuava ad incontrare la classe operaia nelle sue lotte contro gli attacchi capitalisti, in particolare la sua mancanza di fiducia in se stessa.
Tuttavia dopo questo congresso, tenutosi all’inizio della primavera del 2003, e come sottolineato dalla riunione plenaria dell’organo centrale della CCI di questo stesso anno: “Le ampie mobilitazioni della primavera 2003 in Francia ed in Austria rappresentano una svolta nella lotta di classe dopo il 1989. Esse sono un primo passo significativo verso il recupero della combattività operaia dopo il periodo più lungo di riflusso dal 1968” (Revue Internazionale n°119).
Questa svolta nella lotta di classe non fu una sorpresa per la CCI che ne aveva annunciato la prospettiva al suo 15° congresso. La risoluzione sulla situazione internazionale adottata dal 16° congresso precisa a questo proposito: “Le lotte del 2003-2005 hanno presentato le seguenti caratteristiche:
-hanno implicato dei settori significativi della classe operaia in paesi centrali del capitalismo mondiale (come la Francia nel 2003);
-hanno manifestato una preoccupazione per questioni più esplicitamente politiche;
-hanno visto riapparire la Germania come punto centrale per le lotte operaie per la prima volta dopo l’ondata rivoluzionaria;
-la questione della solidarietà di classe è stata posta in maniera più ampia e più esplicita che in qualsiasi momento delle lotte degli anni 80, in particolare negli ultimi movimenti in Germania”.
La risoluzione adottata al 16° congresso constata che le differenti manifestazioni della svolta nel rapporto di forza tra le classi “sono state accompagnate dal sorgere di una nuova generazione di elementi alla ricerca di chiarezza politica. Questa nuova generazione si è manifestata sia nel nuovo flusso di elementi apertamente politicizzati sia nei nuovi strati operai che entrano in lotta per la prima volta. Come si è reso evidente in alcune importanti manifestazioni, sta per forgiarsi il solco per l’unità tra la nuova generazione e la “generazione del 68” –sia la minoranza politica che ha ricostruito il movimento comunista negli anni 60 e 70 che gli strati più larghi di operai che hanno vissuto la ricca esperienza delle lotte di classe tra il 68 ed l’89”.
La responsabilità della CCI di fronte all’emergere di nuove forze rivoluzionarie
L’altra preoccupazione essenziale del 16° congresso è stata quella di porre la nostra organizzazione all’altezza della sua responsabilità di fronte all’emergere di questi nuovi elementi che si orientano verso le posizioni di classe della Sinistra comunista. La risoluzione di attività adottata dal congresso manifesta appunto questa preoccupazione:
“La lotta per guadagnare la nuova generazione alle posizioni di classe ed alla militanza, è oggi al centro di ogni nostra attività. Ciò non si applica solo al nostro intervento, ma all’insieme della nostra riflessione politica, delle nostre discussioni e delle nostre preoccupazioni militanti (…)”.
Questo lavoro di raggruppamento delle nuove forze militanti passa particolarmente attraverso la loro difesa da tutti i tentativi di distruggerle o di condurle ad un enpasse. E questa difesa può essere portata a buon fine solo se la CCI sa lei stessa difendersi contro gli attacchi di cui è oggetto. Il precedente congresso aveva già constatato che la nostra organizzazione era stata capace di respingere gli attacchi iniqui della FICCI (2), impedendole di raggiungere il suo scopo dichiarato: distruggere la CCI, o come minimo il maggior numero possibile delle sue sezioni. Nell’ottobre 2004 la FICCI ha condotto una nuova offensiva contro la nostra organizzazione appoggiandosi sulle calunniose prese di posizione di un “Circulo de Comunistas Internacionalistas” argentino che si presentava come il continuatore del “Nucleo Comunista Internacional” (NCI) con il quale la CCI aveva sviluppato delle discussioni e dei contatti dalla fine del 2003. Purtroppo il BIPR ha dato il suo contributo a questa vergognosa manovra pubblicando in più lingue e mentendo per più mesi sul suo sito Internet una di queste dichiarazioni, tra le più menzognere e isteriche, contro la nostra organizzazione. Reagendo rapidamente con dei documenti pubblicati sul nostro sito Internet, abbiamo respinto questo attacco riducendo al silenzio i nostri aggressori. Il “Circulo” è stato smascherato per quello che era: una finzione inventata dal cittadino B., un avventuriero, in piccolo, dell’emisfero australe. La lotta contro questa offensiva della “triplice alleanza”, dell’avventuriero (B), del parassitismo (FICCI) e dell’opportunismo (BIPR) è stata anche una lotta per la difesa del NCI, in quanto sforzo di un piccolo nucleo di compagni per sviluppare una comprensione delle posizioni della Sinistra comunista in legame con la CCI (3).
(…) Di fronte a questo lavoro in direzione degli elementi in ricerca, la CCI ha da mettere in opera una determinata politica di intervento. Ma deve anche apportare tutta la sua attenzione a sviluppare in profondità le argomentazioni portate nelle discussioni ed alla questione del comportamento politico. D’altro canto, l’emergere delle nuove forze comuniste deve essere un potente stimolo per la riflessione e le energie non solamente dei militanti, ma anche degli elementi che avevano subito il peso del riflusso della classe operaia a partire dal 1989: “Gli effetti degli sviluppi storici contemporanei vanno a ripoliticizzare una parte della generazione del 1968, originariamente deviata ed imprigionata dal gauchisme. Hanno già ricominciato a riattivare vecchi militanti, non solo della CCI ma anche di altre organizzazioni proletarie. Ogni manifestazione di questo fermento rappresenta un potenziale prezioso di riappropriazione dell’identità di classe, dell’esperienza di lotta e della prospettiva storica del proletariato. Ma questi differenti potenziali non possono realizzarsi se non riuniti attraverso un’organizzazione che rappresenti la coscienza storica, il metodo marxista e l’approccio organizzativo che, oggi, solo la CCI può offrire. Ciò rende lo sviluppo costante ed a lungo termine delle capacità teoriche, la comprensione militante e la centralizzazione dell’organizzazione fattori cruciali per la prospettiva storica”.
Il congresso ha sottolineato tutta l’importanza del lavoro teorico nella situazione presente: “L’organizzazione non può soddisfare le sue responsabilità né verso le minoranze rivoluzionarie, è verso la classe come un tutto, che a condizione di essere capace di comprendere il processo che prepara il futuro partito nel contesto più ampio dell’evoluzione generale della lotta di classe. La capacità della CCI ad analizzare i cambiamenti nel rapporto di forza tra le classi e ad intervenire nelle lotte e verso il processo il riflessione politico nella classe, ha un’importanza a lungo termine, per l’evoluzione della lotta di classe. Ma già oggi, a breve termine, essa è cruciale per la conquista del nostro ruolo dirigente verso la nuova generazione politicizzata. L’organizzazione deve continuare questa riflessione teorica, traendo il massimo di lezioni concrete dal suo intervento, superando gli schemi del passato.”
Infine, il congresso ha apportato un’attenzione tutta particolare alla questione sulla quale si conclude la piattaforma della nostra organizzazione: “I rapporti che si stabiliscono tra le diverse parti ed i diversi militanti dell’organizzazione portano necessariamente le stigmate della società capitalista e non possono quindi costituire un’isola di rapporti comunisti in seno a questa. Ciò nondimeno, essi non possono essere in contraddizione flagrante con lo scopo perseguito dai rivoluzionari e si poggiano necessariamente su di una solidarietà ed una fiducia reciproca che sono una delle impronte dell’appartenenza dell’organizzazione alla classe portatrice del comunismo.”
E una tale esigenza, come tutte le altre alle quali deve far fronte un’organizzazione marxista, passa attraverso una riflessione teorica:
“Nella misura in cui le questioni di organizzazione e di comportamento sono oggi al centro dei dibattiti all’interno ed all’esterno dell’organizzazione, un asse centrale del nostro lavoro teorico nei due anni a venire sarà la discussione dei differenti testi di orientamento (che abbordano questi soggetti). Queste questioni ci portano alle radici delle recenti crisi organizzative, toccando le basi di fondo del nostro impegno militante, e sono delle questioni centrali della rivoluzione nell’epoca della decomposizione. Esso sono dunque chiamate a giocare un ruolo centrale nel rinnovamento della convinzione militante e nel ritorno al gusto per la teoria e per il metodo marxista che tratta ogni questione con un approccio storico e teorico.”
Delle prospettive entusiasmanti
I congressi della CCI sono sempre dei momenti di entusiasmo per l’insieme dei suoi membri. Come potrebbe essere altrimenti quando militanti venuti da tre continenti e da tredici paesi, animati dalle stesse convinzioni, si ritrovano per discutere insieme delle prospettive del movimento storico del proletariato. Ma il 16° congresso è stato ancora più entusiasmante della maggior parte dei precedenti.
Per circa la metà dei suoi trenta anni di esistenza, la CCI ha vissuto quando il proletariato conosceva un riflusso della sua coscienza, un’asfissia delle sue lotte ed un esaurimento di nuove forze militanti. Per più di un decennio una delle parole d’ordine centrali della nostra organizzazione è stata “resistere”. E’ stata una prova difficile ed un certo numero di “vecchi” militanti non hanno resistito (in particolare quelli che hanno costituito la FICCI e quelli che hanno abbandonato la lotta nei momenti di crisi conosciuti nel corso di questo periodo).
Oggi, quando la prospettiva si schiarisce, possiamo dire che la CCI, come un tutto, ha superato questa prova. E ne esce rinforzata. Un rafforzamento politico, come possono giudicare i lettori della nostra stampa (dai quali riceviamo un munsero crescente di lettere d’incoraggiamento). Ma anche un rafforzamento numerico poiché, al momento, le nuove adesioni sono più numerose che le defezioni che abbiamo vissuto con la crisi del 2001. E ciò che è rimarchevole è che un numero significativo di queste adesioni concerne dei giovani, che non hanno dovuto subire, e quindi superare, le deformazioni provocate dalla militanza in organizzazioni gauchiste. Elementi giovani il cui dinamismo ed il cui entusiasmo rimpiazzano centuplicate le “forze militanti” affaticate ed usurate che ci hanno lasciato.
Quello presente al 16° congresso è stato un entusiasmo lucido. Non aveva niente a che vedere con l’euforia illusoria che aveva pervaso altri congressi della nostra organizzazione (euforia il più delle volte più particolarmente propria di quelli che poi ci hanno lasciato). La CCI dopo trenta anni di esistenza ha imparato (4), qualche volta dolorosamente, che il cammino che porta alla rivoluzione non è un’autostrada, ma un percorso sinuoso, pieno di insidie, disseminato di trappole che la classe dominante tende al suo mortale nemico, la classe operaia, per distoglierlo dal suo fine storico. I membri della nostra organizzazione oggi sanno bene che militare non è una cosa facile; che non è necessaria solo una solida convinzione, ma molta abnegazione, tenacia e pazienza.
La coscienza della difficoltà del nostro compito non è un fattore di scoraggiamento. Al contrario, è un fattore supplementare del nostro entusiasmo.
Attualmente il numero di partecipanti alle nostre riunioni pubbliche vede un aumento sensibile, mentre sempre più corrispondenza ci arriva dalla Grecia, dalla Russia, dalla Moldavia, dal Brasile, dall’Argentina, dall’Algeria per porre direttamente la candidatura alla nostra organizzazione, per ingaggiare delle discussioni o semplicemente per chiedere delle pubblicazioni, ma sempre con una prospettiva militante. Tutti questi elementi ci permettono di sperare in uno sviluppo della presenza delle posizioni comuniste nei paesi dove la CCI non ha ancora una sezione, di vedere la creazione di nuove sezioni in questi paesi. Noi salutiamo questi compagni che si orientano verso le posizioni comuniste e verso la nostra organizzazione e diciamo loro: “Avete fatto la scelta giusta, la sola possibile se avete la prospettiva di integrarvi nella lotta per la rivoluzione proletaria. Ma questa non è la scelta della facilità: non conoscerete successi rapidi, ci vorrà della pazienza e della tenacia e bisognerà non scoraggiarsi quando i risultati ottenuti non saranno all’altezza delle vostre speranze. Ma non sarete soli: i militanti attuali della CCI saranno al vostro fianco e sono coscienti della responsabilità che rappresenta per loro il vostro cammino. La loro volontà, che si è espressa al 16° congresso, è di essere all’altezza di questa responsabilità.”
CCI
1. un resoconto più esaustivo dei lavori di questo congresso è pubblicato nella Revue Internazionale n°122.
2. Pretesa “Frazione Interna della CCI”, composta da alcuni militanti di lunga data della nostra organizzazione che hanno iniziato a comportarsi come degli isterici fanatici alla ricerca di capri espiatori, come dei mascalzoni ed alla fine come delle spie.
3. Vedi l’articolo “Il Nucleo Comunista Internacional: uno sforzo di presa di coscienza del proletariato in Argentina”, Revue Internazionale n°120.
4. O piuttosto riacquisito, perché questo è un insegnamento di cui erano ben coscienti le organizzazioni comuniste del passato, ed in particolare la Frazione italiana della Sinistra comunista a cui si richiama la CCI.
C’è voluto l’autorevole intervento di Ciampi per cercare di richiamare l’apparato politico della borghesia italiana ad una maggiore serietà e, soprattutto, a un maggiore impegno per fare fronte a una situazione economica che non fa che peggiorare. Ed in effetti questa estate è successo di tutto. A partire dalle intercettazioni telefoniche che hanno mostrato una strana confidenza tra il governatore della Banca d’Italia Fazio e il banchiere Fiorani, aspirante scalatore della Banca Antonveneta, e cioè tra il controllore e il controllato, che ha minato in maniera pesante la credibilità di Fazio, e quindi della Banca Centrale, che è un problema non solo di immagine, ma pesantemente concreto: una Banca Centrale non credibile implica una sfiducia dei mercati verso l’economia di quel paese con il conseguente rischio di fuga di capitali, paura di investire, e così via. Il che per un paese che è già in recessione è un rischio mortale.
Ed il governo, che sta lì, come diceva Marx, per curare gli affari della borghesia, si mostra a sua volta sempre meno all’altezza della situazione, al punto che dall’opposizione arrivano richieste esplicite di dimissioni e nuove elezioni e le cosiddette “forze sociali”, sindacati e Confindustria, esprimono anche esse senza riserve la loro insoddisfazione per l’insufficienza del governo. Ciononostante la farsa continua e ancora di recente abbiamo dovuto assistere a uno scenario in cui il governatore Fazio, scoperto con le mani nella marmellata, sfiduciato da destra e da sinistra, iscritto nel registro degli indagati del tribunale di Roma, ha continuato imperterrito a rimanere al suo posto forte sia del fatto che legislazione italiana, per preservare l’autonomia della Banca d’Italia, non aveva previsto la possibilità di una sua rimozione da parte del potere politico, sia della sostanziale omertà di Berlusconi e di ampi settori della destra, tra cui la Lega. L’incapacità a far dimettere Fazio, le dimissioni del ministro dell’economia Siniscalco alla vigilia della presentazione della legge finanziaria, che dovrebbe indicare la cura per la malattia mortale da cui è afflitta l’economia borghese, il ritorno del già contestato Tremonti sullo stesso ministero dell’economia e i continui litigi tra i partiti della maggioranza, completano effettivamente un quadro che fa preoccupare la borghesia italiana, per cui Ciampi, che per il ruolo che occupa riesce ad avere una visione meno particolaristica e partigiana, è dovuto intervenire a più riprese.
Come spiegare questa situazione? Alla stessa maniera con cui si spiega la situazione del capitalismo mondiale, perché se in Italia le cose assumono una dimensione estrema e paradossale, è l’insieme del capitalismo mondiale che è afflitto da una malattia incurabile, che è la sua decadenza, arrivata ormai alla fase della decomposizione.
E’ la decadenza storica del capitalismo come sistema sociale che rende impossibile il superamento della crisi economica. Questa tende a diventare permanente, solo apparentemente superata nelle fasi di ricostruzione che seguono alle guerre generalizzate - che sono l’unico sbocco che il capitale sa trovare a questa situazione di crisi economica - per poi tornare puntuale, perché non c’è una soluzione alla decadenza del capitalismo.
Oggi che la guerra generalizzata non è possibile perché il proletariato non è stato sconfitto e piegato alle esigenze del capitale, la crisi devasta lo stesso il pianeta e la vita delle persone: con il deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, con l’inquinamento che è alla base del carattere catastrofico di fenomeni estremi della natura, con le guerre localizzate che le varie borghesie scatenano comunque per contendersi il controllo delle zone strategiche.
In questa situazione di stallo storico, in cui la borghesia non può indirizzare la società verso la sua “soluzione” alla crisi, e cioè la guerra generalizzata, ma allo stesso tempo il proletariato non riesce a imboccare la strada che può portare all’unica alternativa che la storia offre all’umanità, cioè la rivoluzione proletaria, la società si deteriora giorno dopo giorno, la crisi economica rovina sempre più le condizioni di vita, la mancanza di una prospettiva storica evidente favorisce i comportamenti individualisti, e questo innanzitutto nella classe borghese, una classe di individualisti in competizione continua. Questa è la situazione che abbiamo chiamato di decomposizione, in cui non solo la vita sociale imputridisce sempre più (microcriminalità, droga, perdita di valori, ecc.), ma la classe dominante scatena tutti le sue peggiori caratteristiche: il ciascuno per se, l’egoismo, l’irresponsabilità verso l’interesse collettivo, ecc.
Questo quadro, che vale, dove più, dove meno, per l’intero mondo capitalista (1), è alla base dei comportamenti, altrimenti incomprensibili, della classe politica italiana, di destra o sinistra che sia. Comportamenti che non fanno che aggravare la situazione, perché se è vero che il sistema capitalista è un malato incurabile, il fatto che i medici che dovrebbero occuparsene non sanno cosa fare e pensano solo a litigare non può avere come risultato altro che l’aggravamento della situazione.
Sarebbe però illusorio pensare che la borghesia riconosca il fallimento del suo sistema e si faccia da parte, anzi, essa non fa che continuare a mentire e a rilanciare le proprie mistificazioni.
E’ questo che spiega le grandi campagne sulle elezioni che da mesi attraversano tutta l’Europa: dalla campagna sulla costituzione europea in Francia, alle elezioni politiche in Germania, alla campagna elettorale in Italia, che dura ormai in maniera ininterrotta dalle elezioni regionali in poi (nonostante che teoricamente le prossime politiche dovrebbero svolgersi tra più di sei mesi). Con queste campagne la classe borghese vuole da un lato cercare di convincere i proletari che con le elezioni possono cambiare qualcosa, dall’altro cercano di impedire loro di riflettere sul cammino da intraprendere per difendere i propri interessi di classe, da quelli immediati a quelli storici.
E’ questo che spiega anche le grandi polemiche sulle misure economiche del governo Berlusconi: criticando la finanziaria per la sua inefficacia, la sinistra vuole far credere che con lei al governo le scelte potrebbero essere diverse, meno antipopolari e più efficaci per rilanciare l’economia.
Ed invece ai proletari deve essere chiaro che la borghesia non ha niente da offrire, che non c’è via d’uscita alla crisi, che ogni frazione borghese non può che continuare a chiedere sacrifici. Non è forse questo che è successo prima con la scusa del risanamento del bilancio statale per rispettare i parametri di Maastricht (raggiunti alla fine degli anni novanta e già di nuovo superati, e non solo in Italia, ma anche in Francia, Germania, Grecia, ecc.), o per stare nell’euro, come ci dicevano i governi di centrosinistra, e poi a causa delle politiche neoliberiste di Berlusconi (politiche che avrebbero la giustificazione che il mercato, lasciato libero, risolve da solo i problemi dell’economia).
La realtà è che nonostante i sacrifici fatti dai proletari la situazione non ha fatto che peggiorare, ed oggi Berlusconi vuole tappare le falle con altri tagli ai servizi pubblici. Ma non bisogna illudersi che la sinistra farebbe qualcosa di diverso, anzi.
Perciò l’unica strada è quella della difesa intransigente delle proprie condizioni di vita, contro le politiche della borghesia, la sua crisi e la sua decomposizione.
Helios ,30 settembre 2005
1. Basta per tutti l’esempio dei comportamenti della maggiore potenza mondiale, gli USA, la cui classe politica mente spudoratamente per giustificare le proprie avventure guerriere, non mostra nessun interesse per i problemi ambientali (gli USA non rispettano nemmeno il protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni inquinanti), non protegge nemmeno più la propria popolazione distogliendo risorse umane e materiali dalla protezione della popolazione alle esigenze della guerra.
Il terrorismo è un’arma di guerra della borghesia
Per tre settimane in luglio il mondo ha tremato di fronte ad un’ondata di attentati omicidi di una frequenza senza precedenti, da Londra a Sharm el-Sheikh e in Turchia. A questi si aggiungono le bombe che esplodono quotidianamente in Irak, in Afghanistan, nel Libano o nel Bangladesh. Gli Stai ed i loro governi vogliono farci credere che loro combattono il terrorismo e che sono capaci di proteggere le popolazioni dagli attentati. Quale menzogna!
Il terrorismo è un’espressione della barbarie di guerra del capitalismo
Gli Stati non combattono il terrorismo. Sono loro che lo producono e lo fanno prosperare. E’ sempre più chiaro che sono tutti gli Stati, grandi o piccoli, che finanziano, infiltrano, manipolano, utilizzano le frazioni, i gruppi e le nebulose terroriste in tutto il mondo per difendere o far valere i loro sordidi interessi. Il terrorismo è diventato oggi una delle armi più usate nella guerra aperta o larvata che si fanno le borghesie del mondo intero. Ricordiamo che gli stessi Bin Laden ed Al Quaida si sono formati alla scuola americana della CIA negli anni 1980 per organizzare la resistenza all’occupazione delle truppe russe in Afghanistan. Molti “rispettabili” dirigenti politici borghesi di oggi, da Begin ad Arafat passando per Gerry Adams, sono vecchi capi terroristi.
Questo fenomeno è un puro prodotto del capitalismo in putrefazione, una delle manifestazioni più parlanti della barbarie della società capitalista. Lo Stato borghese approfitta dei sentimenti di insicurezza permanente, di paura e di impotenza suscitati da tali atti nelle popolazioni, per presentarsi come il solo riparo possibile contro la montata del terrorismo. Niente di più falso!
La classe operaia non può che sentirsi direttamente interpellata, indignata e disgustata da questi attentati perché spesso, come a New York nel 2001, a Madrid nel 2004 o a Londra quest’anno, sono i proletari che vanno al lavoro ad essere le principali vittime di questi atti barbari. Ma la solidarietà verso le vittime di questi attentati da parte dei loro fratelli di classe di fronte al terrorismo, non passa affatto attraverso l’unità nazionale con la borghesia ma, al contrario, attraverso il rifiuto categorico di questa santa alleanza.
Lo Stato ci chiede di serrare i ranghi intorno alla sua difesa ed alla difesa della democrazia in un unico slancio di unità nazionale. Ma quale fiducia possiamo dargli per proteggere le popolazioni dal terrorismo quando sono i governi, in quanto fautori di guerra, ad essere responsabili del dilagare di questo orrore. O che sono completamente incapaci di fermare. Più la borghesia dichiara a gran voce guerra al terrorismo, più si moltiplicano gli attentati, più le grandi potenze si rotolano nel sangue e nel fango e fanno precipitare le popolazioni in un ingranaggio senza limiti di violenza, di guerra e di rappresaglia. Le uniche misure che può adottare la borghesia nel nome dell’alti-terrorismo sono i diversi piani di “prevenzione anti-terrorista” che servono a far accettare un brutale rafforzamento dell’apparato repressivo e soprattutto permettono la moltiplicazione di strumenti di controllo e di sorveglianza della popolazione.
A cosa servono le campagne anti-terrorismo della borghesia?
Le campagne anti-terrorismo attuali hanno permesso di giustificare un rafforzamento senza precedenti dell’apparato repressivo. La situazione in Gran Bretagna ne è una illustrazione. L’esempio più flagrante è stato l’assassinio di un giovane brasiliano nella metropolitana di Londra grazie all’autorizzazione data alla polizia di sparare a vista su ogni sospetto (vedi l’articolo “Dirigenti del mondo”, “terroristi internazionale”: sono tutti responsabili del massacro dei lavoratori, sul nostro sito Internet). La borghesia inglese ha subito capito che la classe operaia non era pronta ad allinearsi dietro gli interessi dello Stato borghese in nome dell’anti-terrorismo. Si è quindi ben guardata dal chiamare a delle mega-manifestazioni, come quelle organizzate nell’aprile 2004 nelle strade di Madrid e di tutta la Spagna dopo gli attentati alla stazione d’Atocha. E’ del resto probabile che essa stessa abbia organizzato una seconda serie di attentati “falliti”, che avevano tutto di un simulacro, proprio allo scopo di rilanciare il messaggio della mobilitazione nazionale e per far passare meglio agli occhi dei proletari i metodi di divisione e di sorveglianza polizieschi.
Nonostante ciò la classe operaia ha dimostrato che non si lasciava intimidire. La lotta di un migliaio di salariati all’aeroporto di Heathrow in Gran Bretagna di solidarietà con i 670 loro fratelli di classe brutalmente attaccati e minacciati di licenziamento, ne è una prova irrefutabile. A dispetto della pressione poliziesca, questa lotta ha chiaramente dimostrato che quello che è in gioco per il proletariato non è il mantenimento dell’ordine borghese e del suo terrore, ma la difesa dei propri interessi di classe di fronte agli attacchi che subisce. Ed è giustamente lo sviluppo delle sue lotte che è all’ordine del giorno. Questa ripresa della lotta di classe proprio quando viene messo in opera un potenziamento degli strumenti di polizia mostra proprio qual è il vero obiettivo di tutto questo dispiegamento poliziesco. La principale preoccupazione della borghesia non è affatto la caccia ai terroristi. Al contrario essa sa che con il peggiorare della crisi economica mondiale, dovrà imporre degli attacchi sempre più feroci al proletariato e far fronte ad uno sviluppo a livello internazionale delle lotte di resistenza della classe operaia.
La lotta di classe è il solo modo per combattere il terrore capitalista
Non esistono soluzioni-miracolo, immediate, che possano impedire da un giorno all’altro gli attentati terroristici, o che possano impedire alla guerra imperialista di scatenarsi sull’intero pianeta. Una sola classe ha la possibilità di opporsi al potenziamento del terrorismo, della guerra e della barbarie, il proletariato, con lo sviluppo delle sue lotte di resistenza agli attacchi della borghesia, sul proprio terreno di classe. La vera posta in gioco che minaccia l’ordine borghese, è che attraverso lo sviluppo della lotta, la classe operaia è portata a prendere coscienza del legame che esiste tra gli attacchi che subisce e la guerra ed il terrorismo, il che sfocia nella rimessa in causa del sistema capitalista nel suo insieme e sulla necessità della sua distruzione.
Ed è solo con il rovesciamento del sistema capitalista e dei suoi rapporti di sfruttamento che la classe operaia può riuscirci. I metodi ed i mezzi di azione del proletariato che di basano sulla coscienza e la solidarietà di classe, sul carattere collettivo, unitario, internazionalista delle sue lotte sono radicalmente opposti ed antitetici a quelli del terrorismo.
La classe operaia in Gran Bretagna ha dimostrato la capacità dei proletari di affermare la propria risposta ai ricatti della borghesia attraverso la loro solidarietà su di un terreno di classe di fronte ai licenziamenti ed agli attacchi del capitalismo. I proletari di tutti i paesi devono ispirarsi a questo esempio. Portando il loro scontro di classe su un terreno di resistenza e di solidarietà di fronte agli attacchi economici, potranno opporre una alternativa ed una prospettiva all’empasse ed alla barbarie di guerra del mondo capitalista che minaccia la sopravvivenza dell’intera umanità.
NO ALL’UNITÀ NAZIONALE, SI ALLA SOLIDARIETÀ DI CLASSE!
Win
L’anniversario della Polonia 80 è stato l’occasione per la borghesia per rinverdire il sindacato come unico strumento di difesa per i lavoratori. Contro questa enorme mistificazione la classe deve riappropriarsi di questo importante della sua lotta traendone tutte le lezioni sulla forza di quel movimento e sulle cause della sua sconfitta. Pertanto in questa prima parte dell’articolo ricorderemo brevemente i momenti e gli aspetti più significativi dello sciopero di massa della Polonia 80 e nella seconda (sul prossimo numero del giornale) vedremo come la mistificazione sulla possibilità di un sindacato “libero” e “combattivo” è stata la migliore arma per sconfiggerlo dall’interno.
Venticinque anni fa, durante l'estate 1980, la classe operaia in Polonia teneva il mondo col fiato sospeso. Un gigantesco movimento di sciopero si estendeva nel paese: parecchie centinaia di migliaia di operai si mettevano in sciopero selvaggio in differenti città, facendo tremare la classe dominante in Polonia e quella degli altri paesi.
Che cosa è successo?
In seguito all'annuncio dell'aumento dei prezzi della carne, gli operai reagiscono in numerose fabbriche con scioperi spontanei. Il primo luglio, gli operai di Tczew vicino a Danzica ed ad Ursus nella periferia di Varsavia si mettono in sciopero. Ad Ursus si tengono delle assemblee generali, viene eletto un comitato di sciopero e vengono avanzate delle rivendicazioni comuni. Gli scioperi continuano ad estendersi nei i giorni seguenti: Varsavia, Lodz, Danzica, ecc. Il governo tenta di impedire un’ulteriore estensione del movimento facendo delle rapide concessioni come degli aumenti salariali. A metà luglio gli operai di Lublino, un importante incrocio ferroviario, si mettono in sciopero. Lublino è localizzato sulla linea ferroviaria che collega la Russia alla Germania dell'Est ed in quegli anni era una linea vitale per il rifornimento delle truppe russe in Germania dell'Est. Le rivendicazioni degli operai sono queste: nessuna repressione contro gli operai in sciopero, ritiro della polizia fuori dalle fabbriche, aumento degli stipendi ed elezioni libere di sindacati.
Ciò che ha determinato la forza degli operai…
Gli operai avevano tratto le lezioni dalle lotte del 1970 e del 1976 (1). Vedevano chiaramente che l'apparato sindacale ufficiale era dalla parte dello Stato stalinista e del governo ogni volta che si avanzavano delle rivendicazioni. Perciò prendono direttamente l'iniziativa negli scioperi di massa del 1980. Senza aspettare nessuna istruzione dall'alto, si misero in marcia insieme, facendo assemblee per decidere in prima persona del luogo e del momento delle loro lotte, in particolare a Danzica, Gdynia e Sopot, la cintura industriale del mare Baltico. I soli cantieri navali Lenin di Danzica contavano 20.000 operai.
Nelle assemblee di massa venivano messe avanti rivendicazioni comuni. Fu formato un comitato di sciopero. All’inizio le rivendicazioni economiche erano al primo posto.
Gli operai erano determinati. Non volevano una ripetizione dello schiacciamento nel sangue della lotta del 1970 e 1976. In un centro industriale come quello di Danzica-Gdynia-Sopot, era evidente che tutti gli operai dovevano unirsi per fare in modo che il rapporto di forza fosse in loro favore. Fu costituito un comitato di sciopero inter-fabbriche (MKS) formato da 400 membri, due delegati per impresa. Durante la seconda metà di agosto si riunirono tra gli 800 ai 1000 delegati. Formando un comitato di sciopero inter-fabbriche fu superata l'abituale dispersione delle forze e gli operai potevano fare fronte al capitale in modo unito. Ogni giorno assemblee generali si tenevano ai cantieri navali Lenin. Furono installati degli altoparlanti per permettere a tutti di seguire le discussioni dei comitati di sciopero ed i negoziati coi rappresentanti del governo. Poco dopo, vennero messi dei microfoni verso l'esterno della sala di riunione dell’MKS, per permettere agli operai presenti nelle assemblee generali di intervenire direttamente nelle discussioni di questo. La sera i delegati – per lo più provvisti di cassette con la registrazione dei dibattiti - ritornavano sul loro posto di lavoro e presentavano le discussioni e la situazione nelle assemblee generali della fabbrica, rendendo il loro mandato davanti a queste.
Grazie a questi strumenti di lotta il maggior numero possibile di operai poteva partecipare alla lotta. I delegati dovevano rendere il loro mandato, erano revocabili in ogni momento, e le assemblee generali erano sempre sovrane. Tutte queste pratiche erano in opposizione totale alla pratica sindacale.
Mentre gli operai di Danzica-Gdynia-Sopot si muovevano uniti, il movimento si estendeva ad altre città. Per sabotare la comunicazione tra gli operai, il 16 agosto il governo tagliò le linee telefoniche. Immediatamente, gli operai minacciarono di estendere ancora più il loro movimento se il governo non le ripristinava. E questo fece retromarcia. L'assemblea generale decise di creare una milizia operaia. Dato che nel movimento il consumo di alcool era largamente diffuso, fu deciso collettivamente di proibirlo. Gli operai sapevano che dovevano essere lucidi nello scontro con il governo. Una delegazione governativa incontrò gli operai per negoziare. E questa si svolse, non a porte chiuse, ma davanti ad un'intera assemblea generale. Gli operai pretesero una nuova composizione della delegazione governativa perché questa era costituita da rappresentanti di un rango troppo basso. Ancora una volta il governo fece retromarcia. Quando il governo minacciò delle repressioni a Danzica i ferrovieri di Lublin dichiararono: "Se gli operai di Danzica sono attaccati fisicamente e se uno solo di essi sarà toccato, paralizzeremo la linea ferroviaria strategicamente più importante tra la Russia e la Germania dell'Est". Il governo capì cosa era in gioco: la sua intera economia di guerra. Le sue truppe sarebbero state colpite nel punto più debole e, al tempo della Guerra fredda, ciò sarebbe stato fatale.
Gli operai erano mobilitati in quasi tutte le principali città. Più di mezzo milione tra loro comprendeva che costituivano la sola forza decisiva nel paese capace di opporsi al governo. Capivano ciò che dava loro questa forza:
- l'estensione veloce del movimento al posto del suo sfinimento negli scontri violenti come nel 1970 e 1976;
- la loro auto-organizzazione, cioè la capacità di prendere l'iniziativa da soli invece di contare sui sindacati;
- la tenuta di assemblee generali in cui unire le forze, esercitare un controllo sul movimento, permettere la massima partecipazione possibile e negoziare col governo davanti a tutti.
In breve, l'estensione del movimento fu la migliore arma della solidarietà; gli operai non si accontentarono di fare delle dichiarazioni, ma presero l'iniziativa delle lotte, il che rese possibile lo sviluppo di un rapporto di forze differente. Finché gli operai lottavano in modo tanto massiccio ed unito, il governo non poteva esercitare nessuna repressione. Durante gli scioperi dell'estate, quando gli operai affrontavano il governo in modo unito, non un solo lavoratore fu ucciso o colpito. La borghesia polacca aveva capito che non poteva permettersi un tale errore ma che avrebbe dovuto indebolire la classe operaia dell'interno.
Inoltre gli operai di Danzica, ai quali il governo aveva accordato delle concessioni, esigevano che queste venissero garantite anche agli operai del resto del paese. Volevano opporsi ad ogni divisione e manifestavano così la loro solidarietà agli altri operai.
La classe operaia diventò il punto di riferimento per tutta la popolazione. Insieme ad altri operai che andavano a Danzica per stabilire un contatto diretto con gli operai in sciopero, contadini e studenti si recavano alle porte della fabbrica per ricevere i bollettini di sciopero e altre notizie. Diventando il polo di riferimento, la classe operaia dimostrava di costituire una minaccia per la classe dominante.
Welt Revolution n°101, organo della CCI in Germania, agosto-settembre 2000
1. Durante l'inverno 1970-71, gli operai dei cantieri navali del Baltico entrarono in sciopero contro l’aumento di prezzo delle derrate di prima necessità. In un primo tempo il regime stalinista reagì con una repressione feroce delle manifestazioni facendo parecchie centinaia di morti, in particolare a Danzica. Ma gli scioperi non cessarono. Alla fine il capo del partito, Gomulka, fu destituito e sostituito da un personaggio più "simpatico", Gierek. Quest'ultimo dovette discutere per 8 ore con gli operai dei cantieri navali di Szczecin prima di convincerli a riprendere il lavoro. Naturalmente tradì subito le promesse che aveva fatto loro in quel momento. Così, nel 1976, nuovi brutali attacchi economici provocarono degli scioperi in parecchie città, particolarmente a Radom ed Ursus. La repressione fece parecchie decine di morti.
Nei primi due articoli dedicati al VI Congresso di Rifondazione Comunista abbiamo cercato di dimostrare che questo partito, contrariamente a quanto vorrebbe fare intendere il suo nome, è un partito della borghesia, cioè che difende gli interessi della borghesia contro quelli dei lavoratori. Gli argomenti che abbiamo portato sono le stesse citazioni prodotte dalle varie correnti contro quella maggioritaria di Bertinotti in preparazione del suddetto congresso. In questo ultimo articolo cercheremo di dimostrare, come abbiamo cercato di fare già a partire dal secondo articolo, che le stesse minoranze, pur contrapponendosi a Bertinotti, di fatto costituiscono solo una “versione di sinistra” della stessa mistificazione nella misura in cui quello che propongono non costituisce affatto una difesa del marxismo e dei lavoratori.
1. Un’altra Rifondazione è possibile
La quarta mozione, capeggiata da Gigi Malabarba e Salvatore Cannavò e con un consenso nel partito del 6,5%, vorrebbe presentarsi come una delle più radicali all’interno del PRC. Quello che vedremo è proprio il contrario, a partire dal fatto che questa componente stravolge completamente il concetto di classe operaia:
“La dinamica dei movimenti parla della ricostruzione del soggetto della trasformazione sociale. O meglio dei soggetti. Quello che storicamente abbiamo definito “movimento operaio”, oggi non esiste più nelle forme e nelle determinazioni che ha avuto nel corso dello scorso secolo. Lungi dall’essersi ridotta la centralità del lavoro (…) a essersi modificata è la composizione sociale dei soggetti subalterni. (…) Il soggetto della trasformazione del futuro non potrà che essere un soggetto plurale, differenziato, composito, ma anche profondamente unificato dalle politiche del suo avversario, il capitalismo, il cui raggio d’azione non riguarda più solo le merci ma anche il vivente, non più solo la produzione materiale ma anche quella immateriale. Questa scomposizione e ricomposizione determina oggi il ritmo di una lotta di classe molto più variegata e complessa – a volte irriconoscibile al tal punto da non essere più nominata.” (punto 2.5, mozione n. 4, pag. 26, sottolineatura nostra).
Come si vede si comincia proprio bene – si fa per dire, naturalmente - smantellando il ruolo centrale della classe operaia (il …“movimento operaio”, oggi non esiste più…) e mescolandola con altri soggetti sociali (…il soggetto della trasformazione del futuro non potrà che essere un soggetto plurale, differenziato, composito…).
I firmatari di questa mozione denunciano anch’essi il centro-sinistra come borghese, sono contro un accordo di governo che “rovinerebbe definitivamente RC perché si allontanerebbe dal movimento”. Ma quando si devono caratterizzare in positivo, loro stessi dicono di avere un vuoto di identità: “Per questo tornare al marxismo di Marx non è sufficiente, né possibile. Significherebbe tornare a una semplice ipotesi di lavoro, falsificata poi in ogni aspetto della sua concreta applicazione. In sostanza, dal punto di vista dell’identità, significa tornare al niente” punto 8.2, mozione n. 4, pag. 30.
Cosa è dunque per loro Rifondazione? “L’identità di Rifondazione comunista deriverà quindi dalla sua capacità di essere coerente con il pacifismo radicale (che è altra cosa dalla metafisica della nonviolenza), dalla forza della pretesa che tutte e tutti siano inclusi nel cono di luce dei diritti umani, dall’insistenza per una democrazia e un’uguaglianza non astratte. (…) L’antimilitarismo come rifiuto non solo della guerra, ma dell’ubbidienza stupida e cieca, dell’ideologia patriottarda, del clima da pogrom di cui diceva Rosa Luxemburg alla vigilia della prima guerra mondiale. Il femminismo radicale le cui aspirazioni furono tutte realizzate dalla Rivoluzione d’Ottobre e furono poi perse nel pantano dello stalinismo. Le rivoluzioni antiburocratiche dirette da comuniste e comunisti per l’autonomia nazionale e la democrazia socialista. La lotta contro il nazifascismo, carica delle nuvole nere di un movimento comunista stalinizzato ma che ha salvato l’umanità dalla barbarie.
Rivoluzioni e movimenti anticoloniali nella loro relazione virtuosa con la parte migliore della cosiddetta civiltà occidentale, che è poi assai meno occidentale di quel che si crede.
La laicità dello Stato e la difesa dell’eredità illuminista, nel suo significato migliore di ragione critica e non solo di ragione tecnica.
La difesa della natura contro un’industrializzazione incapace di porre a se stessa i limiti del bene comune e delle preoccupazioni per le generazioni future, presente nel marxismo di Marx e poi dimenticata.” (punto 8.2, mozione n. 4, pag. 30).
Se andiamo a considerare l’insieme dei punti caratterizzanti (sottolineati da noi nel testo) vediamo anzitutto che questi non sono i punti caratterizzanti il programma del proletariato, ma quelli della borghesia o al limite della piccola borghesia contestataria e impotente. Il pacifismo radicale è quello dietro il quale si sono nascoste, alla vigilia dell’ultima guerra del Golfo, delle potenze imperialiste del calibro della Francia e della Germania, pronte a profittare dell’occasione per crearsi un’aureola di perbenismo, quando sono notori le stragi compiute dall’esercito francese nell’Africa del nord ancora di recente e le risorgenti velleità interventiste della Germania. A proposito di diritti umani e di una democrazia e un’uguaglianza non astratte ricordiamo che già la borghesia francese, nella sua lotta contro l’assolutismo feudale, aveva proclamato la parola d’ordine di “libertà, eguaglianza, fraternità”, salvo naturalmente a rimangiarsi le promesse quando non tornano più i conti con la classe fruttata. Il femminismo, radicale o non che sia, è una tipica mistificazione piccolo-borghese che serve a mettere proletari uomini contro proletari donne piuttosto che riconoscerne la comune schiavitù sotto il regime capitalista. D’altra parte la lotta contro il nazifascismo è quella che ha combattuto nella seconda guerra mondiale il fronte anglo-americano contro l’asse Roma-Berlino. I movimenti anticoloniali sono stati quelli che hanno permesso fino ad una certa epoca, a delle borghesie locali sottomesse, di riscattarsi rispetto ad altre borghesie più potenti da cui dipendevano. La laicità dello Stato è una questione che si pone chi vuole riformare questo Stato, mentre i comunisti si pongono il problema di abolire lo Stato, confessionale o laico che sia. La difesa della natura, in quanto parola d’ordine a sé stante, è un hobby che si possono permettere anche imprenditori e capitalisti di buon animo, di quelli ad esempio che se la prendono con gli Americani che non ne vogliono sapere di accettare il protocollo di Kioto. Salvo poi scoprire che quand’anche si realizzassero i programmi più restrittivi del programma di Kioto, questi si rivelerebbero essere soltanto un misero palliativo rispetto allo squilibrio climatico esistente. Non c’è infatti alcuna possibilità di difendere la natura e l’ambiente senza fermare la logica distruttiva del capitalismo. E così via… Come si vede, mentre si prendono le distanze da un movimento operaio che … non esiste più, ci si caratterizza attraverso dei punti che non appartengono al proletariato, ma alla borghesia. Come volevasi dimostrare.
2. Rompere con Prodi, preparare l’alternativa operaia (Claudio Bellotti)
L’ultima mozione, che conta solo l’1,6 % di consensi, è di grande interesse non tanto per il suo contenuto proletario, quanto per il suo potenziale di mistificazione antioperaia. Occorre dire subito che questa quinta mozione ha anch’essa dietro un gruppo trotskista, il gruppo FalceMartello, che pratica in Rifondazione la notoria pratica entrista tipica del trotskismo, messa già in evidenza per l’altra componente trotskista che fa capo a Ferrando, quella della III mozione Per un progetto Comunista. Anzi va detto che le due componenti, entrambe trotskiste ed inizialmente assieme nella sinistra del PRC, oggi si fanno la guerra proprio perché in concorrenza tra di loro, come è costume di tutta la genia trotskista mondiale (1).
Questa componente è fortemente terzomondista, essendo legata in particolare ai movimenti popolari di sinistra sud-americani, è contro le alleanze di governo, contro la guerra. Afferma che il centro della lotta non sono i municipi, ma la lotta diretta delle masse per cambiare le loro condizioni di vita. Arriva anche a fare una blanda critica a Lula, presidente del Brasile, per aver illuso la gente. Critica lo stalinismo, ma rivendica la Rivoluzione d’ottobre. Ha una impostazione che si basa sulla centralità della classe operaia, afferma che “è errato parlare solo di crisi della “globalizzazione”, o del “neoliberismo”, ossia di una determinata politica economica. Si tratta di una crisi organica del sistema capitalista su scala mondiale, che va ben oltre la “naturale” alternanza di cicli di boom e recessione che da sempre caratterizza questo sistema economico”. Sostiene finanche che “per la prima volta da decenni nel nostro paese un’intera generazione vede di fronte a sé la prospettiva di un peggioramento netto nelle proprie prospettive di vita su tutti i terreni. Non si tratta solo dell’arretramento delle condizioni materiali (istruzione, lavoro, salari, casa, sanità, ecc.) ma anche della generale insicurezza, della precarietà, dei diritti calpestati e della visione di un mondo trascinato verso la barbarie di un sistema sociale ormai in decadenza” e critica i no-global ed il commercio equo e solidale.
Sembrerebbe così essere finalmente arrivati al nocciolo duro di Rifondazione, al nucleo marxista capace in prospettiva di guadagnare l’influenza su tutto il partito e a cui i proletari possono guardare con fiducia. Ma quando passiamo dalle enunciazioni di principio alla politica concreta, ci accorgiamo nel concreto di chi si tratta realmente. Ci basterà analizzare un paio di punti: la questione elettorale e la partecipazione al governo, e la questione delle nazionalizzazioni.
Stranamente, mentre si parla di una situazione che “si caratterizza (…) con la fine della pace sociale, la crisi del riformismo e della collaborazione di classe”, precisando ancora che “questa situazione di giganteschi squilibri e di concorrenza accanita sui mercati erode i margini per ogni organica politica di riforme”, quando si passa ad enunciare gli Elementi di un programma di alternativa, si dice tuttavia che “tutto questo non significa che i comunisti abbandonano la lotta per le riforme “in quanto irrealizzabili”, al contrario…” (mozione n. 5, pag. 33-34). A partire da questa incredibile piroetta, i trotskisti di FalceMartello esprimono la loro vera natura controrivoluzionaria.
Sulla questione elettorale, da buoni trotskisti e dimenticando di aver detto poco prima nello stesso scritto che “il centro della lotta non sono i municipi”, partono col dire che anch’essi vogliono la pelle di Berlusconi, senza però partecipare ad una coalizione. Per cui lanciano la proposta di un accordo di “desistenza (totale o parziale, concordata o unilaterale) verso le sole forze della sinistra, senza alcuna disponibilità a votare alcun candidato borghese dei partiti di centro”, il che lascia intendere che un Veltroni o anche un D’Alema possano essere considerati candidati della classe operaia!!! Lo scopo della tattica, cercano di spiegare ancora i rifondaroli della V mozione, “non è quello di conquistare un deputato in più, ma di collocare politicamente il partito nella migliore posizione per sfruttare l’inevitabile crisi delle forze riformiste nella fase successiva, di non farci schiacciare dalla pressione in favore di una unità a qualsiasi costo, per poi passare a nostra volta all’offensiva una volta che l’inevitabile crisi delle politiche riformiste si palesi in modo evidente agli occhi delle masse”. In realtà è proprio il contrario quello che si verifica. Dire agli operai di votare per Veltroni o D’Alema significa consegnare gli agnelli nelle fauci del lupo, disarmarli politicamente cercando di fare dimenticare loro che sono stati proprio i DS di D’Alema i maggiori responsabili delle misure più antipopolari degli ultimi governi di sinistra e che, a coronamento della pretesa politica pacifista proclamata da tutta Rifondazione, è stato proprio il governo D’Alema il responsabile della guerra contro la Serbia. D’altra parte, quale sarebbe questa “migliore posizione” in cui si collocherebbe “politicamente il partito” “per sfruttare l’inevitabile crisi delle forze riformiste?” Quella acquisita con le elezioni, che costituiscono in realtà un momento politico di dispersione completa dei proletari che vengono coinvolti come singoli cittadini e non come elementi di una classe sociale rivoluzionaria.
Ma i nostri non si fermano qui. In polemica con il concorrente Ferrando, secondo cui “un partito comunista non può mai entrare al governo, in nessuna circostanza, fino a quando non conquista il potere per via rivoluzionaria” affermano che “Questa tuttavia è una interpretazione molto riduttiva, per non dire caricaturale, del marxismo. Il marxismo rifiuta la collaborazione di classe, che si può manifestare tanto al governo come all’opposizione e pensare che la linea del Rubicone sia necessariamente quella che segna la soglia di un palazzo ministeriale è davvero una prova di cretinismo parlamentare”. Claudio Bellotti, Sinistra PRC: le ragioni di una divisione, pubblicato sul sito www.marxismo.net/prc/sinistra_prc_1112.html [12].
Insomma se capiamo bene per costoro, che si appellano al famigerato governo operaio di una Internazionale Comunista ormai declinante, un partito comunista può tranquillamente andare al governo con forze non propriamente rivoluzionarie purchè rifiuti la collaborazione di classe con queste stesse forze. E se qualcuno si azzarda a dire come questo sia possibile visto che si condividono delle responsabilità di governo, si vedrà accusato di cretinismo parlamentare.
L’ultima perla riguarda le nazionalizzazioni. Parlando del problema dei rifiuti in Campania, si dice che: “L’unico argine possibile all’intreccio di affari, veleni e sangue del capitalismo è la nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori e dei cittadini di tutto il settore dei rifiuti. Attraverso la diretta gestione delle aziende e di tutto il ciclo, si possono evitare infiltrazioni camorristiche (…) e speculazioni sulla pelle altrui. (…) La nazionalizzazione è l’unica possibilità di eliminare alla radice il problema, sostituendo alla logica perversa del profitto del capitale il controllo diretto e immediato dei lavoratori, nell’interesse della collettività e non del padronato, disposto a distruggere la salute per guadagnare miliardi e miliardi. Non è utopia, ma realtà. È molto meno razionale l’attuale politica sui rifiuti, basata sull’anarchia del mercato”. Dal Volantone di FalceMartello La lotta di Acerra per il diritto alla salute, contro la logica del profitto pubblicato sul sito www.marxismo.net/italia/acerra_111204.html [13].
Da questo passaggio apprendiamo che tutta la cosiddetta imprenditoria pubblica che abbiamo avuto in Italia, dalle acciaierie ai monopoli di Stato, dalle poste alle ferrovie, dalla RAI alla compagnia di bandiera Alitalia, e così via… sono state aziende “sotto il controllo dei lavoratori e dei cittadini” che hanno così sostituito alla logica perversa del profitto del capitale il controllo diretto e immediato dei lavoratori, nell’interesse della collettività e non del padronato. Peccato che di tutto questo nessuno si sia mai reso conto, né i cittadini né i lavoratori. Forse è per questo che si sono fatti licenziare dovunque all’interno di questi settori, pari pari come nel settore privato? O non è perché non esiste alcuna differenza tra capitale pubblico e privato, come diceva già molto chiaramente Federico Engels ormai due secoli fa, perché la logica e il meccanismo sono esattamente gli stessi?
Il gioco delle scatole cinesi di Rifondazione Comunista
Con questa serie di articoli abbiamo cercato di mostrare come nessuna delle mozioni che sono state presenti al VI Congresso di Rifondazione “Comunista”, al di là di quanto ognuna di esse vorrebbe far credere, è schierata a favore della classe operaia ma che tutte sono in difesa della borghesia. Un’ulteriore e finale insistenza resta da fare. Se Rifondazione gioca oggi il ruolo di estrema sinistra del capitale che fu quello svolto fino agli anni ’80 dall’ormai disciolto partito comunista, se entrambi i partiti hanno svolto il ruolo di camera di compensazione della collera operaia, quello che costituisce il motivo di attrazione nei due partiti è profondamente diverso. Il vecchio partito comunista era un partito strutturato, con una lunga storia e dei riferimenti sociali e storici saldi, che attribuivano un’identità certa a chi vi aderiva. Il nuovo partito della Rifondazione Comunista, nella misura in cui i vecchi riferimenti dello stalinismo hanno perduto lo smalto di una volta, ha scelto di puntare piuttosto su una piattaforma variegata, di sinistra ma non di sicura fede classista, con una organizzazione composita e federalista, che conferisce a chi vi aderisce l’impressione di partecipare perennemente ad un laboratorio di idee e di iniziative e alla relativa lotta per affermare le idee più di sinistra. E’ vero che nessuna idea, nessuna posizione all’interno di Rifondazione può essere considerata un’idea o una posizione di classe. Ma chi si avvicina a Rifondazione può avere l’impressione che ci sia un grande spazio da conquistare, una grande lotta da combattere proprio a partire dalla considerazione di partenza di questa grande varietà di posizioni. Per lo stesso motivo l’impressione che dà a noi Rifondazione è un poco quella delle scatole cinesi: se si apre Rifondazione dentro troviamo tante componenti, e dietro ogni componente troviamo dei gruppi che hanno la loro autonomia organizzativa, la loro stampa, la loro piattaforma. E’ attraverso questo gioco delle scatole cinesi che dei militanti, catturati da una delle varie tendenze, finiscono per accettare una dopo l’altra le varie mediazioni di partito e quindi l’intera logica del partito. Ogni singola componente infatti, finanche quella con un consenso sul piano nazionale del solo 1,6%, ha la pretesa di ingaggiare i propri seguaci nella conquista del partito, e questa illusione dà a Rifondazione - e a chi ne gestisce la direzione - una forza e, tutto sommato, una coesione inattese. Questo gioco è tanto più pericoloso in quanto oggi c’è un risveglio delle coscienze di molti giovani che sentono la necessità di combattere questo sistema e sono alla ricerca di una prospettiva, per cui l’idea che in questo calderone che si chiama Rifondazione ci sia qualcosa da fare finisce per ingabbiare e bruciare molte di quelle forze che possono evolvere.
Ezechiele, 26 settembre 2005
1. Ecco alcune delle espressioni che si trovano su FalceMartello e che sono rivolte ai “compagni” di Partito della componente di Ferrando: “Tale risposta costituisce un piccolo capolavoro di arroganza settaria e burocratica. (…) carattere profondamente settario della posizione avanzata da Ferrando. Questo settarismo è sempre stato presente nella sinistra del Prc (e per anni lo abbiamo criticato), ma le successive divisioni avvenute al suo interno (a cominciare dalla nostra espulsione da quell’area nel 2001) fanno sì che oggi questo settarismo si esprima senza alcuna mediazione, in forma per così dire distillata”. Claudio Bellotti, Sinistra PRC: le ragioni di una divisione, pubblicato sul sito www.marxismo.net/prc/sinistra_prc_1112.html [12] (sottolineature nostre).
“700 voli cancellati, 70.000 passeggeri presi in ostaggio da un pungo di irresponsabili in pieno periodo di vacanze”, questo è stato il messaggio martellato senza sosta dalla stampa e tutti i media britannici a proposito dello sciopero che ha paralizzato, dall’11 al 14 agosto, l’aeroporto londinese di Heathrow. A modo suo, la violenza e l’astio con cui la borghesia ha condannato gli scioperanti rivela la portata storica di questa lotta operaia. In effetti è solo qualche settimana dopo gli attentati di Londra del 7 luglio e quando la borghesia tentava di rilanciare l’unione nazionale attraverso la campagna antiterrorista, che un migliaio di lavoratori dell’aeroporto si sono messi in sciopero spontaneamente per solidarietà con i 670 operai dell’impresa americana di ristorazione Gate Gourmet, sotto appalto della British Airways, all’annuncio del loro licenziamento.
Questo licenziamento è stato il risultato di tutta una politica cinica e provocatrice dell’impresa, tendente a sostituire i salariati attuali, la maggior parte di origine indio-pakistana, con una manodopera ancora più a buon mercato dei paesi dell’Est. Questo sciopero di solidarietà illustra in maniera eclatante la rimonta della combattività operaia. Ciò è tanto più significativo in un paese dove il riflusso del proletariato è stato accompagnato da una profonda demoralizzazione dopo le sconfitte severe subite nel 1979 e nel 1984, in particolare attraverso lo sciopero dei minatori. Questa lotta traduce soprattutto la vera natura del proletariato con la messa in avanti dei veri valori essenziali della specie umana che sono al cuore delle lotte operaie, quali la solidarietà e il senso di dignità nel suo rifiuto dell’inaccettabile di fronte a tutta l’infamia della borghesia.
Allo stesso tempo, questa ripresa della lotta di classe si conferma a livello internazionale mostrando le stesse caratteristiche di quelle di Heathrow. Dopo la lotta degli operai della Mercedes-Daimler-Chrysler in Germania l’anno scorso, lo scorso luglio in India, ad una ventina di chilometri dalla capitale Nuova Delhi, migliaia di operai della filiale della Honda, scavalcando il quadro legale del diritto di sciopero, hanno manifestato la loro solidarietà verso 30 loro compagni licenziati, subendo una violentissima repressione da parte della polizia anti-sommossa. In Argentina si sta producendo un’ondata di lotte (sulla quale ritorneremo ancora) dove si manifestano le stesse tendenze verso uno sviluppo della solidarietà operaia. Dall’8 all’11 agosto, uno sciopero nelle miniere d’oro del Sud-Africa, benché rimasto sotto il controllo del sindacato del NUM, è stato seguito da 130.000 minatori costituendo il più grande movimento di sciopero del paese dopo il 1987. Tutti questi avvenimenti sono rivelatori delle potenzialità contenute nello sviluppo internazionale delle lotte operaie, che sono un esempio ed un incoraggiamento per l’avvenire della lotta di classe.
I media - la voce dello Stato e della classe dominante - si sono scatenati furiosamente contro gli scioperanti di Heathrow. Come hanno osato questi operai anteporre la loro solidarietà di classe ai profitti dell'impresa? Non sanno che cose come la solidarietà operaia e la lotta di classe sono superate? Tutto ciò è passato di moda dagli anni 70, non è così? Secondo un responsabile di un concorrente della British Airways, citato dal Sunday Time del 13 agosto, "per molti aspetti, l'aviazione resta l'ultima industria non ristrutturata… Essa somiglia ai settori portuali, alle miniere ed all'industria automobilistica degli anni 70". Non sanno questi operai del Giurassico che il principio della società attuale è "il ciascuno per sé", e non "proletari di tutti i paesi, unitevi"?
Tuttavia è stupefacente vedere come questa "nuova" filosofia della libertà individuale non impedisce ai padroni di esigere un'ubbidienza assoluta degli schiavi salariati. E' anche vero che certe voci mediatiche hanno duramente attaccato le aperte provocazioni della compagnia Gate Gourmet: mentre gli impiegati della ristorazione tenevano una assemblea generale per discutere della risposta da dare alla strategia della direzione che mirava a licenziarli, i vigilanti chiuso la sala e 600 operai - compresi quelli che erano in malattia o in vacanza - sono stati licenziati sul campo per avere preso parte ad una riunione non autorizzata, alcuni di loro sono stati avvertiti per megafono. Questa reazione, in fondo, non è che un'espressione un poco più caricaturale della boria padronale largamente diffusa. Come mostrato dalla soppressione, da parte della società Tesco, dell'indennità di malattia per i primi tre giorni di assenza- altre imprese si sono immediatamente interessate a questa nuova "riforma". I magazzinieri sono controllati elettronicamente per assicurarsi che neanche secondo del tempo dell'impresa venga perso. L'attuale clima politico – quando siamo costretti ad accettare tutte i soprusi polizieschi in nome de "l'anti-terrorismo" – non ha fatto che aumentare l'arroganza dei padroni.
Questi attacchi non dipendono da questo o quel padrone particolarmente "avido" o che adotta metodi "americani". La brutalità crescente degli attacchi contro le condizioni operaie di vita e di lavoro è la sola risposta della classe capitalista alla crisi economica mondiale. Bisogna abbassare i costi, aumentare la produttività, tagliare le pensioni, ridurre l'indennità di disoccupazione, perché tutte le imprese e tutti i paesi sono impegnati in una lotta disperata per sconfiggere i loro concorrenti su un mercato mondiale saturo.
Di fronte a questi attacchi la solidarietà operaia è la nostra sola difesa.
A Heathrow, gli addetti ai bagagli e le altre squadre che sono scese in sciopero all’annuncio dei licenziamenti hanno dimostrato una di avere piena coscienza di tutto questo. Loro stessi avevano subito lo stesso genere di attacchi e hanno fare le stesse lotte. L’interruzione immediata del lavoro ha subito mostrato la forza degli operai quando prendono parte ad un'azione determinata ed unita. È l'unica basa sulla quale costringere i padroni a reintegrare gli operai licenziati, e ciò per un certo tempo farà esitare i padroni dell'aeroporto a lanciare simili attacchi. Isolati in categorie, gli operai sono delle prede facili per la classe dominante. Nel momento in cui la lotta comincia ad estendersi ad altri operai, va tutto diversamente.
Ma c'è significato un ben più importante della solidarietà operaia. In una società che crolla intorno a noi, dove il "ciascuno per sé" prende la forma delle bombe terroristiche, degli attacchi razzisti, del gangsterismo e della violenza permanente sotto tutte le sue forme, la solidarietà degli operai al di là di ogni corporazione, di ogni divisione religiosa, sessuale o nazionale è il solo antidoto a questo sistema, il solo punto di partenza per la creazione di una società diversa, basata sui bisogni umani e non sulla ricerca del profitto. Di fronte ad un sistema che sta affondando in un stato di guerra generalizzata, verso l'autodistruzione, non è esagerato dire che la solidarietà di classe è la sola vera speranza di sopravvivenza per la specie umana.
Il fatto che non sia una vana speranza diventa più chiaro se si guarda al di là delle frontiere della Gran Bretagna. In questi due ultimi anni c'è stato un ritorno di lotte operaie dopo anni di smarrimento. Nel corso delle più importanti di esse - la lotta degli operai francesi contro gli attacchi sulle pensioni nel 2003, quella degli operai dell’industria automobilistica in Germania contro le riduzioni di effettivi - la solidarietà è stata un elemento fondamentale. Questi movimenti hanno confermato che la classe operaia internazionale non è sparita e non è sconfitta. Naturalmente i media hanno tentato di dissimulare il significato reale delle azioni di solidarietà di Heathrow. Hanno cominciato a parlare di legami di vicinanza tra gli impiegati della ristorazione, gli addetti ai bagagli e gli altri impiegati dell'aeroporto. È vero che questi esistono, ma la maggioranza degli impiegati della ristorazione è di origine indiana, la maggior parte degli addetti ai bagagli sono "bianchi". In breve, qui c’è stata un'autentica solidarietà di classe, al di là di ogni divisione etnica. Le notizie teletrasmesse hanno provato anche a sabotare la simpatia che gli altri operai potevano provare per gli impiegati dell'aeroporto enfatizzando le sofferenze patite dai passeggeri i cui voli sono stati impediti dallo sciopero. È vero che quando si è trascorso la maggior parte dell'anno a sudare sul posto di lavoro, non è certamente piacevole vedere i piani di vacanze che vanno a rotoli. Tra i compiti che tutti gli operai devono assumersi quando entrano in lotta, vi è la spiegazione delle proprie azioni agli altri operai ed alla popolazione in generale. Ma essi devono anche resistere al ricatto ipocrita dei media che cercano costantemente di farne i cattivi della storia.
Il vero ruolo dei sindacati
Se, come si è potuto vedere, la classe dominante non vuole che venga mostrata la nostra solidarietà di classe, essa cerca anche di mascherare un'altra verità: che la solidarietà operaia ed il sindacalismo non sono più la stessa cosa. I metodi utilizzati durante questa lotta sono stati una costante sfida ai metodi sindacali:
-gli operai di Gate Gourmet decidono di tenere una Assemblea Generale nella loro mensa per discutere sull'ultima manovra della direzione. Era una assemblea non ufficiale tenuta durante il tempo di lavoro. L'idea di tenere autentiche AG per discutere e prendere delle decisioni va contro la pratica sindacale ufficiale;
-anche l'altra squadra dell'aeroporto ha ignorato ogni consegna ufficiale sospendendo il lavoro senza voto; e gli operai hanno in più sfidato il sindacato ingaggiandosi in un conflitto "secondario".
Queste azioni sono pericolose per la classe dominante perché costituiscono una minaccia di perdita di controllo sugli operai da parte dei sindacati, organi "ufficiali" di controllo (cioè riconosciuti dallo Stato) della lotta di classe. E in questi ultimi tempi, abbiamo visto una continua progressione di questo tipo di azione "selvaggia": un certo numero di lotte alla Posta; e nello stesso momento dell'ultima lotta a Heathrow, c'erano lotte non ufficiali degli autisti di autobus di Edimburgo ed alla fonderia Ford di Leamington Spa.
Nel caso di Heathrow, il sindacato TGWU è riuscito a soffocare la situazione. Ha dovuto condannare ufficialmente gli scioperi selvaggi e ha dovuto spingere gli operai a riprendere il lavoro. Ma con l'aiuto di gruppi "rivoluzionari" come il SWP e il T&G, ha cercato di presentare la lotta come un movimento che mirava a “dare una spinta" ai sindacalisti, identificando la persecuzione dei militanti operai - che è certamente stata parte di una strategia della Gate Gourmet - come un attacco contro i sindacati. Ciò ha facilitato alla base sindacale il compito di confinare la lotta nella cornice sindacale - molti membri del sindacato pensano in questo modo di difendere i loro compagni operai.
Tuttavia, ciò che fermenta sotto queste apparenze non è una lotta per "difendere i sindacati", ma movimenti massicci che vanno sviluppandosi, all'interno dei quali gli operai vanno a scontrarsi con la macchina sindacale, il loro primo ostacolo. Per costruire la massima solidarietà di classe, all’interno e grazie alla lotta, gli operai dovranno confrontarsi al bisogno di sviluppare le proprie assemblee generali, aperte a tutti gli operai, e di eleggere dei comitati di sciopero responsabili esclusivamente di fronte a queste assemblee. I militanti operai che comprendono questa prospettiva non devono restare isolati, ma devono iniziare a riunirsi per discuterne per le lotte future.
World Revolution, 15 agosto 2005
La catastrofe che ha colpito il sud degli Stati Uniti e particolarmente la città di New Orleans non è, contrariamente a ciò che ci ripetono i media della borghesia, una conseguenza dell'irresponsabilità del presidente Bush e della sua amministrazione. Questa propaganda antiamericana, particolarmente diffusa in questa occasione dai media in Europa per screditare il potere degli Stati Uniti, nasconde in realtà agli occhi del proletariato il reale responsabile delle conseguenze drammatiche del passaggio del ciclone Katrina. Gli sconvolgimenti climatici, provocati in grande parte dall'effetto serra, sono i prodotti di un'economia capitalista la cui unica ragion d’essere è il profitto. Questi squilibri ambientali rendono necessariamente le "catastrofi naturali" molto più numerose ed immensamente più distruttrici che in passato. L'assenza di mezzi di soccorso, di attrezzature specializzate, di strumenti sanitari è inoltre l'espressione diretta del fallimento del capitalismo.
Una manifestazione del fallimento del capitalismo
Tutti hanno visto le immagini della catastrofe. I gonfi cadaveri galleggianti nelle acque fetide dell'inondazione di New Orleans. Un vecchio seduto su di una sdraio, accasciato, morto, ucciso dal caldo, la fame e la sete mentre altri languiscono vicino a lui. Madri intrappolate coi loro bambini senza niente da mangiare né da bere per tre giorni. Il caos negli stessi luoghi dove le autorità hanno chiamato le vittime a rifugiarsi per la loro sicurezza. Questa tragedia senza precedenti non ha avuto luogo in un angolo del Terzo Mondo provato dalla povertà, ma nel cuore della più grande potenza imperialista e capitalista del pianeta. Quando lo tsunami ha colpito l'Asia nel dicembre scorso, la borghesia dei paesi ricchi ha biasimato l'incompetenza politica dei paesi poveri per essersi rifiutata di reagire ai segni che annunciavano la catastrofe. Questa volta non ci sono scuse di questo genere. Il contrasto oggi non è tra paesi ricchi e paesi poveri, ma tra le persone ricche ed i poveri. Quando è arrivato l'ordine di evacuare New Orleans e la costa del Golfo del Messico, è stato fatto alla maniera tipicamente capitalista, ciascuno per sé, ogni famiglia per se stessa. Quelli che avevano delle automobili e potevano pagare la benzina il cui prezzo è salito a dismisura a causa delle compagnie petrolifere, sono partiti verso nord e verso l'ovest per mettersi al sicuro e trovare rifugio negli hotel, motel, dagli amici o presso la famiglia. Ma nel caso dei poveri, la maggioranza si è trovata presa sulla rotta del ciclone, incapace di fuggire. A New Orleans le autorità locali hanno aperto lo stadio del Superdome ed il centro di conferenze come riparo contro il ciclone, ma non hanno fornito servizi, né cibo, né acqua, né organizzazione, mentre migliaia di persone, in grande maggioranza neri, si ammucchiavano in questi edifici dove venivano abbandonati. Per i ricchi rimasti a New Orleans, la situazione era tutt’altra. I turisti e i VIP rimasti erano ospitati negli hotel a cinque stelle accanto al Superdome, si abbandonavano al lusso ed erano protetti dagli ufficiali di polizia armati che mantenevano la "popolazione" del Superdome a distanza.
Invece di organizzare la distribuzione di cibo e acqua depositata nei negozi e magazzini, la polizia è rimasta a braccia incrociate quando i poveri hanno cominciato a "saccheggiare" i beni di prima necessità per ridistribuirli. È vero che elementi lumpenizzati hanno approfittato della situazione e si sono messi a rubare materiale elettronico, denaro e armi ma è chiaro che all’inizio, questo fenomeno è stato un tentativo di sopravvivenza in condizioni disumane. Tuttavia nello stesso momento, la polizia, armi in pugno, assicurava la sicurezza degli impiegati degli hotel di lusso inviati presso una vicina farmacia a saccheggiare tutto ciò che potevano, acqua, cibo e medicinali per assicurare la comodità dei ricchi ospiti. Un ufficiale di polizia ha spiegato che non era saccheggio, ma la "requisizione" di provviste per la polizia, cosa che è autorizzata in caso di emergenza. La differenza tra “saccheggio" e "requisizione", è la differenza tra essere povero ed essere ricco.
Il colpevole è il sistema
L'incapacità del capitalismo a rispondere a questa crisi con il minimo di solidarietà umana dimostra che la classe capitalista non è più degna di governare e che il suo metodo di produzione è impantanato in un processo di decomposizione sociale - marcendo letteralmente in piedi - che offre all'umanità un avvenire di morte e di distruzione. Il caos in cui sono caduti, gli uni dopo gli altri, i paesi dell’Africa e dell'Asia in questi ultimi anni, è solamente un saggio di ciò che il capitalismo ci riserva ivi compresi i paesi industrializzati, e la New Orleans oggi ci fa intravedere la desolazione di questo futuro.
Come sempre, la borghesia ha elaborato rapidamente ogni tipo di alibi e di scuse per le sue crisi ed il suo fallimento. Nella sua ultima serie di scuse piagnucola sul fatto che ha fatto tutto ciò che poteva; che è stata una catastrofe naturale, non causata dagli uomini; che nessuno avrebbe potuto prevedere la peggiore catastrofe naturale della storia della nazione; che nessuno aveva previsto che le dighe sarebbero crollate. Le critiche al governo, negli Stati Uniti e all'estero, se la prendono con l'incompetenza dell'amministrazione Bush che ha lasciato che una catastrofe naturale diventasse una calamità sociale. Tutto questo sproloquio della borghesia è fuori luogo. Il suo unico scopo è deviare l'attenzione dalla verità, cioè che è proprio il sistema capitalista il responsabile.
"Facciamo tutto ciò che possiamo", questo è il cliché più ripetuto attinto nelle riserve della propaganda borghese. Fanno "tutto ciò che possono" per finire la guerra in Iraq, per migliorare l'economia, per migliorare l'educazione, per mettere fine alla criminalità, per rendere la navetta spaziale sicura, per fermare la droga, etc., etc.. Non potrebbero né fare meglio, né fare diversamente. Da credere che il governo non faccia alcuna scelta politica, non disponga di alcuna alternativa possibile. Quale non senso! Conducono la politica che hanno consapevolmente scelto e che, è chiaro, comporta delle conseguenze disastrose per la società.
In quanto all'argomento concernente i fenomeni naturali - in opposizione a ciò che gli uomini hanno creato - è vero che il ciclone Katrina era una forza naturale, ma l’intensità della catastrofe naturale e sociale che ha trascinato, questa, non era inevitabile. Sotto tutti gli aspetti, la catastrofe è stata prodotta ed è stata resa possibile dal capitalismo e dal suo Stato. Il carattere sempre più devastante delle catastrofi naturali attraverso il mondo di oggi è una conseguenza di tutte le politiche irresponsabili a livello dell’economia e dell'ambiente naturale che conduce il capitalismo nella sua ricerca incessante di profitto. Queste politiche si esprimono tanto nell’incapacità di utilizzare la tecnologia esistente per sorvegliare gli tsunami ed avvertire le popolazioni minacciate in tempo necessario che nella deforestazione delle colline nei paesi del Terzo Mondo che inasprisce la devastazione prodotta dalle inondazioni legate ai monsoni, o ancora nell’irresponsabile inquinamento dell'atmosfera con gas che producendo l’effetto aggravano il riscaldamento del globo e contribuiscono alle aberrazioni climatiche nel mondo. A tale proposito molti elementi portano a pensare che il riscaldamento del globo abbia provocato un aumento della temperatura dell'acqua e lo sviluppo di un maggior numero di depressioni, tempeste e cicloni tropicali in questi ultimi anni. Quando Katrina ha toccato la Florida era un ciclone di Categoria 1, ma poiché è restato per una settimana al di sopra delle acque del Golfo del Messico a 32°, è diventato una tempesta di Categoria 5 con venti a 280 km/ora quando ha raggiunto la costa del Golfo.
I sinistroidi hanno cominciato già a parlare dei legami di Bush con l'industria petrolifera e della sua opposizione al Protocollo di Kyoto ed a far ricadere su ciò la responsabilità della catastrofe, ma la loro critica si inscrive all’interno delle discussioni della classe capitalista mondiale - come se la messa in opera degli accordi di Kyoto potesse veramente rovesciare gli effetti del riscaldamento della terra e se le borghesie dei paesi in favore di Kyoto fossero veramente interessate a riorganizzare i metodi capitalisti di produzione. Peggio ancora, ciò fa dimenticare che fu l'amministrazione Clinton, che pure si definiva pro-ambientalista, la prima a rigettare l'accordo di Kyoto. Il rifiuto di occuparsi del riscaldamento della terra è la posizione della borghesia americana, non solamente quella dell'amministrazione Bush.
In più, New Orleans con la sua popolazione di quasi 600.000 abitanti e con i sobborghi che comprendono una popolazione ancora più numerosa, è una città costruita in grande parte sotto il livello del mare, il che la rende vulnerabile alle inondazioni in provenienza dalle acque del Mississippi, del Lago Ponchartrain e dal Golfo del Messico. Sin dal 1927, il genio militare americano ha sviluppato e mantenuto un sistema di dighe per impedire l'inondazione annua dalle acque del Mississippi, che ha permesso all'industria ed all'agricoltura di prosperare accanto al fiume ed alla città di New Orleans di estendersi, ma ha fermato l'apporto di terra e di sedimenti che rinnovava naturalmente le zone umide e le paludi del delta del Mississippi a valle della città, verso il Golfo del Messico. Ciò ha fatto sì che queste paludi, che fornivano una protezione naturale a New Orleans servendo da tampone di fronte alle irruzioni marittime, venissero erose pericolosamente e che la città diventasse più vulnerabile alle inondazioni del mare. Tutto questo non è “naturale", è creato dall'uomo.
Non è stata neanche una forza naturale a ridurre considerevolmente la Guardia nazionale della Louisiana, ma la guerra in Iraq che ha mobilitato una grand parte delle sue truppe, lasciando solamente 250 guardie disponibili per assistere la polizia ed i pompieri nelle azioni di soccorso nei primi tre giorni seguiti alla rottura delle dighe. E una percentuale ancora più grande di guardie del Mississippi è stata dispiegata in Iraq.
Anche l'argomento secondo cui questa catastrofe non era prevista è un nonsenso. Da quasi 100 anni, scienziati, ingegneri e politici hanno discusso di come far fronte alla vulnerabilità di New Orleans nei confronti dei cicloni e delle inondazioni. A metà degli anni 1990, sono stati sviluppati parecchi progetti da diversi gruppi di scienziati e di ingegneri, che infine hanno portato ad una proposta nel 1998 (sotto l'amministrazione Clinton), chiamata Coast 2050. Questo progetto comprendeva il rafforzamento e la ripianificazione delle dighe esistenti, la costruzione di un sistema di chiuse e la creazione di nuovi canali che avrebbero portato delle acque piene di sedimenti per restaurare le zone paludose tampone del delta; questo progetto richiedeva un investimento di 14 miliardi di dollari per un periodo di 10 anni. Non ebbe l'approvazione di Washington, non sotto Bush ma sotto Clinton. L'anno scorso, l'esercito ha chiesto 105 milioni di dollari per i programmi di lotta contro i cicloni e le inondazioni a New Orleans, ma il governo gli ha accordato solamente 42 milioni. Nello stesso momento, il Congresso approvava un bilancio di 231 milioni di dollari per la costruzione di un ponte verso una piccola isola disabitata dell'Alaska.
Un'altra confutazione dell'alibi secondo cui "nessuno aveva previsto", è che alla vigilia dell'arrivo del ciclone, Michael D. Brown direttore del FEMA (Federal Emergency Management Administration), si vantava, nelle interviste teletrasmesse, di aver ordinato la messa in funzione di un piano di emergenza nel caso in cui una catastrofe peggiore avesse luogo a New Orleans dopo lo tsunami del Sud-est asiatico, e che il FEMA aveva fiducia nel fatto che sarebbe stato capace di far fronte ad ogni eventualità. Dei rapporti provenienti da New Orleans indicano che questo piano del FEMA è stato messo in opera con la decisione... di far tornare indietro i camion che trasportavano bottiglie di acqua regalate, di rifiutarsi di distribuire 3700 litri di diesel portato dai guardacoste ed il taglio delle linee di comunicazione di emergenza utilizzate dalla polizia locale nelle periferie di New Orleans. Brown ha avuto anche la sfrontatezza di scusare l'inoperosità nel soccorso alle 25.000 persone rifugiatesi nel Centro Conferenze, dicendo che le autorità federali non avevano saputo prima della fine della settimana che questi profughi erano là, mentre erano già tre o quattro giorni che i telegiornali davano notizie sulla loro situazione.
E benché il sindaco Ray Nagin, democratico, abbia denunciato con ingiurie l'inoperosità dello stato federale, bisogna dire che è stata proprio la sua amministrazione locale a non aver fatto assolutamente nessuno sforzo per fornire un'evacuazione sicura ai poveri ed agli anziani, che non si è assunta nessuna responsabilità nella distribuzione di cibo e di acqua e che ha abbandonato la città al caos ed alla violenza.
Solo la classe operaia offre un'alternativa
Milioni di operai sono stati commossi da queste deplorevoli sofferenze sulla Costa del Golfo e scandalizzati per l'insensibilità della risposta ufficiale. Nella classe operaia in particolare esiste un immenso senso di autentica solidarietà umana verso le vittime di questa calamità. Mentre la borghesia distribuiva i suoi pacchetti di compassione in base alla razza o allo stato economico delle vittime, la maggior parte degli operai americani non ha fatto distinzione. Anche se il razzismo è una carta che viene spesso utilizzata dalla borghesia per dividere gli operai bianchi e gli operai neri e se diversi leader nazionalisti neri servono il capitalismo insistendo sul fatto che la crisi a New Orleans è un problema di neri contro i bianchi, la sofferenza degli operai poveri e dei miseri a New Orleans oggi è odiosa per la classe operaia.
Senza dubbio l'amministrazione Bush è una squadra dirigente inadeguata per la classe dominante, soggetta alle insulsaggini, ai gesti vuoti ed a lenti reazioni di fronte alla crisi attuale, e ciò verrà ad aggiungersi alla sua impopolarità crescente. Ma l'amministrazione Bush non è un’aberrazione. E’ piuttosto un nudo riflesso della realtà: gli Stati Uniti sono una superpotenza in declino, che domina un "ordine mondiale" che affonda nel caos. Guerra, carestia e disastri ecologici, ecco dove ci porta il capitalismo. Se c'è una speranza per l'avvenire dell'umanità, è che la classe operaia mondiale sviluppi la coscienza e la comprensione della vera natura della società di classe e prenda in mano la responsabilità storica di sbarazzarsi di questo sistema capitalista anacronistico e distruttore e di si assuma il compito di sostituirlo con una nuova società controllata dalla classe operaia, che abbia come principio la solidarietà umana autentica e la realizzazione dei bisogni umani.
Internationalism, sezione della CCI negli Stati Uniti (4 settembre)
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[12] http://www.marxismo.net/prc/sinistra_prc_1112.html
[13] http://www.marxismo.net/italia/acerra_111204.html
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