Il fatto che le prime grandi lotte degli “anni della verità" (come noi abbiamo chiamato gli anni '80 ([1]) si siano avute proprio in Polonia dipende dalla debolezza della borghesia nei cosiddetti paesi "socialisti". Debolezza che si esprime sia sul piano economico che su quello politico. Infatti, l’esplosione operaia dell'estate '80 è scaturita direttamente dalla catastrofe economica che attanaglia il capitale polacco, uno degli anelli più deboli di questo insieme di paesi, poco sviluppati e particolarmente vulnerabili alla crisi, che costituisce il blocco dell'Est.
Ma questa esplosione si è potuta avere perchè, sul posto, la borghesia non disponeva di una delle armi essenziali che altrove utilizza oggi contro il proletariato: una sinistra che, grazie al suo linguaggio "operaio" e al suo posto nell'opposizione, può sabotare dall'interno, deviare e svuotare le lotte proletarie. Nelle grandi concentrazioni operaie dell'Occidente, anch'esse colpite duramente dalla crisi in questi ultimi anni (come testimoniano i 30 milioni di disoccupati, secondo l'OCDE), la borghesia cerca di far fronte in modo preventivo alla tendenza alla ripresa delle lotte proletarie. E, a tal fine, si appoggia fondamentalmente sulle manovre della sinistra, partiti "operai" e sindacati, che ha il compito fondamentale di immobilizzare la classe operaia, mentre i vari governi s'incaricano di mettere in opera un'austerità crescente. L'esempio migliore è quello della Gran Bretagna, dove, a partire dal 1978, di fronte alle lotte operaie, i laburisti e i sindacati sono passati all'opposizione rinunciando alla politica del “contratto sociale", che aveva per scopo di fare aderire i lavoratori agli obiettivi governativi, e radicalizzando notevolmente il loro linguaggio contro la politica della signora Thatcher. Così la borghesia inglese, una delle più agguerrite del mondo, utilizzando la "sinistra all'opposizione", è riuscita a venire a capo delle lotte del 78-79, e a far praticamente tacere il proletariato nel periodo successivo, proprio quando questo subiva uno degli attacchi più violenti della sua storia.
I regimi esistenti nell'Europa dell'Est, sorti direttamente dalla controrivoluzione, basano il loro potere essenzialmente sul terrore poliziesco e non hanno la stessa flessibilità. Ma nel 1980 in Polonia, di fronte all'ampiezza del movimento di scioperi ed in un contesto internazionale di ripresa delle lotte, la borghesia non ha potuto impiegare la repressione sanguinosa come aveva fatto nel '70 e nel '76. Nell'agosto essa viene sopraffatta dalla situazione ed è nella breccia aperta nelle sue linee di difesa che si è spinto il proletariato per sviluppare le lotte più importanti da 50 anni a questa parte.
Pertanto l'enorme sviluppo delle lotte in Polonia non è solamente dovuto alla gravità della crisi e dell'attacco contro il livello di vita degli operai. Un fattore almeno altrettanto importante è da attribuire all'incapacità della borghesia locale di utilizzare quelle armi politiche ben sperimentate in Occidente.
Solo "a caldo”, con la creazione del sindacato Solidarnosc, la classe dominante ha potuto dotarsi di un'arma efficace contro il proletariato. Ed è a livello internazionale che la borghesia ha condotto la sua controffensiva. Nell'agosto '80 anche la borghesia ha compreso in maniera chiara che siamo ormai entrati negli "anni della verità" ed ha accelerato i suoi preparativi per affrontarli.
LO SPIEGAMENTO DI FORZE DELLA BORGHESIA
Avendo compreso la dimensione mondiale dello scontro con il proletariato, la borghesia ha sviluppato i suoi dispositivi a livello mondiale. A questo scopo, ha saputo far passare in secondo piano gli antagonismi interimperialisti, salvo restando la possibilità di utilizzare i contrasti reali come mezzo per una divisione dei compiti.
In questa divisione, è toccato ai governi del blocco dell'Est il compito di intimidire gli operai di questa regione con le minacce di intervento e di repressione violenta da parte del "grande fratello". Questi governi avevano anche il compito di screditare le lotte operaie in Polonia attraverso campagne nazionaliste del tipo: "i polacchi sono pigri e rissosi, per questo l'economia sprofonda", "la loro agitazione è responsabile delle nostre difficoltà economiche" ...
Ma l'essenziale del lavoro è toccato alle grandi potenze occidentale che hanno fatto fronte a tutta una serie di compiti:
- salvataggio economico del capitale polacco in fallimento, soprattutto attraverso un rinnovamento dei suoi crediti,
- credibilizzazione delle campagne di intimidazione sviluppate da Mosca con continue intimazioni all'URSS a non effettuare alcun intervento in Polonia, attraverso il bombardamento di mass-media come "Radio Europa libera" o la BBC,
- campagne dirette ai proletari d'Occidente sul tema: "i problemi affrontati dagli operai in Polonia sono specifici di questi paesi e di questo blocco (gravità della crisi economica, penuria, miseria, totalitarismo)",
- presa in carico, sia materiale che politica, da parte della sinistra e dei sindacati occidentali, del consolidamento di Solidarnosc (invio di fondi, di materiale per la stampa, di delegazioni incaricate di insegnare al neonato sindacato le diverse tecniche di sabotaggio delle lotte... ),
- sabotaggio sistematico delle lotte operaie nei paesi occidentali attraverso queste stesse organizzazioni che, oltre ad impiegare tutto l'arsenale classico ("giornate di azione", scioperi "bidone", divisione della classe in settori professionali o geografici) hanno sviluppato in questi ultimi mesi delle enormi campagne pacifiste destinate ad insabbiare e smobilitare l'inquietudine reale e giustificata dei lavoratori rispetto alla minaccia di guerra (cfr. "Crisi e lotta di classe", in Révue Internationale n. 28). E’ interessante infine notare come i sindacati dell'Occidente, per riverniciare la facciata e facilitare così il lavoro di sabotaggio della combattività operaia, si siano serviti della popolarità che ha Solidarnosc presso quegli stessi operai che devono inquadrare: il cinismo, la doppia faccia della borghesia, soprattutto quella di sinistra, non hanno limiti!
Anche in Polonia, questa offensiva borghese di indebolimento della classe operaia mondiale ha avuto come risultato:
- lo sviluppo del "sindacato indipendente" a detrimento delle più grandi conquiste dell'agosto ‘80: lo sciopero di massa, l'autorganizzazione delle lotte;
- lo sviluppo delle illusioni nazionaliste, democratiche ed autogestioniste promosse da questo sindacato, che hanno trovato alimento nella passività del proletariato degli altri paesi.
Contrariamente alle assurdità snocciolate da quelli che pensavano che in Polonia il proletariato stava radicalizzando la sua lotta e si apprestava a sferrare un attacco decisivo al capitalismo (persino la rivoluzione!), è di importanza fondamentale comprendere perchè si sia verificato questo indebolimento progressivo tra l'agosto ‘80 e il dicembre '81, malgrado le enormi riserve di combattività della classe operaia in Polonia, comprendere e mettere in evidenza perchè la borghesia ha aspettato circa un anno e mezzo per scatenare la repressione. Si tratta di mostrare chiaramente che la repressione non è derivata da uno scavalcamento proletario della borghesia e del suo agente Solidarnosc, ma al contrario al fatto che di fronte all'offensiva di questi il proletariato si è trovato in POSIZIONE DI DEBOLEZZA.
E questa debolezza SI E' MANIFESTATA A LIVELLO MONDIALE.
LA SCONFITTA OPERAIA
Con l'instaurazione dello stato di guerra in Polonia, il proletariato ha subito una sconfitta: sarebbe illusorio e dannoso nasconderselo. Solo dei ciechi e degli incoscienti possono pretendere il contrario.
E' una sconfitta perchè, in questo paese, gli operai sono oggi imprigionati, deportati, costretti a lavorare con il fucile sulla schiena per un salario ancora più miserabile del precedente. La loro resistenza allo stato d'assedio durata parecchie settimane, per quanto coraggiosa e determinata, era destinata alla sconfitta.
Le differenti forme di resistenza passiva saranno alla fine anch’esse vinte perchè non si basano più su estesi movimenti di massa, ma su una somma di operai ricondotti alla dispersione dalla repressione e dal terrore.
E' una sconfitta perchè in Polonia il proletariato si è lasciato smobilitare e ingannare dalle mistificazioni della borghesia e perchè la repressione che ha subito oggi non gli dà realmente i mezzi per trarre le lezioni dalla sua esperienza, per prendere coscienza della posta in gioco nelle sue lotte. Ciò soprattutto per il fatto che Solidarnosc, il nemico più pericoloso, non è affatto smascherato, ma ha assunto l'aureola di martire. E infine si tratta di una sconfitta perchè questo colpo di stato è arrivato al proletariato di tutti i paesi sotto forma di demoralizzazione e di vero disorientamento di fronte alle campagne sferrate dalla borghesia dopo il 13 dicembre.
Il proletariato mondiale ha subito questa sconfitta da quando il capitalismo, in modo concentrato, è riuscito ad isolare il proletariato polacco dal resto della classe e a chiuderlo ideologicamente nel quadro delle proprie frontiere di blocco (paesi "socialisti" dell'Est) e nazionali ("la Polonia è affare dei polacchi"); da quando è ' riuscito, grazie a tutti i mezzi di cui dispone, a fare degli operai degli altri paesi degli SPETTATORI inquieti certo, ma PASSIVI, a distoglierli dalla sola forma che può avere la solidarietà di classe: la generalizzazione delle lotte in tutti i paesi, mettendo avanti una schifosa caricatura di solidarietà: le manifestazioni sentimentali, le petizioni umanitarie e la carità cristiana con l'invio di pacchi per Natale.
LA MANCATA GENERALIZZAZIONE DELLA LOTTA OPERAIA E' IN SE' UNA DISFATTA. Questa è la prima e la più importante lezione degli avvenimenti polacchi. Il colpo del 13 dicembre, la sua preparazione e le sue conseguenze sono una vittoria della borghesia. Sono esempi dolorosi per il proletariato della efficacia della strategia della "sinistra all’opposizione" che il capitalismo sta sviluppando a livello mondiale.
Questo esempio dimostra ancora una volta che, nella decadenza del capitalismo, la borghesia non affronta il proletariato nello stesso modo del secolo scorso. Allora le disfatte inflitte al proletariato con repressioni sanguinose non consentivano alcuna ambiguità su chi era amico e nemico: come nei casi della Comune di Parigi o della rivoluzione del 1905 che, pur annunciando aspetti propri di questo secolo (sciopero di massa e consigli operai), conservava ancora caratteristiche proprie del secolo scorso (soprattutto rispetto ai metodi della borghesia). Oggi invece, la borghesia scatena la repressione solo dopo un'adeguata preparazione ideologica, nella quale la sinistra e i sindacati giocano un ruolo decisivo, e che è destinata sia ad indebolire la capacità di difesa del proletariato che ad impedirgli di trarre tutti gli insegnamenti necessari dalla repressione.
Il capitalismo non ha rinunciato e non rinuncerà mai alla repressione aperta e brutale contro il proletariato. E' la sua arma preferita nei paesi arretrati in cui il proletariato è meno concentrato. Ma il suo campo di azione non si limita a queste regioni. In generale questa è un'arma destinata a completare una sconfitta del proletariato, a dissuaderlo il più a lungo possibile dal riprendere la lotta, e "dare un esempio" al resto della classe operaia, demoralizzandola. E’ questa la funzione del colpo di stato del 13 dicembre '81 in Polonia.
Tuttavia, nelle grandi concentrazioni operaie, la arma essenziale della borghesia è l'arma ideologica. E' per questo che il proletariato deve guardarsi bene dall'accumulare sconfitte ideologiche come quella di oggi, che andranno a sbriciolare il potenziale di combattività dei suoi battaglioni decisivi e gli impediranno di ingaggiare lo scontro frontale contro il capitalismo.
QUALI PROSPETTIVE ?
Le lotte operaie dell'estate '80 in Polonia sono il primo assalto di un certo livello negli “anni della verità" contro la fortezza capitalista. Nonostante i loro protagonisti non ne siano coscienti, esse costituiscono un primo appello al proletariato mondiale. Confuso nel clamore della propagande borghese, questo appello alla generalizzazione della lotta è rimasto però senza risposta. Anzi, se ci riferiamo ad esempio alle statistiche sul numero di giorni di sciopero (che pur non potendo essere considerate come criterio assoluto indicano almeno una tendenza), gli anni '80 e '81 sono, dal 1968, tra quelli in cui la combattività operaia si è manifestata di meno. Attualmente, nelle grandi potenze capitalistiche come gli USA e la Germania Occidentale, la borghesia è capace di fare accettare agli operai, senza alcuna reazione da parte loro, peggioramenti significativi del livello di vita (vedi gli accordi nel settore automobilistico negli USA e nella metallurgia in Germania). Il "cordone sanitario" posto dalla borghesia mondiale attorno all’"appestato" proletariato polacco è stato efficace. Relativamente disarcionata nell'agosto '80, la borghesia è riuscita con il tempo, ed in maniera netta, a superare vittoriosamente questo primo scontro.
Ma questo significa forse che il proletariato è già completamente battuto, che la borghesia ha sin da oggi le mani libere per imporre la sua soluzione alla crisi, la carneficina mondiale? Niente affatto. Per dura che sia, la sconfitta subita dal proletariato in Polonia in seguito alle sue lotte è solo parziale. Per le stesse ragioni per le quali il primo scontro degli "anni della verità" è scoppiato in questo paese (debolezze dell'economia e del regime) e che hanno permesso alla borghesia di isolare così facilmente le lotte (paese di secondo ordine, relativamente decentrato rispetto alle grandi concentrazioni industriali e proletarie), per queste stesse ragioni, le lotte in Polonia non erano decisive. La disfatta è parziale perchè lo scontro era parziale. La lotta è stata ingaggiata da un battaglione del proletariato mondiale in avanscoperta, mentre il grosso delle truppe, quelle delle enormi concentrazioni industriali di Occidente, in particolare in Germania, non è ancora entrato in battaglia. Proprio per impedire questo la borghesia occidentale ha sviluppato la sua campagna attuale, sotto la guida del direttore d'orchestra Reagan (non a caso si parla del "Reagan show"). Questa campagna è la continuazione di quella messa in piedi molto prima del colpo di stato del 13 dicembre e nei fatti lo ha reso possibile.
La sola differenza sta nel fatto che, prima di questa data, la campagna prendeva di mira sia gli operai d'Occidente sia quelli polacchi nella misura in cui questi ultimi restavano in prima linea negli scontri di classe, mentre ora la borghesia occidentale mira principalmente al proletariato del proprio blocco. Dopo aver messo a tacere il distaccamento più combattivo del proletariato mondiale, il capitale deve concentrare l'attacco ideologico in direzione dei battaglioni più importanti: quelli dai quali dipenderà l'esito della lotta.
E' in questo senso che non bisogna considerare queste campagne come diretti preparativi ideologici in vista della guerra imperialista. Certo, ciascun blocco non perde nessuna occasione per marcare dei punti a proprio favore in questo campo, dato che i conflitti tra i blocchi non scompaiono mai. E’chiaro inoltre che un'eventuale disfatta generale del proletariato significherebbe un nuovo olocausto imperialista. Tuttavia è importante sottolineare che l'obiettivo principale dell'attuale campagna è di prevenire ogni esplosione proletaria nelle principale metropoli del capitalismo, tentando di legare gli operai di questi paesi al carro dello Stato "democratico". L'utilizzazione del rigetto del "totalitarismo del blocco dell'Est" non ha nell'immediato la funzione di inquadrare la classe per la guerra contro l'altro blocco, ma di SMOBILITARE LE LOTTE OPERAIE, condizione prioritaria per questo inquadramento.
Come nelle campagne pacifiste la paura della guerra è sfruttata per distogliere il proletariato dal proprio terreno di classe, così nel "Reagan show" attuale la divisione tra blocchi o anche tra paesi è utilizzata per sbriciolare la combattività del proletariato e del suo fronte di lotta. Rispetto a questo fronte, non assistiamo ad una divisione tra i settori della borghesia, ma ad una divisione del lavoro al loro interno.
Quali sono le possibilità di riuscita di questa campagna borghese ?
Anche se questa classe non ha ancora le mani libere per apportare la sua soluzione guerriera alla crisi, bisogna pensare che riuscirà comunque a mantenere la sua cappa di piombo ideologica fino ad annientare definitivamente la combattività operaia ?
Come abbiamo detto precedentemente, questo pericolo esiste. Ma è importante mettere in evidenza le carte vincenti di cui dispone oggi il proletariato e che distinguono la situazione presente da quella che esisteva alla vigilia del 1914 o negli anni 30, quando il rapporto di forze globale era in favore della borghesia. In questi due casi il proletariato era già stato direttamente battuto nelle grandi metropoli (in particolare in quelle dell'Europa Occidentale: Germania, Francia, Gran Bretagna), sia sul piano esclusivamente ideologico (alla vigilia del 1914 grazie al peso del riformismo ed al tradimento dei partiti socialisti) sia su entrambi i piani (dopo la terribile disfatta degli anni 20).
Non è questa la situazione attuale; infatti le generazioni operaie dei grandi centri industriali non hanno subito disfatte fisiche, le mistificazioni democratiche ed antifasciste non hanno più lo stesso impatto del passato, il mito della "patria socialista" è moribondo e, infine, i vecchi partiti operai passati al nemico capitalista, i PC e PS, hanno una capacità di inquadramento del proletariato molto inferiore rispetto a quando tradirono.
E' per tutte queste ragioni che le riserve di combattività del proletariato sono ancora praticamente intatte e, come abbiamo visto con la Polonia, enormi. Questa combattività non potrà essere controllata all'infinito dalla borghesia, malgrado tutte le campagne, manovre e mistificazioni dispiegate a livello internazionale.
Ma le mistificazioni grazie a cui la borghesia riesce ancora a impedire alla classe operaia mondiale di intraprendere uno scontro aperto sono destinate ad essere direttamente attaccate dall'aggravamento della crisi:
- il mito degli "Stati socialisti" che, a suo tempo, fu una delle armi migliori di inquadramento della classe operaia, vive oggi le sue ultime ore di fronte al tracollo economico di questi Stati, alla miseria crescente che si abbatte sulla classe operaia che vi vive e alle esplosioni sociali che ne derivano;
- l’idea che esistano "specificità nazionali" o di blocco, che ha permesso l’isolamento del proletariato in Polonia, sarà sempre più sconfitta nella pratica dal livellamento in basso della situazione economica di tutti i paesi come delle condizioni di vita di tutti i lavoratori;
- l'illusione che accettando sacrifici si potrà evitare una situazione molto peggiore (illusione che ha condizionato gli operai americani o tedeschi quando hanno acconsentito a riduzioni di salario in cambio di un'ipotetica garanzia dell'impiego) non potrà resistere all'infinito all'aggravamento inesorabile di questa situazione;
- la fiducia nelle virtù di questa o quella medicina miracolo ("economia dell'offerta", nazionalizzazioni, autogestione, etc.) capace, se non di guarire (questa fase è ormai superata), almeno di impedire l'aggravamento della situazione economica, si scontra sempre più duramente con la realtà dei fatti.
Più in generale, tutti i pilastri ideologici del sistema attuale subiranno l'assalto del crollo economico:
- tutte le grandi frasi dei politicanti sulla "civilizzazione", la "democrazia", i "diritti dell’uomo", la "solidarietà nazionale, la “fraternità umana", la "sicurezza", 1’”avvenire della società" etc. appariranno sempre più per quello che sono: volgari buffonate, ciniche menzogne;
- a masse crescenti di proletari, comprese quelle dei paesi finora più prosperi, il sistema attuale svelerà la sua natura e diventerà sinonimo per loro di barbarie, terrore statale, egoismo, insicurezza e disperazione.
Malgrado e a causa delle terribili prove che l'aggravamento della crisi impone al proletariato, questa gioca a sua vantaggio. E' un punto a suo favore tanto più importante in quanto lo sviluppo della crisi attuale è ben più in grado di aprirgli gli occhi di quella del 1929.
In effetti, dopo la violenta caduta degli inizi degli anni 30, il capitalismo aveva dato per alcuni anni l'illusione di un ristabilimento grazie a massicci interventi statali e soprattutto allo sviluppo di un'economia di guerra. Questo ristabilimento momentaneo che si è compiuto nel 1938 ha consentito tuttavia di completare la smobilitazione del proletariato, già considerevolmente indebolito dalle sconfitte degli anni 20, e gettarlo, mani e piedi legati, nel secondo macello mondiale.
Oggi invece la borghesia ha esaurito tutte le risorse delle politiche neokeynesiane ed ha da decenni già sviluppato pienamente la sua economia di guerra. Nessuna illusione di ristabilimento può essere più offerta alla società: il carattere assolutamente inesorabile della crisi s'impone a tutti con forza, tanto che anche i più ferventi difensori accademici del capitalismo sono costretti a riconoscerlo. Dopo che il premio Nobel neokeynesiano Samuelson ha constatato amaramente nel 1977 "la crisi della scienza economica", il premio Nobel monetarista Friedman confessa nello stesso anno: "Non capisco cosa succede" (Newsweek).
Se la recessione del 1971 era stata seguita da una ripresa euforica durata fino al 1973, quella del 1974-75 ha lasciato il posto ad una ripresa evanescente, quella che comincia nel 1980 continua ancora, smentendo le previsioni su una "nuova ripresa”. Sono state esaurite tutte le medicine somministrate lungo gli anni 70 per ritardare le scadenze, che diventano oggi un aggravamento del male. Di fronte alla sovrapproduzione delle merci, le grandi potenze capitaliste hanno tentato di venderle usando e abusando del credito. Il risultato è notevole: tra il 71 e l'81, il debito totale del Terzo Mondo è passato da 86,6 a 524 miliardi di dollari, con un aumento di 118 miliardi nel 1981. La maggior parte di questi paesi è nella condizione di insolvenza: nel paese del "miracolo", il Brasile, campione del mondo dell'indebitamento, su 100 dollari prestati solo 13 sono investiti produttivamente, gli altri 87 sono destinati a pagare gli interessi e gli ammortamenti dei debiti precedenti. Questo indebitamento del Terzo Mondo non è che una parte dell'indebitamento totale, che supera di molto i 1000 miliardi di dollari e grazie a cui il capitalismo ha cercato di evitare la crisi nel corso degli anni 70. La bancarotta del Terzo Mondo esprime quella di tutta l’economia mondiale.
Inutilmente i paesi dei centri del capitalismo hanno tentato per un decennio di sospingere gli effetti della crisi verso la periferia. Ora anche il proletariato delle metropoli è colpito dalla crisi e sarà costretto, malgrado tutte le manovre della sinistra all’opposizione, a riprendere la lotta, come ha cominciato a fare quello dei paesi periferici (Brasile 78-79, Polonia 80-81). Questo proletariato non potrà essere isolato dalla borghesia con la stessa facilità di quello polacco. Allora ci saranno le condizioni per une reale generalizzazione mondiale delle lotte proletarie, di cui le lotte polacche hanno messo in evidenza la necessità ([2]) . Questa generalizzazione non è una tappa semplicemente quantitativa dello sviluppo della lotte de classe. Sarà invece un passo realmente QUALITATIVO del proletariato in quanto:
- la generalizzazione permetterà di superare le illusioni veicolate tra gli operai dalla sinistra, consentendo di sconfiggere l’unità internazionale della borghesia contro la lotta di classe;
- essa sola creerà le condizioni per il rovesciamento dello Stato capitalista (contrariamente a quanto pensano alcuni, come il GCI, che ponevano già come compito degli operai polacchi di prendere le armi);
- essa sola darà al proletariato coscienza della sua forza, del fatto che le sue lotte molteplici sono preparativi per la rivoluzione comunista, di cui “l’idea ridiventerà familiare per la classe, dopo mezzo secolo di eclisse”.
Proprio perchè la crisi colpisce ora in pieno le grandi metropoli capitaliste, questa generalizzazione diviene possibile. Il camino sarà lungo e difficile, comporterà ancora altre sconfitte, parziali ma dolorose. L’essenziale di questa lotta è davanti a noi; per molto tempo ancora, il proletariato si scontrerà ancora con i sabotaggi della sinistra e in particolare delle sue frazioni “radicali” come il sindacalismo di base”. Solo dopo essersi sbarazzato delle molteplici trappole della sinistra, il proletariato potrà attaccare frontalmente lo Stato capitalista in vista della sua distruzione. SI ANNUNCIA UNA LUNGA E DIFFICILE BATTAGLIA CHE IL PROLETARIATO, CON L’AIUTO DEL CROLLO DELL’ECONOMIA CAPITALISTA, PUO’ SENZ’ALTRO VINCERE.
12/03/82 FM
L'ondata di scioperi in Polonia durante l'estate del 1980 é stata giustamente definita come un classico esempio dello sciopero di massa analizzato da Rosa Luxemburg nel 1906. Una così chiara correlazione tra il recente movimento operaio polacco e gli eventi descritti dalla Luxemburg in "Sciopero di massa, partiti e sindacati" 75 anni fa costringe i rivoluzionari a ribadire la validità della sua analisi e la sua applicabilità all'attuale lotta di classe.
Per contribuire all'approfondimento di questo problema il seguente articolo cerca di dimostrare in che misura la teoria della Luxemburg corrisponda alla realtà delle odierne lotte operaie.
LE CONDIZIONI ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI DELLO SCIOPERO DI MASSA
Per Rosa Luxemburg, lo sciopero di massa era il risultato del particolare stadio di sviluppo cui era arrivato il capitalismo agli inizi del secolo. Lo sciopero di massa "é un fenomeno storico che in un certo momento emerge dalle condizioni sociali con la forza della necessità storica" (Sciopero di massa, partiti e sindacati, in Scritti Politici, Rosa Luxemburg, Editori Riuniti, p. 3O3. Tutte le citazioni successive sono tratte dalla stessa edizione) Lo sciopero di massa non é un fatto accidentale né d'altra parte é il risultato di una propaganda o preparazione precedente - in una parola non può essere creato artificialmente - é invece il prodotto di un preciso stadio di evoluzione del capitalismo. Benché la Luxemburg si riferisca spesso a questo o quello sciopero in particolare, il vero scopo del suo opuscolo é dimostrare che non si può valutare uno sciopero di massa isolato dal suo contesto storico: é solo come prodotto di un nuovo periodo storico che può avere un senso.
Questo nuovo contesto storico era uguale in tutti i paesi. Contro l'idea che lo sciopero di massa fosse una particolarità legata alle condizioni dell'assolutismo russo, la Luxemburg affermò che le condizioni storiche che lo causavano erano presenti non solo in Russia, ma anche in Europa e nel Nord America ed erano: "la grande industria con tutte le sue conseguenze, la moderna divisione in classi, gli aspri scontri sociali" (p. 348). Per lei la rivoluzione russa del 1905, in cui lo sciopero di massa aveva svolto un ruolo così importante, aveva realizzato: "i risultati generali dello sviluppo capitalistico internazionale nel caso particolare dell'assolutismo russo" (p. 350). La rivoluzione russa non era che, "un precursore della nuova serie delle rivoluzioni proletarie dell'occidente" (p. 351). Le condizioni economiche che hanno prodotto lo sciopero di massa, secondo la Luxemburg, non erano circoscritte ad un paese, ma avevano un significato internazionale. Per usare le sue parole, questo tipo di sciopero "non é altro che la forma universale della lotta di classe proletaria, risultante dalla tappa attuale dello sviluppo capitalista e dei suoi rapporti di produzione."
Questo "attuale stadio del capitalismo" era infatti il crepuscolo del capitalismo. L'aumento dei conflitti inter-imperialisti, delle minacce di guerra mondiale, la fine di ogni possibilità di graduali miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori, in breve la minaccia crescente della sopravvivenza stessa del proletariato nel capitalismo, queste erano le nuove condizioni storiche che accompagnavano l'avvento dello sciopero di massa.
La Luxemburg vide con chiarezza che questa nuova forma di lotta era il prodotto di un cambiamento di portata storica delle condizioni economiche, quelle che noi oggi individuiamo come la fine della fase ascendente del capitalismo e la prefigurazione della decadenza del capitalismo.
Nei paesi a capitalismo avanzato esistevano ormai enormi concentrazioni di lavoratori, abituati a lottare tutti insieme, e le cui condizioni di vita e di lavoro erano pressappoco le stesse dappertutto. La borghesia, in quanto prodotto di un certo sviluppo economico, stava diventando una classe sempre più concentrata e sempre più abituata a identificarsi con l'apparato statale. I capitalisti, come i proletari, avevano imparato a stare uniti contro la classe nemica.
Se da una parte le condizioni economiche non permettevano ai lavoratori di poter conseguire alcuna vittoria in campo produttivo, dall'altra la rovinosa situazione della democrazia borghese, cui la Luxemburg accenna nel suo opuscolo, rendevano sempre più difficile al proletariato consolidare le conquiste fatte a livello parlamentare. Quindi anche il contesto politico, come quello economico, dello sciopero di massa non era l’assolutismo russo, ma la crescente decadenza politica della borghesia a livello mondiale. Il capitalismo aveva ormai posto le basi per un violento scontro di classe a livello mondiale in ogni campo: economico, sociale e politico.
L’OBIETTIVO DELLO SCIOPERO DI MASSA
L'obiettivo cui tendeva lo sciopero di massa non era diverso da quello delle precedenti lotte proletarie. L'obiettivo era lo stesso, ma era espresso in maniera più appropriata alle nuove condizioni storiche. Ciò a cui tendeva e tenderà sempre, fino alla fine del capitalismo, la lotta della classe operaia, è: limitare lo sfruttamento capitalistico all'interno della società borghese e abolire questo sfruttamento abolendo la stessa società borghese. Nella fase ascendente del capitalismo la lotta operaia era, per motivi storici, separata in due aspetti, uno di difesa immediata ed uno di offensiva rivoluzionaria, che pur essendo implicito nel precedente, era rimandato ad un futuro più lontano.
La novità dello sciopero di massa è che, essendo prodotto dalle condizioni oggettive di cui abbiamo detto prima (e cioè l'impossibilità per la classe operaia di difendere le proprie condizioni di vita all'interno del sistema borghese in decadenza) rimette insieme i due aspetti, prima separati, della lotta operaia. Pertanto, come afferma la Luxemburg, una qualunque piccola lotta, apparentemente difensiva, può portare all'esplosione di un conflitto generalizzato "a contatto con il vento del periodo rivoluzionario".
Ad esempio, "il conflitto esploso sulla questione dei due operai della fabbrica Putilov puniti si era, nel giro di una settimana, tramutato nel prologo della più potente rivoluzione dei tempi moderni”.
Viceversa, un'ondata rivoluzionaria può in un momento di stasi disperdersi in tante lotte isolate, potenzialmente idonee ad originare a loro volta in seguito un nuovo assalto generalizzato al sistema.
Ma nell'epoca dello sciopero di massa non solo c’è stata una fusione tra le lotte offensive generalizzate e quelle difensive" e localizzate, ma anche una stretta interazione tra l'aspetto politico e quello economico della lotta proletaria. All'epoca del parlamentarismo (1'apogeo della fase ascendente del capitalismo) l'aspetto politico e quello economico delle lotte erano artificialmente separati, sempre per ben definite ragioni storiche.
La lotta politica non era "condotta dalla massa stessa in un'azione diretta, ma secondo la forma dello Stato borghese, per via rappresentativa, mediante la pressione sulle rappresentanze legislative". Ma "non appena la massa appare sul campo di battaglia" tutto questo cambia perchè "in un'azione rivoluzionaria di massa, lotta politica e lotta economica sono tutt’uno" (p. 356).
In queste condizioni le lotte politiche del proletariato sono intimamente connesse a quelle economiche, soprattutto perchè la lotta politica condotta tramite i delegati al parlamento non corrisponde più alla realtà delle cose.
Nel fare l'analisi dello sciopero di massa, la Luxemburg mette soprattutto in guardia contro il pericolo di considerare i diversi aspetti separati 1'uno dall'altro, perchè la caratteristica di questo tipo di scioperi è la mescolanza dei differenti piani di lotta proletaria: offensivo/difensivo, generalizzato/localizzato, politico/economico, in un solo movimento che tende allo sbocco rivoluzionario.
La reale natura delle condizioni storiche a cui il proletariato reagisce con lo sciopero di massa crea un'interconnessione inscindibile tra i diversi piani delle lotte proletarie. Una loro artificiosa separazione, compiuta con l'obiettivo di individuare per esempio "lo sciopero di massa politico puro" sarebbe un sezionamento che “come ogni altro non porta a conoscere il fenomeno nella sua essenza vivente, ma semplicemente lo uccide” (p. 331).
LE FORME DI LOTTA ALL'EPOCA DELLO SCIOPERO DI MASSA
L'obiettivo della forma di organizzazione sindacale - ottenere miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori all'interno del sistema - diventa sempre meno attuabile nelle condizioni storiche che hanno prodotto lo sciopero di massa. Nella sua ultima polemica con Karl Kautsky la Luxemburg afferma giustamente che in quest'epoca il proletariato non lotta più con la certezza di ottenere miglioramenti reali, e dimostra statisticamente come almeno un quarto degli scioperi dell'epoca non abbiano portato ad alcun successo. Gli operai entrano in sciopero perchè le loro condizioni di vita sono tali da non lasciargli altra scelta ed è questo che rafforza le possibilità di una lotta offensiva generalizzata.
Di conseguenza il successo di una lotta non si misura più in base ai miglioramenti economici ottenuti, ma in base allo sviluppo di coscienza proletaria che la lotta ha prodotto, anche se la lotta è stata sconfitta sul piano dei miglioramenti economici. E' per questo che la Luxemburg dice che la fase dell'insurrezione aperta "non può altrimenti riuscire che attraverso la scuola di una serie di insurrezioni parziali, che appunto perciò devono concludersi provvisoriamente con parziali apparenti sconfitte" (pp. 325-326)
In altre parole non importa quale sia il risultato di questo o quell'episodio di lotta, la vera vittoria o la vera sconfitta dello sciopero di massa è determinata dal suo atto culminante, l'insurrezione proletaria. Non a caso i miglioramenti politici ed economici ottenuti dagli operai russi con le lotte del 1905 e quelle precedenti furono annullati in seguito alla sconfitta della rivoluzione, dimostrando come il ruolo delle organizzazioni sindacali, cioè lottare per ottenere miglioramenti economici all'interno del sistema capitalistico, non avesse più senso.
Ma vi sono altri motivi per cui i sindacati sono ormai superati come forma di organizzazione del proletariato.
Lo sciopero di massa non può essere preparato in anticipo, esso è nato senza che vi sia stata nessuna pianificazione a tavolino di un "nuovo metodo di lotta delle masse proletarie". I sindacati, legati alla forma organizzativa permanente, preoccupati dei loro conti in banca e delle loro liste di adesione, non possono essere in alcun modo all'altezza delle forme organizzative dello sciopero di massa, la cui evoluzione è strettamente legata alla lotta stessa.
I sindacati tendono a limitare il campo di interesse degli operai all'interno delle diverse branche industriali cui essi appartengono, lo sciopero di massa nasce invece "dalla fusione di diversi punti particolari, di differenti cause" e tende quindi ad eliminare ogni tipo di divisione all'interno del proletariato.
I sindacati organizzano soltanto una minoranza della classe operaia, mentre allo sciopero di massa partecipano tutti gli strati della classe, sindacalisti e non.
Man mano che la lotta proletaria, nelle sue nuove caratteristiche, tendeva ad esprimersi al di fuori dei sindacati, questi tendevano sempre più a passare dalla parte del capitalismo contro lo sciopero di massa. L'apparizione dei sindacati allo sciopero di massa si esprimeva, secondo la Luxemburg, in due modi. Uno di questi era la netta ostilità di burocrati come Bomelberg, esemplificata dal rifiuto del congresso sindacale di Colonia perfino di discutere dello sciopero di massa, perchè si rischiava, secondo i burocrati di "giocare con il fuoco".
L'altra forma presa da questa opposizione era l'apparente appoggio dei sindacalisti radicali e di quelli francesi ed italiani. Questi erano favorevolissimi a "tentare" la strada dello sciopero di massa, come se questa forma di lotta potesse essere attaccata al carro dell'apparato sindacale. Oppositori e "sostenitori" erano convinti che lo sciopero di massa non fosse un fenomeno che sorgeva dal profondo dell'attività della classe operaia, ma soltanto uno strumento tecnico di lotta da poter usare o vietare a seconda della preferenza dei sindacati. I rappresentanti sindacali, a tutti i livelli, non potevano evidentemente capire un movimento il cui sviluppo non solo non poteva essere da loro controllato, ma tendeva alla creazione di nuove forme organizzative contrapposte ai sindacati.
La risposta dell'ala radicale e della base dei sindacati o degli stessi sindacalisti allo sciopero di massa fu indubbiamente un tentativo di adattarsi alle necessità della lotta di classe. Ma era la forma e la funzione del sindacalismo stesso (al di là della buona volontà dei suoi militanti) ad essere superato dallo sciopero di massa. Il sindacalismo radicale esprimeva una risposta proletaria all'interno dei sindacati. Ma dopo il definitivo tradimento della classe operaia da parte dei sindacati durante la prima guerra mondiale e la successiva ondata rivoluzionaria, il sindacalismo radicale fu anch’esso recuperato e divenne un potente mezzo di castrazione delle lotte operaie.
La concezione della Luxemburg sulla questione sindacale, quale è espressa nel suo opuscolo sullo sciopero di massa, non è così chiara.
Per lei i sindacati potevano risollevarsi dal loro fallimento ed il suo era un punto di vista comprensibile dato che a quel tempo i sindacati non erano ancora diventati dei semplici agenti del capitale quali sono oggi. Nel capitolo finale del suo opuscolo la Luxemburg suggerisce la subordinazione dei sindacati alla direzione del Partito Socialdemocratico quale freno alle loro tendenze reazionarie. Ma queste tendenze dovevano rivelarsi irrimediabili.
In più la Luxemburg vede il Soviet di Pietrogrado del 1905 come un'organizzazione complementare ai sindacati. La storia avrebbe provato che queste due forme organizzative erano antagoniste. I consigli operai sarebbero stati l'espressione dell'epoca degli scioperi di massa e delle rivoluzioni, laddove i sindacati erano gli organi delle lotte operaie difensive e localizzate.
Non è un caso che il primo consiglio operaio sia sorto alla vigilia del periodo di scioperi di massa in Russia. Creati da e per la lotta con delegati eletti e revocabili, questi organi potevano non solo raggruppare tutti i lavoratori in lotta, ma anche centralizzare tutti gli aspetti della lotta - economico e politico, offensivo e difensivo - nell'ondata rivoluzionaria. Fu il consiglio operaio - anticipando la struttura e i fini dei futuri comitati di sciopero ed assemblee generali - ad essere il più naturalmente adatto alla direzione e agli scopi del movimento di sciopero di massa in Russia.
Anche se è stato impossibile per la Luxemburg capire tutte le implicazioni della nuova fase che si andava aprendo agli inizi del secolo, i rivoluzionari di oggi devono a lei la loro comprensione delle conseguenze dello sciopero di massa sul piano organizzativo. La più importante è che lo sciopero di massa e i sindacati sono, essenzialmente, in contrapposizione, conseguenza questa implicita, anche se non espressa esplicitamente nell'opuscolo della Luxemburg.
Dobbiamo ora cercare di capire quanto la sua analisi è applicabile alla lotta di classe attuale; vedere in che misura la lotta proletaria durante la decadenza del capitalismo conferma o contraddice le linee generali dello sciopero di massa così come da lei analizzato.
CONDIZIONI OGGETTIVE DELLA LOTTA DI CLASSE DURANTE LA DECADENZA
Gli scioperi di massa dei primi anni di questo secolo erano una reazione alla fine della fase ascendente del capitalismo e all'inizio di quelle condizioni che caratterizzano la fase di decadenza.
Considerando che oggi queste condizioni sono diventate completamente evidenti e croniche, si può concludere che le spinte oggettive verso lo sciopero di massa sono oggi mille volte più grandi e più forti di ottanta anni fa.
I "risultati generali dello sviluppo capitalistico internazionale” che per la Luxemburg erano alla base dell'insorgenza del fenomeno storico dello sciopero di massa, si sono sviluppati sempre più dall'inizio del secolo ed oggi sono più evidenti che mai.
In effetti, gli scioperi di massa descritti dalla Luxemburg non erano scoppiati esattamente nel periodo di decadenza capitalista qual è generalmente definito dai rivoluzionari. Ma noi sappiamo che se è vero che il 1914 è una data cruciale per l'inizio della fase senile del capitalismo, è anche vero che lo scoppio della I guerra mondiale è stata la conferma delle contraddizioni economiche dei dieci anni precedenti.
Il 1914 ha dato la prova conclusiva che le condizioni economiche, sociali e politiche della decadenza capitalista erano ormai pienamente presenti.
In questo senso le nuove condizioni storiche che in primo luogo hanno dato origine allo sciopero di massa sono ancora oggi presenti. Per affermare il contrario bisognerebbe dimostrare che le condizioni attuali dell'infrastruttura capitalistica sono complessivamente diverse da quelle di meno di ottant'anni fa. Ma questo sarebbe ben difficile perchè le condizioni mondiali tipiche del 1905 - e cioè grandi contrasti interimperialistici e conflitti di classe generalizzati - sono più che mai caratteristici del periodo attuale. Il primo decennio del secolo ventesimo non era certamente l'apogeo del capitalismo ascendente! Il capitalismo aveva già superato il suo culmine e scivolava verso la situazione ciclica di guerra mondiale-ricostruzione-crisi:
"l'odierna rivoluzione russa sta ad un punto del cammino storico che ha già oltrepassato la cima, il culmine della società capitalistica” (p. 350)
Che incredibile perspicacia sulle fase di ascendenza e declino del capitalismo da parte di questa rivoluzionaria nel 1906!
LO SCIOPERO DI MASSA E IL PERIODO DI RIVOLUZIONE
Lo sciopero di massa è quindi il risultato delle condizioni di declino del capitalismo. Ma per la Luxemburg le cause materiali che erano in definitiva responsabili delle sciopero di massa, non erano completamente sufficienti a spiegare perchè questo tipo di lotta veniva fuori in quel momento. Per lei lo sciopero di massa è il prodotto del periodo rivoluzionario. Il periodo di chiaro declino del capitalismo deve coincidere con un movimento di classe ascendente e non sconfitto, perchè il proletariato possa essere in grado di usare la crisi come una leva per portare avanti i suoi interessi di classe mediante lo sciopero di massa. Viceversa, se il proletariato ha subito una sconfitta decisiva, le condizioni di decadenza tendono a rafforzare la passività piuttosto che dare origine ad esplosioni generalizzate. Questo permette di spiegare perchè lo sciopero di massa è scomparso dopo la prima metà degli anni venti ed è riapparso solo recentemente dal 1968 in poi.
Il periodo attuale è quindi un periodo rivoluzionario come quello degli anni 1896-1905 in Russia? La risposta è si.
Il 1968 ha segnato la fine della controrivoluzione ed aperto un'epoca di conflitti rivoluzionari, non solo in un paese, ma nel mondo intero. Si potrebbe obiettare che, nonostante il 1968 abbia segnato la fine del periodo di sconfitta proletaria, non siamo ancora in un periodo rivoluzionario. Questo è abbastanza vero se per “periodo rivoluzionario" si intende solo il periodo di dualismo di potere e di insurrezione armata. Ma la Luxemburg parla di "periodo rivoluzionario" in un senso molto più ampio. Per lei la Rivoluzione Russa non inizia con la data ufficiale del 22 gennaio 1905, ma nel 1896, ben nove anni prima, nell'anno dei potentissimi scioperi di San Pietroburgo.
Il periodo di insurrezione aperta nel 1905 è il culmine di un lungo periodo di rivoluzione della classe operaia russa.
Infatti questo è il solo modo coerente di interpretare il concetto di periodo rivoluzionario. Se una rivoluzione è la presa del potere da parte di una classe a spese della vecchia classe dirigente, il rovesciamento sotterraneo dei vecchi rapporti di forza tra le classi a favore della classe rivoluzionaria è quindi una parte vitale del periodo rivoluzionario così come lo è il momento di lotta aperta, di scontri militari etc. Questo non significa che i due aspetti del periodo rivoluzionario sono esattamente equivalenti che cioè 1896=1905 - ma che non possono essere arbitrariamente separati, che la fase di insurrezione aperta non può essere isolata ed opposta alla sua fase preparatoria.
La famosa affermazione della Luxemburg che lo sciopero di massa è la ricomposizione di un movimento che può "durare per decenni" sarebbe incomprensibile secondo il punto di vista che solo il periodo di insurrezione stesso può dare origine a scioperi di massa.
Naturalmente al momento del rovesciamento della vecchia classe dominante gli scioperi di massa raggiungeranno il loro massimo sviluppo ma ciò non è per niente in contraddizione con il fatto che il periodo di scioperi di massa inizia quando la prospettiva rivoluzionaria va appena aprendosi. Per noi questo significa che l'epoca degli attuali scioperi di massa è iniziata nel 1968.
LA DINAMICA DELLA LOTTA ATTUALE
Quello che caratterizza la lotta proletaria degli ultimi 12 anni (quello cioè che la distingue da quella dei 40 anni precedenti) è l'interazione tra lotta difensiva e lotta offensiva, il continuo oscillare dei conflitti dal livello economico a quello politico.
Non si tratta necessariamente di un progetto cosciente formulato dalla classe operaia, ma piuttosto di un risultato del fatto che oggi diventa sempre meno possibile mantenere un livello di vita sufficiente. E' proprio per questo che tutti gli scioperi tendono a diventare lotte per la sopravvivenza:
“scioperi che diventano sempre più frequenti, che per lo più terminano senza alcun successo definitivo, ma che, malgrado ciò, o proprio a causa di ciò, hanno un maggior significato in quanto esplosioni di contraddizioni intense, profonde, che vanno a sconfinare sul terreno politico." (Teoria e Pratica, Testo di "News and Letters")
Sono le attuali condizioni economiche di crisi aperta che, come nel 1900, portano avanti la dinamica dello sciopero di massa, ed iniziano a concentrare i diversi aspetti della lotta proletaria.
Ma forse dichiarando che quello attuale è un periodo di scioperi di massa noi stiamo commettendo qualche errore. Le lotte degli ultimi dodici anni non sono state iniziate, continuate e terminate dai sindacati? Questo non significa che quelle attuali sono lotte sindacali, motivate da interessi strettamente difensivi ed economici, che non hanno niente a che vedere col fenomeno dello sciopero di massa? A parte il fatto che le lotte più significative degli ultimi dodici anni hanno abbattuto i limiti imposti dal sindacato, una simile conclusione non terrebbe conto di una delle caratteristiche fondamentali della lotta di classe nella decadenza del capitalismo. Oggi in ogni lotta controllata dai sindacati vi è un conflitto ora aperto, ora nascosto tra i lavoratori ed i loro sedicenti rappresentanti: i burocrati sindacali della borghesia. Gli operai nel capitalismo decadente hanno dunque una doppia sfortuna: hanno come nemici non solo i loro avversari dichiarati come i datori di lavoro ed i partiti di destra, ma anche i loro pretesi amici del sindacato, con tutti i loro sostenitori.
La crisi e la fiducia in se stessi, come classe non ancora sconfitta spingono oggi gli operai a porsi il problema dei limiti imposti alla loro lotta dal muoversi su un piano di pura difesa economica e settoriale. I sindacati, tuttavia, hanno il compito di mantenere l'ordine nella produzione e di porre fine agli scioperi. Queste organizzazioni capitalistiche tentano continuamente di deviare i lavoratori nel vicolo cieco del sindacalismo. La lotta tra il sindacato e i lavoratori, aperta o sotterranea, non è fondamentalmente frutto della volontà degli operai o dei sindacati, ma è il risultato di cause economiche ed oggettive che li costringono in ultima analisi ad agire 1'uno contro l'altro.
La forza motrice della attuale lotta di classe non deve essere quindi ricercata nelle illusioni che ad un certo punto gli operai si erano fatti sui sindacati, ed ancora meno nelle azioni più radicali occasionalmente portate avanti dai sindacati per non perdere il contatto con le lotte, ma nella dinamica degli interessi antagonistici degli operai e dei sindacati.
Questo meccanismo interno del periodo che precede gli scontri rivoluzionari, insieme con la crescente forza e chiarezza dell'intervento dei comunisti, finirà con il rivelare agli operai la natura delle lotte in cui sono già impegnati, mentre le difficoltà dei sindacati nell'imbrogliare gli operai e contemporaneamente difendere in modo sempre più sfacciato l'economia capitalista, porterà i proletari a distruggere nella pratica questi organismi della borghesia.
Sarebbe dunque disastroso per chi si pretende rivoluzionario giudicare la dinamica della lotta operaia attraverso la sua apparenza sindacalista, come fanno tutte le varianti della sociologia borghese. La precondizione per mettere in luce e chiarificare le possibilità rivoluzionarie della lotta operaia è evidentemente il riconoscimento che queste possibilità esistono realmente. Non è un caso che l'estate polacca 1980, il momento più alto nel periodo attuale degli scioperi di massa dal 1968, ha rivelato chiaramente la contraddizione tra la vera forza della lotta operaia ed il sindacalismo.
L'ondata di scioperi in Polonia ha coinvolto letteralmente la massa della classe operaia di quel paese, toccando tutte le industrie e le attività. Da punti dispersi e per motivi differenti in partenza, il movimento si è fuso, attraverso scioperi ed azioni concrete di solidarietà, in uno sciopero generale contro lo Stato capitalista. Gli operai hanno cominciato a tentare di difendersi da soli contro il razionamento e l'aumento dei prezzi. Di fronte ad uno Stato brutale, intransigente, ed un'economia nazionale in fallimento, il movimento è passato all'offensiva ed ha sviluppato obiettivi politici. Gli operai hanno rifiutato i sindacati e creato le proprie organizzazioni: assemblee generali e comitati di sciopero per centralizzare la loro lotta, impegnandovi l'energia enorme della massa proletaria. E' un esempio incomparabile dello sciopero di massa.
Il fatto che la rivendicazione dei sindacati liberi sia divenuta predominante negli obiettivi dello sciopero ed il fatto che gli MKS (comitati di sciopero interfabbrica) si siano disciolti per lasciare il posto al nuovo sindacato Solidarnosc non possono nascondere la vera dinamica di milioni di operai polacchi che hanno fatto tremare la classe dominante.
Sul piano storico, il punto di partenza per l'attività rivoluzionaria in questa fase è la comprensione che lo sciopero di massa in Polonia è annunciatore di futuri scontri rivoluzionari, pur riconoscendo le illusioni immense che gli operai hanno ancora oggi nei confronti del sindacalismo. Gli avvenimenti di Polonia hanno arrecato un colpo decisivo alla teoria che la lotta di classe nella nostra epoca è sindacalista, malgrado le impressioni che derivano dalle apparenze superficiali.
Ma, oltre la teoria secondo cui la lotta di classe è per sua natura tradeunionista, anche nei suoi momenti più alti, ne esiste un'altra, che afferma che questi momenti più alti, espressi negli scioperi di massa, sono un fenomeno eccezionale, completamente distinto nelle sue caratteristiche dagli episodi meno drammatici dello scontro di classe. Secondo questa ipotesi, prevalentemente la lotta operaia è difensiva ed economicista e rimane quindi organicamente sotto il controllo sindacale, ed è solo in occasione isolate, come in Polonia, che gli operai passano all'offensiva, avanzando rivendicazioni politiche, esprimendo un obiettivo che sarebbe diverso. A parte la sua incoerenza di fondo - secondo cui la lotta proletaria può essere sindacalista (cioè capitalista) o proletaria in differenti momenti - questa visione cade nella trappola della separazione tra i differenti aspetti dello sciopero di massa - offensivo/difensivo, economico/politico - e così, come diceva la Luxemburg, mina l'essenza vivente dello sciopero di massa e lo priva del suo contenuto d'insieme. Nel periodo di sciopero di massa, ogni lotta difensiva, anche se modesta, contiene il germe o la possibilità di un movimento offensivo, e ogni lotta offensiva è fondata sulla necessità costante per la classe di difendersi. Il rapporto tra lotta economica e politica è evidente.
Ma la visione che separa questi aspetti interpreta lo sciopero di massa in maniera isolata - come uno sciopero con masse che sbucano fuori all'improvviso - considerandolo il risultato soprattutto di circostanze congiunturali, come la debolezza dei sindacati in un determinato paese, o il miglioramento di questa o quella economia. Questa visione non vede lo sciopero di massa che come un'offensiva, un affare politico, sottovalutando il fatto che questo aspetto dello sciopero di massa è alimentato dalle lotte difensive, localizzate ed economiche. Soprattutto bisogna dire che questo punto di vista non tiene conto del fatto che viviamo in un periodo di sciopero di massa oggi, provocato non da condizioni locali o temporanee, ma dalla situazione generale della decadenza capitalista che si ritrova in ogni paese.
Tuttavia, il fatto che alcuni degli esempi più significativi di sciopero di massa si siano verificati nei paesi dell'Est e in quelli arretrati sembra dare credito all'idea della natura eccezionale di questo tipo di lotte, allo stesso modo in cui l'apparizione dello sciopero di massa in Russia ai primi del 1900 sembrava confermare la convinzione che non si sarebbe mai visto nulla di simile in Occidente.
La risposta che Rosa Luxemburg ha dato all'idea dell'esclusività russa dello sciopero di massa è particolarmente valida ancora oggi. La Luxemburg ammetteva che l'esistenza del parlamentarismo e del sindacalismo all'Ovest potevano temporaneamente arginare la spinta verso lo sciopero di massa, ma non eliminarla, perchè questa è nata sulle basi stesse dello sviluppo capitalistico internazionale. Se lo sciopero di massa in Germania e altrove ha preso un carattere "nascosto e latente" e non una qualità pratica, attiva come in Russia, questo non può nascondere il fatto che lo sciopero di massa era un fenomeno storico e internazionale.
Questo argomento risponde ancora oggi alle tesi di chi sostiene che lo sciopero di massa non può esplodere all'Ovest. E' vero che la Russia 1905 ha rappresentato un passo qualitativo enorme nello sviluppo della lotta di classe proprio come la Polonia 1980. Ma è anche vero che questi punti forti, come la Polonia, sono internamente legati alle manifestazioni "nascoste e latenti" dello sciopero di massa all'Ovest, perchè questo emerge dalle stesse cause e si scontra con gli stessi problemi. Così, anche se il parlamentarismo e i sindacati sofisticati dell'Ovest possono soffocarle, queste tendenze, che in Polonia esplodono in enormi scioperi di massa, non sono affatto scomparse. Al contrario, gli scioperi di massa aperti che finora sono stati contenuti ad Ovest avranno accumulate tanta più forza quando gli ostacoli saranno rimossi.
In fin dei conti, è il livello delle contraddizioni del capitalismo che determinerà la ampiezza delle esplosioni future:
“... più l'antagonismo tra capitale e lavoro è sviluppato, più efficaci e decisivi dovranno essere gli scioperi di massa."
Più che attraverso una rottura brutale e completa con le lotte economiche, difensive, arginate dai sindacati, i salti qualitative della coscienza, dell'autorganizzazione dello sciopero di massa si verificheranno in una spirale accelerata di lotte operaie. Le fasi nascoste e latenti delle lotte, che seguiranno spesso gli scontri aperti, come è già avvenuto in Polonia, continueranno a rendere fertile il terreno per le lotte future.
Il movimento oscillatorio di avanzate e ritirate, di offensiva e difensiva, di dispersione e generalizzazione, diverrà più intenso in relazione con l'impatto crescente dell'austerità e della minaccia di guerra.
Alla fine, " ... nella tempesta del periodo rivoluzionario, il terreno perso viene recuperato, le ineguaglianze si annullano e il ritmo del progresso sociale cambia, di colpo raddoppia la sua velocità."
Tuttavia, se abbiamo finora parlato della possibilità oggettiva dell'evoluzione dello sciopero di massa, non si deve dimenticare che gli operai dovranno diventare sempre più coscienti della lotta che hanno avviato per condurla alla conclusione vittoriosa. Questa coscienza deve diventare sempre maggiore, in particolare nei confronti dei sindacati, che nel corso di questo secolo sono diventati più capaci nel contenere lo sciopero di massa. Non è questo il luogo per prendere in considerazione tutti i mezzi di adattamento che possono impiegare i sindacati. Ricorderemo solo come questi ultimi si pongono come surrogati di reali esigenze: simulano la generalizzazione delle lotte, pongono in atto tattiche radicali prive di ogni efficacia, rivendicazioni politiche che spingono a sostenere un pagliaccio al posto di un altro nel circo parlamentare.
Lo sviluppo vittorioso dello sciopero di massa dipenderà in ultima istanza dalla capacità della classe operaia di battere la "quinta colonna" costituita dai sindacati oltre ai suoi nemici "aperti", come polizia, padroni, politicanti di destra, etc. Ma lo scopo del testo non è quello di definire gli ostacoli che incontra la maturazione della coscienza nella strada che porta al punto culminante, vittorioso, dello sciopero di massa.
In questa sede verranno delineate invece le possibilità oggettive dello sciopero di massa nella nostra epoca, dal punto di vista della necessità e dell'organizzazione economica.
LE FORME DELLA LOTTA DI CLASSE OGGI
Il periodo delle sciopero di massa tende, a lungo termine, a frantumare i sindacati. La forma sindacalista, attraverso cui si presenta la lotta di classe moderna non è che questo: apparenza.
Qual è allora la forma adeguata, la più appropriata allo sciopero di massa nella nostra epoca?
L'assemblea generale degli operai in lotta e i suoi comitati eletti e revocabili.
Tuttavia questa forma, che è animata dallo stesso spirito dei soviet, è l'eccezione in materia di organizzazione nella maggioranza delle lotte operaie di oggi. Solo al livello più alto della lotta sorgono assemblee e comitati di sciopero fuori del controllo sindacale. E anche in queste situazioni, come in Polonia '80, le organizzazioni degli operai soccombono alla fine al sindacalismo.
Ma non possiamo spiegare queste difficoltà delle lotte attuali affermando che certe volte sono sindacaliste ed altre, invece, quando arrivano all'autorganizzazione, proletarie. La sola interpretazione coerente dei fatti rimane questa: è estremamente difficile per una vera autorganizzazione emergere ed imporsi.
La borghesia ha i seguenti vantaggi in questo campo: tutti i suoi organi di potere, economici, militari, politici ed ideologici sono già insediati permanentemente, sperimentati e provati da decenni. In particolare i sindacati hanno il vantaggio di poter sviare la coscienza operaia utilizzando la memoria storica della loro natura un tempo operaia. I sindacati hanno pure una struttura organizzativa permanente all'interno della classe operaia. Il proletariato solo di recente è venuto fuori dalla più profonda disfatta della sua storia, senza alcuna organizzazione permanente che lo proteggesse. Si può capire quanto gli sia difficile trovare la forma più appropriata alla sua lotta. Appena il malcontento si manifesta, i sindacati sono pronti a "farsene carico", con la complicità di tutti i rappresentanti dell'ordine capitalista.
Inoltre gli operai non entrano in lotta oggi per realizzare ideali, per combattere deliberatamente i sindacati, ma per scopi molto pratici e immediati - cercare di difendere il loro livello di vita. Perciò, nella maggior parte dei casi attuali, gli operai accettano la "direzione" autoproclamata dai sindacati. Non è perciò strano che solo quando i sindacati non esistono o sono apertamente contro gli operai emerga la forma dell'assemblea generale.
Solo dopo confronti ripetuti con i sindacati, nel contesto di una crisi economica mondiale e con lo sviluppo in forza dello sciopero di massa, la forma dell'assemblea generale diventerà veramente la caratteristica generale piuttosto che l’eccezione che attualmente rappresenta ancora. In Europa occidentale, questo significherà apertura di scontri diretti con lo Stato.
Malgrado ciò, gli operai s'imbatteranno in altri problemi, anche se il controllo cosciente della loro lotta avrà già dato un enorme impulso sulla via della rivoluzione. La presenza permanente di sindacati a livello nazionale continuerà ad essere un'enorme minaccia per la classe.
Poiché lo sciopero di massa non è un semplice avvenimento ma il susseguirsi di un movimento che si estende su un arco di anni, la sua forza, come risultato, non emergerà immediatamente, perfettamente, in modo pienamente maturo. Le forme che prenderà saranno adeguate al ritmo accelerato del periodo dello sciopero di massa, scandito da salti qualitativi nell'autorganizzazione, come da ritirate parziali e recuperi, sotto il fuoco costante dei sindacati, ma con l'aiuto portato dall'intervento chiaro dei rivoluzionari. Più di ogni altra, la legge storica del movimento della lotta di classe non risiede oggi nella sua forma ma nelle condizioni oggettive che la spingono avanti.
La dinamica dello sciopero di massa "non risiede nello sciopero di massa stesso né nei suoi dettagli tecnici, ma nelle dimensioni sociali e politiche delle forze della rivoluzione".
Questo significa che la forma della lotta di classe non ha importanza oggi, che è secondario che gli operai restino o no all'interno dell'inquadramento sindacale? Tutt'altro. Se la forza motrice dietro queste azioni resta l'interesse economico, questi interessi non possono realizzarsi che con il livello necessario di coscienza e organizzazione. E l'interesse economico della classe operaia - abolire lo sfruttamento - richiede un grado di autorganizzazione e di coscienza mai realizzato da alcuna altra classe nella storia. Di conseguenza, armonizzare la propria coscienza soggettiva con i propri interessi economici è il compito centrale del proletariato.
Se il proletariato si rivela incapace di liberarsi nei momenti decisivi dalla morsa organizzativa e politica dei sindacati, allora la classe non realizzerà mai il risultato ultimo dello sciopero di massa - la rivoluzione - ma sarà schiacciata dalla controffensiva della borghesia.
FS
Il testo che pubblichiamo qui di seguito è uno degli ultimi del "Gruppo di lavoratori marxisti" messicano, un raggruppamento che, nonostante la sua effimera esistenza, fa parte di quel movimento di risposta alla degenerazione dell'Internazionale Comunista che è noto con il nome di Sinistra Comunista. Lo pubblichiamo per portare una ulteriore testimonianza di quel prezioso lavoro di bilancio e di critica degli errori del passato che vari gruppi in tutto il mondo hanno fatto tra le due guerre, e che è in generale sconosciuto ai compagni, soprattutto in Italia.
Non può non colpire l'attualità del tema, le lotte di liberazione nazionale, che continuamente viene agitato dalla borghesia come mistificazione contro il proletariato: la campagna messa recentemente in atto dalle forze di "sinistra" sul Salvador ne è 1'ultima testimonianza.
La violenta
ostilità di tutte le forze della borghesia, la campagna di denuncia pubblica di
stile stalinista fatta dalla sezione messicana della IV Internazionale contro i
militanti e il gruppo in quanto provocatori, agenti di Hitler e di Stalin, la
repressione del governo di sinistra (vedi il loro "Appello"
pubblicato sul n°10 della nostra Revue Internationale), e soprattutto la
burrasca della guerra che si avvicinava velocemente ebbero ragione delle deboli
forze della sinistra messicana, impossibilitate a resistere a lungo contro una
tale coalizione.
Il "Gruppo dei lavoratori marxisti" sparì nella tormenta del 1939. Ma nel piccolo lasso di tempo ( 2 anni ) della sua esistenza, il gruppo comunista di sinistra del Messico seppe portare un efficace contributo nella difesa delle principale posizioni comuniste. Questo contributo, offerto negli anni più bui del movimento rivoluzionario internazionale, non deve restare sconosciuto alle nuove generazioni.
Il testo è uno studio analitico delle tesi del 2° Congresso dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale.
E' assolutamente inevitabile per ogni gruppo comunista che esca dal lungo corso della degenerazione e del tradimento finale della III Internazionale non solo denunciare la controrivoluzione staliniana ma anche sottomettere ad una critica minuziosa i lavori dell'Internazionale Comunista fin da i suoi primi anni, i gloriosi anni di Lenin. Proprio come le frazioni italiana e belga della sinistra comunista internazionale, la sinistra messicana non poteva contentarsi semplicemente di fare la apologia di tutto ciò che veniva da Lenin, come facevano i trotskisti o come sono tornati a fare ancora oggi tanti gruppi di sinistra comunista. Lo stalinismo non è caduto dal cielo. E se è assurdo gettare il bambino con l'acqua sporca, condannare cioè l'Internazionale Comunista perchè nel suo seno si è potuto sviluppare e trionfare lo stalinismo, è altrettanto assurdo pretendere che l'acqua sia sempre stata assolutamente pura e perfettamente limpida, presentare la storia dell'Internazionale divisa in due periodi ben separati, il primo dei quali, puro, rivoluzionario, viene bruscamente interrotto dall’esplodere della controrivoluzione. Queste fantasticherie di un paradiso felice e di un orribile inferno senza legami fra di loro non hanno niente a che vedere con un movimento reale, quale è la storia del movimento comunista in cui la continuità passa attraverso profonde rotture e in cui le rotture future hanno i loro germi nel processo stesso della continuità.
Nella prima parte di questo testo la sinistra messicana cerca di dimostrare come i trotskisti e altri "antimperialisti" snaturino senza vergogna le posizioni di principio enunciate nelle tesi del II Congresso dell'I.C. Essa rivendica i suoi principi internazionalisti come un'acquisizione del movimento comunista e denuncia ogni alterazione come una regressione verso posizioni nazionalistiche borghesi. Nel seguito la sinistra messicana si proponeva di fare la critica delle insufficienze, delle ambiguità che queste tesi contenevano, in particolare il terzo paragrafo della seconda tesi. Mentre i primi due paragrafi mettono chiaramente l'accento sulla separazione necessaria tra gli interessi di classe degli sfruttati e l'ingannevole concetto borghese di un sedicente interesse nazionale comune a tutte le classi, il terzo paragrafo resta nel vago, nella semplice descrizione dello sfruttamento intensivo della maggioranza dei paesi sottosviluppati da parte di una minoranza di paesi a capitale altamente sviluppato senza tirare altra conclusione che "questa è la situazione propria dell'epoca del capitale finanziario imperialista".
Da questa constatazione la maggioranza dell'Internazionale intorno a Lenin e al partito bolscevico concludeva che in certe circostanze, e precisamente in un periodo rivoluzionario, il proletariato concentrato nei paesi a più alto sviluppo capitalista poteva trovare nel suo assalto contro il mondo capitalista un appoggio nelle lotte di liberazione nazionale dei paesi sottosviluppati soggetti all'oppressione delle grandi potenze. L'errore di una tale conclusione sta nel fatto di far derivare meccanicamente, dall'esistenza di antagonismi tra paesi dominanti e paesi dominati, l'affermazione secondo cui questi antagonismi costituiscono un'opposizione storica inconciliabile con l'ordine sociale esistente.
La pretesa natura rivoluzionaria delle lotte di liberazione nazionale e delle varie guerriglie nazionaliste è stato uno dei cavalli di battaglia della borghesia per confondere le idee ad un proletariato che iniziava appena a ritrovare la via della lotta verso la fine degli anni '60. 0ggi l'aggravarsi della crisi economica ha fatto cadere molte maschere, dai Cubani, costretti a combattere come mercenari in Angola, ai guerriglieri Montoneros, che si sono recentemente accodati al governo dei generali torturatori dell'Argentina in nome della lotta di liberazione nazionale delle isole Falkland.
La sparizione della sua rivista, "Comunismo", nel 1939, ha impedito alla sinistra messicana di proseguire la sua critica implacabile delle posizioni ambigue della III Internazionale. Ma già questa prima parte del loro studio costituisce un contributo molto importante a questo lavoro.
Tocca ai rivoluzionari di oggi riprenderlo e continuarlo.
UN'ANALISI DELLE TESI DEL II CONGRESSO DELL'INTERNAZIONALE COMUNISTA - 1920 1a parte
SULLA QUESTIONE NAZIONALE E COLONIALE
"Abolite lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e avrete abolito lo sfruttamento di un nazione sull'altra".
Il paragrafo 2 delle Tesi del II Congresso dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale dice testualmente:
"Il Partito comunista, in quanto espressione cosciente della lotta di classe proletaria per lo abbattimento del giogo della borghesia, conformemente al proprio compito precipuo - che è quello di combattere la democrazia borghese e di smascherare le sue menzogne e ipocrisie - non deve muovere da principi astratti e formali sulla questione nazionale, ma prima di tutto da un'analisi precisa della situazione storica concreta e soprattutto economica; in secondo luogo, deve separare nettamente gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, dal concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali, che esprimono di fatto gli interessi della classe dominante; in terzo luogo, deve separare nettamente le nazioni oppresse, soggette, prive di diritti, dalle nazioni che opprimono, sfruttano e godono di ogni diritto, per contrapporsi alle menzogne della democrazia borghese che dissimulano l'asservimento coloniale e finanziario della grande maggioranza della popolazione mondiale da parte di un'infima minoranza di paesi capitalisti più progrediti e più ricchi, fatto caratteristico dell'epoca del capitale finanziario e del colonialismo". (riprodotto da J. Degras, "Storia dell'Internazionale Comunista", edizione Feltrinelli, Milano 1975).
Analizziamo questo paragrafo con cura, punto per punto.
LA LOTTA CONTRO LA DEMOCRAZIA.
La parte più significativa di questo paragrafo è senza alcun dubbio il suo inizio: l'affermazione chiara, senza equivoci, che il compito essenziale del Partito Comunista Mondiale non è la famosa "difesa della democrazia" di cui tanto ci parlano oggi i pretesi "comunisti", ma al contrario la lotta contro di essa.
Questa affermazione ripetuta tante volte in altre tesi dell'Internazionale dell'epoca di Lenin, benché oggi negata categoricamente dall'istituzione che porta ancora questo nome, serviva a Lenin e ai suoi compagni come punto di partenza proprio per lo studio delle questione nazionale e coloniale. E non c'è altro punto di partenza!
Quelli che non accettano la lotta contro la democrazia borghese come il compito principale dei comunisti, non possono mai dare una soluzione marxista a queste questioni.
LA MENZOGNA DELL ‘ EGUAGLIANZA NEL SISTEMA CAPITALISTA
Il primo paragrafo delle tesi spiega più in dettaglio quali sono questi "principi astratti e formali" che il Partito della Rivoluzione Proletaria deve rigettare come base della sua tattica nelle questioni nazionale e coloniale.
“È caratteristica della democrazia borghese, per la sua stessa natura, il porre in modo astratto o formale la questione dell'uguaglianza in generale, e dell’uguaglianza nazionale in particolare. Con la generica affermazione di una uguaglianza della personalità umana, la democrazia borghese proclama 1'uguaglianza giuridica formale del proprietario e del proletario, dello sfruttatore e dello sfruttato, ingannando fino in fondo le classi oppresse. L'idea di uguaglianza, che è di per sé un riflesso dei rapporti di produzione mercantili, viene trasformata dalla borghesia in uno strumento di lotta contro l'abolizione delle classi, col pretesto di una presunta uguaglianza assoluta della personalità umana".(ibidem)
La lotta per l'abolizione delle classi sarebbe evidentemente superflua se, come afferma la borghesia, 1'uguaglianza fosse realmente possibile allo interno della società attuale nonostante la sua divisione in classi. La verità è che non solo non c’è uguaglianza nel seno di questa società, ma che non può essercene. Le tesi aggiungono, alla fine del paragrafo citato:
"Il significato autentico della rivendicazione dell’uguaglianza consiste puramente nella rivendicazione di abolire le classi".
E ancora, al paragrafo 4, si parla di:
"Perché soltanto l'azione congiunta assicurerà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica nazionale”.
In altre parole: affermare l'esistenza dell'uguaglianza o, almeno nella società attuale, la possibilità della sua esistenza, ha lo scopo di mantenere in piedi lo sfruttamento e l'oppressione delle classi e delle nazioni. Rivendicare 1'uguaglianza sulla base dell'abolizione delle classi mira allo scopo opposto: la distruzione della società attuale e la costruzione di una nuova società senza classi. La prima è l'arma preferita di tutti i riformisti al servizio della controrivoluzione. La seconda è una rivendicazione del proletariato cosciente dei suoi interessi di classe, l’esigenza del Partito della Rivoluzione Proletaria Mondiale.
I PROLETARI NON HANNO “INTERESSI NAZIONALI”
Per il secondo punto delle tesi citate, il Partito Comunista Mondiale deve rigettare il "concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali" perchè questi interessi non esistono e non possono esistere giacché tutte le nazioni sono divise in classi dagli interessi opposti e inconciliabili, quindi quelli che parlano di "interessi nazionali" coscientemente o inconsciamente, difendono gli interessi delle classi dominanti. L’affermazione secondo cui potrebbero esistere degli "interessi nazionali", cioè interessi comuni a tutti i membri di una nazione, si fonda appunto sulla sedicente "uguaglianza formale e giuridica dello sfruttatore e dello sfruttato" proclamati ipocritamente dalle classi possidenti e sfruttatrici stesse.
Sulla strada di Marx ed Engels, noi dobbiamo combattere la menzogna che dice per esempio che "tutti i messicani" sarebbero uguali e che noi avremmo interessi comuni e quindi una "patria" comune da difendere. La patria appartiene a loro. I lavoratori, come è stato affermato con assoluta chiarezza nel Manifesto dei Comunisti cento anni fa, non hanno patria.
Il nostro futuro non conoscerà patrie differenti in nome delle quali le classi possidenti potranno spedire gli sfruttati sui campi di battaglia, ma una sola patria: 1'umanità lavoratrice.
IL BUON VICINO DELLA BORGHESIA MESSICANA
Per combattere con efficacia la borghesia e distruggere la sua società, noi dobbiamo rigettare non solo la menzogna dell'uguaglianza degli uomini all'interno delle nazioni, ma anche quella dell'uguaglianza delle nazioni. Dobbiamo dimostrare, come ci mostra il secondo punto delle tesi citate, che "l'asservimento dell'immensa maggioranza delle popolazioni del globo a una minoranza di ricchi paesi capitalisti (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone) mediante la potenza finanziaria e colonizzatrice" è "una situazione caratteristica dell'epoca del capitalismo finanziario e imperialista” e che questo asservimento, di conseguenza, non può sparire con qualche ipocrita dichiarazione contro l'imperialismo in nome di una sedicente politica di "buon vicinato", ma solo con la distruzione del capitalismo stesso, con la sua distruzione violenta da parte del proletariato mondiale.
Non dobbiamo stancarci di ripetere questa verità fondamentale, non in una forma astratta, generale, ma in una forma che smascheri concretamente ogni giorno l'ipocrisia democratica di cui parlano le tesi. Nel caso del Messico, è necessario smascherare la menzogna secondo cui un paese capitalista avanzato e, conseguentemente, imperialista come gli Stati Uniti, potrebbe essere il "buon vicino" di un paese capitalista arretrato come il Messico. Bisogna distruggere la menzogna secondo cui l'amicizia che lega in questo momento gli sfruttatori dell'America del nord ai servili sfruttatori messicani equivale a una "amicizia tra i popoli dell'America del nord e del Messico" come gli sfruttatori di questi due paesi vorrebbero far credere. Bisogna al contrario insistere sul fatto che i nostri soli buoni vicini sono i proletari e tutti gli oppressi degli Stati Uniti e del mondo intero, ai quali ci uniscono dei veri interessi comuni contro gli sfruttatori e le loro rispettive "patrie".
IL PATRIOTTISMO CONTRORIVOLUZIONARIO DEGLI STALINISTI E DEI TROTSKYSTI
Tutto quello che abbiamo detto è accettato "teoricamente" dai sedicenti "comunisti" di stampo stalinista e trotskista, ma, nella pratica, essi fanno il contrario. Gli stalinisti del Messico e degli Stati Uniti sono oggi in prima fila tra quelli che fanno l'elogio della "nuova politica" dell'imperialismo nordamericano. I trotskisti non lo fanno così apertamente, ma utilizzano il metodo indiretto che consiste nell'attaccare solo i "cattivi vicini" della borghesia messicana: l'imperialismo inglese, tedesco, giapponese...
Ma la loro lotta contro le posizioni fondamentali dell'Internazionale Comunista del tempo di Lenin va più lontano. Utilizzando un metodo proprio dei rinnegati, gli stalinisti e i trotskisti "dimenticano" il punto delle tesi che parla di "separare nettamente gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, dal concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali, che esprimono di fatto gli interessi della classe dominante" e si dedicano esclusivamente all'altro punto che parla di "separare nettamente le nazioni oppresse, soggette, prive di diritti, dalle nazioni che opprimono e sfruttano".
E’ quello che fa per esempio Trotsky nei suoi attacchi contro la nostra posizione sulla guerra cinese (vedere il bollettino interno della Lega Comunista Internazionalista del Messico n. 1). Con questo metodo, egli arriva esattamente alla stessa posizione degli stalinisti: invece di dimostrare ai proletari cinesi che i loro interessi di classe sono inconciliabili con i sedicenti "interessi nazionali" (in realtà gli interessi degli sfruttatori cinesi) e che, di conseguenza, essi devono lottare tanto contro i loro nemici "compatrioti" che contro il nemico invasore, mediante la fraternizzazione con i soldati giapponesi e il disfattismo rivoluzionario, Trotsky si sforza di convincere gli sfruttati in Cina che i loro interessi di classe coincidono in una certa misura, cioè sul punto della difesa della cosiddetta "patria", con gli “interressi nazionali" dei loro sfruttatori!
Per Trotsky "in generale" i proletari non hanno patria. Così egli resta "teoricamente” fedele al marxismo. Ma nel caso concreto dei proletari della Cina, del Messico, di tutti i paesi oppressi e dipendenti, cioè nel caso della schiacciante maggioranza dei paesi del mondo, questa fondamentale regola del marxismo non ha per lui nessuna applicazione. "Il patriottismo cinese è legittimo e progressista" afferma questo rinnegato. Ben inteso, per lui e per i suoi simili, la stessa cosa vale per il patriottismo messicano, guatemalteco, argentino, cubano, ecc.
ANCHE NEI PAESI OPPRESSI 1 LAVORATORI NON HANNO PATRIA !
Per un marxista non c'è alcun dubbio che tra i punti citati nelle tesi del Secondo Congresso dell'I.C. il più importante è appunto il secondo, quello che insiste sulla inesistenza di "interessi nazionali", e che la distinzione fatta nel terzo punto, tra "nazioni oppresse" e "nazioni che opprimono", si deve intendere in questo senso. In altri termini, anche nelle nazioni oppresse non esiste altro "interesse nazionale” che quello delle classi dominanti. La conclusione pratica di questa posizione teorica è che le regole fondamentali della politica comunista devono essere applicate a tutti i paesi, imperialisti, semicoloniali e coloniale. La lotta contro il patriottismo, la fraternizzazione con gli oppressi di tutti i paesi, ivi compresi i proletari e i contadini in uniforme dei paesi imperialisti, è una delle regole della politica comunista che non ammette eccezioni.
"Da tali principi deriva che tutta la politica dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale deve basarsi principalmente sull'avvicinamento dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e di tutti i paesi per la lotta comune per l'abbattimento dei grandi proprietari terrieri e della borghesia. Perché solo l'azione congiunta assicurerà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica nazionale."
L'applicazione di questa "pietra angolare" alle situazioni concrete esclude chiaramente ogni caso di "patriottismo legittimo" e di "difesa nazionale”.
Nel caso della guerra in Cina per esempio, quale altra applicazione può avere la regola generale della "lotta comune dei proletari di tutti i paesi contro la borghesia" se non quella della fraternizzazione tra i soldati cinesi e giapponesi per la lotta comune contro i capitalisti di entrambi i paesi, cioè il disfattismo rivoluzionario sui due fronti? Come si può fare entrare in questa regola generale la politica di Trotsky di partecipazione alla lotta militare sotto gli ordini di Chiang-Kai-Shek?
CAMBIAMENTI DI TATTICA, NON DEI PRINCIPI !
Per risponderci, Trotsky cita il caso di Marx ed Engels che hanno sostenuto la guerra degli irlandesi contro la Gran Bretagna e quella dei Polacchi contro lo zar, anche se in queste due guerre nazionali i capi erano più borghesi e in qualche caso anche feudali.
Il problema è che Trotsky, malgrado la sua grande conoscenza, non ha capito la primordiale importanza del primo punto che le tesi del II Congresso dell'I.C. presentano come "chiave di volta della questione nazionale”: “una analisi precisa della situazione storica ed economica.."
Il nostro grande storico ex-marxista non si ricorda che la tattica comunista non può essere la stessa nella fase ascendente del capitalismo (di cui ci cita due esempi di guerra progressive) e nella fase di decomposizione, la fase imperialista, quella che viviamo attualmente? Le circostanze storiche ed economiche sono cambiate a un punto tale dall’epoca in cui Marx ed Engels hanno sostenuto la guerra degli irlandesi e dei polacchi che sarebbe un suicidio per il proletariato seguire oggi la stessa tattica di allora.
È chiaro che i cambiamenti tattici non devono mai uscire dal quadro dei principi comunisti già stabiliti e la cui validità è stata verificata mille volte dagli avvenimenti. Più che uscire da questo quadro, ogni riaggiustamento tattico deve essere un’applicazione più corretta, più rigida di questi principi, perchè non sono solo le nuove situazioni che ci devono guidare nell’effettuare tali cambiamenti, ma anche l’esperienza storica, cioè lo studio dei nostri errori passati. Solo così si può mantenere la continuità della lotta comunista attraverso la decomposizione degli antichi organismi operai e la creazione di nuovi.
IL RINNEGATO TROTSKY REVISIONA IL MANIFESTO DEI COMUNISTI E LE TESI DEL II CONGRESSO DELL’I.C.
Uno dei principi fondamentali che deve guidare ogni nostra tattica sulla questione nazionale è l’antipatriottismo. “I lavoratori non hanno patria”. Chiunque propone una nuova tattica che va da contro questi principio abbandona le fila del marxismo e passa al servizio del nemico.
Ora, quello che è interessante è che lo stesso Trotsky che insiste sul fatto che il proletariato oggi deve seguire la stessa tattica dell’epoca di Marx ed Engels, abbandona apertamente il principio già affermato da loro due nel Manifesto dei Comunisti! Nella sua prefazione alla nuova edizione del Manifesto pubblicata recentemente nell’Africa del sud, questo rinnegato dichiara senza vergogna:
“E’evidente che la ‘patria nazionale’ che, nei paesi avanzati, è diventata il peggiore freno storico, resta ancora un fattore relativamente progressista nei paesi arretrati, quelli che non sono obbligati a lottare per la loro indipendenza.”
Così il rinnegato vuole regolare il suo orologio con cento anni di ritardo!
(Testo non completato)
Links
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[2] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1980-sciopero-di-massa-polonia
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[9] https://it.internationalism.org/en/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/opposizione-di-sinistra