Giugno 2020
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Pubblichiamo di seguito questa dichiarazione internazionale della CCI sull’attuale crisi di Covid-19. Lo facciamo nella forma di un “volantino digitale” poiché, nelle attuali condizioni di confinamento della popolazione, una distribuzione massiccia di una versione stampata non è possibile. Chiediamo quindi a tutti i nostri lettori di utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione - social network, forum su Internet e altri - per disseminare questo testo e di scriverci per inviarci qualsiasi reazione o discussione che possa sorgere e, naturalmente, la sua opinione su questo volantino. Oggi è più che mai necessario che tutti quelli che lottano per la rivoluzione proletaria esprimano la loro reciproca solidarietà e rimangano connessi. Anche se dobbiamo rimanere fisicamente isolati per un po’, possiamo tuttavia stare assieme politicamente!
Un massacro! Migliaia di morti ogni giorno, ospedali in ginocchio, un’odiosa “cernita” tra malati giovani e anziani per valutare chi valga la pena di curare, medici e infermieri allo stremo delle loro forze, infetti e che a volte muoiono. Ovunque mancano le attrezzature mediche. I governi che si lanciano in una terribile competizione in nome della “guerra al virus” e degli “interessi economici nazionale”. Dei mercati finanziari in caduta libera, scene di rapina surrealiste in cui gli Stati si rubano gli uni con gli altri carichi di mascherine. Decine di milioni di lavoratori gettati nell'inferno della disoccupazione, un fiume di menzogne pronunciate dagli Stati e dai loro media ... Questo è lo spettacolo spaventoso che il mondo ci offre oggi! La pandemia COVID-19 rappresenta la catastrofe sanitaria globale più grave dopo l’influenza spagnola del 1918-19 quando, da allora, la scienza ha fatto progressi straordinari. Perché un tale disastro? Come siamo arrivati a tanto?
Ci dicono che questo virus è diverso, che è molto più contagioso degli altri, che i suoi effetti sono molto più dannosi e mortali. Tutto ciò è probabilmente vero, ma non spiega l’entità della catastrofe. Il responsabile fondamentale di questo caos planetario, delle centinaia di migliaia di morti, è lo stesso capitalismo. La produzione per il profitto e non per i bisogni umani, la ricerca permanente della massima redditività a scapito del feroce sfruttamento della classe operaia, gli attacchi sempre più violenti alle condizioni di vita degli sfruttati, la frenetica competizione tra aziende e tra Stati, sono tutte queste caratteristiche proprie del sistema capitalista che si sono combinate per portare all’attuale disastro.
L’incuria criminale del capitalismo
Quelli che dirigono la società, la classe borghese con i suoi Stati e i suoi media, ci dicono costernati che l’epidemia era “imprevedibile”. Questa è una pura menzogna degna di quelle pronunciate dagli “scettici climatici”. Da tempo gli scienziati hanno preso in considerazione la minaccia di una pandemia come quella da COVID-19. Ma i governi hanno rifiutato di ascoltarli. Si sono persino rifiutati di ascoltare un rapporto della CIA del 2009 (“Come sarà il mondo domani”) che descrive, con una precisione sbalorditiva le caratteristiche dell'attuale pandemia. Nulla è stato fatto per anticipare una simile minaccia. Perché una tale cecità da parte degli Stati e della classe borghese? Per una ragione molto semplice: occorre che gli investimenti generino profitti, e il più rapidamente possibile. Investire sul futuro dell’umanità non porta nulla, non fa salire i titoli di Borsa. Occorre anche che gli investimenti contribuiscano a rafforzare le posizioni di ciascuna borghesia nazionale rispetto alle altre sull’arena imperialista. Se le cifre folli investite nella ricerca militare fossero state dedicate alla salute e al benessere delle popolazioni, tal epidemia non avrebbe mai potuto svilupparsi. Ma, invece di prendere delle misure di fronte a questa catastrofe sanitaria annunciata, i governi hanno continuato a mettere sotto attacco i sistemi sanitari, sia in termini di ricerca che di risorse tecniche e umane.
Se le persone muoiono e cadono oggi come mosche, anche nel cuore dei paesi più sviluppati, questo è principalmente perché, dappertutto, i governi hanno tagliato i budget per la ricerca su nuove malattie! Ad esempio, nel maggio 2018, Donald Trump ha abolito un’unità speciale del Consiglio di sicurezza nazionale, composta di eminenti esperti, responsabili della lotta contro le pandemie. Ma l’atteggiamento di Trump è solo una caricatura di quello adottato da tutti i leader. Infatti, gli studi scientifici sui coronavirus sono stati ovunque abbandonati circa quindici anni fa, perché lo sviluppo del vaccino era considerato ... “non redditizio”!
Allo stesso modo, è del tutto disgustoso vedere dirigenti e politici borghesi, di destra e di sinistra, lamentarsi della congestione degli ospedali e delle condizioni catastrofiche in cui gli operatori sanitari sono costretti a lavorare, quando si sa che gli Stati hanno perseguito una politica metodica di “redditività” del sistema sanitario nel corso degli ultimi cinquant’anni, in particolare dalla grande recessione del 2008. Dappertutto è stato limitato l’accesso delle persone ai servizi sanitari, ridotto il numero di letti d’ospedale e aumentato il carico di lavoro e di sfruttamento del personale infermieristico! Che pensare della penuria generalizzata di mascherine e di altri mezzi di protezione, di gel disinfettante, di reagenti per tamponi? In questi ultimi anni, la maggior parte degli Stati non provvedono più a fare scorte di questi prodotti vitali per risparmiare denaro. Negli ultimi mesi, non hanno previsto nulla di fronte all’aumento della diffusione del COVID-19, individuato tuttavia fin dal novembre 2019, e alcuni di loro, per nascondere la loro irresponsabilità criminale, si sono spinti fino a ripetere per settimane che le mascherine erano inutili per quelli che non erano infetti.
E che dire delle regioni del mondo cronicamente bisognose, come il continente africano o l’America Latina? A Kinshasa, Repubblica democratica del Congo, i 10 milioni di abitanti dovranno contare su 50 respiratori! Nell’Africa centrale sono stati distribuiti dei volantini che suggeriscono come lavarsi le mani quando la popolazione non ha neanche acqua da bere! Dappertutto sorge lo stesso grido di angoscia: “Ci manca tutto di fronte alla pandemia!”.
Il capitalismo è la guerra di ognuno contro tutti
La forte concorrenza che esiste tra gli Stati nell’arena globale rende impossibile anche il minimo di cooperazione per arginare la pandemia. Quando questa è iniziata, è stato più importante per la borghesia cinese fare di tutto per nascondere la gravità della situazione, proteggere la sua economia e la sua reputazione. Lo stato non ha esitato, infatti, a perseguitare e poi lasciare morire il primo medico che aveva suonato l’allarme! Perfino la parvenza di regolamento internazionale che la borghesia si era data per gestire la carenza è completamente fallita, per l’incapacità dell’OMS a imporre delle direttive fino all’incapacità dell’Unione Europea a mettere in atto delle misure concertate. Questa divisione peggiora considerevolmente il caos causando una perdita totale di controllo sull’evoluzione della pandemia. La dinamica del ciascuno per sé e l’esasperazione della concorrenza generalizzata sono chiaramente diventate le caratteristiche dominanti delle reazioni della borghesia.
“La guerra delle mascherine”, come la chiamano i media, è un esempio edificante della competizione cinica e sfrenata in cui tutti gli Stati sono impegnati. Oggi, ogni Stato si accaparra come può di questo materiale di sopravvivenza attraverso una guerra delle offerte e persino il furto puro e semplice! Gli Stati Uniti si sono appropriati del carico di mascherine cinesi promesse alla Francia. La Francia ha confiscato il carico di mascherine dirette dalla Svezia alla Spagna e che transitavano per i suoi aeroporti. La Repubblica Ceca ha confiscato ai suoi confini i respiratori e le maschere destinate all’Italia. La Germania ha fatto sparire le mascherine destinate al Canada. Si può persino vedere questa competizione tra diverse regioni dello stesso paese, come in Germania o negli Stati Uniti. Questo è il vero volto delle “grandi democrazie”: la legge fondamentale del capitalismo, la concorrenza, la guerra di ognuno contro tutti, ha prodotto una classe di filibustieri e criminali della peggior specie!
Degli attacchi senza precedenti contro gli sfruttati
Per la borghesia, “i profitti valgono più delle nostre vite”, hanno gridato gli scioperanti del settore automobilistico in Italia. Ovunque, in tutti i paesi, ha ritardato il più possibile la messa in opera delle misure di contenimento e di protezione della popolazione per preservare, a tutti i costi, la produzione nazionale. Non è stata la minaccia di un mucchio di morti che alla fine l’ha indotta a dichiarare l’isolamento della popolazione. I molteplici massacri imperialisti che si svolgono da oltre un secolo, in nome di questo stesso interesse nazionale, hanno definitivamente dimostrato il disprezzo della classe dirigente per le vite degli sfruttati. No, non le importa nulla delle nostre vite! Tanto più che questo virus ha “il vantaggio”, per la borghesia, di falciare soprattutto gli anziani e i malati, quelli che ai suoi occhi sono “improduttivi”! Lasciare che il virus si diffonda e faccia il suo lavoro “naturale”, in nome della “immunità collettiva”, è stata la scelta iniziale di Boris Johnson e di altri leader. Ciò che ha spinto la borghesia a prendere delle misure di contenimento generalizzato in ogni paese, è stata la paura della disorganizzazione dell’economia e, in alcuni paesi, del disordine sociale, del montare della rabbia a fronte della noncuranza e della crescita dell’ecatombe. Inoltre, sebbene riguardino metà dell’umanità, le misure di isolamento sociale sono molto spesso una pura mascherata: milioni di persone sono state costrette ad affollare ogni giorno treni, metropolitane e autobus, officine e supermercati! E già, ovunque, la borghesia sta cercando di porre fine a questa misura il più rapidamente possibile, proprio mentre la pandemia colpisce più duramente, cercando di trovare il modo di provocare il minor malcontento possibile rimandando i lavoratori al lavoro settore per settore, impresa per impresa.
La borghesia perpetua e prepara nuovi attacchi, delle condizioni di sfruttamento ancora più brutali. La pandemia ha già fatto perdere il lavoro a milioni di lavoratori: dieci milioni in tre settimane solo negli Stati Uniti. Molti di loro, a causa di lavori irregolari, precari o temporanei, sono stati privati di qualsiasi tipo di reddito. Altri, che hanno solo scarsi sussidi o assistenza sociale per sopravvivere, rischiano di non poter più pagare l’affitto e di essere privati dell’accesso all’assistenza sanitaria. La devastazione economica è già iniziata grazie alla recessione globale che si profila: esplosione dei prezzi dei prodotti alimentari, licenziamenti di massa, riduzione dei salari, crescita della precarietà del lavoro, ecc. Tutti gli Stati stanno adottando misure di “flessibilità” incredibilmente violente, facendo appello per accettare questi sacrifici all’“unità nazionale nella guerra contro il virus”.
L’interesse nazionale che la borghesia invoca oggi non ci appartiene! È questa stessa difesa dell’economia nazionale e questa stessa concorrenza generalizzata che le sono servite, in passato, per attuare i tagli di bilancio e gli attacchi alle condizioni di vita degli sfruttati. Domani, ci servirà le stesse bugie quando, dopo le devastazioni economiche causate dalla pandemia, chiederà che gli sfruttati stringano ancora più le cinture e accettino ulteriore sfruttamento e miseria!
Questa pandemia è l’espressione della natura decadente del modo di produzione capitalistico, una delle numerose manifestazioni del grado di disintegrazione e di deliquescenza della società odierna, come la distruzione dell’ambiente e l’inquinamento della natura, i cambiamenti climatici, la moltiplicazione dei focolai di guerra e i massacri imperialisti, l’inesorabile sprofondamento nella miseria di una parte crescente dell’umanità, la portata assunta oggi dalle migrazioni dei rifugiati, l’ascesa dell’ideologia populista e dei fanatismi religiosi, ecc. (vedi le “Tesi sulla decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [2]” sul nostro sito Web). È indicativa del vicolo cieco in cui si trova il capitalismo e della direzione in cui questo sistema e la sua perpetuazione minacciano di affondare e trascinare tutta l’umanità: il caos, la miseria, la barbarie, la distruzione e la morte.
Solo il proletariato può trasformare il mondo
Alcuni governi e media borghesi sostengono che il mondo non sarà mai più com’era prima della pandemia, che si farà tesoro delle lezioni apprese dal disastro, che infine gli Stati si orienteranno verso un capitalismo più umano e meglio gestito. Avevamo ascoltato lo stesso discorso durante la recessione del 2008: con le mani sul cuore, Stati e leader mondiali hanno dichiarato “guerra alla finanza”, promettendo che i sacrifici richiesti per uscire dalla crisi sarebbero stati premiati. Basta guardare alla crescente disuguaglianza nel mondo per constatare che queste promesse di “rigenerazione” del capitalismo erano solo pure bugie per farci ingoiare l’ennesima degradazione delle nostre condizioni di vita.
La classe sfruttatrice non può cambiare il mondo per mettere la vita e i bisogni sociali dell’umanità davanti alle leggi spietate della sua economia: il capitalismo è un sistema di sfruttamento, con una minoranza che domina e trae i suoi profitti e i suoi privilegi dal lavoro della maggioranza. La chiave per il futuro, la promessa di un altro mondo, veramente umano, senza nazioni e senza sfruttamento, risiede solo nell’unità e nella solidarietà internazionale dei lavoratori nella lotta!
L’ondata di solidarietà spontanea che si manifesta nella nostra classe in risposta all’intollerabile situazione inflitta agli operatori sanitari viene dispersa volutamente dai governi e dai politici di tutto il mondo promuovendo gli applausi dalle finestre e i balconi. Naturalmente gli applausi riscaldano il cuore di questi lavoratori che, con coraggio e dedizione, in condizioni di lavoro drammatiche, si prendono cura dei malati e salvano vite umane. Ma la solidarietà della nostra classe, quella degli sfruttati, non può essere ridotta a una somma di applausi per cinque minuti. Essa consiste, anzitutto, nel denunciare l’incuria dei governi di tutti i paesi, qualunque sia il loro colore politico! Essa significa richiedere mascherine e tutti i mezzi di protezione necessari! Significa, quando possibile, mettersi in sciopero affermando che finché i lavoratori della sanità non avranno le attrezzature necessarie, finché saranno precipitati verso la morte a viso scoperto, gli sfruttati che non sono negli ospedali non lavoreranno più!
Oggi che siamo confinati, non possiamo condurre delle grandi lotte contro questo sistema omicida. Non ci possiamo raggruppare, esprimere assieme la nostra rabbia e mostrare la nostra solidarietà sul nostro terreno di classe, attraverso delle lotte di massa, scioperi, manifestazioni e assemblee. A causa del distanziamento sociale, ma non solo. Anche perché la nostra classe deve riappropriarsi della sua reale forza che ha già manifestato tante volte nella storia ma che ha comunque dimenticato: la forza che deriva dall’unirsi nella lotta, per sviluppare movimenti di massa contro la classe dominante e il suo mostruoso sistema.
Gli scioperi scoppiati nel settore automobilistico in Italia o nella grande distribuzione in Francia, di fronte agli ospedali di New York o nel nord della Francia, come l’enorme indignazione dei lavoratori che si rifiutano di servire come “carne da virus”, ammassati insieme senza maschere, guanti o sapone, per il solo vantaggio dei loro sfruttatori, oggi possono essere solo reazioni disperse perché tagliate fuori dalla forza di un’intera classe unita. Tuttavia, essi dimostrano che i proletari non si rassegnano ad accettare come una fatalità l’irresponsabilità criminale di coloro che li sfruttano!
È questa prospettiva di lotta di classe che dobbiamo preparare. Perché dopo il Covid-19, ci sarà la crisi economica mondiale, una massiccia disoccupazione e nuove “riforme” che saranno solo dei nuovi “sacrifici”. Perciò, prepariamoci fin d’ora alle nostre lotte future. Come? Discutendo, scambiando esperienze e idee nella misura del possibile tramite internet, i forum, il telefono. Comprendendo che il più grande flagello non è Covid-19, ma il capitalismo, che la soluzione non è quella di unirsi dietro lo Stato assassino, ma al contrario di combattere contro lo Stato; che la speranza non risiede nelle promesse di questo o quel leader politico, ma nello sviluppo della solidarietà dei lavoratori nella lotta, che l’unica alternativa alla barbarie capitalista è la rivoluzione mondiale!
L’AVVENIRE APPARTIENE ALLA LOTTA DI CLASSE!
Corrente comunista internazionale (10 aprile 2020)
Accanto alle armi di distruzione di massa la borghesia possiede quelle di distrazione di massa, e a queste fa sempre ricorso per nascondere le sue responsabilità di fronte ai disastri cui è sottoposta l’umanità.
Di fronte alla pandemia ci sono almeno due argomenti che appartengono a questo tentativo di diversione: tutte le discussioni, o le prese di posizione, sulla natura di questo virus (come se fosse la sua natura che ha comportato le conseguenze che noi tutti stiamo vivendo), e l’affermazione che l’epidemia non era prevedibile.
Che ci fosse il rischio della diffusione di nuovi virus è qualcosa che in molti avevano previsto, anche Bill Gates! Il problema è che nonostante questo le borghesie del mondo intero non si sono preparate. C’era anche una raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità di costituire scorte strategiche di dispositivi di protezione (mascherine, tute, ecc.), ma non è stato fatto!
E’ stata questa impreparazione, l’inadeguatezza delle risposte, che hanno fatto di questa pandemia la tragedia che è sotto gli occhi di tutti.
Innanzitutto lo smantellamento del sistema sanitario: la riduzione dei posti letto, la riduzione delle terapie intensive, il taglio del personale medico e infermieristico, la mancanza di mezzi di protezione per questo personale e per la popolazione in generale, di cui sono responsabili tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 25 anni[1].
Storicamente qualsiasi paese, anche il più pacifico, sa che deve avere un esercito preparato a rispondere a un attacco, e per questo esistono le cosiddette “riserve strategiche” di armi, viveri, munizioni, ecc.
Ma di fronte all’attacco di un virus, niente mascherine, niente respiratori, niente camici, ecc.
E’ questo che ha creato il problema.
E nemmeno è vero che il governo non era informato del pericolo: la Cina, dopo aver inizialmente, colpevolmente, taciuto sulla diffusione dell’epidemia, alla fine di gennaio aveva informato il mondo sulla pericolosità del virus e sui mezzi della sua diffusione, tant’è vero che il 31 gennaio il governo italiano ha approvato un decreto legge che promulgava lo stato di emergenza, cioè quella situazione di pericolo generale che richiede e consente misure straordinarie. Ma nonostante questo, non è stato fatto niente. Anzi, si è cercato di minimizzare e di mentire sull’incapacità ad affrontare la situazione: per esempio, poiché in Italia non si producevano più mascherine, si è cominciato a dire che la loro utilità era dubbia (menzogna avallata dall’OMS).
A questo punto, di fronte a un’incapacità strutturale ad affrontare l’epidemia, la borghesia italiana ha fatto ricorso all’unico strumento possibile per ridurre il contagio, il confinamento sociale. Ma anche questo con enorme ritardo: il 4 marzo sono state chiuse le scuole, ma non i servizi e le industrie non indispensabili; l’11 marzo i bar e i ristoranti, e solo il 23 marzo le attività produttive non indispensabili. Ma nemmeno tutte: per esempio l’industria della Difesa non è stata fermata (quando la guerra in corso era sanitaria e non militare). Ci sono voluti gli scioperi spontanei in molte fabbriche di tutta Italia per spingere il governo a decretare la chiusura di tutti gli insediamenti produttivi non indispensabili. Soprattutto l’ha dovuto fare perché gli operai sono scesi in sciopero al grido di “non siamo carne da macello!”, “la nostra salute non viene dopo il vostro profitto!” e continuare a pretendere che lavorassero anche gli operai delle fabbriche non indispensabili avrebbe potuto far crescere non solo la collera, ma anche la coscienza dei lavoratori sul loro stato di merce al servizio del profitto capitalista.
E se il lockdown ha ridotto le conseguenze dell’epidemia, esso sancisce anche l’incapacità della borghesia a salvaguardare la salute della popolazione con quelli che sono i mezzi normali contro le malattie: la prevenzione, le cure e le medicine.
Ma la borghesia ha dimostrato in più occasioni la sua capacità di rivoltare a proprio favore anche le situazioni in cui si dimostra la sua incapacità ad assicurare agli sfruttati una vita sicura e decente. Così, anche in questa occasione, è scattata tutta una campagna tesa a creare una sorta di unione nazionale, un orgoglio nazionalista basato sulla menzogna che “siamo tutti nella stessa barca”, “solo uniti ce la faremo”. I tricolori ai balconi, l’inno nazionale cantato dalle finestre, e questo, come al solito, con l’appoggio dei mezzi di informazione che si sono messi al servizio di questa campagna mistificatoria: una mattina di marzo, alla stessa ora, tutte le radio “libere” hanno trasmesso contemporaneamente l’inno nazionale.
Ma le campagne mistificatorie fanno poi a pugni con la realtà, e l’ha dovuto denunciare anche un’intellettuale borghese, la sociologa Chiara Saraceno che, su Repubblica del 4 maggio 2020, scrive:
“Non è vero che siamo tutti uguali di fronte al Covid 19. Non lo siamo rispetto al rischio di contagio, perché alcune professioni e condizioni di vita espongono più alcuni di altri. Riguarda, ovviamente, le professioni sanitarie, ma riguarda anche le commesse, gli addetti alle pulizie delle strade, alla raccolta dei rifiuti, i trasportatori, tutti coloro, con professioni non prestigiose e pagate relativamente poco, che nelle settimane della chiusura hanno dovuto lavorare in ‘presenza’. Non siamo uguali neppure di fronte all’esperienza del ‘restiamo a casa’, non solo perché qualcuno la casa non ce l’ha, ma anche perché la ’casa’ si declina molto diversamente e per qualcuno significa vivere stretti, talvolta in situazioni precarie. (…) Non siamo uguali neppure di fronte alla perdita di reddito e al rischio di povertà provocati dalla chiusura di gran parte delle attività produttive. Qui le disuguaglianze sono molteplici. I più a rischio sono i giovani, vuoi perché avevano più spesso contratti temporanei o precari, vuoi perché stavano per entrare nel mercato del lavoro quando tutto si è chiuso. (…)”. Non avremmo saputo dirlo meglio.
La borghesia non è solo una classe sfruttatrice, è anche una classe cinica e indifferente alla vita e alle sofferenze umane. La vita dei proletari per la borghesia è importante solo se e quando riesce a trasformarsi in lavoro produttivo, in produzione di plusvalore, che è la base del profitto capitalista. Una conferma si è avuta in questa occasione non solo con l’insistenza a voler tenere aperti i siti produttivi anche in mancanza di misure di sicurezza, ma anche nel trattamento riservato agli anziani. Nonostante che fin dall’inizio si è detto che le persone anziane erano le più a rischio se infettate, nessuna precauzione aggiuntiva è stata presa per la salvaguardia della salute di questa fetta di popolazione. Anzi, non solo è stato detto (nel pieno del contagio) che i sanitari dovevano “scegliere” chi salvare (dando la precedenza ai giovani), ma nemmeno si sono allertate le Residenze per anziani perché prendessero il massimo di precauzione per evitare i contagi. Se in queste Residenze c’è stata una vera e propria ecatombe non è un caso, né semplicemente il comportamento criminale di qualche responsabile (anche se in qualche caso è stato così), ma proprio la mancanza di considerazione per la vita di chi ormai non produce più plusvalore.
Quello che stiamo denunciando non è una specificità del governo e della borghesia italiana. I comportamenti che abbiamo descritto hanno caratterizzato tutti i paesi del mondo, a conferma che non si è trattato di mancanza di esperienza o capacità, ma di una situazione che ha alla sua base un sistema sociale in cui la vita umana viene dopo il profitto, perché la classe dominante, di fronte alla scelta se salvaguardare il proprio profitto o la salute e la vita dei proletari, non ha dubbi: sceglie il primo.
Del resto, anche le “riaperture” che si stanno effettuando in quasi tutti i paesi del mondo avvengono quando ancora il contagio non è finito, il vaccino non è pronto, né si sono testati farmaci sicuramente efficaci per la cura. Ancora una volta la parola d’ordine è “continuare a produrre” anche a costo di avere altri infettati, altri morti.
Ora il governo sta prendendo una serie di misure per far fronte al disastro economico che sta accompagnando il disastro sanitario, e qualcuno potrebbe scambiare questo come preoccupazione dello Stato per la popolazione. Non è così. Innanzitutto la principale preoccupazione del governo è sostenere l’economia, cioè il capitale nazionale (quante risorse sono destinate direttamente alle imprese, piccole o grandi che siano?). Poi è evidente che lo Stato non può non cercare di assicurare almeno un minimo di sopravvivenza sia a quei ceti a rischio povertà, per evitare che si rivoltino, sia soprattutto ai proletari che possono continuare a produrre profitto solo se sopravvivono.
Ma questo intervento economico non è né un rilancio dell’economia, né la scoperta di nuove risorse. Tutte le risorse messe a disposizione provengono da un aumento del debito statale (o da crediti dell’Europa, che si traducono comunque in debiti da restituire): il deficit per quest’anno dovrebbe schizzare al 10% del PIL (altro che il 3% di Maastricht!), portando il debito al 150% del PIL.
Naturalmente il governo dice che questo sostegno all’economia non serve solo ad evitare chiusure di fabbriche, fallimenti, licenziamenti e morti per fame, ma anche a rilanciare l’economia. Come a dire: non vi preoccupate, con questi provvedimenti ci sarà una ripresa e tutti staremo meglio anche economicamente. Chiacchiere. Doveva essere così anche con le ultime finanziarie e invece, anche prima del coronavirus la crescita è stata zero. La realtà è che l’Italia già non aveva recuperato i livelli economici di prima della crisi del 2007, e adesso non potrà che accumulare ulteriori ritardi rispetto ai suoi principali concorrenti.
Del resto il debito, l’unica risorsa a cui tutti i governi del mondo stanno ricorrendo per dare ossigeno all’economia, ha un problema: prima o poi bisogna pagarlo e per l’Italia, i cui tassi di interesse sono già più alti di quelli di altri paesi, questo diventa sempre più difficile.
Perciò non bisogna farsi illudere da queste risorse sparse a pioggia (comunque assolutamente insufficienti). Il prossimo anno, o comunque quando sarà finita l’epidemia, lo Stato tornerà a varare politiche di austerità per far fronte a quella recessione che si annuncia, peggiore di quella del 1929.
E quando si parla di austerità, parliamo dei salari dei proletari, delle spese sociali, delle pensioni, ecc., cioè delle condizioni di vita degli sfruttati.
E’ questo che bisogna aspettarsi, è a questo che bisogna prepararsi: i sacrifici fatti in questi mesi di epidemia, in termini economici ma anche di salute, non impediranno allo Stato borghese di chiederne altri, per “salvare il paese”, per “dare un futuro ai giovani”.
E se la borghesia è pronta a presentare il conto della crisi ai proletari, questi devono loro cominciare a presentare alla borghesia il conto di tutti i sacrifici fatti negli ultimi decenni.
Questi mesi di pandemia hanno dimostrato ancora una volta e in maniera lampante (e tragica) che questa in cui viviamo é una società divisa in due classi principali e dagli interessi opposti: la borghesia, la classe che ha il potere economico e politico, ma che dimostra di non poter più assicurare non solo una vita decente ai proletari, ma addirittura la salute e la vita stessa; ed il proletariato, la classe dei lavoratori che non solo produce la gran parte della ricchezza di questa società (ricevendo in cambio solo il minimo per la propria sopravvivenza) , ma che è stato, con il suo lavoro, rischiando la propria salute, sacrificando a volte anche la propria vita, il solo a garantire che una nazione intera potesse continuare a nutrirsi e a svolgere una vita normale e l’unico vero argine alla diffusione del virus. Bisogna che i proletari ne prendano coscienza e che si preparino a porre fine a questa barbarie per offrire una nuova prospettiva all’umanità.
Helios, 04/06/2020
[1] Gli ospedali sono passati dai 1381 del 1998 (dato già in calo rispetto agli anni precedenti) a 1197 del 2007, per arrivare a 1000 nel 2017 (con una diminuzione percentuale di quelli pubblici rispetto a quelli privati convenzionati); i posti letto dai 311.000 del 1998 (5,8 posti ogni 1000 abitanti) ai 191.000 del 2017 (3,8 posti ogni 1000 abitanti).
C’è una crisi economica storica alla base del fatto che la diffusione di un virus abbia prodotto una pandemia che si è trasformata in una vera tragedia per le popolazioni del mondo intero. Ma a questa realtà, che è sotto gli occhi di tutti, anche se non tutti ne percepiscono le reali dimensioni, si aggiunge un altro elemento che è l’irresponsabilità completa con cui i vari organi di governo, istituzioni e partiti, hanno fatto fronte alla situazione, esprimendo un’incapacità completa a mettersi d’accordo sulle cose da fare e ad agire assieme per ottimizzare gli interventi. Così la crisi di pandemia da Covid 19, che ha già fatto una strage enorme di morti, di posti di lavoro e una caterva di nuovi poveri che si vanno a sommare a quelli già esistenti, si è ulteriormente aggravata per la forte disunione della borghesia, espressione di quel fenomeno più generale che abbiamo definito decomposizione del capitalismo[1]. Lo si è visto a livello internazionale, con episodi come la guerra delle mascherine[2], con la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, con gli attacchi di questi ultimi all’OMS, una delle istituzioni create proprio per unire le forze contro le malattie.
Per non parlare dell’incapacità della UE di mostrarsi unita per affrontare in maniera coordinata la pandemia, visto, peraltro, che si trattava di qualcosa che colpiva tutti i paesi: ogni paese ha pensato a sé stesso (a cominciare dal rubarsi le mascherine), a chiudere le frontiere con i paesi più colpiti dalla pandemia (alla faccia degli accordi di Schengen), fino ad arrivare al fatto che alcuni paesi si sono opposti anche a mettere in campo delle misure economiche per far fronte alla minaccia di recessione che la pandemia ha reso più grave (ed anche qui si tratta di qualcosa che toccherà, chi più, chi meno, tutti i paesi). Alla fine è stata proprio la coscienza di quale disastro si profila per l’economia che ha spinto le istituzioni europee a varare delle misure di sostegno all’economia ed evitare il tracollo.
Ma lo si vede anche all'interno dei singoli paesi, e in Italia in maniera addirittura paradossale.
Se è naturale che le forze politiche all’opposizione siano critiche verso la maggioranza al governo, questo è in genere attenuato nei periodi di emergenza, quelli in cui si fa appello all’unità nazionale. In particolare, ci sembra veramente paradossale che la borghesia, dopo aver dichiarato dall’inizio della pandemia che eravamo in guerra, una guerra non contro una nazione ma contro un virus, e che occorreva la massima coesione, abbia dato una tale dimostrazione di sfilacciamento non solo tra maggioranza e opposizione, ma addirittura nella stessa compagine governativa e finanche tra i vari organi dello Stato (governo, regioni, comuni, …).
Infatti le forze di opposizione hanno assunto una posizione di contrarietà ad ogni azione governativa, un’opposizione “a prescindere”, che poco tiene conto del merito delle questioni, ma che è stata fatta solo per difendere i propri interessi di partito. Lo si è visto all’inizio della pandemia, quando Salvini ogni giorno cambiava idea e posizione sull’opportunità o meno di chiudere le frontiere e i passaggi fra le regioni, ma anche per esempio rispetto al rapporto con la UE e le misure che questa propone contro il disastro economico. Particolarmente significativa l’opposizione all’uso da parte dell’Italia dei fondi messi a disposizione con il cosiddetto fondo salvastati (MES). A quanto se ne sa l’Italia potrebbe avere più di 30 miliardi di prestito ad interessi più bassi di quelli che gravano sui propri titoli di Stato offerti periodicamente sul mercato, e questo alla sola condizione che i soldi siano spesi per la sanità. Insomma, l’Italia potrebbe recuperare una forte liquidità pagando meno interessi del solito, ma Salvini e la Meloni si oppongono in nome di non si sa quale trappola ci sarebbe sotto l’utilizzo di questi fondi.
Ma quello che forse è ancora più grave sono le divisioni all’interno della maggioranza, divisioni che a volte paralizzano l’azione di governo (e questo in una fase in cui la rapidità delle misure da prendere è una parte importante nell’efficacia di queste misure).
Lo si è visto per esempio sul cosiddetto decreto “aprile” che doveva mettere in campo risorse sia per il sostegno ad imprese e famiglie che per sostenere in generale l’economia. Questo decreto doveva essere pronto entro aprile (da qui il suo nome), ma è stato varato solo il 18 maggio, e questo solo perché i partiti di governo non riuscivano a mettersi d’accordo su come utilizzare i 55 miliardi (di debito, naturalmente) che si era deciso di mettere in campo.
Lo si è visto anche sullo stesso MES ricordato prima, su cui il governo non ha ancora deciso niente perché i 5S sono contrari al suo utilizzo. Ed anche qui l’unico motivo per cui si oppongono è che questo fa parte della loro tradizione, cioè per difendere una loro bandiera e non per argomenti nel merito della cosa.
Lo si è visto ancora sul decreto scuola, quello che doveva decidere sia sull’assunzione di nuovi insegnanti, sia sulle modalità di ripresa delle lezioni a settembre, dopo che la chiusura delle scuole ha reso un disastro (nonostante i sacrifici e gli sforzi degli insegnanti) questo anno scolastico. Anche questo decreto ha visto un enorme ritardo perché i partiti della maggioranza non riuscivano a mettersi d’accordo sulle modalità del concorso per l’assunzione dei precari, quando poi il vero problema è che il numero di assunzioni previste è assolutamente insufficiente per fare fronte anche solo all’esigenza di sostituire i docenti andati in pensione. Non parliamo poi della confusione che resta su come si potrà iniziare il nuovo anno scolastico in sicurezza.
Ancora è il caso di ricordare i contrasti verificatisi fra lo Stato centrale e le Regioni (nonché tra i sindaci e i presidenti di regione), contrasti e prese di posizione che niente avevano di efficacia sulle misure da prendere, ma solo con gli interessi elettorali di ognuna di queste forze. A cominciare dal governatore della Lombardia, Fontana, che prima ha criticato le decisioni di chiudere i trasferimenti tra le regioni e la sospensione delle attività produttive non essenziali, poi, di fronte al vero e proprio disastro che si è avuto nella sua regione, ha finito per criticare la fine del lockdown. Per non parlare del governatore della Campania De Luca, che cogliendo l’occasione della pandemia per mostrarsi il vero difensore della “sua popolazione” (e assicurarsi una rielezione che prima della pandemia non era affatto scontata) ha criticato tutte le decisioni sulle “aperture”, arrivando a varare ordinanze più restrittive rispetto a quelle del governo, scontrandosi poi con quell’altro demagogo del sindaco di Napoli De Magistris, che, a sua volta, varava altre ordinanze in contrasto con quelle di De Luca. Insomma una bailamme capace solo di generare confusione, incertezza, quando in una situazione come quella della pandemia ci vorrebbe solo chiarezza, sicurezza e rapidità delle decisioni.
Dopo più o meno trecento anni di sistema capitalista, la classe operaia ha ben preso coscienza che si tratta di un sistema di sfruttamento, ma deve ancora prendere coscienza del fatto che questa classe dominante non è più capace di offrire una prospettiva all’umanità.
Helios, 07/06/2020
[1] Vedi a tale proposito i due rapporti del 22° e 23° Congresso della CCI: Rapporto sull’impatto della decomposizione sulla vita politica della borghesia [7], https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia [7] e Rapporto sulla decomposizione oggi (22° Congresso della CCI, maggio 2017) [8], https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017 [8].
Il quadro è terrificante. Centinaia di persone sono morte, il fetore di cadaveri appesta molte parti della città, intere famiglie sono morte così come molti operatori sanitari. Finora, lo Stato ecuadoriano ha riconosciuto solo 369 morti dovute a Covid-19, senza specificare quanti di loro provengano dalla città di Guayaquil. Ma secondo tutti i testimoni diretti di questa enorme tragedia (medici, giornalisti e ospiti stranieri)[1] , solo a Guayaquil, il numero di morti dovute al coronavirus è scandalosamente sottostimato.
Da parte sua, lo Stato, incapace di rispondere all'emergenza sanitaria, cerca di nascondere il più possibile il numero di corpi trovati per le strade e le arterie della città. Corpi che, in risposta alle lamentele e alle proteste di molti abitanti, vengono gradualmente rimossi e conservati in tre ospedali. Inoltre, gli obitori sono pieni di cadaveri non identificati. Di fronte a questa situazione, centinaia di famiglie vivono ogni giorno il dramma di dover reclamare i resti dei loro cari per avere una sepoltura dignitosa. Questo spettacolo dell'orrore è la diretta conseguenza della mancanza di ospedali e letti, senza personale medico sufficiente, senza medicine, con incessanti tagli al budget. Questo rivela chiaramente che la borghesia non è affatto interessata a soddisfare le esigenze sanitarie di base della popolazione. Il cinismo e le menzogne della borghesia rivelano il suo atteggiamento criminale.
Al momento, la città di Guayaquil, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, provocando l'indignazione e la solidarietà di molti lavoratori, è ancora immersa nell'isteria e nella paura. La stessa situazione e le stesse reazioni si stanno verificando in molte parti del mondo dove gli Stati sono incapaci di prendersi cura di centinaia di migliaia di persone infettate da un'epidemia di cui la borghesia conosce da anni i rischi senza aver preso mai alcuna misura per proteggere le popolazioni che sarebbero state esposte.
I media descrivono la portata del disastro, ma nessun paese ha dimostrato di essere pronto per un'emergenza di questa portata. Al contrario, lo Stato ha dimostrato ovunque la stessa negligenza con il deterioramento dei sistemi sanitari che sono crollati in Cina, negli Stati Uniti, in Spagna, in Italia e persino in paesi che vengono presentati come modelli di eccellenza dell'amministrazione borghese, come la Danimarca. Il comportamento della borghesia in tutti i paesi è stato simile: prima ha minimizzato l'impatto della pandemia, poi ha cambiato il suo atteggiamento nell'imporre misure draconiane di contenimento. Tuttavia, tutto questo si è rivelato vano di fronte allo stato deplorevole del sistema sanitario globale. Di conseguenza, gli Stati non sono oggi in grado di rispondere all'emergenza Covid-19.
In realtà, come ha detto il vicepresidente americano all'inizio di marzo 2020, il comportamento ipocrita della classe dirigente copre una sola e stessa logica: il "salvataggio dell'economia" a scapito della vita delle persone. In altre parole, si tratta di continuare ad accumulare capitale a spese dei lavoratori e della popolazione in generale.
Nell'ambito del deterioramento del sistema sanitario globale, lo Stato ecuadoriano, come è avvenuto in altri Paesi, solo nel 2019 ha licenziato 2.500 lavoratori, tra medici, infermieri e personale di servizio. Mentre nel 2019 il budget sanitario era di 3.097 milioni di dollari, la Assemblea Nazionale ha approvato una riduzione di 81 milioni di dollari per il 2020 rispetto all'anno precedente. Il confronto di questo bilancio con il pagamento del debito estero per lo stesso anno (che era di 8.107 milioni), dimostra che lo Stato ecuadoriano ha deliberatamente sacrificato le esigenze sanitarie della popolazione (e le altre esigenze) a favore delle leggi del mercato capitalista e della concorrenza tra le nazioni.
L'impatto che Covid-19 ha causato a Guayaquil è quindi dovuto a una borghesia che non ha alcun interesse per la salute della popolazione, né per gli investimenti in infrastrutture sanitarie, tanto meno per gli operatori sanitari. Così, dal 16 marzo, quando la pandemia è stata ufficialmente dichiarata in Ecuador, il ministro dell'Economia Richard Martinez ha dichiarato la sua intenzione di pagare 325 milioni di dollari ai possessori di titoli di Stato, pagamento diventato effettivo il 21 marzo, nel bel mezzo di una crisi sanitaria, quando i decessi si stavano già moltiplicando ovunque. Questo atto ha portato anche alle dimissioni del ministro della Salute, Catalina Andramuño, che ha accusato il governo Moreno di non averle fornito le risorse necessarie per affrontare la pandemia. Nel frattempo, il sindaco di destra di Guayaquil, Cintya Viteri, oltre alla sua indifferenza per la drammatica situazione della popolazione, si è affrettata a scaricare il problema trasferendo la responsabilità dei servizi funebri al governo centrale di Moreno. Da parte sua, dal 16 marzo, il vicepresidente Otto Sonnenholzner è apparso come un eroe nella resistenza alla pandemia, quando in realtà si trattava per lui di una sordida campagna promozionale in vista delle prossime elezioni presidenziali. Questo panorama da solo riassume il grado di decomposizione della borghesia in Ecuador, che, come in molti paesi del mondo, è afflitta dalle lotte delle cricche al suo interno e incapace di agire se non "di volta in volta".
La tragedia che la città di Guayaquil sta vivendo è probabilmente una delle più terribili e drammatiche finora conosciute. Né il virus né la popolazione, contro cui la borghesia e i media stanno puntando il dito per la sua presunta "indisciplina", ne sono responsabili. Ma è il sistema capitalista, incapace di soddisfare i bisogni dell'umanità, ad essere veramente responsabile del disastro sanitario. La portata di questo disastro era già stata annunciata in uno dei nostri articoli: "Una realtà che sarà ancora peggiore quando questa epidemia colpirà l'America Latina, l'Africa e altre regioni del mondo dove i sistemi sanitari sono ancora più precari o del tutto inesistenti". Si è trattato di un disastro annunciato, proprio a causa delle contraddizioni del capitalismo a livello globale.
Le conseguenze che la borghesia ha provocato nella gestione della crisi pandemica di Guayaquil sono diverse:
- Tenere un parente morto come vittima della pandemia all'interno della casa per lunghi giorni senza alcuna risposta da parte dello Stato, e quindi permanentemente esposto agli effetti della decomposizione di un cadavere, ovviamente non solo avrà conseguenze psicologiche, ma aumenterà notevolmente il rischio di contaminazione tra i propri cari.
- Di fronte a questa situazione, l'Ecuador, come altri Stati, ha decretato il contenimento obbligatorio a livello nazionale. Per rispettare questa disposizione, lo Stato ha mobilitato l'esercito e la polizia, che agiscono brutalmente di fronte a una popolazione ridotta alla disoccupazione, molti dei quali non possono restare a casa perché costretti a sopravvivere fuori e alla giornata. Lo Stato non può nemmeno garantire il cibo per la loro quarantena, quindi il caos può diventare ancora più drammatico di quanto non sia oggi.
- La crisi sanitaria ha suscitato lamentele e proteste da parte di medici e infermieri oberati di lavoro ed esausti per le deplorevoli condizioni in cui sono costretti a lavorare, ma a poco a poco sono stati messi a tacere.
- Lo Stato mostra il suo vero volto repressivo nei confronti della popolazione, ma non dice nulla, così come tutta la borghesia, ad esempio, sulle migliaia di licenziamenti avvenuti durante il confinamento.
Nella manifestazione di questa impasse del capitalismo, è chiaro che:
1. La società borghese non ha in serbo altro che desolazione e morte, come dimostra l'attuale pandemia globale.
2. Nel mezzo di una situazione di angoscia e disperazione della popolazione, gli Stati hanno usato la forza per mettere a tacere coloro che protestavano contro l'incapacità dello Stato capitalista di soddisfare i bisogni fondamentali come l'accesso al cibo, all'assistenza sanitaria, alle medicine e il necessario contenimento che la maggior parte degli scienziati raccomandano per evitare un aumento del contagio.
3. È stato dimostrato che per la borghesia e il suo Stato la priorità non è il popolo, tanto meno i lavoratori, ma la difesa e il perseguimento dei propri interessi di classe sfruttatrice, e per questo motivo, senza alcun rispetto per la morale o per principi di alcun tipo, essi ricorrono alla menzogna, nascondendo il numero di morti che si accumulano senza poter dare loro una degna sepoltura, come sta accadendo in Ecuador.
La crisi sanitaria di Covid-19 ha dimostrato chiaramente il disprezzo che la borghesia ha sempre avuto per i bisogni umani. In questa società caotica, dove conta solo il ciascuno per sé e la ricerca del profitto e non la soddisfazione dei bisogni umani, lo sviluppo delle forze produttive a disposizione dell'umanità è il prodotto del lavoro della classe operaia internazionale che viene sfruttata al servizio esclusivo della borghesia. Saranno dunque questi stessi lavoratori gli unici che potranno realizzare la rivoluzione mondiale capace di cambiare il destino dell'umanità, trasformandola in un'unica comunità umana mondiale.
Contro il virus mortale della società capitalista in decomposizione, proletari di tutti i paesi, unitevi!
Da Internacionalismo, sezione CCI in Ecuador, 20 aprile 2020
[1] Oltre alle insopportabili immagini di persone che crollano per strada, corpi sparsi sui marciapiedi, a volte per giorni, coperti frettolosamente con un lenzuolo o una coperta, camioncini e camion carichi di cadaveri in sacchi della spazzatura e poi sepolti o inceneriti ovunque, scatole di cartone come bare improvvisate, e persino avvoltoi, attratti dall'odore di carogne, che volano intorno a un ospedale. È tutto l'orrore di cui il capitalismo è capace che viene allo scoperto!
"Ognuno di noi deve partecipare a questo enorme sforzo per preservare la sicurezza globale", ha detto il direttore dell'OMS in un comunicato stampa del 16 marzo. Il 27 marzo, il presidente francese Macron ha dichiarato: "Non supereremo questa crisi senza una forte solidarietà europea, sia in termini di salute che di bilancio". E la cancelliera tedesca, Merkel, chiede, di fronte alla crisi sanitaria: "più Europa, un'Europa più forte e un'Europa che funzioni bene"! I politici esortano la popolazione a mostrare solidarietà, senso civico e unità per combattere il "nemico invisibile". In un momento in cui il bisogno di mascherine e attrezzature medicali è immenso a causa di una scandalosa carenza, tutti, politici e media, hanno denunciato furti da ospedali, farmacie e persino dalle auto degli operatori sanitari. La borghesia punta il dito e pubblicizza ampiamente il comportamento egoista di questi "infami e vili" delinquenti, in un momento in cui il mondo intero è "in guerra" e si suppone unito contro la pandemia del COVID-19.
In realtà, quando da un lato la borghesia mostra la sua indignazione e il suo disprezzo per i furti, dall'altro applica con freddezza gli stessi metodi dei briganti sulla scena internazionale: appropriazione indebita e "requisizione" di ordini provenienti da altri paesi, offerta e riacquisto di attrezzature mediche direttamente sulle piste d’atterraggio degli aeroporti. È così che la borghesia esprime la sua "solidarietà" "per preservare la sicurezza mondiale"! Infatti, all'inizio dell'epidemia in Europa, la Cina ha inviato diplomaticamente, in modo molto interessato, alcune mascherine e respiratori in Italia, ma questi sono stati subito dirottati dalla Repubblica Ceca. Con un'ipocrisia sconcertante, quest'ultima ha negato qualsiasi furto e ha denunciato uno sfortunato "malinteso"! All'inizio di marzo è stata la Francia a "requisire" sul suo territorio le mascherine svedesi sotto il naso della Spagna e dell'Italia, paesi che sono duramente colpiti dall'epidemia. Solo dopo l'intervento del governo svedese il governo francese ha accettato, sotto pressione, di tenere "solo" la metà della merce rubata. Un mese dopo, mentre la vicenda cresceva di dimensioni (si trattava, ovviamente, di un "malinteso"), Macron invocava una maggiore "coerenza" e restituiva, suo malgrado, tutte le mascherine ai destinatari. Anche gli Stati Uniti sono accusati di aver dirottato attrezzature mediche dirette verso la Germania, il Canada e la Francia. Trump, a differenza dei suoi omologhi stranieri più civilizzati, ha comunque mostrato le sue intenzioni in modo chiaro e schietto: "abbiamo bisogno di queste mascherine, non vogliamo che altre persone le prendano"!
In Africa, un epidemiologo ha recentemente messo in guardia sulla situazione molto preoccupante nel continente: gli ospedali non possono avere forniture per i test. La priorità è data ai pezzi grossi, ai grandi padrini: gli Stati Uniti o l'Europa. Le "grandi democrazie" si accaparrano gli strumenti per i test, una merce tristemente rara, per il loro proprio conto! Non c'è da stupirsi che l'Africa sembri essere poco colpita dal COVID-19!
La lista dei cinici atti di pirateria degli Stati borghesi è ancora lunga![1] Anche a livello nazionale la borghesia fatica a non cedere alla guerra di tutti contro tutti. Proprio come gli Stati si affannano ai piedi degli aeroplani per accaparrarsi le forniture mediche, anche gli Stati federali, le regioni e persino le città si fanno la otta per proteggere i "loro" abitanti. In Spagna, dove il regionalismo ha un forte peso, è scoppiata una polemica quando il governo ha deciso di requisire e centralizzare le scorte di mascherine. Ma l'incompetenza delle autorità spagnole ha portato ogni governo regionale a cercare le proprie forniture in concorrenza con le altre. Lo Stato centrale è stato accusato di alimentare tensioni e persino di "invasione" da parte di Torra, il presidente della Generalitat di Catalogna. Tutto è un pretesto per affermare meschini interessi "regionali" dove si è i padroni di casa! Anche in Messico, il governatore di Jalisco sta esercitando pressioni sul governo federale per far cessare i test a favore della regione di Città del Messico.
La borghesia si adorna di bei discorsi moraleggianti, chiede solidarietà internazionale, esorta le sue "truppe" a serrare i ranghi intorno allo Stato protettore. Quante bugie! La "solidarietà" che la borghesia chiede non è altro che l'espressione del ciascuno per sé, un rafforzamento del caos e della barbarie capitalistica su scala planetaria!
Di fronte alla crisi, lasciare che lo Stato nazionale strappi le mascherine agli "stranieri" non fa che aggravare il male. Il capitalismo, cinico e mortale, non ha altra prospettiva da offrire all'umanità se non ciò che questo deplorevole spettacolo di saccheggi illustra oggi: miseria e distruzione! L'unica forza sociale portatrice di un progetto storico capace di porre fine alla guerra di tutti contro tutti è la classe operaia, quella che non ha una Patria da difendere, quella i cui interessi sono i bisogni di tutta l'umanità e non quelli della "nazione" (o la sua versione "regionale")! È la classe operaia, attraverso il personale sanitario, che oggi salva la vita a rischio della propria. Sebbene il contesto della pandemia impedisca attualmente qualsiasi mobilitazione massiccia e limiti le espressioni di solidarietà nella lotta, è la classe operaia che cerca, in molti settori e in diversi paesi, di resistere alla negligenza della borghesia e all'anarchia del capitalismo. La nostra classe è portatrice di una società senza frontiere e senza concorrenza, dove i lavoratori ospedalieri non saranno più costretti a fare un'abominevole distinzione tra malati "produttivi" e "improduttivi" (pensionati o portatori di handicap), dove il valore di una vita non sarà più misurato in linee di bilancio!
Olive, 7 aprile 2020
[1] Ma a differenza degli scrocconi di un tempo, che rubavano oro e beni preziosi, questi teppisti si contendono anche la merce tipica del capitalismo, prodotti di fascia bassa: camici che cadono a brandelli appena si tolgono dalle scatole, maschere ammuffite, ventilatori di rianimazione con prese inadeguate, …!
Pubblichiamo qui di seguito estratti di una lettera che abbiamo ricevuto da una compagna a seguito del nostro intervento e dei nostri incontri pubblici sul movimento contro la "riforma" delle pensioni in Francia. Accogliamo con grande favore questa iniziativa che esprime un'esigenza vitale per la classe operaia, quella di discutere e approfondire francamente e fraternamente le lezioni delle esperienze del proletariato. Questa lettera esprime visibilmente sentimenti contrastanti nei confronti di questa lunga e combattiva lotta. Vogliamo esprimere il nostro punto di vista proprio sui sentimenti espressi e sulla loro natura nel tentativo di spingere più in profondità le riflessioni dei nostri lettori circa l’approccio ed il significato da dare alla lotta della classe operaia.
(...) Sono rimasta entusiasmata dalla buona accoglienza che abbiamo ricevuto nell'ambito della lotta contro la riforma delle pensioni.
Ho constatato io stessa che le persone erano contente di lottare, di ritrovarsi in strada, di stare insieme.
Ammetto di essere stata delusa all'ultima manifestazione nel vedere che il movimento non andava oltre, che si stava sfilacciando, che c'erano sempre meno persone in piazza; sono stata delusa nel vedere che il movimento non ha avuto la forza di chiedere assemblee generali aperte a tutti come nel 2006, durante le lotte contro il CPE (Contratto di primo impiego).
Ciò di cui forse non tengo abbastanza conto è la natura della coscienza della classe operaia: una coscienza concreta, che si esprime in azioni. (...)
Se tuttavia gli assembramenti non hanno portato ad appelli alle AG (Assemblee generali) aperte a tutti, come nel 2006, ciò non significa che dovremmo arrenderci. Inoltre, a questo proposito, vediamo come i vari sindacati e altri "rappresentanti" degli studenti abbiano recuperato questo movimento per far credere in seguito, che l’avevano iniziato loro. (...)
Aspetto che ci siano di nuovo migliaia di persone per strada, contente di essere là, di ritrovarsi a combattere sul loro terreno. So che la borghesia sta affilando le armi contro le minoranze rivoluzionarie, so che dobbiamo tenere presente come funziona la coscienza di classe; la riforma delle pensioni può essere approvata mediante l'applicazione dell'articolo 49.3 e ciò significherebbe un indebolimento per l'attuale governo, ma non porterebbe a un rafforzamento della classe operaia.
Il prossimo passo che la classe operaia può compiere è quello di prendere l'iniziativa per organizzare la sua lotta, in opposizione alle direttive sindacali.
Fraternamente, L., 26 febbraio 2020
È naturale che qualsiasi proletario sinceramente legato alla lotta della nostra classe provi un certo entusiasmo quando la classe operaia rialza la testa con dignità per portare avanti la sua lotta, come è avvenuto recentemente nelle manifestazioni contro la "riforma" delle pensioni e come espresso dalla lettera della nostra lettrice. E ciò perché è da un decennio che non vedevamo espressioni di spirito combattivo e solidarietà come queste. Questo sentimento legittimo è stato ampiamente condiviso all'interno dei cortei dall'insieme dei manifestanti.
Tuttavia, quando un movimento è in fase di riflusso, la situazione diventa più difficile da capire. Esiste quindi il rischio di arrendersi lungo la strada e di perdere lo spirito combattivo o, al contrario, in reazione, di voler combattere a tutti i costi con il pericolo di ritrovarsi imbarcati in percorsi senza uscita, in avventure minoritarie e oltranziste. Questi due simmetrici vicoli ciechi portano effettivamente all'isolamento e alla stessa sensazione di frustrazione.
È questo che ha mostrato la recente lotta, così come molti altri movimenti precedenti: mentre i manifestanti diminuivano di settimana in settimana, i sindacati cercavano di spingere quelli ancora in lotta ad "azioni" completamente sterili (blocco, affissione di manifesti negli uffici dei deputati, ecc.). Il prolungamento della lotta in alcuni settori isolati non è stato un vantaggio ma ha rappresentato piuttosto, nonostante il coraggio e la volontà esemplare di combattere, un pericolo che rischiava di sfiancare e disgustare i lavoratori più coinvolti, coloro che hanno la sensazione di avere "pagato il costo più elevato", come i lavoratori delle ferrovie o della RATP (trasporto pubblico).
Il fatto di "tenere" a tutti i costi si è quindi rivelato essere solo un vicolo cieco di fronte alla necessità diripiegare trovando i mezzi per perseguire la lotta in modo diverso e in modo più appropriato. Il ricorso ai "comitati di lotta", ad esempio, come strumenti per riunire i lavoratori più combattivi è una delle soluzioni adatte, come sperimentata dal proletariato negli anni '80. Tali organi permettono di approfondire ed allargare la riflessione e trarre le lezioni essenziali dalla sconfitta per preparare al meglio le condizioni politiche e pratiche per le inevitabili future lotte, inevitabili visto gli attacchi che il capitalismo in crisi continuerà a fare piovere.
Tutto ciò richiede un approccio, una preoccupazione in grado di inscriversi in un percorso a lungo termine. Questa lettera evidenzia, al contrario, una tendenza (che non è specifica della compagna) a partire dai fatti immediati, a comprendere la realtà secondo una visione fenomenologica, fotografica e frammentata, giustapponendo la situazione del 2006 a quella di oggi, senza vedere la realtà di un processo e quella dei cambiamenti che sono avvenuti da allora. La lotta di classe e la coscienza non si esprimono in modo puramente cumulativo o secondo uno schema prestabilito e riproducibile tal quale nella situazione attuale, come ad esempio quello della lotta contro il CPE del 2006. Dobbiamo sempre tenere conto delle dinamiche del movimento reale della lotta di classe, vedere che questa dinamica emana innanzitutto da un processo storico che va oltre non solo gli individui in lotta e le loro stesse aspirazioni, ma anche le generazioni proletarie, come ha sottolineato Karl Marx e molti altri rivoluzionari.
Se la coscienza del proletariato è effettivamente "concreta" e se essa si esprime "nelle azioni", ciò non significa affatto che la coscienza sia un semplice prodotto o un semplice riflesso meccanico delle lotte passate o delle azioni immediate della classe operaia. Aspettarsi le stesse caratteristiche e la stessa continuità delle lotte contro il CPE del 2006, senza tener conto delle condizioni della fase di decomposizione del capitalismo e delle evoluzioni legate ai cambiamenti avvenuti nella società, è un errore.
Ovviamente, tenere conto delle leggi della storia è un esercizio difficile e complesso che richiede molta energia e rigore, anche alle organizzazioni rivoluzionarie più sperimentate. In realtà, la questione che si pone qui è proprio capire che, se esiste un processo cosciente del proletariato, questo si esprime soprattutto in modo sotterraneo e non lineare[1]. La maturazione sotterranea dipende da tutta una serie di fattori materiali, da un processo vivente che mescola esperienza concreta, vita politica e memoria storica. Pertanto, la profondità e l'azione del proletariato nella lotta immediata non possono essere l'unico criterio per valutare le dinamiche o comprendere un movimento di classe. Senza un solido quadro teorico, è impossibile cogliere correttamente la realtà di un rapporto di forza tra le classi.
Effettivamente, uno dei punti deboli del movimento contro la riforma delle pensioni è stata l'incapacità del proletariato ad assumere il controllo della sua lotta, come ad esempio durante la lotta contro il CPE attraverso Assemblee Generali sovrane, ed a confrontarsi seriamente con i sindacati estendendo il movimento, come in alcune lotte degli anni '80.
Tuttavia, la lotta dell'inverno 2019-2020 è stata in grado di esprimere una forza e un potenziale significativi. In effetti il sentimento di solidarietà, la necessità, seppur embrionale ma molto reale, di unità di fronte agli attacchi, di trovarsi "tutti insieme", tutto ciò esprime una forza nuova e essenziale per una classe sociale che avverte e rifiuta più nettamente la realtà dello sfruttamento capitalista. Questa ripresa della combattività operaia pone come minimo le prime condizioni affinché gli sfruttati inizino a sentirsi progressivamente appartenenti alla stessa classe, al fine di orientare e impegnare più profondamente la riflessione verso il futuro. In altre parole, la chiusura delle manifestazioni e il montare di un forte spirito combattivo, in un contesto di riflessione, sono state una leva formidabile per ritrovare un'identità di classe, anche se la strada è ancora lunga, incerta e tortuosa. Ciò, dopo decenni di propaganda sulla cosiddetta "scomparsa della classe operaia" e mentre pesa ancora su quest'ultima l'incapacità di riconoscersi come una forza sociale unita, con gli stessi interessi storici, mentre pesa persino la vergogna di se stessa e l'oblio del proprio passato, delle proprie esperienze di lotta. Certo, siamo solo all'inizio di questo processo che resta ancora fragile. Ma i semi sparsi germineranno se le condizioni lo consentiranno: la continuazione degli attacchi massicci legati alla crisi del sistema capitalista rimane uno stimolo per alimentare la riflessione e rafforzare la coscienza di classe all'interno del proletariato.
Coloro che combattono per la rivoluzione proletaria pongono le loro "speranze" nel futuro, su scala storica, non su un particolare movimento di lotta. Quindi, al di là dell'entusiasmo o della delusione nei confronti di questa o quella lotta, è la profonda comprensione del movimento che dobbiamo raggiungere, vedere che la caratteristica della lotta del proletariato, come classe sfruttata, è quella di avanzare passando di sconfitta in sconfitta. E’ basandosi su un tale approccio storico e sulla fiducia nel futuro che Rosa Luxemburg ha potuto scrivere, nel pieno della repressione della "Comune di Berlino" nel gennaio 1919: "le masse sono state all'altezza della situazione. Esse hanno fatto di questa "sconfitta" un anello di quella catena di sconfitte storiche, che sono l'orgoglio e la forza del socialismo internazionale. E perciò da questa “sconfitta” sboccerà la futura vittoria”[2]. In effetti, nella decadenza del capitalismo, il proletariato non può più ottenere riforme durature ed è chiaro che le sue lotte si limitano ora a difendersi da attacchi sempre più brutali e generalizzati. In questo contesto, l'unica "vittoria", l'unico "guadagno" possibile è quello dell'esperienza della lotta stessa attraverso la "sconfitta". Nei fatti, solo la rivoluzione mondiale alla fine può essere considerata una "vittoria". Finché dura il capitalismo, lo sfruttamento può solo generare sempre più sofferenza e miseria. Rifiutarsi di subire attacchi è già, in un certo senso, una prima "vittoria" che viene paradossalmente da questa "sconfitta". Bisogna essere in grado di vedere cosa significa questa per il futuro, essere in grado di vedere il potenziale di una lotta che è tanto più difficile da realizzare perché ogni espressione di lotta è una grande sfida di fronte agli ostacoli che la borghesia pone, di fronte a quelli legati al peso di ideologie estranee al proletariato e ai fenomeni legati alla fase di decomposizione. Il proletariato, in effetti, "non si sta arrendendo" e comincia ad intraprendere la strada di un futuro potenzialmente promettente.
Alla fine della sua lettera, la compagna cerca di mettere in prospettiva i passi in avanti che la classe operaia dovrà o sarà costretta a compiere. Ma sembra esprimerlo in modo un po’ come speranza , come ideale. Bisogna invece notare che “la base scientifica del socialismo infatti si appoggia notoriamente su tre risultati dello sviluppo capitalistico: innanzitutto sulla crescente anarchia dell'economia capitalista che porta inevitabilmente alla sua scomparsa; in secondo luogo, sulla progressiva socializzazione del processo produttivo che crea le condizioni positive del futuro ordine sociale; e in terzo luogo, sulla crescente organizzazione e coscienza di classe del proletariato che costituisce il fattore attivo del rivolgimento immanente”[3]. In assenza di una riflessione più ancorata a un approccio storico, si rischia di "aspettare" ancora per trovarsi inevitabilmente di fronte a nuove delusioni e, infine, allo scoraggiamento.
Naturalmente, con questa lettera, la compagna dimostra che sta cercando di lottare, di comprendere e di spingere oltre la sua riflessione. Non possiamo che incoraggiare lei e tutti i nostri lettori a continuare a proseguire in questa direzione.
RI, 3 marzo 2020
[1] Leggi, per esempio, Seule la lutte massive et unie peut faire reculer le gouvernement! [10] Révolution Internationale n°480 (gennaio-febbraio 2020
[2] Rosa Luxemburg, L'ordine regna a Berlino (1919)
[3] Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione? (1898)
Dopo la lotta contro la riforma delle pensioni in Francia e la crisi da Covid-19, la borghesia e i suoi mezzi di comunicazione sembrano “riscoprire” che esiste una classe operaia. Da un reportage all’altro, si elogia il ruolo degli infermieri, degli operatori sanitari, del personale di manutenzione, dei cassieri dei supermercati, degli addetti alle consegne, degli spazzini, ecc. Diventano tutti nuove “vedette” televisive. Dopo le enormi menzogne che seguirono il crollo dell’URSS nel 1989 con il preteso “fallimento del comunismo” e la “scomparsa della classe operaia”, diventa difficile oggi nascondere il fatto che la produzione capitalista moderna venga assicurata da un proletariato ben presente e la cui collera cresce sempre più. La classe operaia, i cui componenti sono chiamati “invisibili” dai media e che i ricchi che abitano nei quartieri altolocati ignorano, è improvvisamente balzata in primo piano, elogiata dai borghesi che vogliono trasformarla in “eroi della nazione” e farne “carne da virus” per trarre profitto!
Qui di seguito pubblichiamo degli estratti del Programma socialista o Programma di Erfurt[1] di Karl Kautsky, in cui sono riaffermate le caratteristiche proprie di questo proletariato che era considerato, fin dalla sua apparizione nel XIX secolo nella grande industria, come una classe rivoluzionaria, una “classe pericolosa”. Questi “eroi” sono in realtà i “seppellitori” del capitalismo (secondo i termini di Marx del Manifesto Comunista). Mentre, dopo anni d’inerzia, le incessanti campagne di propaganda hanno fatto sì che il proletariato dubitasse della sua forza e della sua stessa esistenza, al punto da rigettare la propria esperienza di lotta assimilata fraudolentemente allo stalinismo, la sua collera e la sua determinazione contro la riforma delle pensioni in Francia hanno permesso di far riemergere le basi di un’identità di classe cancellata dalla memoria. Anche se la terribile situazione della pandemia e le condizioni di confinamento che ne sono derivate non sono le più favorevoli per esprimere la rabbia e l’indignazione, non per questo il sentimento di solidarietà, benché deviato e sfruttato vergognosamente dalla borghesia, non rimane sempre presente come fattore attivo e determinante, caratteristica di una classe che lavora in modo associato, tra gli sfruttati. Anche se, temporaneamente, la borghesia riesce a usare la situazione a proprio favore, la maturazione e la riflessione iniziate con la dura e lunga lotta di questo inverno 2019-2020 continuano all’interno del proletariato.
Con questi estratti del testo scritto da Kautsky nel 1892, in un’epoca in cui lui era ancora un divulgatore del metodo marxista e un difensore della causa rivoluzionaria del proletariato, vogliamo contribuire a questa riflessione in corso tornando ai fondamenti politici di questa necessaria identità di classe. Anche se il testo sembra datato su alcuni aspetti sociologici, il contenuto politico resta pienamente valido oggi. Tra gli elementi fondamentali, le condizioni economiche di sfruttamento del lavoro salariato rimangono essenziali. Gli altri due elementi fondamentali riguardano la coscienza di classe e la solidarietà. La coscienza di classe non può essere confusa con l’“odio” sterile, sostenuto, ad esempio, durante il movimento dei gilet gialli, da alcuni anarchici e dai black blocs, che venerano l’azione violenta e cieca come strumento della pretesa lotta rivoluzionaria. La coscienza è, al contrario, un’espressione di razionalità e di organizzazione al centro dell’identità della classe operaia e della sua lotta. La solidarietà, da non confondere con il mutuo soccorso, ne è un corollario vitale che consente ai proletari di rafforzare anche la loro unità. Questo è in gran parte ciò che abbiamo potuto vedere durante le lotte di questo inverno[2], quando la solidarietà è servita da collante per queste lotte. Ed è anche ciò che questi estratti mostrano, con delle indicazioni valide per la nostra lotta presente e futura.
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Il moderno proletariato al lavoro è un fenomeno tutto particolare, sconosciuto nella storia precedente. [...]
Tra il sottoproletariato e il proletario operaio della produzione capitalistica sussiste innanzi tutto la differenza enorme fondamentale, che quello è un parassita, questo invece una delle radici della società e anzi una radice che si rivela sempre più non solo la più importante ma infine anche l’unica da cui la società attinge la propria forza. Il proletario operaio è nullatenente ma non accetta elemosina. Non solo non viene mantenuto dalla società ma anzi la mantiene con il suo lavoro. Agli inizi della produzione capitalistica certamente il proletario operaio si considera ancora come un povero; nel capitalista da cui è sfruttato egli vede il proprio benefattore che gli dà lavoro e con ciò anche pane, il suo datore di lavoro. Questo rapporto “patriarcale” è naturalmente assai gradito ai capitalisti. Essi ancora oggi non solo richiedono per il salario che pagano ai loro operai le prestazioni di lavoro pattuite ma anche sottomissione e gratitudine.
Ma la produzione capitalista non può sussistere a lungo ín nessun luogo senza che scompaiano questi piacevoli rapporti patriarcali degli inizi. Per quanto servili e insensibili possano anche essere gli operai, prima o poi si accorgono che sono essi che sostentano il capitalista, e non il contrario. Mentre essi rimangono poveri e se è possibile diventano ancor più poveri, il capitalista diviene sempre più ricco. E se essi chiedono più pane al fabbricante, a questo presunto patriarca, questi risponde picche. […] I proletari vivono in miseri tuguri e costruiscono palazzi per i loro sfruttatori; fanno la fame e preparano per essi dei ricchi pasti. Sgobbano fino a crollare esausti per fornire al capitalista e ai suoi famigliari i mezzi per ammazzare il tempo.
Questa è una contrapposizione assai diversa da quella tra il ricco e il “piccolo uomo”, il povero dell’epoca precapitalistica. Questo ultimo invidia il ricco, guarda a lui con ammirazione, ne fa il suo modello, il suo ideale. Vorrebbe essere al suo posto, uno sfruttatore come lui. Non gli viene in mente di eliminare questo sfruttamento. Il proletario operaio non invidia il ricco, non desidera essere al suo posto, lo odia e lo disprezza. Lo odia come uno sfruttatore e lo disprezza come un fannullone. Dapprima odia soltanto quel capitalista col quale ha direttamente a che fare, poi riconosce assai presto, che nel complesso tutti si comportano con lui allo stesso modo, e il suo personale odio iniziale si sviluppa in una ostilità cosciente contro l'intera classe capitalista.
Questa ostilità contro gli sfruttatori è uno dei primi segni distintivi del proletariato operaio. L’odio di classe non è affatto un risultato della propaganda socialista — esso si era fatto sentire già assai prima della sua azione tra la classe operaia. Tra i servitori e la servitù feudale e i garzoni artigiani un tale intenso odio di classe non è possibile. Un tale odio renderebbe loro impossibile ogni attività proficua a causa degli intimi rapporti personali dei membri di questi mestieri con i loro “padroni”. In questi mestieri vi sono abbastanza lotte dei lavoratori salariati con i dirigenti dell'impresa; ma finiscono sempre per riconciliarsi. Nel modo di produzione capitalistico gli operai, possono nutrire la ostilità più accanita contro gli imprenditori senza che ne venga disturbata la produzione, addirittura senza che questi ne siano consapevoli.
Questo odio si esprime inizialmente in modo ancora timido e isolato. Se occorre un certo tempo prima che i proletari si accorgano che il fabbricante è spinto ad assumerli da tutt'altre ragioni che dalla generosità, ci vuole ancor più tempo perché trovino il coraggio di porsi in conflitto aperto con il “padrone”.
Il sottoproletariato è vile e sottomesso perché si sente inutile ed è privato di ogni sostegno materiale. Analoghe caratteristiche sono tipiche all’inizio anche del proletariato operaio finché viene reclutato soprattutto dal sottoproletariato[3] e da strati ad esso vicini. Certamente percepisce i maltrattamenti che gli vengono inflitti ma protesta solo di nascosto. Cova il suo rancore in segreto, mentre lo sdegno di temperamenti particolarmente attivi e passionali trova sfogo in delitti segreti.
Negli strati dei lavoratori salariati di cui stiamo parlando, la coscienza della propria forza e lo spirito di resistenza si sviluppano solo quando essi raggiungono la coscienza della propria comunanza di interessi, della solidarietà, che domina tra i loro membri. Con il risveglio del senso di solidarietà incomincia la rinascita morale del proletariato, l'elevazione del proletariato operaio dalla palude del sottoproletariato.
Le condizioni di lavoro della produzione capitalistica indicano da sole ai proletari la necessità di una forte coesione, di una sottomissione dei singoli alla comunità. Mentre nell'artigianato nella sua forma classica ogni singola persona formava per sé sola un tutto, l'industria capitalistica si basa sul lavoro in comune, sulla cooperazione. Il singolo operaio non può far nulla senza i suoi compagni. Se essi affrontano il lavoro uniti e in modo pianificato, il rendimento di ogni singolo si raddoppia e si triplica. In questo modo il lavoro li rende coscienti della potenza dell'unione, in questo modo il lavoro si trasforma in una disciplina volontaria e piacevole, che costituisce la premessa di una produzione collettiva, socialista, ma costituisce anche una premessa di ogni lotta vittoriosa del proletariato contro lo sfruttamento della produzione capitalistica. In questo modo quest'ultima educa il proletariato a provocare il suo crollo ed a lavorare per la società socialista.
Forse ancor più della cooperazione, l'uguaglianza delle condizioni di lavoro contribuisce a risvegliare il senso di solidarietà nel proletariato. In una fabbrica non vi è in genere tra gli operai quasi alcuna differenza di grado, non vi è gerarchia. I posti più alti sono di regola inaccessibili ai proletari, e sempre tanto scarsi che non sono in gioco per la massa degli operai. Solo pochi possono essere corrotti con questi posti di favore. Per la grande maggioranza vigono medesime condizioni di lavoro, e il singolo non ha alcuna possibilità di migliorarle solo per se stesso; può elevare la propria situazione solo se si eleva quella dell'insieme di tutti i suoi compagni. Certamente i fabbricanti cercano di seminare discordia tra gli operai con l'introduzione artificiosa di ineguaglianze nelle condizioni di lavoro. Ma l'effetto livellatore della grande industria moderna è troppo forte perché simili espedienti — lavoro parcellizzato, premi ecc. — possano alla lunga cancellare la coscienza della solidarietà d'interessi tra gli operai. Quanto più a lungo dura la produzione capitalistica, tanto più potentemente si sviluppa la solidarietà proletaria, tanto più profondamente essa si radica nel proletariato, tanto più diviene sua caratteristica dominante.
Basta richiamare ciò che abbiamo detto prima sulla servitù per dimostrare quanto il proletariato operaio si distingua da essa su questo punto. Ma anche la servitù economica è più arretrata rispetto al proletariato della produzione capitalistica, addirittura anche i garzoni dell'artigianato.
La solidarietà dei garzoni artigiani si è arrestata ad un punto che è stato superato dalla solidarietà dei proletari. La solidarietà degli uni come degli altri non si limita ai lavoratori della stessa impresa. Come i proletari anche i garzoni artigiani sono giunti alla fine a riconoscere che i lavoratori si scontrano dappertutto con gli stessi nemici, e hanno ovunque gli stessi interessi. I garzoni artigiani formarono organizzazioni nazionali, estese all'intero ambito della nazione, già in un'epoca in cui la borghesia era ancora profondamente immischiata in piccole contese cittadine e locali. Il proletariato di oggi è completamente internazionale nel proprio sentire ed agire; nel bel mezzo delle più acerrime lotte nazionali, della più accanita preparazione militare delle classi dominanti í proletari di tutti i paesi si sono uniti.
Troviamo inizi di organizzazioni internazionali già presso i garzoni artigiani; essi si sono dimostrati in grado di superare le restrizioni nazionali. Ma non sono stati in grado di elevarsi oltre un preciso limite; il mestiere. Il cappellaio o il calderaio tedesco poteva trovare ospitalità nei suoi vagabondaggi presso colleghi in Svizzera o in Svezia; invece nella sua stessa patria era del tutto estraneo al calzolaio o al falegname del suo paese. Nell'artigianato i mestieri erano rigidamente separati. L’apprendista doveva lavorare per lunghi anni prima di diventare garzone e per tutta la sua vita rimaneva fedele alla propria arte. Il rigoglio e il potere di questa erano anche suoi propri. Se il garzone si trovava in contrasto col maestro della propria arte non lo era meno tanto con i maestri che con i garzoni delle altre arti. Nell'epoca di fioritura dell'artigianato troviamo i garzoni delle diverse arti invischiati in dure lotte ed inimicizie.
La produzione capitalistica invece mescola tra loro i diversi mestieri. In un'impresa capitalistica in genere operai di diversi mestieri lavorano l'uno accanto ed insieme all'altro per raggiungere uno scopo comune. D'altra parte la produzione capitalistica ha la tendenza ad eliminare del tutto il concetto di mestiere dalla produzione. La macchina riduce il tempo di apprendistato dell'operaio, una volta assai lungo, ad un tirocinio di poche settimane, spesso di giorni. Rende possibile al singolo operaio di passare senza grandi difficoltà da una lavorazione all'altra, spesso ve lo costringe rendendo inutile la sua attività precedente, gettandolo così sul lastrico e costringendolo a cercare un'altra attività. La libertà di scelta del lavoro, che i filistei temono di perdere nello “Stato del futuro”, ha già oggi perso ogni significato per l’operaio.
In queste condizioni gli è facile superare il limite dinnanzi a cui si sono arrestati i garzoni artigiani. Il senso di solidarietà del moderno proletario è non solo internazionale ma si estende all'intera classe operaia.
Già nell'antichità e nel medioevo erano presenti diverse forme di lavoro salariato. Anche le lotte tra gli operai salariati e i loro sfruttatori non sono nulla di nuovo. Ma solo con il predominio della grande industria capitalistica vediamo sorgere una classe omogenea di operai salariati, che non solo sono pienamente coscienti della comunanza dei loro interessi ma che subordinano non solo i loro interessi personali ma anche quelli locali — e fin dove ancora sussistono — i loro interessi professionali particolari al grande interesse complessivo della classe. Solo nel nostro secolo le lotte dei lavoratori salariati contro lo sfruttamento assumono il carattere di una lotta di classe. E solo con questo è possibile che tali lotte abbiano una meta più alta dell’eliminazione di abusi momentanei, che il movimento operaio diventi un movimento rivoluzionario.
Il concetto di classe operaia diviene però sempre più ampio. Qui vale in primo luogo ciò che abbiamo detto del proletariato operaio della grande industria. Ma come il capitale industriale diviene sempre più determinante per l'intero capitale, anzi per tutte le imprese economiche nell'ambito delle nazioni capitalistiche, così il pensiero e i sentimenti del proletariato che opera nella grande industria divengono sempre più determinanti per il pensiero e i sentimenti dei lavoratori salariati in generale. La coscienza della generale comunanza di interessi tocca anche i lavoratori della manifattura capitalistica e dell'artigianato e li tocca tanto più quanto più l'artigianato perde il suo carattere primitivo e si avvicina alla manifattura o decade nell'industria domestica sfruttata dal capitale.
Ad essi si uniscono man mano i lavoratori delle attività cittadine non industriali, del commercio, dei trasporti, delle attività “alberghiere e di ristoro”, come viene detto nella statistica professionale tedesca. Anche i lavoratori della campagna diventano gradualmente coscienti della comunanza di interessi con gli altri lavoratori salariati non appena la produzione capitalistica dissolve l'antica impresa agricola patriarcale e la trasforma in un'industria che produce con proletari salariati, non più con la servitù che appartiene alla famiglia dell'agricoltore. E infine il senso di solidarietà incomincia a conquistare anche i meno abbienti tra gli artigiani indipendenti e in certe condizioni a contagiare anche i contadini: così le classi lavoratrici si saldano sempre più in un’unica classe lavoratrice omogenea, animata dallo spirito del proletariato della grande industria, che aumenta di numero e d'importanza economica. Sempre più si diffonde in essa il senso della coesione cameratesca, tipico del proletariato della grande industria, della disciplina collettiva, dell’ostilità al capitale; nelle sue fila si diffonde anche quell'inesauribile desiderio di sapere tipico del proletariato, di cui abbiamo parlato alla fine del capitolo precedente.
Così dal proletariato disprezzato, maltrattato ed abbrutito sorge un nuovo potere mondiale dinanzi a cui incominciano a tremare le vecchie potenze: sorge una nuova classe con una nuova morale e una nuova filosofia, che giornalmente aumenta di numero, compattezza, insostituibilità economica, autocoscienza, perspicacia. [...]
E nella misura in cui il proletariato esercita un’influenza più considerevole sulle classi che gli sono vicine, agendo in modo più efficace sulle loro idee e sui loro sentimenti, queste tendono sempre più ad entrare nel movimento socialista. Lo scopo naturale della lotta di classe condotta dal proletariato è la produzione socialista. Questa lotta non può finire prima di raggiungere questo obiettivo. [...]
Non bisogna naturalmente attendersi che questo riconoscimento si diffonda troppo rapidamente tra di loro. E tuttavia è già iniziata la diserzione di contadini e di piccoli borghesi dalle fila dei partiti borghesi, una diserzione di tipo assai particolare, perché sono proprio i più attivi. I più combattivi, i primi ad abbandonare il campo, non per sfuggire alla mischia, ma per sfuggire alla meschina lotta per una esistenza miserevole verso la grandiosa lotta universale per l’edificazione di nuova società, che renda partecipi tutti i propri membri delle grandi conquiste della civiltà moderna, verso la lotta per la liberazione di tutta l’umanità civile, anzi dell’umanità intera, dalla condanna di una società che minaccia di schiacciarla.
Quanto più insopportabile diviene il modo di produzione esistente, quanto più chiaramente corre incontro alla propria bancarotta, e quanto più i partiti dominanti incapaci si dimostrano di eliminare le disfunzioni sociali in pauroso aumento, quanto più inconsistenti e senza principi divengono questi partiti, e si riducono sempre più a cricche di politici con interessi personali, tanto più numerosi affluiranno alla socialdemocrazia i membri delle classi non proletarie e seguiranno a fianco del proletariato che avanza irresistibile la sua bandiera fino alla vittoria ed al trionfo.
Karl Kautsky, 1892
[1] Il Programma di Erfurt è stato pubblicato in italiano nel 1971 da Samonà e Savelli.
[2] Vedi sul nostro sito gli articoli Lotte in Francia: Governo e sindacati mano nella mano per far passare la riforma [12], https://it.internationalism.org/content/1525/lotte-francia-governo-e-sindacati-mano-nella-mano-far-passare-la-riforma [12] e Contro gli attacchi del governo, la lotta massiccia e unita di tutti gli sfruttati! Volantino della CCI in Francia [13], https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati [13].
[3] Da lumpenproletariat, letteralmente “proletariato straccione” o “sottoproletariato”, termine usato da Marx ed Engels per designare “i rifiuti umani lasciati indietro da tutte le classi sociali” e utilizzati nel corso della storia dalla borghesia per spezzare le lotte della classe operaia.
Links
[1] https://it.internationalism.org/files/it/covid_volantino_internaz.pdf
[2] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[3] https://it.internationalism.org/
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/interventi
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/3/46/decomposizione
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[7] https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia
[8] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[9] https://it.internationalism.org/content/1534/guerra-delle-mascherine-la-borghesia-e-una-classe-di-delinquenti
[10] https://fr.internationalism.org/content/10023/seule-lutte-massive-et-unie-peut-faire-reculer-gouvernement
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[12] https://it.internationalism.org/content/1525/lotte-francia-governo-e-sindacati-mano-nella-mano-far-passare-la-riforma
[13] https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati
[14] https://it.internationalism.org/en/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[15] https://it.internationalism.org/en/tag/3/43/comunismo