Da diverse settimane il numero di persone contagiate da Covid-19 è aumentato notevolmente in diverse regioni del mondo e soprattutto in Europa, che sembra essere di nuovo uno degli epicentri della pandemia. La “possibile seconda ondata” annunciata diversi mesi fa dagli epidemiologi è ormai una realtà ed è certo che sarà molto più virulenta della precedente.
Di fronte alla gravità e al rapido deterioramento della situazione, gli Stati nazionali non hanno altra soluzione che improvvisare coprifuoco o semi-confini locali o nazionali per tenere a bada la popolazione nel luogo in cui risiede … ovviamente, al di fuori dell'orario di lavoro.
In questi ultimi mesi i media di molti paesi hanno continuato a riportare i discorsi meschini e falsi delle autorità che non hanno esitato a mettere all’indice i “giovani irresponsabili ed egoisti” che si sono radunati “per organizzare feste clandestine", o vacanzieri che approfittano delle ultime belle giornate estive per bere qualcosa sulla terrazza di un caffè togliendosi le mascherine (dopo che i governi della sponda mediterranea li avevano fortemente incoraggiati al fine di “salvare il settore turistico in pericolo”!). Questa grande campagna che prende di mira quotidianamente “l'irresponsabilità dei cittadini” è solo la foglia di fico che tenta di mascherare l’eclatante incuria e la mancanza di prevenzione di cui la classe dirigente è colpevole da molti anni[1] proprio come in questi ultimi mesi dopo il relativo riflusso della “prima ondata”.
Sebbene i governi fossero pienamente consapevoli che non esisteva alcuna cura efficace, che la messa a punto di un vaccino era ben lontana e che il virus non sarebbe stato necessariamente stagionale, non è stata adottata nessuna misura per prevenire una potenziale "seconda ondata". Il numero del personale ospedaliero non ha visto alcun aumento dallo scorso marzo, così come il numero di posti letto nelle unità di terapia intensiva. Le politiche di smantellamento dei sistemi sanitari sono persino proseguite in diversi paesi. Tutti i governi hanno quindi esortato la società a tornare al "mondo di prima", celebrando il ritorno dei "giorni felici" con un solo e stesso slogan: "Dobbiamo salvare l'economia nazionale!"
Oggi, con lo stesso slogan le borghesie europee costringono gli sfruttati a chiudersi e a zittirsi nuovamente in casa, esortandoli però a recarsi sul posto di lavoro, ignorando il conseguente aumento di contatti tra le persone favorevole alla proliferazione del virus (soprattutto nelle grandi aree metropoli) e in assenza di misure sanitarie sufficienti per garantire la sicurezza sul posto di lavoro e nelle scuole!
L'incuria e l'irresponsabilità che la classe dominante ha dimostrato in questi mesi la rende ancora una volta incapace di tenere sotto controllo la pandemia. Pertanto, la stragrande maggioranza degli Stati europei tende chiaramente a perdere il controllo della situazione procurando malessere, per chi è costretto ad andare a lavorare con l’angoscia e paura di contaminarsi e di contaminare i propri cari.
Contrariamente a quanto afferma, non c'è dubbio che l'obiettivo della classe dominante non è quello di salvare vite umane ma di limitare il più possibile gli effetti catastrofici della pandemia sulla vita del capitalismo, evitando al tempo stesso di accentuare la tendenza al caos sociale.
A questo scopo il funzionamento della macchina capitalista deve essere garantito a tutti i costi. In particolare è essenziale consentire alle aziende di generare un profitto. Senza lavoratori salariati sui luoghi di produzione, nessun lavoro è possibile, quindi nessun profitto da realizzare. Un rischio che la borghesia vuole evitare a tutti i costi. La produzione, il commercio, il turismo e i servizi pubblici devono essere garantiti il più possibile; le conseguenze sulla vita di centinaia di migliaia o addirittura milioni di esseri umani non contano. La classe dominante non ha altra alternativa per garantire la sopravvivenza del proprio sistema di sfruttamento.
Qualunque cosa faccia, oramai non è più in grado di fermare l'inesorabile sprofondare del capitalismo nella sua crisi storica. Questo declino irreversibile la spinge quindi a mostrarsi così com'è, totalmente insensibile al valore della vita umana. Pronta a tutto pur di preservare il proprio dominio, compreso far morire decine di migliaia di persone, a cominciare dai pensionati, considerati “inutili” agli occhi del capitale. La pandemia mette in luce l'inconciliabile sopravvivenza di un capitalismo in decomposizione e quella dell'umanità!
Gli sfruttati quindi non hanno nulla da aspettarsi dagli Stati e dai loro governi che, qualunque sia il loro colore politico, fanno parte della classe dominante e rimangono al suo servizio. Gli sfruttati non hanno nulla da guadagnare accettando senza batter ciglio i “sacrifici” loro imposti per “salvare l'economia”.
Prima o poi, la borghesia sarà in grado di disperdere i danni sanitari causati da questo virus sviluppando un vaccino efficace. Ma le condizioni di decomposizione sociale che hanno portato a questa pandemia non scompariranno. Tenuto conto della guerra che gli Stati stanno conducendo nella loro folle "corsa al vaccino", la sua distribuzione si annuncia già altamente problematica. Alla stessa stregua dei disastri industriali o ambientali, è più che probabile che in futuro l'umanità affronterà sempre più pandemie globali, probabilmente anche più mortali.
Di fronte alla catastrofe economica aggravata dalla pandemia, l'esplosione della disoccupazione, la crescente miseria e l'aumento e delle pressioni dei ritmi lavorativi, la classe operaia non avrà altra scelta che lottare per difendere le proprie condizioni di vita. La rabbia sta già crescendo ovunque e la borghesia sta cercando di attenuarla momentaneamente promettendo a tutte le famiglie operaie che le feste di fine anno si potranno fare (anche se i grandi raduni dovranno essere limitati). Ma questa “pausa” del confinamento per le festività non cambierà nulla nella sostanza. Il 2021 non sarà migliore del 2020, con o senza vaccino. Prima o poi dovremo riprendere la lotta, una volta superato lo shock di questa pandemia.
Solo riprendendo il cammino della lotta contro gli attacchi della borghesia, del suo Stato e dei padroni, la classe operaia potrà sviluppare la sua unità e solidarietà. Solo la sua lotta di classe, rompendo la sacra unione con i suoi sfruttatori, alla fine potrà aprire una prospettiva per tutta l'umanità minacciata di scomparire sotto un marcio sistema di sfruttamento. Il caos capitalista può solo continuare a peggiorare, con sempre più disastri e nuove pandemie. Il futuro è quindi nelle mani del proletariato. Lui solo ha i mezzi per salvare il pianeta e rovesciare il capitalismo per costruire una nuova società.
Vincent, 11 novembre 2020
[1] Vedi sul nostro sito www.internationalism.org [2] i numerosi articoli pubblicati in diverse lingue che denunciano lo smantellamento del sistema sanitario a livello mondiale.
Ogni giorno – e ormai da mesi - moltissimi italiani consultano i dati dei nuovi contagiati da Coronavirus, dei morti e della tendenza del contagio, se in aumento o in decrescita. Leggere che ogni giorno si trovano 30-40 mila nuovi contagiati (tra quelli controllati) e 700-800 morti è come leggere un bollettino di guerra. Al 23 dicembre il totale dei contagiati arriva ai due milioni, con circa 70 mila morti e ancora più di 600 mila persone attualmente positive[1]. Questa malattia non è un raffreddore o una influenza, chi è contagiato e non è asintomatico soffre le pene dell'inferno. Inoltre la procedura per accedere alle terapie non è semplice, le macchine per la terapia intensiva sono insufficienti, ne servirebbero il doppio rispetto a quelle attuali (in data 27 ottobre il numero è di 6960 e prima del Covid erano 5179[2], quando in Italia esiste una delle poche aziende produttrici a livello mondiale[3]. Mancano inoltre 9 mila medici e anestesisti. E le stesse notizie non sono una prerogativa dell'Italia ma di tutto il mondo.
La pandemia frutto di un complotto?
Di fronte a questa tragica situazione, le varie borghesie, impotenti e smarrite, hanno prima cercato di minimizzare il problema riducendolo a quello di una normale influenza – vedi atteggiamenti di Trump, Johnson, Salvini, Meloni, … per poi attribuirne la responsabilità a qualcun altro, come ha fatto Trump & consociati con la Cina, dando credito all’ipotesi che il virus abbia origini artificiali e sia nato in laboratorio[4], seminando così irresponsabilmente dubbio e confusione tra la popolazione. Perché mai questa disinformazione? Perché ancora una volta la verità fa male al potere!
Già nel lontano passato, e particolarmente durante il più grave episodio di pandemia dovuto alla peste nera che, tra il 1348 e il 1351, ridusse di un terzo la popolazione di tutta l’Europa, numerosi ebrei vennero accusati di diffondere la peste e per questo giustiziati, spesso col fuoco purificatore del rogo, in Spagna, Germania, Paesi Bassi e altri ancora. Ma all’epoca, per lo meno, si poteva addurre come giustificazione di tanto orrore il fatto che nell’antichità era quasi impossibile scoprire la natura delle epidemie perché non c’era una comprensione scientifica dell’origine e della trasmissione delle pestilenze, e l’ignoranza dell’epoca poteva dare un minimo di ragionevolezza alla caccia agli untori e alla proliferazione di spiegazioni irrazionali. Ma oggi le teorie complottiste sono del tutto assurde e costituiscono non solo una falsa interpretazione del mondo, ma anche un blocco contro lo sviluppo della coscienza necessaria per cambiarlo. Ed è appunto per questo che vengono alimentate dallo stesso potere.
La pandemia colpa degli animali che ce l’hanno trasmessa?
Ma oggi, in un'epoca in cui da 50 anni l’uomo ha dimostrato che andare sulla Luna non è più solo un sogno e si progetta addirittura un viaggio su Marte, quando la robotica e l’informatica ci permettono di controllare ogni cosa e lo sviluppo della conoscenza scientifica sembra non incontrare più limiti in nessun settore, come possiamo spiegarci che l’umanità, per far fronte al Coronavirus, è dovuta ricorrere agli stessi metodi usati ai tempi della peste nera del ‘300, fermandosi per quasi un anno e che, nonostante tutto questo, non ne è venuta ancora fuori? Un’altra bufala che gira e che sembra più verosimile perché più vicina alla realtà è che è tutta colpa di questa o quella specie di animali che avrebbe trasmesso il virus all’uomo. Per cui dagli addosso all’animale di turno. Ma ancora una volta questa è una falsa verità: “Gli animali selvatici non hanno nulla a che fare con questo. Nonostante gli articoli che fotograficamente indicano la fauna selvatica come il punto di partenza di epidemie devastanti, è un malinteso che la fauna selvatica sia particolarmente infestata da agenti patogeni mortali che sono pronti a contagiarci. In realtà, la maggior parte dei loro microbi vive in loro senza far loro del male. Il problema sta altrove: con la dilagante deforestazione, l'urbanizzazione e l'industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per raggiungere il corpo umano e adattarsi. […] La distruzione degli habitat minaccia l'estinzione di molte specie […] Il risultato è una maggiore probabilità di contatto stretto e ripetuto con l'uomo, che permette ai microbi di passare nel nostro corpo, dove passano dall’essere benigni ad agenti patogeni mortali. […] Lo stesso vale per le malattie trasmesse dalle zanzare, poiché è stato stabilito un legame tra l'insorgenza di epidemie e la deforestazione […] Secondo uno studio condotto in 12 paesi, le specie di zanzare che trasportano agenti patogeni umani sono due volte più numerose nelle aree disboscate che nelle foreste intatte.”[5]
Tutte le responsabilità della borghesia
Ma c’è di più. Se siamo arrivati a tanto è ancora perché scontiamo anni di ristrutturazioni del settore sanitario, vale a dire di riduzione progressiva dei fondi per la sanità per far fronte alla crisi, con chiusura di ospedali o di interi reparti, la mancata prevenzione e assunzione di medici e personale infermieristico.
Ad esempio, sul giornale on-line quotidianosanità.it del 19 marzo 2020 si legge: “In 10 anni tagliati 200 ospedali, 45 mila letti, 10 mila medici e 11 mila infermieri. In Terapia intensiva un leggero aumento ma i posti letto sono poco più di 5.200. Tra chiusura di strutture, riduzioni di personale, privato in crescita e finanziamenti inadeguati anche negli anni '10 del nuovo millennio il Servizio sanitario ha proseguito la sua opera di dimagrimento. E proprio oggi in piena emergenza il Coronavirus ci sta presentando il conto, con il paradosso che il prezzo più alto lo stanno pagando i più fragili e gli operatori sanitari che proprio questa dieta per anni hanno denunciato”[6]. Ancora una volta tutto è avvenuto in perfetto parallelismo, anche se con intensità diversificate, con i vari paesi del mondo. Ad esempio il governo degli Stati Uniti, giusto due mesi prima dell’inizio di questa pandemia, ha deciso di tagliare i finanziamenti a Predict, un programma lanciato nel 2009 negli Stati Uniti dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) per aiutare gli scienziati in Cina e in altri Paesi a formarsi sulla minacce di nuovi virus e, all'inizio di febbraio 2020, ha annunciato l'intenzione di ridurre del 53% il suo contributo al bilancio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Quello che è però veramente nauseante è il fatto che, dopo aver fatto credere di essere stata presa di sorpresa dall’espansione del virus e dopo un primo relativo successo nel contenere la pandemia con il lockdown, la borghesia, piuttosto che tirare la lezione, ha continuato come se fosse stato definitivamente risolto un problema che invece stava ancora lì tutto intero. Ad esempio, dicevamo all’inizio che manca un numero adeguato di macchine per la terapia intensiva. Allora ci chiediamo: queste non potevano essere comprate in estate? Ciò non è stato fatto, sperando in un calo dei contagi, pur di risparmiare. Anzi si è incentivata la dismissione dei reparti a terapia intensiva per ritornare alla gestione dei tempi normali. Confidando in un calo dei contagi e non ascoltando gli esperti che ne prevedevano un forte e preoccupante ritorno in autunno, non è stato fatto nulla per evitare una ripresa vigorosa del virus durante l'estate, lasciando andare tutti dappertutto, in massa nelle località di vacanza, Spagna, Grecia, Sardegna, in massa nelle discoteche, etc.. e tutto senza controlli, quarantene. Poi, durante l’estate, c’è stata tutta una campagna governativa che ha insistito sul ritorno a scuola a tutti i costi come obiettivo prioritario perché tenere i figli a casa significa un problema per i genitori che devono produrre, ma il problema dei trasporti, ad esempio, non è stato minimamente preso in considerazione. Ecco quello che pensa il fisico Roberto Battiston, già presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana: “L’aumento dei contagiati ha iniziato dai primi di ottobre una crescita esponenziale. […] che non si è più fermata raggiungendo in tre settimane valori molto più alti della prima ondata, superando oggi i 19.000 nuovi casi di contagi al giorno e portando alla saturazione delle terapie intensive. […] Per cambiare da un giorno all’altro l’andamento dell’epidemia è necessario un evento che abbia improvvisamente mutato i comportamenti sociali di milioni di persone. Un evento che sia accaduto circa una settimana prima del primo ottobre, un evento che abbia coinvolto tutta l’Italia. […] di fatto la scuola è ripartita a pieno ritmo intorno al 24 settembre mettendo improvvisamente in movimento quasi otto milioni di studenti: esattamente quello che serve per spiegare i dati. […] Nella settimana seguente la situazione cambia drasticamente: il ritmo di crescita degli infetti tra gli studenti è 2,65 volte (+265%) più alto che per il resto della popolazione, quello del personale docente è esattamente il doppio (+200%), quello del personale non docente è 1,67 volte (+167%) più alto del resto della popolazione italiana!”[7]
La storia del piano pandemico nazionale
Per chiudere sul tema non possiamo non riportare la ridicola e sconcertante storia del piano pandemico nazionale, cioè delle linee guida che avrebbero dovuto suggerire tutte le misure da prendere in caso di pandemia ma che, come si è poi scoperto, è rimasto inalterato dal lontano 2006 laddove, con l’evoluzione delle malattie infettive nel mondo, per definizione dovrebbe essere aggiornato ogni anno[8]. Il servizio di Report RAI 3, La consapevole foglia di fico [4] del 30 novembre scorso riporta ancora che un rapporto redatto da un team veneziano dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), è letteralmente scomparso pochi giorni dopo dal sito dell’ente che l’aveva pubblicato, quello dell’OMS Europa[9]. Tale rapporto faceva riferimento non solo al mancato aggiornamento del piano, ma anche ad uno scomodo articolo[10] di Filippo Curtale, Direttore UOC Rapporti internazionali, INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà), in cui si ricorda che già “nel 2005 la minaccia mortale di una pandemia era un argomento che occupava le copertine della stampa internazionale. La cover story di TIME, del 17 ottobre 2005, riportava l’allarme degli esperti di sanità sulla pandemia (di influenza aviaria) che stava arrivando, e che avrebbe ucciso milioni di persone, devastato l’economia mondiale e causato la chiusura (shut down) di tutto il mondo industrializzato e non.” Non sembra strano dunque che la mail di censura di questo rapporto, attribuita a Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’OMS, si rivolga al team veneziano ingiungendo di “correggere subito nel testo” alterando la data da 2006 a 2016 al piano pandemico e aggiungendo “Non fatemi casino su questo. Ed eliminate il riferimento a quello scemo di Curtale. Stasera andiamo sui denti di Report e non possiamo essere suicidi. Ti avevo pregato di farmi rileggere il draft prima della stampa … accidenti… Adesso blocco tutto con Soumya. Fammi avere la versione rivista appena puoi. Così non può uscire.”
Che lezioni possiamo trarre?
Oggi, a fine anno 2020, la borghesia italiana e mondiale si trova completamente impreparata a fare alcunché e cerca disperatamente di riparare promettendo la salvezza dell’umanità con i vaccini appena preparati. Vaccini preparati in qualche mese laddove sono di norma richiesti anni di studio e di sperimentazione. Cosa ne verrà fuori? Per il momento possiamo solo sperare che questa macrosperimentazione sulla pelle dell’umanità non procuri troppi danni.
In realtà questa pandemia, con il carico di morti e le tragiche conseguenze sull’economia e sulle condizioni di vita di miliardi di persone, esprime un elemento di aggravamento dell’agonia del capitalismo, quella che abbiamo definito di decomposizione. Il capitalismo è incapace di gestire la società e questo lo si vede dappertutto, vedi le lacerazioni all'interno degli Stati Uniti tra Trump e Biden e all'interno dei loro stessi partiti; vedi in Italia i conflitti tra stato e regioni, tra regioni e comuni!! Vedi gli scontri verbali tra Sala, sindaco di Milano, e Fontana, presidente della Lombardia, e in Campania tra De Magistris e De Luca. Lo stesso governo non è immune da forti contrasti tra i partiti che lo compongono, all’interno dei quali esistono peraltro anime contrapposte. Ciò che dicono oggi può essere stravolto l'indomani. Non esiste un programma unificante, l'improvvisazione è di casa e questo in piena catastrofe sociale! Gli stessi partiti di opposizione ne pensano una e ne dicono un'altra, presi dalla preoccupazione non della salute pubblica ma di guadagnare simpatie attaccando il governo Come fa d’altra parte la stessa Italia Viva di Renzi che richiede una verifica di governo sul Mes e sulla Task force in piena pandemia!
In tutto questo quelli che pagano il conto sono i lavoratori, e particolarmente quelli che per il tipo di lavoro svolto non sono potuti ricorrere allo smartworking, come quelli del settore sanità, obbligati a lavorare senza protezioni individuali, in quanto anche reperire mascherine e disinfettanti era arduo! Inoltre il sopraggiungere dell'emergenza sanitaria e le misure restrittive introdotte nel periodo del lockdown hanno provocato forti perturbazioni nel mercato del lavoro: “il massacro di posti di lavoro dei giovani precari e autonomi: con il Covid persi 841 mila occupati, la metà ha meno di 35 anni. Gli occupati sotto i 35 anni sono calati dell’8% nei primi sei mesi del 2020. A pagare sono stati i lavoratori con un contratto a termine e gli autonomi, non tutelati dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione. Nel dettaglio, i contratti a termine sono diminuiti di 677 mila unità, mentre le partite Iva sono calate di 219 mila unità”[11].
La chiusura di esercizi commerciali, ristoranti, alberghi, negozi vari, palestre e quant'altro ha prodotto una improvvisa marea di disoccupati ufficiali anche in questo settore, ma ci sono anche centinaia di migliaia di lavoratori in nero che non esistono per lo Stato. Questi lavoratori, e soprattutto gli immigrati che non sono regolarizzati, perdendo il lavoro, non hanno diritto ad alcun ristoro, nei fatti non esistono. E non esistendo, è anche difficile far sentire la propria voce in un periodo in cui la classe operaia ha una crisi di identità e fa fatica a battersi.
Se a tutto questo aggiungiamo che “quella di Covid-19 non sarà l'ultima pandemia”[12] possiamo capire che, al di là dello sfruttamento sempre più intenso della manodopera dei lavoratori, quando si riesce a essere sfruttati, questa società non riesce a garantire neanche più la stessa sopravvivenza della specie umana. La realtà è che la società capitalista non ha nulla più da offrire se non guerre, miseria e pandemie; è incapace di dare una risposta globale alle necessità dell’umanità, non ha alcun futuro! E questo quando nella stessa società esistono risorse tecnologiche e capacità umane che potrebbero risolvere in poco tempo tutti i maggiori problemi di cui soffre oggi l’umanità. Questa contraddizione tra le enormi capacità produttive, di sviluppo scientifico e organizzative acquisite dall’umanità e l’incapacità crescente da parte dei detentori del potere a gestirle è il punto critico su cui si deve innestare l’azione del proletariato, la classe che ha nelle mani le chiavi della futura società.
Oblomov & Ezechiele 27 dicembre 2020
[4] Vedi i commenti sul cosiddetto “Yan Report”, uno studio realizzato da una virologa cinese Li-Meng Yan e reso pubblico il 14 settembre 2020 su: Li-Meng Yan: “Covid-19 creato in laboratorio?” [8] e Coronavirus. Il Sars-Cov-2 creato in laboratorio? [9]
[5] Sonia Shah, Contre les pandémies, l’écologie [10], Le Monde diplomatique, marzo 2020.
[7] Scuola e covid [12].
[8] In verità, se andiamo a leggere l’elenco dei piani pandemici pubblicati nel sito dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), l’Italia è in buona compagnia visto che pochi paesi, come la Germania e la Svezia hanno aggiornato i loro documenti al 2015 e 2016 mentre gli altri riportano date anche precedenti al 2006. Vedi Il servizio di Report e il Pdf del Piano pandemico mai aggiornato dal 2006 [13].
[10] "C’era una volta il piano pandemico".
Gli Stati Uniti, il paese più potente del pianeta, sono diventati la vetrina della decomposizione progressiva dell'ordine mondiale capitalista. La corsa alle elezioni presidenziali ha gettato una luce sinistra su un paese dilaniato da divisioni razziali, da conflitti sempre più brutali all'interno della classe dirigente, da una scioccante incapacità di affrontare la pandemia Covid-19 che ha causato quasi un quarto di milione di morti, dall'impatto devastante della crisi economica ed ecologica, dalla diffusione di ideologie irrazionali e apocalittiche. Eppure queste ideologie, paradossalmente, riflettono una verità di fondo: che stiamo vivendo gli “ultimi giorni” di un sistema capitalista che pure regna su tutto il paese.
Ma anche in questa fase finale del suo declino storico, mentre la classe dominante dimostra sempre più la sua perdita di controllo sul proprio sistema, il capitalismo sa ancora ritorcere il suo marciume contro il suo vero nemico, contro la classe operaia e il pericolo che essa rappresenta nel momento in cui diventa cosciente dei suoi veri interessi. L'affluenza record in queste elezioni, le proteste così come i festeggiamenti chiassosi di entrambi i campi rappresentano un potente rafforzamento dell'illusione democratica, della falsa idea che cambiare un presidente o un governo possa fermare lo scivolamento del capitalismo nell'abisso, che il voto possa permette al “popolo” di prendere nelle proprie mani il suo destino.
Oggi questa ideologia è alimentata dalla convinzione che Joe Biden e Kamala Harris “salveranno” la democrazia americana dal bullismo e dal gioco sporco autoritario di Trump, che guariranno le ferite della nazione, che restaureranno la razionalità e l'affidabilità nel rapporto degli Stati Uniti con le altre potenze mondiali. E queste idee trovano eco in una gigantesca campagna internazionale che saluta il rinnovamento della democrazia e il rinculo dell’assalto populista contro i valori liberali.
Ma noi proletari dobbiamo stare allerta: se Trump e il suo "America First" si sono schierati apertamente per inasprire il conflitto economico e persino militare con altri Stati capitalisti -la Cina in particolare- anche Biden e Harris perseguiranno la politica di dominio imperialista dell’America, forse con metodi e retorica leggermente diversi. Se Trump era favorevole ai tagli delle tasse per i ricchi e il suo regno si è concluso con un enorme aumento della disoccupazione, un'amministrazione Biden, di fronte a una crisi economica mondiale che la pandemia ha severamente aggravato, non avrà altra scelta che far pagare la crisi alla classe sfruttata attraverso crescenti attacchi alle sue condizioni di vita e di lavoro. Se i lavoratori immigrati e “illegali” pensano che saranno più al sicuro sotto un'amministrazione Biden, ricordino che sotto il presidente Obama e il vicepresidente Biden milioni di lavoratori “illegali” sono stati espulsi dagli Stati Uniti.
Senza dubbio gran parte dell'attuale sostegno a Biden arriva in reazione ai veri orrori del Trumpismo: le bugie sfacciate, i messaggi razzisti subliminali, la dura repressione delle proteste, la totale irresponsabilità di fronte al Covid-19 e al cambiamento climatico. Non c'è dubbio che Trump sia un chiaro riflesso di un sistema sociale in putrefazione. Ma Trump pretende anche di parlare in nome del “popolo”, di agire come un outsider in contrapposizione alle “élite” incomprensibili. E anche quando mina apertamente le "regole" della democrazia capitalista, rafforza ulteriormente la contro-argomentazione che dovremmo, più che mai, schierarci in difesa di queste "regole". In questo senso, Biden e Trump sono le due facce della stessa medaglia, quella della truffa democratica.
Ciò non significa che questi due rivali lavoreranno insieme pacificamente. Anche se Trump viene rimosso dalla carica di presidente, il trumpismo non scomparirà. Trump ha normalizzato le milizie armate di estrema destra che marciano per le strade e ha portato sette cospirazioniste come QAnon nella corrente ideologica. In reazione, tutto questo ha alimentato la crescita di squadre antifasciste e di milizie pro-black power pronte ad opporsi armi alla mano ai sostenitori della supremazia dei bianchi. E dietro a tutto ciò, l'intera classe borghese e la sua macchina statale sono lacerate da interessi contrastanti di politica economica ed estera che non possono essere eliminati dai discorsi di “guarigione” di Biden. E’ molto probabile che questi conflitti diventino più intensi e più violenti nel periodo a venire.
La classe operaia non ha alcun interesse ad essere coinvolta in questo tipo di "guerra civile", a dare la sua energia e perfino il suo sangue alla battaglia tra fazioni populiste e anti-populiste della borghesia.
Queste due fazioni non esitano a propagandare una visione tronca della "classe operaia". Trump si presenta come il paladino dei caschi blu i cui posti di lavoro sono stati messi in pericolo o distrutti dalla concorrenza straniera “sleale”. Anche i Democratici, in particolare figure di sinistra come Sanders o Ocasio-Ortez, affermano di parlare a nome degli sfruttati e degli oppressi.
Ma la classe operaia ha i suoi interessi che non coincidono con nessuno dei partiti della borghesia, repubblicano o democratico che sia. Né coincidono con gli interessi de “l’America”, del “popolo”, o della “nazione” questo luogo mitico dove sfruttati e sfruttatori vivono in armonia (anche se in spietata competizione con altre nazioni). I lavoratori non hanno nazione. Fanno parte di una classe internazionale che in tutti i paesi è sfruttata dal capitale e oppressa dai suoi governi, compresi quelli che osano definirsi socialisti, come la Cina o Cuba solo perché hanno nazionalizzato il rapporto tra il capitale e i loro schiavi salariati. Questa forma di capitalismo di Stato è l'opzione preferita dell'ala sinistra del Partito Democratico, nella quale tuttavia, come ha detto Engels, "gli operai restano dei salariati, dei proletari. Il rapporto capitalista non è soppresso, ma al contrario portato al suo culmine”[1].
Il vero socialismo è una comunità umana mondiale in cui sono state abolite le classi, la schiavitù salariale e lo Stato. Sarà la prima società nella storia in cui gli esseri umani avranno un reale controllo sul prodotto attraverso le loro mani e le loro menti. Ma per fare il primo passo verso una tale società è necessario che la classe operaia si riconosca come una classe contrapposta al capitale. Una tale consapevolezza può svilupparsi solo se i lavoratori combattono con le unghie e con i denti per difendere le proprie condizioni di vita contro gli sforzi della borghesia e del suo Stato di abbassare i salari, tagliare i posti di lavoro e allungare la giornata lavorativa. E non c’è dubbio che la depressione globale che si sta delineando sulla scia della pandemia renderà tali attacchi il programma inevitabile di tutte le parti della classe capitalista. Di fronte a questi attacchi, i lavoratori dovranno entrare massicciamente in lotta per la difesa del loro tenore di vita. Non può esserci spazio per l'illusione: Biden, come ogni altro governante capitalista, non esiterà a ordinare una brutale repressione della classe operaia se questa minaccerà il loro ordine.
La lotta dei lavoratori per le proprie rivendicazioni di classe è una necessità non solo per contrastare gli attacchi economici lanciati dalla borghesia, ma soprattutto come base per superare le proprie illusioni in questo o quel partito o leader borghese, e per sviluppare la propria prospettiva, la propria alternativa a questa società in declino.
Nel corso delle sue lotte, la classe operaia sarà obbligata a sviluppare le proprie forme di organizzazione attraverso assemblee generali e comitati di sciopero eletti e revocabili, forme embrionali dei consigli operai che, in passati momenti rivoluzionari, si sono rivelati esseri gli strumenti attraverso i quali la classe operaia può prendere il potere nelle proprie mani e iniziare la costruzione di una nuova società. In questo processo, un autentico partito politico proletario avrà un ruolo vitale da svolgere: non nel chiedere ai lavoratori di portarlo al potere, ma nel difendere i principi proletari ereditati dalle lotte del passato e nell'indicare la via verso il futuro rivoluzionario. Come dice l’Internazionale[2] “Non ci sono supremi salvatori. Né Dio, né Cesare, né tribuno”. Nessun Trump, nessun Biden, niente falsi messia: la classe operaia può emanciparsi solo contando su sé stessa e, così facendo, liberare tutta l'umanità dalle catene del capitale.
Amos
Lo scopo di questa polemica è provocare un dibattito all'interno dell'ambiente politico proletario. Ci auguriamo che le critiche che rivolgiamo agli altri gruppi porteranno a delle risposte, perché la Sinistra comunista può essere rafforzata solo da un confronto aperto delle nostre divergenze.
Di fronte a grandi sconvolgimenti sociali, il primo dovere dei comunisti è quello di difendere i propri principi con la massima chiarezza, offrendo agli operai i mezzi per capire dove risiedono i loro interessi di classe. I gruppi della Sinistra Comunista si sono distinti soprattutto per la loro lealtà all'internazionalismo durante le guerre tra cricche, alleanze e Stati borghesi. Nonostante differenze di analisi sul periodo storico in cui viviamo, i gruppi esistenti della Sinistra Comunista - la CCI, la TCI (Tendenza Comunista Internazionalista), le differenti organizzazioni bordighiste - sono state generalmente in grado di denunciare tutte le guerre tra Stati come imperialiste e invitare la classe operaia a rifiutare ogni sostegno ai suoi protagonisti. Questo li distingue molto chiaramente dagli pseudo-rivoluzionari come i trotskisti, che invariabilmente applicano una versione totalmente falsificata del marxismo per giustificare il sostegno a questa o quella fazione borghese.
Il compito di difendere gli interessi della classe proletaria si pone naturalmente anche durante lo scoppio di grandi conflitti sociali - non solo per movimenti che sono chiaramente espressioni della lotta proletaria, ma anche per importanti mobilitazioni che coinvolgono grandi numeri di persone che manifestano per strada e che spesso si oppongono alle forze di sicurezza borghesi. In quest'ultimo caso, la presenza di operai in tali movimenti, e anche di rivendicazioni legate ai bisogni della classe operaia, può rendere molto difficile una lucida analisi della loro natura di classe. Tutti questi elementi erano presenti, ad esempio, durante il movimento dei "gilet gialli" in Francia, e alcuni (come il gruppo Guerra di Classe) hanno concluso che si trattava di una nuova forma di lotta di classe proletaria[1]. D'altra parte, molti gruppi della Sinistra Comunista hanno potuto constatare che si trattava di un movimento interclassista, in cui i lavoratori partecipavano principalmente come individui dietro gli slogan della piccola borghesia e persino dietro rivendicazioni e simboli apertamente borghesi (democrazia cittadina, bandiera tricolore, razzismo anti-immigrati, ecc.)[2]. Ma ciò non significa che le loro analisi siano prive di notevoli punti di confusione. La volontà di vedere, nonostante tutto, qualche potenziale della classe operaia in un movimento che era chiaramente iniziato e poi proseguito su un terreno reazionario si poteva ancora scorgere in alcuni gruppi, come vedremo più avanti.
Le manifestazioni del Black Lives Matter (BLM) (Le vite dei neri contano) rappresentano una sfida ancora più grande per i gruppi rivoluzionari: è innegabile che esse siano nate da un'autentica ondata di rabbia di fronte ad un'espressione particolarmente disgustosa della brutalità e del razzismo poliziesco. Inoltre, la rabbia non si limitava alla popolazione nera ed è andata ben oltre i confini degli Stati Uniti. Ma gli scoppi di rabbia, l'indignazione e l'opposizione al razzismo non portano automaticamente alla lotta di classe. In assenza di una vera alternativa proletaria, possono essere facilmente strumentalizzate dalla borghesia e dal suo Stato. A nostro avviso, è ciò che è capitato con le attuali proteste del BLM. I comunisti si trovano quindi di fronte alla necessità di mostrare esattamente come un'intera panoplia di forze borghesi - dal BLM sul campo al Partito Democratico negli Stati Uniti, a certi rami dell'industria, ai capi militari e anche alla polizia - è stata presente fin dal primo giorno per farsi carico della rabbia legittima e usarla per i propri interessi.
Come hanno quindi reagito i comunisti? Non tratteremo qui di quegli anarchici che pensano che i meschini atti di vandalismo dei Black Blocs in tali proteste siano un'espressione della violenza di classe, né di quei "comunizzatori" che pensano che il saccheggio sia una forma di "esproprio proletario", o un colpo assestato alla forma mercantile. Possiamo tornare su questi argomenti in articoli futuri. Ci limiteremo alle dichiarazioni rese dai gruppi della Sinistra Comunista sulla scia dei primi disordini e manifestazioni che hanno fatto seguito all'assassinio di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis.
Tre di questi gruppi appartengono alla corrente bordighista e ciascuno ha il nome di "Partito Comunista Internazionale". Li differenzieremo quindi grazie alle loro pubblicazioni: Il comunista/Le Prolétaire; Il Partito Comunista; Il Programma Comunista/Cahiers Internationalistes. Il quarto gruppo è la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI).
Tutte le posizioni espresse da questi gruppi contengono elementi con i quali possiamo essere d'accordo: ad esempio, la denuncia senza compromessi della violenza della polizia, il riconoscimento che tale violenza, come il razzismo in generale, è il prodotto del capitalismo e che può scomparire solo attraverso la distruzione di questo modo di produzione. La posizione di Le Prolétaire è molto chiara su questo argomento:
“Per eliminare il razzismo, che ha le sue radici nella struttura economica e sociale della società borghese, è necessario eliminare il modo di produzione su cui si sviluppa, a partire non dalla cultura e dalla 'coscienza', che sono solo riflessi della struttura economica e sociale capitalista, ma dalla lotta di classe proletaria in cui l'elemento decisivo è costituito dalla condizione comune dei salariati, qualunque sia il loro colore della pelle, razza o paese di origine. L'unico modo per superare ogni forma di razzismo è combattere contro la classe dirigente borghese, qualunque sia il suo colore della pelle, razza o paese di origine, perché essa è la beneficiaria di tutte le oppressioni, di tutti i razzismi, di tutte le forme di schiavitù"[3].
Gli slogan de Il Partito sono sulla stessa linea: "Operai! La vostra sola difesa è nell'organizzazione e nella lotta come classe. La risposta al razzismo è la rivoluzione comunista!"[4].
Tuttavia, quando si arriva alla domanda più difficile per i rivoluzionari, tutti questi gruppi commettono, chi più chi meno, lo stesso errore fondamentale: per loro, le rivolte che hanno seguito le uccisioni e le proteste del Black Lives Matter fanno parte del movimento della classe operaia. Cahiers Internationalistes (Quaderni internazionalisti) scrive:
“Oggi i proletari americani sono costretti a rispondere con la forza agli abusi dei poliziotti, e fanno bene a rispondere colpo su colpo agli attacchi, così come fanno bene a rispondere alla marmaglia del “suprematismo bianco”, dimostrando nella pratica della difesa comune che il proletariato è una classe: chi tocca un proletario, li tocca tutti"[5].
Il Partito:
“La gravità dei crimini commessi dai rappresentanti dello Stato borghese nelle ultime settimane e la vigorosa reazione del proletariato a questi crimini richiedono certamente la ricerca di confronti storici. Vengono subito alla mente le proteste e le rivolte che seguirono l'assassinio di Martin Luther King Jr. nel 1968, così come quelle che seguirono l'assoluzione degli agenti di polizia che picchiarono Rodney King nel 1992".
La TCI:
“Gli eventi di Minneapolis sono un’emergenza dello stesso problema storico e sistemico. Oltre a soffrire di un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello dei suoi coetanei bianchi (dato consistente dagli anni Cinquanta), il proletariato nero rimane sproporzionatamente colpito dalla violenza della polizia, senza alcun segno reale di un freno al numero delle vittime. Nonostante tutto, la classe operaia ha dimostrato ancora una volta di essere combattiva in questi tempi difficili. Le operaie e gli operai neri negli Stati Uniti, e il resto del proletariato solidale con loro, sono scesi in piazza e hanno resistito alla repressione statale. Niente è cambiato. Nel 1965 come nel 2020, la polizia uccide e la classe operaia risponde sfidando il famigerato ordine sociale per il quale essa viene assassinata. La lotta continua"[6].
Naturalmente, tutti i gruppi aggiungono che il movimento "non va abbastanza lontano":
Cahiers Internationalistes:
“Ma queste ribellioni (che i media, organi di espressione della borghesia, persistono a ridurre come 'proteste contro il razzismo e le disuguaglianze', condannando così ogni forma che vada al di là delle lamentele e dei gemiti dei poveri diavoli) deve permettere ai proletari di tutto il mondo di ricordare che il nodo da tagliare è quello del potere: non basta ribellarsi, incendiare le stazioni di polizia, riprendere le merci dai negozi e il denaro dai banchi dei pegni".
Il Partito :
“L'attuale movimento antirazzista sta commettendo un grave errore nel prendere le distanze dalla base di classe quando si tratta di razzismo, perseguendo la sua azione politica esclusivamente su linee razziali nella speranza di fare appello allo Stato borghese. È lungi dall'aver riconosciuto apertamente il ruolo delle forze dell'ordine e dell'esercito nel mantenimento dello Stato capitalista e nel dominio politico della borghesia. Per le persone di colore, e per il proletariato nel suo insieme, la soluzione sta nella conquista del potere politico lontano dallo Stato, e non nell'appello ad esso".
La TCI:
“Sebbene siamo entusiasti nel vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di rivolte tendono a svanire dopo una settimana, seguite da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture oppressive".
Criticare un movimento perché non va abbastanza lontano ha senso solo se va prima nella giusta direzione. In altre parole, questo si applica ai movimenti che si trovano sul terreno di classe. Dal nostro punto di vista, non sono state tali le manifestazioni che si sono avute per l'assassinio di George Floyd.
Non c'è dubbio che molti partecipanti alle manifestazioni, neri, bianchi o "altri", erano e sono operai. Così come non c'è dubbio che fossero, e giustamente, indignati per il feroce razzismo dei poliziotti. Ma questo non basta a conferire un carattere proletario a queste manifestazioni.
Questa osservazione è valida sia che le manifestazioni hanno assunto la forma di sommosse o di marce per la pace. La sommossa non è un metodo di lotta proletaria, che richiede necessariamente una forma organizzata e collettiva. Una sommossa - e soprattutto il saccheggio - è una risposta disorganizzata di una massa di individui distinti, pura espressione di rabbia e disperazione che espone non solo i saccheggiatori stessi, ma anche tutti coloro che partecipano alle manifestazioni di strada all'aumento della repressione da parte delle forze di polizia, militarizzate e molto più organizzate di loro.
Molti manifestanti hanno constatato l'inutilità delle sommosse, spesso provocate deliberatamente da brutali assalti della polizia dando inoltre libero sfogo a ulteriori provocazioni da parte di elementi loschi mischiati nella folla. Ma l'alternativa sostenuta dal BLM, immediatamente ripresa dai media e dall'apparato politico esistente, in particolare il Partito Democratico, era l'organizzazione di marce pacifiche con vaghe richieste di "giustizia" e "uguaglianza", oppure quelle più specifiche come “smettete di finanziare la polizia”. Tutte richieste politiche borghesi.
Certo, un vero movimento proletario può contenere ogni tipo di rivendicazioni confuse, ma è soprattutto motivato dalla necessità di difendere gli interessi materiali della classe ed è quindi più spesso concentrato - inizialmente - su rivendicazioni economiche volte ad attenuare l'impatto dello sfruttamento capitalista. Come Rosa Luxemburg ha mostrato nel suo opuscolo sullo sciopero di massa, scritto dopo le storiche lotte proletarie del 1905 in Russia, può esserci effettivamente una costante interazione tra rivendicazioni economiche e politiche, e la lotta contro la repressione della polizia può infatti far parte di quest'ultima. Ma c'è una grande differenza tra un movimento della classe operaia che esige, ad esempio, il ritiro della polizia dal luogo di lavoro o il rilascio di scioperanti incarcerati, e uno sfogo generale di rabbia che non ha alcun legame con la resistenza dei lavoratori in quanto operai e che viene subito fatto proprio dalle forze politiche di “opposizione” della classe dirigente.
Ancora più importante, il fatto che queste proteste riguardino principalmente la razza significa che non possono servire come mezzo per unificare la classe operaia. Indipendentemente dal fatto che alle proteste sin dall'inizio si siano uniti molti bianchi, inclusi operai o studenti, la maggior parte dei quali giovani, le proteste sono definite dal BLM e da altri organizzatori come un movimento di neri, che altri possono supportare se lo desiderano. Mentre una lotta della classe operaia ha un bisogno organico di superare tutte le divisioni, siano esse razziali, sessuali o nazionali, in caso contrario essa verrà sconfitta. Possiamo ancora citare esempi in cui la classe operaia si è mobilitata contro gli attacchi razzisti usando i propri metodi: in Russia nel 1905, consapevole che i pogrom contro gli ebrei venivano usati dal regime in vigore per minare il movimento rivoluzionario nel suo insieme, i soviet inviarono guardie armate per difendere i quartieri ebraici contro i pogromisti. Anche in un periodo di sconfitta e di guerra imperialista, questa esperienza non è andata perduta: nel 1941, i lavoratori portuali dell'Olanda occupata scioperarono contro la deportazione degli ebrei.
Non è un caso che le principali fazioni della classe dirigente siano state così ansiose di identificarsi con le manifestazioni del BLM. Quando la pandemia del Covid-19 ha iniziato a colpire l'America, abbiamo assistito a molte reazioni della classe operaia di fronte all'irresponsabilità criminale della borghesia, di fronte alle sue manovre per costringere interi settori della classe ad andare a lavorare senza adeguate misure di sicurezza e protezione. Allora c’è stata una reazione mondiale della classe operaia[7]. E se è vero che, dietro le proteste scatenate dall'omicidio di George Floyd, uno dei motivi di questa rabbia è stato il numero sproporzionato di neri vittime del virus, questo è soprattutto il risultato della posizione dei neri e di altre minoranze negli strati più poveri della classe operaia - in altre parole, della loro posizione di classe nella società. L'impatto della pandemia del Covid-19 offre la possibilità di mettere in luce la centralità della questione di classe, e la borghesia si è mostrata fin troppo disposta a relegarla in secondo piano.
Di fronte allo sviluppo di un movimento della classe operaia, i rivoluzionari possono infatti intervenire con la prospettiva di invitare quest'ultima ad “andare oltre” (attraverso lo sviluppo di forme autonome di auto-organizzazione, estensione ad altri settori della classe, ecc.). Ma cosa succede se molte persone si mobilitano su un terreno interclassista o borghese? In questo caso è ancora necessario intervenire, ma i rivoluzionari devono poi accettare il fatto che il loro intervento sarà fatto "controcorrente", principalmente con l'obiettivo di influenzare le minoranze che mettono in discussione gli obiettivi fondamentali e le modalità del movimento.
I gruppi bordighisti, forse sorprendentemente, non hanno molto parlato del ruolo del partito in relazione a questi avvenimenti, anche se Cahiers Internationalistes ha avuto ragione – in astratto – nello scrivere:
“La rivoluzione è una necessità che richiede organizzazione, programma, idee chiare e pratica del lavoro collettivo: in termini semplici e precisi, la rivoluzione ha bisogno di un partito che la diriga".
Il problema rimane: come può un tale partito sorgere e formarsi? Come passare dall'attuale ambiente disperso di piccoli gruppi comunisti a un vero partito, un organismo internazionale in grado di fornire una direzione politica alla lotta di classe?
Questa domanda rimane senza risposta per Cahiers Internationalistes, che poi rivela la profondità della sua incomprensione sul ruolo del partito:
“Il proletariato in lotta, il proletariato in rivolta deve organizzarsi con e nel Partito Comunista!"
Semplicemente dichiarando che il suo gruppo è il partito non è sufficiente, soprattutto quando ci sono almeno due altri gruppi ciascuno dei quali sostiene di essere il vero partito comunista internazionale. Né è logico affermare che tutto il proletariato può organizzarsi "nel partito comunista". Tali formulazioni esprimono un totale fraintendimento della distinzione tra l'organizzazione politica rivoluzionaria - che riunisce necessariamente solo una minoranza della classe - e gli organi che riuniscono l'intera classe come i consigli operai. Entrambi sono strumenti essenziali della rivoluzione proletaria. Su questo punto Il Partito è almeno più cosciente sul fatto che la strada per la rivoluzione dipende dall'emergere di organi indipendenti che raggruppano l’insieme della classe in quanto si appella a delle assemblee operaie, anche se indebolisce la sua argomentazione con l’appello “su ogni posto di lavoro e all'interno di ogni sindacato esistente” - come se le vere assemblee dei lavoratori non fossero essenzialmente antagoniste alla forma stessa del sindacato. Ma il Partito omette di fare un'osservazione ancor più cruciale: non c'è stata la minima tendenza allo sviluppo di vere assemblee operaie all'interno delle manifestazioni del BLM.
La TCI rifiuta di definirsi Partito. Dice che è per il partito ma che essa non è il partito[8]. Tuttavia, non ha mai criticato profondamente gli errori che sono alla base del sostituzionismo bordighista - l'errore, commesso nel 1943-45, di dichiarare la formazione del Partito Comunista Internazionalista in un solo paese, l'Italia, nelle profondità della controrivoluzione. Sia i bordighisti che la TCI trovano la loro origine nel PCInt del 1943, ed entrambi teorizzano nella stessa maniera questo stesso errore: i bordighisti con la distinzione metafisica tra partito “storico” e partito “formale”, la TCI con la sua idea di “bisogno permanente del partito”. Queste concezioni dissociano la tendenza all'emergere del partito dal movimento reale di classe e l'effettivo rapporto di forza tra la borghesia e il proletariato. Entrambe implicano l'abbandono della vitale distinzione operata dalla Sinistra Comunista Italiana tra frazione e partito, che mirava proprio a mostrare che il partito non può esistere in ogni momento, e quindi a definire il ruolo reale della organizzazione rivoluzionaria quando la formazione immediata del partito non è ancora all'ordine del giorno.
L'ultima parte del volantino della TCI evidenzia chiaramente questo malinteso.
Il sottotitolo di questa sezione del volantino dà il tono: “7. La ribellione urbana deve trasformarsi in rivoluzione internazionale”.
E continua:
“Sebbene siamo entusiasti di vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di sommosse tendono a svanire dopo una settimana, seguita da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture repressive. Affinché il potere dei capitalisti e dei loro mercenari sia concretamente sfidato e abolito, abbiamo bisogno di un partito rivoluzionario internazionale. Questo partito sarebbe uno strumento indispensabile nelle mani della classe operaia per organizzarsi e indirizzare il suo risentimento non solo verso la distruzione dello Stato razzista, ma anche verso la costruzione del potere operaio e del comunismo”.
Questo singolo paragrafo contiene tutta una raccolta di errori, a cominciare dal sottotitolo: la rivolta in corso può avanzare in linea retta verso la rivoluzione mondiale, ma per questo ci vuole il partito mondiale; questo partito sarà il mezzo di organizzazione e lo strumento per trasformare il piombo in oro, i movimenti non proletari in rivoluzioni proletarie. Questo passaggio rivela fino a che punto la TCI vede il partito come una sorta di deus ex machina, un potere che viene da chissà dove, non solo per permettere alla classe di organizzare e distruggere lo Stato capitalista, ma che ha la capacità ancor più soprannaturale di trasformare rivolte o manifestazioni cadute nelle mani della borghesia,
Questo errore non è nuovo. In passato, avevamo già criticato l’illusione del PCInt nel 1943-1945 sul fatto che i gruppi partigiani in Italia - pienamente allineati con gli alleati nella guerra imperialista – avrebbero potuto essere in qualche modo guadagnati alla rivoluzione proletaria attraverso la presenza del PCInt nelle loro fila[9]. Abbiamo visto nel 1989 quando Battaglia Comunista non solo ha preso le forze di sicurezza golpiste che avevano destituito Ceausescu in Romania per una "rivolta popolare", ma ha anche sostenuto che mancava solo il partito per guidare quest'ultima sulla via della rivoluzione proletaria[10].
Lo stesso problema è apparso l'anno scorso con i "gilet gialli". Anche se la TCI descrive il movimento come "interclassista", ci dice che:
“Serve un altro organo. È uno strumento che permette di unificare l'effervescenza della classe, permettendole di fare un salto di qualità, cioè politico, per darle una strategia, e tattiche anticapitaliste, per dirigere le energie emanate dal conflitto di classe verso un assalto al sistema borghese; non c'è altra via. Insomma, è necessaria la presenza attiva del Partito Comunista, Internazionale e Internazionalista. Altrimenti la rabbia del proletariato e della piccola borghesia declassata sarà schiacciata e dispersa; o brutalmente, se necessario, o con false promesse”[11].
Anche qui il partito è invocato come panacea, pietra filosofale antistorica. Ciò che manca in questo scenario è lo sviluppo del movimento di classe nel suo complesso, la necessità per la classe operaia di ritrovare il senso della propria esistenza come classe e di ribaltare l'equilibrio di forza esistente attraverso enormi lotte. L'esperienza storica ha dimostrato che non solo tali cambiamenti storici sono necessari per consentire alle minoranze comuniste esistenti di sviluppare una reale influenza all'interno della classe operaia: ma sono anche l'unico punto di partenza possibile per trasformare il carattere di classe delle rivolte sociali e offrire una prospettiva all'intera popolazione oppressa dal capitale. Un esempio lampante è stato l’entrata massiccia degli operai francesi nelle lotte di maggio-giugno 1968: lanciando un enorme movimento di sciopero in risposta alla repressione poliziesca esercitata sulle manifestazioni studentesche, la classe operaia ha cambiato anche la natura delle manifestazioni, integrandole in un generale risveglio del proletariato mondiale.
Oggi le possibilità di tali trasformazioni sembrano lontane e, in assenza di un sentimento esteso d’identità di classe, la borghesia ha più o meno mano libera per recuperare lo sdegno provocato dal declino avanzato del suo sistema. Ma abbiamo visto segni, piccoli ma significativi, di un nuovo stato d'animo nella classe operaia, di un nuovo senso di sé come classe, e i rivoluzionari hanno il dovere di coltivare questi giovani segni al meglio delle loro capacità. Ma questo significa resistere alla pressione ambientale che spinge a piegarsi agli ipocriti appelli della borghesia per la giustizia, l'uguaglianza e la democrazia all’interno delle frontiere della società capitalista
Amos, luglio 2020
[1] Gruppo francese, http://guerredeclasse.fr/ [20] : il gruppo sembra essere una sorta di fusione tra anarchismo e bordighismo, più nello stile del GCI (www.gci-icg.org [21]), ma senza le sue pratiche più dubbie (minacce contro i gruppi della Sinistra Comunista, un sottile sostegno alle azioni di cricche nazionaliste e islamiste, ecc.).
[2]Vedere sul nostro sito in francese Prise de position dans le camp révolutionnaire : Gilets jaunes : La nécessité de “réarmer le prolétariat” [22] (Prese di posizione nel campo rivoluzionario: Gilet gialli: la necessità di “riarmare il proletariato”)
[3] Vedere l'articolo su Le prolétaire n. 537: "Stati Uniti: rivolte urbane dopo l'omicidio della polizia di Minneapolis dell'afroamericano George Floyd". https://www.pcint.org/03_LP/537/537_george-floyd.htm [23]
[4] Vedi l'articolo in inglese de Il Partito, “Racism Protects the Capitalist System, Only the Working Class can Eradicate it” ("Il razzismo protegge il sistema capitalista, solo la classe operaia può sradicarlo") (giugno 2020).
[5] Articolo di Cahiers Internationalistes: Après Minneapolis. Que la révolte des prolétaires américains soit un exemple pour les prolétaires de toutes les métropoles [24], “Dopo Minneapolis. Che la rivolta dei proletari americani possa essere un esempio per i proletari di tutte le metropoli "(28/05/2020).
[6] Articolo della TCI, https://www.leftcom.org/it/articles/2020-05-31/minneapolis-brutalit%C3%A0-della-polizia-e-lotta-di-classe [25] (31/05/2020)
[7] Vedi sul nostro sito l'articolo “https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro [26]” , di cui ecco un estratto: "Forse la cosa più importante di tutte, anche perché mette in discussione l'immagine di una classe operaia americana che si è allineata acriticamente alla demagogia di Donald Trump, ci sono state lotte diffuse negli Stati Uniti Uniti: scioperi negli stabilimenti FIAT-Chrysler a Tripton nell'Indiana, nello stabilimento di produzione di camion Warren alla periferia di Detroit, tra autisti di autobus a Detroit e Birmingham (Alabama), nei porti, ristoranti, nella distribuzione alimentare, nel settore delle pulizie e costruzione; si sono verificati scioperi ad Amazon (che è stata comunque interessata da scioperi in diversi altri paesi), Whole Foods, Instacart, Walmart, FedEx, ecc."
[8] Anche se, come abbiamo più volte sottolineato, la chiarezza su questo punto non è facilitata dal fatto che la sua affiliata italiana (che pubblica Battaglia Comunista) insiste ancora a portare il nome di Partito Comunista Internazionalista.
[9] Vedi l'articolo su Rivoluzione Internazionale n.7: "Le ambiguità sulla natura di classe della “resistenza” nella costituzione di Partito Comunista Internazionalista in Italia”, e sul sito in francese in Révue Internationale n°8.
[10] Vedi sul nostro sito i nostri articoli Polemic: The wind from the East and the response of revolutionaries [27](Polemica: Il vento dell'est e la risposta dei rivoluzionari), International Review n.61 e Polemic: Faced with the convulsions in the East [28](Polemica: Di fronte agli sconvolgimenti dell'Est, un'avanguardia in ritardo)", International Review n.62.
[11] Vedere l'articolo in inglese della TCI: https://www.leftcom.org/en/articles/2019-01-18/some-further-thoughts-on-the-yellow-vests-movement [29] (08/01/2019).
"Quaranta anni fa, durante l’estate 1980, la classe operaia in Polonia metteva il mondo in ansia. Un gigantesco movimento di sciopero si estendeva nel paese: parecchie centinaia di migliaia di operai entravano in sciopero selvaggio in diverse città, facendo tremare la classe dominante in Polonia e in altri paesi"[1]. Ciò accadeva quarant'anni fa, ma quel "gigantesco movimento di sciopero" puntava il dito al futuro. Per la classe operaia, per le inevitabili battaglie che dovrà intraprendere, le lezioni da trarre da questa grande esperienza sono effettivamente innumerevoli e preziose: presa in mano delle lotte, auto-organizzazione, rappresentanti eletti revocabili, estensione del movimento, solidarietà operaia, assemblee generali, ritrasmissione dei dibattiti con altoparlanti, ... ecco ciò che è stata la lotta operaia in Polonia. Una lotta contro gli attacchi alle loro condizioni di vita, contro l'aumento del prezzo della carne e per la rivalutazione dei salari. L'organizzazione di questo movimento di protesta mostra di cosa è capace la classe operaia. La Polonia 1980 è una delle grandi esperienze del movimento operaio che indica alla nostra classe che può e deve avere fiducia in sé stessa, che quando è unita ed organizzata è forte.
Questo movimento mostra anche di cosa è capace la classe dominante, quali trappole sofisticate può tendere contro coloro che sfrutta, fino a che punto le borghesie di tutti i livelli sono pronte a unire le forze per schiacciare la classe operaia. La gestione di questa lotta di classe è una nuova dimostrazione della forza e del machiavellismo degli apparati borghesi. Sia all'Est che ad Ovest, tutte le forze possibili sono state utilizzate per estinguere questo pericoloso incendio e impedirne la diffusione, specialmente nella Germania dell'Est.
Il movimento del 1980 non apparve come un fulmine a ciel sereno, anzi. Dal Maggio 1968 in Francia, il contesto internazionale fu segnato dalla ripresa delle lotte. Anche se la presenza della cortina di ferro limitava l'influenza reciproca tra le lotte della classe operaia ad Ovest e ad Est, la stessa dinamica era all'opera. Pertanto, gli anni '70 in Polonia furono caratterizzati da un profondo processo di sviluppo della combattività e della riflessione.
Negli anni '70, spinto dalla crisi economica e dalla debolezza del suo capitalismo di Stato, il governo polacco attaccò le condizioni di vita della classe: spaventosi aumenti del prezzo del cibo accompagnavano la penuria alimentare, mentre la Polonia continuava ad esportare patate in Francia. "Nell'inverno 1970-71, i lavoratori dei cantieri navali del Baltico scesero in sciopero contro l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità. All'inizio, il regime stalinista reagì alle manifestazioni con una feroce repressione uccidendo diverse centinaia di persone, soprattutto a Danzica. Tuttavia, gli scioperi non cessarono. Alla fine, il leader del partito, Gomulka, fu destituito e sostituito da un personaggio più "amichevole", Gierek. Quest'ultimo dovette parlare per 8 ore con gli operai dei cantieri navali di Stettino prima di convincerli a riprendere il lavoro. Evidentemente, ha rapidamente tradito le promesse che aveva fatto loro in quel momento. Nel 1976, ulteriori brutali attacchi economici scatenarono scioperi in diverse città, in particolare a Radom e Ursus. La repressione provocò diverse decine di morti".
Fu in questo contesto e di fronte all'aggravarsi della crisi economica che la borghesia polacca decise di aumentare il prezzo della carne di quasi il 60% nel luglio 1980. L'attacco fu frontale, senza il travestimento ideologico di cui, ad esempio, sono capaci le borghesie occidentali. Caratteristiche dei brutali metodi stalinisti che sono assolutamente inadatti di fronte a un proletariato combattivo, le decisioni della borghesia polacca non poterono che generare una risposta operaia. Forti della loro esperienza degli anni '70, "gli operai della Tczew vicino Danzica e dell’Ursus nella periferia di Varsavia entrano in sciopero. Alla Ursus si tengono assemblee generali, viene eletto un comitato di sciopero e sono stabilite rivendicazioni comuni. Nei giorni seguenti gli scioperi continuano ad estendersi: Varsavia, Lodz, Danzica, ecc. Il governo cerca di impedire una estensione maggiore del movimento facendo rapide concessioni, tra cui aumenti salariali. A metà luglio gli operai di Lublino, un importante crocevia ferroviario, entrano in sciopero. Lublino è situata sulla linea ferroviaria che collega la Russia alla Germania dell’est. Nel 1980 costituiva una linea vitale per il vettovagliamento delle truppe russe nella Germania dell’est. Le rivendicazioni degli operai sono le seguenti: nessuna repressione contro gli operai in sciopero, ritiro della polizia dalle fabbriche, aumenti salariali e libere elezioni dei sindacati". Il movimento si estese, i tentativi di fermarlo e di dividerlo fallirono: lo sciopero di massa era in corso. In due mesi la Polonia rimase paralizzata. Il governo non poteva reprimere, la situazione era diventata troppo esplosiva. Inoltre, il pericolo non si limitava ai soli confini polacchi. Nella regione mineraria di Ostrava in Cecoslovacchia, e nelle regioni minerarie rumene, in Russia a Togliattigrad, minatori e lavoratori percorrevano le stesse orme. "Nei paesi dell'Europa occidentale, se non ci sono scioperi in diretta solidarietà con le lotte dei lavoratori polacchi, tuttavia operai di molti paesi riprendono gli slogan dei loro fratelli di classe in Polonia. A Torino, nel settembre 1980, si sentono gli operai scandire: “Danzica ci indica il cammino”.
Di fronte a quel pericolo di estensione, le borghesie cominciarono a lavorare insieme per schiacciare il movimento. Era necessario da un lato isolarlo e dall'altro snaturarlo. I confini con la Germania dell'Est, la Cecoslovacchia e l'Unione Sovietica vennero rapidamente chiusi. Le borghesie internazionali lavoreranno mano nella mano per racchiudere e isolare il movimento: il governo polacco finse la radicalizzazione nei confronti dell'URSS, i sovietici conciarono a minacciare gli operai con i loro carri armati al confine. L'Europa occidentale finanzierà e consiglierà il sindacato "libero e indipendente" Solidarnosc, la propaganda internazionale metterà in luce l'eroico Solidarnosc e la necessità di un "vero" sindacato democratico libero e indipendente.
Questa alleanza delle differenti borghesie occidentali con la borghesia polacca sarà fatale per il movimento di massa polacco. Ed è per tale motivo che, contrariamente alla teoria dell'anello debole, la rivoluzione non può che partire dai paesi centrali: "Finché gli importanti movimenti di classe toccheranno solo paesi alla periferia del capitalismo (come è avvenuto in Polonia) ed anche se la borghesia locale è completamente sopraffatta, la Santa Alleanza di tutte le borghesie del mondo, con alla testa le più potenti, sarà in grado di attuare un cordone sanitario economico, politico, ideologico e perfino militare attorno ai settori proletari interessati. Solo quando la lotta proletaria toccherà il cuore economico e politico del sistema capitalista:
• quando l'attuazione di un cordone sanitario economico diventerà impossibile, perché saranno le economie più ricche ad esserne state colpite,
• quando l'attuazione di un cordone sanitario politico non avrà più alcun effetto perché sarà il proletariato più sviluppato che affronterà la borghesia più potente, è solo allora che questa lotta darà il segnale per la conflagrazione rivoluzionaria mondiale"[2].
L'arma principale della borghesia sarà quindi lo stesso sindacato Solidarnosc. Chiamato a svolgere il ruolo di 'sinistra' del capitale, che continuerà ad assumere anche nella 'clandestinità' dal 1982, non cesserà di deviare la lotta sul terreno nazionalista, di portare gli operai alla sconfitta e consegnarli alla repressione. Questo sindacato, emerso dalla linea di pensiero KOR (comitato di difesa degli operai, costituito da intellettuali dell'opposizione democratica, nato dopo le repressioni del 1976 e militante per la legalizzazione del sindacalismo indipendente), sarà rappresentato attraverso 15 dei suoi membri al presidium del MKS (comitato di sciopero interaziendale).
Mentre all'inizio del movimento dell'estate 1980 "non c’era influenza sindacale, i membri dei “sindacati liberi” si misero ad ostacolare la lotta. Mentre all’inizio i negoziati erano condotti in maniera pubblica, si avanzò, dopo un certo tempo, la pretesa che necessitavano degli “esperti” per mettere a punto i dettagli dei negoziati con il governo. Progressivamente gli operai non potettero più seguire i negoziati, e ancor meno parteciparvi, perché gli altoparlanti che dovevano trasmetterli 'non funzionavano più a causa di problemi tecnici'”. Il lavoro di sabotaggio era iniziato. Le rivendicazioni all'origine di natura politica ed economica (tra l'altro, la rivalutazione dei salari) si concentrarono sugli interessi dei sindacati più che su quelli degli operai: veniva proposto il riconoscimento dei sindacati indipendenti. Il 31 agosto gli accordi di Danzica, sfruttando le illusioni democratiche e sindacali, segnarono la fine dello sciopero di massa. "Poiché gli operai erano stati chiari sul fatto che i sindacati ufficiali camminavano con lo Stato, la maggior parte di essi pensava ora che il sindacato Solidarnosc, appena fondato e forte di dieci milioni di operai, non fosse corrotto e avrebbe difeso i loro interessi. Essi non avevano vissuto l’esperienza degli operai occidentali che si sono confrontati per decenni con i sindacati “liberi”.
Solidarnosc assunse perfettamente il suo ruolo di pompiere del capitalismo per estinguere la combattività operaia. "Sono state queste illusioni democratiche a costituire il terreno su cui la borghesia e il suo sindacato Solidarnosc hanno potuto condurre la loro politica antioperaia e scatenare la repressione. [...] Nell'autunno del 1980, quando i lavoratori ritornarono in sciopero per protestare contro gli accordi di Danzica, avendo constatato che anche con un sindacato 'libero' al loro fianco, la loro situazione materiale era peggiorata, Solidarnosc cominciava già a mostrare il suo vero volto. Già alla fine degli scioperi di massa Walesa girava di qua e di là con un elicottero dell’esercito per fare appello agli operai perché terminassero gli scioperi con urgenza. 'Non abbiamo bisogno d'altri scioperi perché stanno spingendo il nostro paese verso il baratro, dobbiamo calmarci'". [...] Ogni volta che è possibile, si impadronisce dell'iniziativa degli operai, impedendo loro di lanciare nuovi scioperi". Per un anno Solidarnosc sabota e prepara il terreno alla repressione.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1981, il governo polacco ristabilirà "l'ordine" e istituirà uno "stato di guerra": interruzioni di tutte le comunicazioni, arresti di massa, carri armati a Varsavia, occupazione militare del paese. "Mentre durante l'estate del 1980 nessun lavoratore era stato colpito o ucciso grazie all'auto-organizzazione e all'estensione delle lotte, e perché non c'era un sindacato per inquadrare i lavoratori, nel dicembre 1981 più di 1200 lavoratori vennero assassinati, decine di migliaia furono messi in prigione o cacciati in esilio". Le condizioni di vita che seguirono furono peggiori di quelle imposte all'inizio di luglio 1980. Durante il 1982 la combattività non era scomparsa, ma terminerà sotto i colpi di una feroce repressione unita all'incessante sabotaggio di Solidarnosc, lasciando impoverita la classe operaia polacca, costretta all'esilio per vendere la propria forza lavoro.
Nonostante questa sconfitta, l'esperienza di questo movimento operaio è inestimabile. È stato il punto più alto di un'ondata internazionale di lotte. Ha fornito un esempio del fatto che la lotta di classe è l'unica forza che può costringere la borghesia a mettere da parte le sue rivalità imperialiste dal momento che l'esistenza di un proletariato imbattuto nel blocco dell'Est era stata un freno allo sforzo bellico dell'URSS in Afghanistan, che aveva invaso nel 1979. Ma non solo. Ha dimostrato dal vivo quale è la forza della classe operaia. Ed è di questa che dobbiamo appropriarci:
"Nell'estate del 1980, gli operai presero direttamente l'iniziativa della lotta. Non aspettandosi istruzioni dall'alto, marciarono insieme, tennero assemblee per decidere da soli il luogo e l'ora delle loro lotte. Vennero avanzate rivendicazioni comuni nelle assemblee di massa. Fu formato un comitato di sciopero. All'inizio, le rivendicazioni economiche erano in primo piano. I lavoratori erano determinati. Non volevano che si ripetesse il sanguinoso schiacciamento della lotta come nel 1970 e nel 1976. Nel centro industriale di Danzica-Gdynia-Sopot, fu istituito un comitato di sciopero interfabbrica (MKS), composto da 400 membri (due delegati per azienda). Nella seconda metà di agosto si incontrarono dagli 800 ai 1000 delegati. Ogni giorno si tenevano assemblee generali nei cantieri navali Lenin. Vennero installati altoparlanti per consentire a tutti di seguire le discussioni dei comitati di sciopero e le trattative con i rappresentanti del governo. Poi, i microfoni furono installati anche all'esterno della sala riunioni dell'MKS, in modo che gli operai presenti nelle assemblee generali potessero intervenire direttamente nelle discussioni dell'MKS. La sera, i delegati - la maggior parte con cassette con le registrazioni degli atti - rientravano ai loro posti di lavoro e presentavano le discussioni e la situazione nella 'loro' assemblea generale di fabbrica, rendendo il loro mandato. Tali erano i mezzi con cui il maggior numero di lavoratori poteva partecipare alla lotta. I delegati dovevano restituire il loro mandato, erano revocabili in qualsiasi momento e le assemblee generali rimanevano sempre sovrane. Tutte queste pratiche sono in totale opposizione alla pratica sindacale. Nel frattempo, dopo l'unione degli operai di Danzica-Gdynia-Sopot, il movimento si allargò ad altre città. Per sabotare la comunicazione tra i lavoratori, il 16 agosto il governo tagliò le linee telefoniche. Immediatamente, i lavoratori minacciarono di estendere ulteriormente il loro movimento se il governo non le avesse immediatamente ripristinate. Quest'ultimo fece marcia indietro. L'assemblea generale decise quindi di costituire una milizia operaia. Poiché il consumo di alcol era largamente diffuso, si decise collettivamente di vietarlo. I lavoratori sapevano che dovevano essere lucidi nel confronto con il governo. Quando il governo minacciò di reprimere a Danzica, i ferrovieri di Lublino dissero: 'Se gli operai di Danzica vengono attaccati fisicamente e se solo uno di loro viene colpito, paralizzeremo la linea ferroviaria strategicamente più importante tra la Russia e la Germania dell'Est'. In quasi tutte le principali città gli operai si mobilitarono. Più di mezzo milione di loro capirono di essere la sola forza decisiva nel Paese in grado di opporsi al governo. Essi sentivano cosa stava dando loro quella forza:
• la rapida estensione del movimento invece del suo esaurimento in scontri violenti come nel 1970 e nel 1976;
• la loro auto-organizzazione, cioè la loro capacità di prendere l'iniziativa da soli invece di fare affidamento sui sindacati;
• la tenuta di assemblee generali in cui possono unire le forze, esercitare il controllo sul movimento, consentire la massima partecipazione di massa possibile e negoziare con il governo davanti a tutti.
E, in effetti, l'estensione del movimento fu la migliore arma di solidarietà; gli operai non si erano accontentati di fare dichiarazioni, loro stessi presero l'iniziativa nelle lotte. Questa dinamica rese possibile lo sviluppo di un diverso rapporto di forza. Finché i lavoratori avessero lottato in modo così massiccio e unito, il governo non avrebbe potuto attuare alcuna repressione".
La Polonia 1980 è una delle grandi esperienze storiche del movimento operaio, un'esperienza di cui il proletariato deve riappropriarsi per preparare le sue lotte future, per avere fiducia nella sua forza, nelle sue capacità, per sapere come organizzarsi, come dare vita alla sua solidarietà, ma anche aver coscienza delle trappole che la borghesia è capace di tendere, a cominciare dai suoi sindacati.
È per partecipare a questo processo di riappropriazione da parte della classe operaia della propria storia che indichiamo di seguito numerosi articoli della CCI, scritti per la maggior parte all'epoca dei fatti.
1. Le prime lotte degli anni '70
Per affrontare la crisi economica e, costretto dalla debolezza del suo capitalismo di Stato, il governo polacco attacca ferocemente le condizioni di vita della classe, chiedendo sempre più sacrifici ai lavoratori. "All'Est la quasi assenza di prodotti di prima necessità (carne, zucchero, …) manifestano la crisi del capitale; all'Ovest, è una disoccupazione sempre più massiccia e una crescente inflazione. Sia all'Est che all'Ovest, la crisi del capitalismo significa per gli operai la generalizzazione della miseria"[3]. Gli anni '70 in Polonia furono caratterizzati da aumenti dei prezzi incessanti e indecenti, da carenza di cibo, disoccupazione mascherata da recessione ecc. In risposta, la classe operaia non smetterà di lottare, principalmente nel 1970 e nel 1976.
Sulla situazione precisa in Polonia nel 1976:
• Paesi dell'Est - Sovrapproduzione, penuria e classe operaia [31] - Révolution Internationale n°23 (marzo 1976) (in francese)
• Polonia - Il capitalismo di Stato affronta la crisi e la classe operaia [32] - Révolution International n°28 (agosto 1976) (in francese)
Sull'evoluzione della maturazione all'interno della classe operaia in Polonia negli anni '70:
Sulla situazione nei paesi dell'Europa dell'Est (compresa la Polonia) negli anni '70 e '80:
• La crisi capitalista nei paesi dell'Est [34] - Revue Internationale n°23 (4° trimestre 1980) (in francese)
• Lotta di classe nell'Europa dell'Est (1970- 1980) [35] (parte I) - Revue Internationale n°28 (1° trimestre 1982) (in francese)
• Lotta di classe nell'Europa dell'Est (1970-1980) [36] (parte II) – Revue Internationale n°29 (2° trimestre 1982) (in francese)
2. Gli anni '80 e il 1981: lotte massicce e repressione
Nell'estate del 1980, il governo polacco decise di nuovo un aumento brutale del prezzo della carne, provocando un'esplosione di rabbia. Dal luglio all'agosto 1980 ci fu lo sciopero di massa: estensione del movimento, costituzione di comitati di lotta, rappresentanti eletti e revocabili, discussioni ritrasmesse in diretta dagli altoparlanti, solidarietà di classe, auto-organizzazione dei lavoratori... A fine agosto 1980, gli accordi di Danzica segnarono la fine dello sciopero di massa e l'indebolimento della classe operaia nei suoi rapporti di forza con la borghesia. Nonostante tutto, la combattività e la rabbia dureranno fino alla feroce repressione del dicembre 1981. Molto presto, le borghesie si renderanno conto del pericolo di questo movimento. E occorreranno gli sforzi congiunti del POUP (governo polacco), del KOR e di Solidarnosc (che svolgono il ruolo di opposizione "di sinistra"), nonché del prezioso aiuto delle borghesie di tutti i tipi, dell'Est e dell'Ovest, per venire a capo di questo movimento e portare i lavoratori alla sconfitta.
Estate 1980 e le prime lezioni da imparare:
• Sciopero di massa in Polonia 1980: aperta una nuova breccia [37] - Revue Internationale n °23 (4° trimestre 1980)
Dall'estate del 1980 alla repressione del dicembre 1981: le azioni di Solidarnosc e di tutte le borghesie:
• Polonia: nonostante i sindacati, la classe operaia non molla [38] - Révolution International n°80 (dicembre 1980) (in francese)
• Polonia - Rompere l'isolamento nazionale e l'inquadramento sindacale [39] - Révolution Internationale n°82 (febbraio 1981) (in francese)
• Dietro Jaruzelski c’è la borghesia mondiale [40] Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982) (in francese)
1982: stato di guerra e repressione
• Per fuorviare il proletariato, Solidarnosc è ancora lì [41] - Révolution Internationale n°98 (giugno 1982) (in francese)
• Il proletariato in Polonia paga il prezzo del suo isolamento [42] - Révolution Internationale n°102 (ottobre 1982) (in francese)
• Polonia - Jaruzelski-Walesa, stessa lotta – Revolution International n°105 (gennaio 1983)
3. Comprendere meglio ciò che è stato il fenomeno dello sciopero di massa in Polonia
Le lotte in Polonia non sono "un esempio isolato del fenomeno dello sciopero di massa, ma piuttosto la massima espressione di una tendenza internazionale generale nella lotta di classe proletaria"[4]. "Lo sciopero di massa è un fenomeno in movimento e non segue uno schema rigido e vuoto. Non è un mezzo inventato per rafforzare l'effetto della lotta proletaria, ma è il movimento stesso della massa proletaria in condizioni storiche determinate. È un movimento spontaneo che, per la sua estensione, la sua auto-organizzazione, i suoi avanzamenti, i suoi riflussi, conoscerà un'evoluzione, acquisisce un'ampiezza [...] Una delle sue caratteristiche è il concatenarsi di rivendicazioni economiche e politiche"[5].
Che cos'è lo sciopero di massa e come il movimento polacco dell'estate 1980 ne è stato uno:
• Note sullo sciopero di massa [43] - Rivista Internazionale n°6 (1982) (in italiano)
• Sciopero di massa [44] - Révolution International n°81 (gennaio 1981) (in francese)
4. Lezioni dal movimento di lotta in Polonia
Nel 1968, il proletariato riprendeva il cammino della lotta. Nel 1980, il movimento in Polonia, attraverso la sua longevità e il suo sciopero di massa, costituirà la manifestazione più importante di questa tendenza verso la ripresa internazionale della lotta di classe. Tracciare il bilancio di queste lotte, trarne gli insegnamenti, riappropriarsi dei loro punti di forza e di debolezza, capire come gli operai si sono organizzati concretamente, analizzare le manovre delle borghesie, smascherare i sindacati, la sinistra, ecc. È tutto questo che il movimento polacco apporta alla classe operaia.
Sulle lezioni e sul bilancio del movimento di lotta in Polonia:
• Un anno di lotte operaie in Polonia [45] – Revue Internationale n°27 (4° trimestre 1981) (in francese)
• Stato di guerra in Polonia: la classe operaia contro la borghesia - supplemento Revue Internationale n°28 (1° trimestre 1982) (in francese)
• Dopo la repressione in Polonia: prospettive delle lotte di classe mondiale [46] - Rivista Internazionale n°6 (1982) (in italiano)
• La dimensione internazionale delle lotte operaie in Polonia [47] – Revue Internationale n°24 (1° trimestre 1981) (in francese)
• Polonia dicembre 1981: quale sconfitta? - Révolution Internationale n°95 (marzo 1982)
• L'internazionalizzazione delle lotte, unica risposta alle trappole della borghesia - Révolution Internationale n°103 (novembre 1982)
5. Il sindacalismo in decadenza, arma per la difesa degli interessi del capitale: l'esempio di Solidarnosc
Basandosi sulle illusioni democratiche della classe operaia, la borghesia polacca farà sorgere nell'estate del 1980 il sindacato libero Solidarnosc. Proprio quello che metterà al primo posto la rivendicazione del diritto ad un sindacato libero piuttosto che agli aumenti salariali. Quello che firmerà gli accordi di Danzica, che saboterà le ritrasmissioni dei negoziati attraverso gli altoparlanti, che non smetterà mai di fermare le lotte fino a quando non verranno condotte alla repressione. Solidarnosc sarà IL mezzo, in opposizione ai consigli operai, per mistificare la classe operaia, facendo credere a una rinascita del sindacalismo: un sindacalismo indipendente, libero, autogestito, e assumendo il ruolo di "sinistra". Nonostante tutto, Solidarnosc farà fatica ad imporsi completamente e le lotte in Polonia dureranno fino al 1981, quando il sindacato più "solidale" del mondo condurrà i lavoratori verso la repressione. Dal 1982 Solidarnosc, passato alla clandestinità, continuerà a servire gli interessi del capitale nel suo ruolo di opposizione di sinistra.
1980, il vero volto di Solidarnosc:
• Gli operai pongono la vera domanda: soviet o sindacati? - estratti dal giornale World Revolution n°33 (ottobre 1980)
• Solidarietà con lo Stato capitalista [48] - Révolution Internationale n°81 (gennaio 1981) (in francese)
1981, come Solidarnosc ha isolato per portare alla sconfitta e preparare il terreno per deviare la combattività in tutto il blocco dell'Est:
• Solidarnosc - Una difesa aperta del capitale nazionale"- Révolution Internationale n°85 (maggio 1981)
• Polonia - Il sindacato Solidarnosc ha preparato la repressione"- Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982)
• 1982, il 'clandestino' Solidarnosc continua il suo ruolo di opposizione di sinistra:
• Polonia - Solidarnosc al servizio dello Stato - Révolution Internationale n°109 (maggio 1983)
6. Isolamento nazionale: quando TUTTE le borghesie lavorano per lo stesso obiettivo: schiacciare la classe operaia
L'estensione geografica delle lotte operaie a tutta la Polonia durante l'estate del 1980 è stata uno dei punti di forza del movimento. Estensione, organizzazione e solidarietà proletaria. E sarà questo isolamento nazionale ad aver ragione su questo movimento durante l'anno 1981.
Coscienti del pericolo rappresentato dal movimento e dall'influenza che esso poteva avere a livello internazionale sulla classe operaia, tutte le borghesie, dall'Est all'Ovest, lavorarono per il suo confinamento e il suo schiacciamento all'interno della nazione polacca. Tutte le borghesie unite per attuare tutte le strategie conosciute per deviare i lavoratori dalla strada intrapresa: chiusura delle frontiere, sindacalismo 'libero', costituzione di un'opposizione di sinistra, radicalizzazione contro l'URSS, minaccia di intervento sovietico, propaganda.
Sul lavoro delle borghesie, dell'Est e dell'Ovest:
• Polonia - POUP-Solidarnosc-Washington-Mosca: La borghesia unita per attaccare il proletariato - Révolution Internationale n°84 (aprile 1981)
• Lotte di classe nel mondo: Polonia - Révolution Internationale n°87 (luglio 1981)
Sul confinamento nazionale e l'isolamento per settori:
• Polonia – La morsa nazionale - Révolution Internationale n°90 (ottobre 1981)
• Polonia - la borghesia è forte nell'isolamento degli operai - Révolution Internationale n°91 (novembre 1981)
Sulle manovre borghesi attorno a un'opposizione di sinistra:
• "KOR: una 'opposizione' al servizio della capitale polacco" [49] - Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
7. Intervento della CCI nella lotta
Nel bel mezzo degli eventi, la CCI ha distribuito 3 volantini internazionali, di cui 2 tradotti in polacco:
• Il primo, pubblicato il 6 settembre 1980, descrive la situazione della lotta di massa dell'estate del 1980, evidenziando la forza del movimento (generalizzazione e auto-organizzazione), denunciando il sindacalismo e dimostrando che i proletari non hanno patria. Questo volantino è stato distribuito a livello internazionale, in una decina di paesi, ovunque la CCI poteva arrivare.
• Il secondo volantino, pubblicato il 10 marzo 1981, tradotto in polacco e distribuito in Polonia con i limitati mezzi disponibili[6], denuncia la pretesa natura "socialista" dei paesi dell'Est, propone l'internazionalismo, denuncia le azioni delle borghesie e dei sindacati. Questo volantino è stato ampiamente distribuito a livello internazionale.
• Il terzo volantino è stato pubblicato il giorno dopo la dichiarazione di stato di guerra (13 dicembre 1981). Denuncia la feroce repressione, porta la sua solidarietà agli operai polacchi e fa valere la necessità della solidarietà internazionale operaia, denunciando tutti i vicoli ciechi e le piste false proposte dalle borghesie di ogni tipo. Oltre alla sua massiccia distribuzione internazionale, essendo stato tradotto questo volantino in polacco, i compagni hanno potuto distribuirlo a Parigi e New York alla comunità polacca e a New York ai marinai polacchi in scalo.
La nostra organizzazione ha anche condotto la lotta pubblicando numerosi articoli che denunciano le trappole tese (principalmente il sabotaggio sindacale e l'isolamento), invocando solidarietà e facendo vivere le lezioni dello sciopero di massa e polemizzando con gli altri gruppi rivoluzionari:
I manifesti della CCI:
• Polonia: all'Est come all'Ovest, una stessa lotta operaia contro lo sfruttamento capitalista! [50] - Volantino internazionale della CCI (6/09/1980)
• Agli operai della Polonia!"- Volantino internazionale della CCI, tradotto anche in polacco, (10/03/1981)
• Polonia: una sola solidarietà - Lo sviluppo internazionale delle lotte operaie" [51] - Volantino internazionale della CCI, tradotto anche in polacco, (18/12/1981) (in francese)
Sul ruolo dei rivoluzionari:
• Alla luce degli eventi in Polonia, il ruolo dei rivoluzionari [52] - Revue Internationale n°24 (1 trimestre 1981)
Sulla propaganda gauchista (estrema sinistra borghese):
• I falsi amici degli operai- Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
• Contro le menzogne trotzkiste - Anche in Polonia il capitalismo deve essere distrutto - Révolution Internationale n°79 (novembre 1980)
• Per quanto riguarda le riunioni sui paesi dell'Europa dell'Est - Quale solidarietà? - Révolution Internationale n°82 (febbraio 1981)
Sull'appello alla solidarietà e a fare vivere le lezioni della lotta:
• Scioperi nella Polonia capitalista - Generalizziamo il "cattivo esempio" degli operai polacchi! - Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
• La lotta degli operai polacchi è la nostra lotta! - Révolution Internationale n°83 (marzo 1981)
• A Est e ad Ovest - Contro la stessa crisi, la stessa lotta di classe - Révolution Internationale n°85 (maggio 1981)
• Nessuna lotta operaia dovrebbe rimanere isolata - Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982)
Sulla denuncia dell'isolamento nazionale:
• Polonia: la necessità della lotta in altri paesi - Révolution Internationale n°89 (settembre 1981)
• Polonia - Solo la lotta internazionale del proletariato può frenare il braccio della repressione - Révolution Internationale n°81 (gennaio 1981)
Sulle convergenze e divergenze con i gruppi del campo politico proletario:
• Polemica - I rivoluzionari e la lotta di classe in Polonia - Révolution Internationale n°80 (dicembre 1980)
• A proposito di alcuni volantini sulla situazione in Polonia - Révolution Internationale n°102 (ottobre 1982)
[1] Tutte le citazioni provengono dall'articolo: Pologne (août 1980): Il y a 40 ans, le prolétariat mondial refaisait l’expérience de la grève de masse [53] - Révolution Internationale n°483 (luglio-agosto 2020)
[2] The proletariat of Western Europe at the centre of the generalization of the class struggle [54] International Review n.31 (4° trimestre 1984), disponibile anche in spagnolo e francese alle rispettive pagine web
[3] Introduzione al nostro opuscolo di raccolta di testi sulla Polonia 80, che può essere richiesto al nostro indirizzo
[4] Vedi nota 3
[5] Sciopero di massa - Révolution International n°81 (gennaio 1981).
[6] Una delegazione della CCI si era recata in un'altra occasione in Polonia. Le sue conclusioni, a seguito delle discussioni in loco, hanno portato alla luce un livello molto alto di illusioni all'interno del proletariato di questo paese, che contribuivano a creare notevoli difficoltà nell'affrontare la situazione con la quale si doveva scontrare. E questo mentre il campo proletario in Occidente sopravvalutava molto le possibilità della classe operaia della Polonia, in particolare la CWO con il suo "Revolution now!" ("Rivoluzione ora!")
Links
[1] https://it.internationalism.org/files/it/rivoluzione_internazionale_n_186.pdf
[2] https://world.internationalism.org
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/3/46/decomposizione
[4] https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-parafulmine-a7d91226-ac48-408b-bb43-35ef5992817b.html
[5] https://www.corriere.it/salute/20_dicembre_22/coronavirus-italia-bollettino-oggi-22-dicembre-13318-nuovi-casi-628-morti-6e2b9f86-444b-11eb-850e-8c688b971ab0.shtml
[6] https://www.ilsole24ore.com/art/terapie-intensive-occupate-20percento-mancano-9mila-medici-e-infermieri-ADt9EMy
[7] https://www.ilpost.it/2020/04/06/ventilatori-coronavirus-covid-19/
[8] https://it.internationalism.org/%20“Covid-19%20creato%20in%20laboratorio?”
[9] https://www.open.online/2020/10/01/coronavirus-creato-in-laboratorio-salvini-sbaglia-a-sostenere-li-meng-yang/
[10] https://www.monde-diplomatique.fr/61547
[11] https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=82776
[12] https://www.corriere.it/cronache/20_ottobre_24/scuola-covid-didattica-distanza-4c05d84c-155f-11eb-b371-ea3047c1855f.shtml
[13] https://www.open.online/2020/12/01/coronavirus-servizio-report-pdf-piano-pandemico-mai-aggiornato-2006/
[14] https://web.archive.org/web/20200513211526/http:/www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0008/442655/COVID-19-Italy-response.pdf?ua=1
[15] https://www.open.online/2020/09/11/posti-lavoro-giovani-precari-autonomi-covid-occupati-under-35/
[16] https://www.wired.it/Quella%20di%20Covid-19%20non%20sarà%20l'ultima%20pandemiascienza/medicina/2020/06/13/coronavirus-covid-prossime-pandemie/
[17] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[18] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[19] https://it.internationalism.org/en/tag/4/90/stati-uniti
[20] http://guerredeclasse.fr/
[21] http://www.gci-icg.org
[22] https://fr.internationalism.org/content/9877/prise-position-camp-revolutionnaire-gilets-jaunes-necessite-rearmer-proletariat
[23] https://www.pcint.org/03_LP/537/537_george-floyd.htm
[24] https://www.internationalcommunistparty.org/index.php/fr/2770-apres-minneapolis-que-la-revolte-des-proletaires-americains-soit-un-exemple-pour-les-proletaires-de-toutes-les-metropoles
[25] https://www.leftcom.org/it/articles/2020-05-31/minneapolis-brutalit%C3%A0-della-polizia-e-lotta-di-classe
[26] https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro
[27] https://en.internationalism.org/content/3203/polemic-wind-east-and-response-revolutionaries
[28] https://en.internationalism.org/content/3250/polemic-faced-convulsions-east
[29] https://www.leftcom.org/en/articles/2019-01-18/some-further-thoughts-on-the-yellow-vests-movement
[30] https://it.internationalism.org/en/tag/7/109/sinistra-comunista
[31] https://fr.internationalism.org/files/fr/ri_23_a.pdf
[32] https://fr.internationalism.org/files/fr/ri_28_a.pdf
[33] https://fr.internationalism.org/content/10136/pologne-70-a-80-renforcement-classe-ouvriere
[34] https://fr.internationalism.org/rinte23/crise.htm
[35] https://fr.internationalism.org/rinte28/est.htm
[36] https://fr.internationalism.org/rinte29/lutte.htm
[37] https://fr.internationalism.org/rinte23/pologne.htm
[38] https://fr.internationalism.org/content/10137/pologne-malgre-syndicats-classe-ouvriere-ne-lache-pas-prise
[39] https://fr.internationalism.org/content/10151/pologne-briser-lisolement-national-et-lencadrement-syndical
[40] https://fr.internationalism.org/content/10187/bourgeoisie-mondiale-derriere-jaruzelski
[41] https://fr.internationalism.org/content/10194/devoyer-proletariat-solidarnosc-toujours
[42] https://fr.internationalism.org/content/10199/proletariat-pologne-paie-prix-son-isolement
[43] https://it.internationalism.org/content/note-sullo-sciopero-di-massa
[44] https://fr.internationalism.org/content/10141/greve-masse
[45] https://fr.internationalism.org/rinte27/pologne.htm
[46] https://it.internationalism.org/content/dopo-la-repressione-polonia-prospettive-della-lotta-di-classe-mondiale
[47] https://fr.internationalism.org/rinte24/pologne.htm
[48] https://fr.internationalism.org/content/10142/solidarite-letat-capitaliste
[49] https://fr.internationalism.org/content/10123/kor-opposition-au-service-du-capital-polonais
[50] https://fr.internationalism.org/files/fr/tract_pologne_aout_1980.pdf
[51] https://fr.internationalism.org/content/10148/revolution-internationale-ndeg-81-janvier-1981
[52] https://fr.internationalism.org/rinte24/pologne2.htm
[53] https://fr.internationalism.org/content/10196/pologne-aout-1980-il-y-a-40-ans-proletariat-mondial-refaisait-lexperience-greve-masse
[54] https://en.internationalism.org/ir/1982/31/critique-of-the-weak-link-theory
[55] https://it.internationalism.org/en/tag/4/77/polonia
[56] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1980-sciopero-di-massa-polonia
[57] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria