Rivista Internazionale n°34
La CCI ha tenuto riunioni pubbliche in diversi paesi e città in occasione del 50° anniversario del maggio ‘68. In generale i partecipanti si sono dichiarati in accordo globalmente con le principali caratteristiche del movimento da noi presentate:
- Ciò che conferisce a questi eventi il loro carattere storico è il risveglio della lotta di classe espresso dal più imponente sciopero operaio mai esistito in quest’epoca - 10 milioni di operai in sciopero – sviluppatosi non certo per azione dei sindacati, ma solo per iniziativa degli stessi operai che sono entrati spontaneamente in lotta;
- Il movimento della classe operaia, che non è stato per niente a rimorchio di una concomitante, sebbene importante, agitazione studentesca, è stato in parte catalizzato dalla brutale repressione degli studenti che ha suscitato una profonda indignazione tra gli operai;
- Questo episodio storico ha dato vita ad un’atmosfera inedita, che si vede solo durante i grandi movimenti della classe operaia: le parole si liberano nelle strade, nelle università e nelle fabbriche occupate, e queste diventano il centro di intense discussioni politiche;
- Fondamentalmente, questo formidabile movimento è la risposta ai primi morsi della crisi economica aperta, che tornava a colpire una classe operaia costituita da giovani generazioni che non avevano subito la demoralizzazione dovuta al periodo di contro-rivoluzione;
- Questo movimento ha visto crollare un importante ostacolo sul cammino della lotta di classe, il controllo schiacciante dello stalinismo e delle sue cinghie di trasmissione: i sindacati.
Che Maggio 1968 abbia costituito il segno di uno sviluppo di un’ondata di lotte internazionali non ha, in generale, sorpreso i partecipanti a queste riunioni. Ma paradossalmente, esso non è stato recepito come segnale della fine del lungo periodo di contro-rivoluzione seguito alla sconfitta della prima ondata rivoluzionaria mondiale e che, allo stesso tempo, abbia aperto un nuovo corso di scontri di classe tra borghesia e proletariato. Infatti, certe caratteristiche del periodo attuale, come per esempio lo sviluppo del fondamentalismo, la moltiplicazione di guerre sul pianeta e così via, tendono ad essere interpretate come segni di un periodo controrivoluzionario. E questo errore secondo noi è originato da una duplice difficoltà.
Da un lato, la conoscenza insufficiente di ciò che è stato il periodo della contro-rivoluzione a livello mondiale con la sconfitta della prima ondata rivoluzionaria, che rende difficile la comprensione di quello che veramente ha rappresentato per la classe operaia e la sua lotta un tale periodo; ma c’è un altro fattore da considerare e cioè l'aspetto umano, dal momento che la barbarie del capitalismo in crisi non conosce più alcun limite. Ed è per questo motivo che abbiamo deciso di ritornare più dettagliatamente con il seguente articolo su tale periodo.
D'altra parte, il periodo aperto con Maggio 68, anche se è potuto sembrare più familiare alle generazioni che - direttamente o indirettamente - lo hanno conosciuto, ha una dinamica che non si afferra spontaneamente. In particolare essa può essere oscurata da eventi, situazioni che pur essendo importanti non ne costituiscono fattori determinanti. Ed per questo motivo che su questo periodo andiamo ad evidenziare ancora una volta le sue differenze fondamentali con quello della contro-rivoluzione.
La storia della lotta di classe è fatta di avanzamenti e di battute d'arresto
Il fenomeno che tutti immediatamente hanno potuto constatare, e cioè che dopo una lotta la mobilitazione degli operai tende a rifluire e con essa, spesso, la volontà di combattere, esiste anche a un livello più profondo a scala storica. In realtà, ciò ci permette di verificare la validità di quanto è stato segnalato da Marx ne Il 18 Brumaio, vale a dire l'alternanza tra avanzamenti, spesso molto vivaci e folgoranti della lotta proletaria (1848-49, 1864-71, 1917-23) e le sue battute d'arresto (a partire dal 1850, 1872 e 1923) che, inoltre, ogni volta hanno determinato la scomparsa o la degenerazione di organizzazioni politiche che la classe si era data nel periodo montante delle lotte (Lega dei Comunisti: fondata nel 1847, sciolta nel 1852; AIT, Associazione internazionale dei Lavoratori, fondata nel 1864, sciolta nel 1876; l'Internazionale Comunista: fondata nel 1919, degenerata e morta a metà degli anni '20; la vita dell'Internazionale socialista 1889-1914, complessivamente ha seguito un corso simile anche se meno chiaro ("Il corso storico", Révue internationale n°18).
La sconfitta della prima ondata rivoluzionaria mondiale del 1917-23 ha aperto il più lungo, il più profondo e il più terribile periodo di contro-rivoluzione mai sperimentato dal proletariato, che ha significato anche, per la classe operaia, la perdita dei suoi riferimenti politici dato che le poche organizzazioni rimaste fedeli alla rivoluzione si sono trovate ridotte a infime minoranze. Ma essa ha anche aperto la porta a un'esplosione di barbarie che avrebbe superato persino gli orrori della prima guerra mondiale. Di contro dal 1968 si è sviluppata una dinamica opposta, e non c'è ragione di dire che quest'ultima si sia già esaurita, nonostante le gravi difficoltà incontrate dal proletariato dall'inizio degli anni '90 con l'estensione e l’approfondimento della barbarie sul pianeta.
Il periodo 1924 - 1967: la più profonda contro-rivoluzione mai subita dalla classe operaia
L'espressione "È la mezzanotte del secolo", dal titolo di un libro di Victor Serge[1], è perfettamente applicabile alla realtà di questo lungo incubo, durato quasi mezzo secolo.
I diversi e terribili colpi caduti molto presto sull'ondata rivoluzionaria mondiale, aperta con la Rivoluzione russa del 1917, andranno già a costituire l'anticamera della lunga serie di offensive borghesi contro la classe operaia che faranno precipitare il movimento operaio nelle profondità della contro-rivoluzione. Per la borghesia, infatti, non si è trattato di vincere solo la rivoluzione, ma anche di abbattere necessariamente la classe operaia e in maniera definitiva. Di fronte a un'ondata rivoluzionaria che minacciava l'ordine mondiale capitalistico, questo era effettivamente il suo obiettivo cosciente e dichiarato[2], la borghesia non poteva semplicemente accontentarsi di respingere il proletariato. Doveva fare tutto ciò che è in suo potere affinché in futuro quest’esperienza fosse cancellata dalla testa de proletari di tutto il mondo per non farla ripetere. Soprattutto, doveva cercare di screditare per sempre l'idea della rivoluzione comunista e la possibilità di creare una società senza guerra, senza classi e senza sfruttamento. In questo è stata in grado di beneficiare di circostanze politiche che le sono state significativamente favorevoli: la perdita del bastione rivoluzionario in Russia non è stata determinata dalla sconfitta militare contro gli eserciti Bianchi che hanno cercato di invadere la Russia, ma più tardi, dalla sua stessa degenerazione interna (a cui, naturalmente, il considerevole sforzo bellico ha notevolmente contribuito). Ciò ha reso facile alla borghesia far passare per comunismo la mostruosità nata dalla sconfitta politica della rivoluzione, l'URSS stalinista. Allo stesso tempo, è necessario che quest'ultima sia vista come l'inevitabile destino di ogni lotta proletaria per la sua emancipazione. A questa menzogna hanno partecipato tutte le frazioni della borghesia mondiale, in tutti i paesi, dall'estrema destra all'estrema sinistra trotskista[3].
Quando le principali borghesie coinvolte nella guerra mondiale le mettono fine nel novembre 1918, è con il chiaro obiettivo di evitare che nuovi focolai rivoluzionari possano ingrossare la marea della rivoluzione, vittoriosa in Russia e che minaccia la Germania, in un momento in cui la borghesia di questo paese risulta indebolita dalla sconfitta militare. Ciò ha evitato che la febbre rivoluzionaria, alimentata dalla barbarie del campo di battaglia, così come dallo sfruttamento e dalla miseria insopportabile nelle retrovie, potesse colpire altri paesi come la Francia, Gran Bretagna, ... E questo obiettivo è stato raggiunto a livello globale. Nei paesi vincitori, il proletariato che aveva con fervore applaudito la rivoluzione russa, non si impegna in maniera massiccia dietro la bandiera della rivoluzione per il rovesciamento del capitalismo, al fine di porre fine per sempre agli orrori della guerra. Esausto per quattro anni di sofferenze nelle trincee o nelle fabbriche di armamenti, ora aspira a riposare "approfittando" della pace che gli è appena stata offerta dai briganti imperialisti. E poiché in tutte le guerre è sempre il vinto che, alla fine, viene additato come l'iniziatore di quest'ultime, nelle argomentazioni dell'Intesa (Francia, Regno Unito, Russia) la responsabilità del capitalismo come un tutto viene nascosta addossando la colpa ai soli imperi centrali (Germania, Austria, Ungheria). Peggio ancora, in Francia, la borghesia promette ai lavoratori una nuova era di prosperità sulla base delle riparazioni di guerra che sarebbero state imposte alla Germania. In tal modo il proletariato in Germania e in Russia tenderà ad essere ancora più isolato.
Ma ciò che stava accadendo nei paesi conquistatori e in quelli vinti è proprio quel futuro che Rosa Luxemburg aveva tracciato nella sua brochure di Junius: se il proletariato mondiale non riesce, con la sua lotta rivoluzionaria, ad erigere una nuova società al di sopra delle rovine fumanti del capitalismo, inevitabilmente quest’ultimo avrebbe inflitto all'umanità calamità ancora peggiori.
La storia di questa nuova discesa agli inferi, che culminerà con gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, su molti aspetti è confusa con quella della contro-rivoluzione che conoscerà il suo culmine alla fine di tale conflitto.
L’offensiva degli eserciti bianchi contro la Russia sovietica e il fallimento dei tentativi rivoluzionari in Germania e Ungheria
Ben presto, dopo l'ottobre 1917, il potere sovietico si scontra con le offensive militari dell'imperialismo tedesco che non vuole sentire parlare di pace[4]. Gli eserciti bianchi, economicamente sostenuti dall'estero, si strutturano in diverse parti del paese. E poi, nuovi eserciti bianchi, direttamente preparati dall'estero, vengono lanciati contro la rivoluzione fino al 1920. Il paese è circondato, preso nella morsa degli eserciti bianchi e soffocato economicamente. La guerra civile lascia dietro di sé un paese totalmente esangue. Quasi 980.000 morti nelle file dell'Armata Rossa, circa 3 milioni nella popolazione civile[5].
In Germania, l'asse della contro-rivoluzione è costituito dall'alleanza di due forze principali: il SPD traditore e l'esercito. Queste sono all'origine dell'istituzione di una nuova forza, i Free Corps o corpi franchi, i mercenari contro-rivoluzionari, il nucleo di quello che diventerà il movimento nazista. La borghesia infligge un colpo terribile al proletariato di Berlino inducendolo ad un'insurrezione prematura a Berlino, brutalmente repressa nel gennaio 1919 (la comune di Berlino). Migliaia di operai berlinesi e comunisti - la cui maggior parte è costituita comunque da operai - vengono uccisi (1200 operai vengono passati per le armi), torturati e gettati in prigione. R. Luxemburg, K. Liebknecht e dopo poco Leo Jogisches vengono assassinati. La classe operaia perde una parte della sua avanguardia e il suo più lucido leader nella persona di Rosa Luxemburg, la quale avrebbe potuto rappresentare una preziosa bussola di fronte alle future tormente.
Oltre alla sua incapacità per contrastare queste manovre, il movimento operaio in Germania soffre anche di una grave mancanza di coordinamento tra i diversi centri del movimento: Dopo la comune di Berlino, lotte difensive scoppiano nella Ruhr coinvolgendo minatori, siderurgici, operai tessili, nelle regioni industriali del Basso Reno e della Vestfalia (1° trimestre 1919); seguiranno altre lotte alla fine di marzo nella Germania centrale e di nuovo a Berlino. Il consiglio esecutivo della Repubblica dei consigli di Baviera viene proclamato a Monaco, poi viene rovesciato e la repressione lo abbatte. Berlino, la Ruhr, di nuovo Berlino, Amburgo, Brema, Germania centrale, Baviera, ovunque il proletariato è schiacciato pezzo dopo pezzo. Tutta la ferocia, la barbarie, l'astuzia, l’appello alla delazione e la tecnologia militare vengono usate dalla repressione. Ad esempio, "per riconquistare Alexanderplatz a Berlino, vengono utilizzate per la prima volta nella storia delle rivoluzioni tutte le armi utilizzate sul campo di battaglia: artiglieria leggera e pesante, bombe di peso fino a un quintale, ricognizione e bombardamento aereo" [6]. Migliaia di lavoratori vengono fucilati o uccisi nei combattimenti; i comunisti sono braccati e molti condannati a morte.
A marzo anche gli operai in Ungheria si sollevano contro il capitale dando luogo a scontri rivoluzionari. Il 21 marzo 1919 viene proclamata la Repubblica dei Consigli, ma essa è schiacciata l'estate successiva dalle truppe controrivoluzionarie.[7]
Nonostante i successivi eroici tentativi del proletariato in Germania, nel 1920 (di fronte al colpo di Stato di Kapp) e nel 1921 (azione di Marzo)[8], che testimoniano la persistenza di un forte spirito combattivo, la dinamica non sarà più verso un rafforzamento politico dell'insieme del proletariato tedesco, ma verso il suo contrario.
La degenerazione della rivoluzione nella stessa Russia
Le devastazioni della guerra, in particolare le considerevoli perdite subite dal proletariato, l'indebolimento politico di quest'ultimo con la perdita del suo potere politico nei consigli operai e lo scioglimento della Guardia rossa, l'isolamento politico della rivoluzione, tutto questo ha costituito il terreno per lo sviluppo dell'opportunismo all'interno del partito bolscevico e dell'Internazionale comunista[9]. La repressione dell'insurrezione di Kronstadt nel 1921, che ha luogo in reazione alla perdita del loro potere da parte dei soviet, è ordinata dal partito bolscevico. Da avanguardia della rivoluzione al momento della presa del potere, quest'ultimo sarebbe diventato l'avanguardia della controrivoluzione al termine di una degenerazione interna che le frazioni staccatesi da questo partito per combattere contro l'aumento dell'opportunismo non hanno potuto impedire[10].
Sono scomparse le grandi masse che in Russia, Germania, Ungheria, ... erano partite all'assalto del cielo. Quest'ultime, esangui, sfinite, sconfitte, non ce la fanno più. Nei paesi vittoriosi della guerra, il proletariato non si manifesta sufficientemente. Tutto ciò significò la sconfitta politica del proletariato in ogni parte del mondo.
Lo stalinismo diventa la punta di lancia della borghesia mondiale contro la rivoluzione
Il processo di degenerazione della rivoluzione russa conosce un'accelerazione con la presa del controllo del partito bolscevico da parte di Stalin. L'adozione nel 1925 della tesi del "socialismo in un paese", che diviene la dottrina del partito bolscevico e dell'Internazionale comunista, costituisce un punto di rottura e di non ritorno. Questo vero tradimento dell'internazionalismo proletario, principio fondamentale della lotta proletaria e della rivoluzione comunista, è ormai adottato e difeso da tutti i partiti comunisti del mondo[11] contro il progetto storico della classe operaia. Nello stesso tempo in cui segna l'abbandono di qualsiasi progetto proletario, la tesi del socialismo in un paese solo corrisponde anche al processo di inserimento della Russia nel capitalismo mondiale.
Verso la metà degli anni '20, Stalin comincia a condurre una politica spietata per liquidare tutti gli ex compagni di Lenin utilizzando ad oltranza gli organi repressivi che il Partito bolscevico aveva messo in atto per resistere agli eserciti bianchi (specialmente la polizia politica, Ceka)[12]. L'intero mondo capitalista sta riconoscendo in Stalin l'uomo della provvidenza, colui che sta per sradicare le ultime vestigia della rivoluzione d'Ottobre e al quale si deve dare tutto il sostegno necessario per spezzare, per sterminare la generazione dei proletari e dei rivoluzionari che, nel pieno della guerra mondiale, ha osato impegnarsi nella lotta a morte contro l'ordine capitalista[13].
I rivoluzionari, ovunque essi si trovino, sono braccati e repressi dallo stalinismo, con l'aiuto complice delle grandi democrazie, le stesse che avevano inviato i loro eserciti bianchi ad affamare e a tentare di rovesciare il potere dei soviet.
D'ora in poi, "il socialismo è l'URSS di Stalin", mentre il vero progetto proletario tende a sparire dalle coscienze
La Russia di Stalin sarà presentata dalla borghesia staliniana, e dal resto della borghesia mondiale, come la realizzazione dell'obiettivo finale del proletariato, l'instaurazione del socialismo. In questa impresa, collaboreranno tutte le frazioni mondiali della borghesia, sia quelle democratiche che i vari PC nazionali.
La stragrande maggioranza di coloro che credono ancora nella rivoluzione identificherà il suo obiettivo con l'istaurazione di un regime stile USSR negli altri paesi. Più luce sarà fatta sulla realtà della condizioni della classe operaia nell'URSS e più profonda sarà la divisione nel proletariato mondiale: quelli che continueranno a difendere il carattere "progressista" (nonostante tutti i suoi difetti), "senza borghesia", dell'Unione Sovietica e coloro per i quali, al contrario, la situazione nell'URSS sarà un incubo, ma senza avere la forza di concepire un progetto alternativo. Il progetto proletario viene quindi sostenuto solo da minoranze di rivoluzionari, sempre più ridotte, che gli sono rimaste fedeli.
Il proletariato di fronte alla crisi del 1929 e degli anni '30
Gli anni successivi alla crisi del 1929 sono drammatici per le condizioni di vita del proletariato mondiale, specialmente in Europa e negli Stati Uniti. Ma in generale le sue reazioni a questa situazione non costituiranno una risposta capace di poter sviluppare una dinamica di lotta di classe tale da mettere in discussione l'ordine costituito. Lungi da ciò. Ma peggio ancora, le reazioni degne di nota in Francia e in Spagna saranno deviate sul terreno dell'impasse della lotta antifascista.
In Francia, la grande ondata di scioperi che seguirà l'arrivo al governo del Fronte popolare nel 1936 esprime chiaramente i limiti della classe operaia sotto il peso della contro-rivoluzione. L'ondata di scioperi inizia con occupazioni spontanee di fabbriche mostrando comunque una certa combattività degli operai. Ma, fin dai primi giorni, la sinistra sarà in grado di utilizzare questa massa gigantesca per manovrarla ed imporre all'intera borghesia francese le misure di capitalismo di Stato necessarie per affrontare la crisi economica e preparare la guerra. Se è vero che per la prima volta si assiste in Francia ad occupazioni di fabbriche, è anche vero che per la prima volta si vedono operai cantare sia l'internazionale che la marsigliese, marciando dietro lo sventolio della bandiera rossa mescolato con quello della bandiera tricolore[14]. L'apparato di inquadramento costituito dal PC e dai sindacati è padrone della situazione, riuscendo a racchiudere nelle fabbriche gli operai che si lasciano cullare al suono di fisarmonica.
Il proletariato spagnolo, rimasto relativamente isolato dalla prima guerra mondiale e dall'ondata rivoluzionaria[15], si è ritrovato le sue forze fisiche relativamente intatte per affrontare gli attacchi di cui sarà vittima negli anni '30. Infatti, tra il 1931 e il 1939 si conteranno più di un milione di morti, soprattutto come conseguenza della guerra civile tra il campo repubblicano e quello del generale Franco, e questa guerra civile non ha più nulla a che fare con la lotta di classe del proletariato, essa è la permessa dal suo indebolimento. La situazione precipitò nel 1936 con il colpo di Stato del generale Franco. La risposta dei lavoratori fu immediata: il 19 luglio ‘36 gli operai dichiareranno lo sciopero ed in massa si recheranno alla caserma per ostacolare questo tentativo, senza preoccuparsi delle direttive contrarie del Fronte popolare e del governo repubblicano. Unendo la lotta rivendicativa alla lotta politica, gli operai fermano con questa azione la mano micidiale di Franco. Ma non quella della frazione della borghesia organizzata nel Fronte popolare. Appena un anno dopo, nel maggio 1937, il proletariato di Barcellona si solleva nuovamente, ma viene massacrato dal governo del Fronte popolare, con in testa il Partito comunista spagnolo e il suo ramo catalano del PSUC, mentre le truppe franchiste interrompono volontariamente la loro avanzata per permettere ai carnefici stalinisti di schiacciare gli operai.
Questa terribile tragedia operaia, ancora oggi presentata in modo menzognero come "una rivoluzione sociale spagnola" o "una grande esperienza rivoluzionaria" segna al contrario, attraverso lo schiacciamento ideologico e fisico delle ultime forze vive del proletariato europeo, il trionfo della contro-rivoluzione. Questo massacro è la prova generale che aprirà la strada maestra allo scatenamento della guerra imperialista[16].
Anni '30: la borghesia ha di nuovo le mani libere per imporre la sua soluzione di fronte alla crisi
La Repubblica di Weimar si è messa in evidenza per l'introduzione di un'estrema razionalizzazione dello sfruttamento della classe operaia in Germania accompagnata da misure di rappresentanza operaie nelle fabbriche per imbrogliarle.
In Germania, tra la Repubblica di Weimar (1923) e il Nazismo (1933), non emergerà alcuna opposizione: la prima ha permesso di schiacciare la minaccia rivoluzionaria, disperdere il proletariato, confondere la sua coscienza; il secondo, il nazismo, alla fine di questa evoluzione, terminerà questo lavoro, realizzando con mano di ferro l’unità della società capitalista sulla base della soppressione di ogni minaccia proletaria[17].
In tutti i paesi europei si sviluppano così partiti che si rifanno a Hitler o Mussolini, il cui programma è il rafforzamento e la concentrazione del potere politico ed economico nelle mani di un singolo partito nello Stato. Il loro sviluppo è combinato con una vasta offensiva anti-operaia dello Stato, facendo affidamento su un apparato repressivo rinforzato dall'esercito e dalle truppe fasciste in caso di bisogno. Dalla Romania alla Grecia si sviluppano organizzazioni di tipo fascista che, con la complicità dello Stato nazionale, si adoperano per impedire qualsiasi reazione operaia. La dittatura capitalista diventa aperta e molto spesso prende la forma del modello mussoliniano o hitleriano.
Il mantenimento del quadro democratico è tuttavia reso possibile nei paesi industrializzati meno colpiti dalla crisi. E la democrazia è anche una necessità per mistificare il proletariato. Il fascismo, avendo dato alla luce “l’antifascismo”, ha rafforzato le capacità di mistificazione delle “potenze democratiche”. Sotto la copertura dell'ideologia dei Fronti Popolari[18], che permettono di mantenere i lavoratori disorientati dietro i programmi di unità nazionale e di preparazione per la guerra imperialista, e in complicità con la borghesia russa, la maggior parte dei PC asserviti al nuovo imperialismo organizzeranno una vasta campagna sull'avanzamento del pericolo fascista[19]. La borghesia può condurre la guerra alla sola condizione di ingannare i proletari, facendo loro credere che quella è anche la loro guerra: "È la fine della lotta di classe, o più esattamente la distruzione della potenza di classe del proletariato, la distruzione della sua coscienza, la deviazione delle sue lotte, che la borghesia riesce ad ottenere attraverso suoi agenti nel proletariato, svuotando le sue lotte del loro contenuto rivoluzionario e impegnandole sui binari del riformismo e del nazionalismo, che è la condizione ultima e decisiva per lo scoppio della guerra imperialista". (Relazione sulla situazione internazionale della conferenza di luglio 1945 della Sinistra comunista di Francia)[20].
I massacri della seconda guerra mondiale
La maggior parte dei combattenti arruolati in entrambi i campi non sono partiti col sorriso fra i denti, paralizzati come erano dalla morte dei loro padri solo 25 anni prima. E ciò che incontreranno certamente non gli risolleverà il morale: la "Guerra lampo" causerà comunque 90.000 morti e 120.000 feriti francesi, 27.000 morti tedeschi. Il disastro in Francia ha sprofondato dieci milioni di persone nelle più spaventose delle condizioni. Un milione e mezzo di prigionieri vengono inviati in Germania. Ovunque le condizioni di sopravvivenza sono disumane: l'esodo di massa in Francia, il terrore dello Stato nazista che irreggimenta la popolazione tedesca.
In Italia come in Francia, molti operai si uniscono alla Resistenza di quest'epoca (in Francia “maquis”). Il partito stalinista e i trotskisti indicano loro l'esempio mistificato della Comune di Parigi (non si oppongono i lavoratori alla loro stessa borghesia guidata da Pétain, il nuovo Thiers, mentre i tedeschi occupano la Francia?). Nel bel mezzo di una popolazione terrorizzata e indifesa allo scatenarsi della guerra, molti operai francesi ed europei, reclutati nelle bande della resistenza, saranno uccisi credendo di combattere per la "liberazione socialista" della Francia, dell'Italia, .... Le bande della resistenza staliniste e trotskiste concentrano la loro propaganda odiosa soprattutto affinché gli operai possano impegnarsi "in prima linea nella lotta per l'indipendenza dei popoli".
Se la prima guerra mondiale ha causato 20 milioni di morti, la seconda ne farà 50 milioni, di cui 20 milioni di russi caduti sul fronte europeo. 10 milioni di persone sono morte nei campi di concentramento, 6 milioni delle quali sono da mettere sul conto della politica nazista di sterminio degli ebrei. Sebbene nessuna delle atrocità raccapriccianti del nazismo è oggi sconosciuta al grande pubblico, contrariamente ai crimini delle grandi democrazie, i crimini nazisti rimangono un esempio inconfutabile della barbarie senza limiti del capitalismo decadente, ... e anche dell'odiosa ipocrisia del campo degli alleati. In effetti, solo durante la liberazione, gli alleati fingono di scoprire i campi di concentramento. Pura mascherata per nascondere la propria barbarie esponendo quella del nemico sconfitto. In realtà la borghesia, sia inglese che americana, conosceva perfettamente l'esistenza dei campi e quello che stava succedendo. Eppure, guarda che stranezza, non ne parla praticamente durante la guerra e non ne fa un tema centrale della sua propaganda. In realtà, i governi di Churchill e Roosevelt hanno temuto come la peste che i nazisti espellessero gli ebrei in maniera massiccia per svuotare i campi. Così hanno rifiutato le offerte per lo scambio di 1 milione di ebrei. Non li volevano nemmeno senza dare nulla in cambio?[21]
Nell'ultimo anno di guerra, ad essere prese direttamente di mira dai bombardamenti saranno le concentrazioni operaie per indebolire il più possibile la classe operaia decimandola o terrorizzandola.
La borghesia mondiale prende le sue misure per eliminare ogni rischio di sollevamento proletariato
L'obiettivo è prevenire la ripetizione di un sollevamento proletario come nel 1917 e 18 di fronte agli orrori della guerra. Questo è il motivo per cui i bombardamenti anglo-americani - principalmente sulla Germania, ma anche sulla Francia – sono stati così barbaramente efficaci. Il risultato di quello che è stato indubbiamente uno dei più grandi crimini di guerra del secondo massacro mondiale, sono i circa 200.000 morti[22], quasi tutti civili, del bombardamento nel 1945 di Dresda, città riparo di rifugiati che non aveva alcun interesse strategico. Solo per decimare e terrorizzare la popolazione civile[23]. Allo stesso titolo, l’altro crimine efferato su Hiroshima che causò 75.000 morti e i terribili bombardamenti americani su Tokyo nel marzo 1945 che causarono 85.000 morti!
Nel 1943, quando Mussolini è rovesciato e sostituito dal maresciallo Badoglio, favorevole agli Alleati, questi ultimi, che già controllano il Sud del paese, non fanno niente per spostarsi a Nord. E ciò per consentire ai fascisti di regolare i loro conti con le masse operaie che cominciano a sollevarsi su basi di classe nelle regioni industriali del nord Italia. Interpellato per questa passività, Churchill risponderà: "E’ necessario far cuocere gli italiani nel loro brodo".
Appena finita la guerra, gli alleati favoriscono l'occupazione russa ovunque sorgevano rivolte operaie. L'Armata Rossa è la meglio piazzata per mettere ordine in questi paesi, o massacrando il proletariato o deviandolo dal suo terreno di classe in nome del "socialismo".
Una condivisione del lavoro dello stesso tipo si attua tra l'Armata Rossa e l'Esercito tedesco. A Varsavia e Budapest, quando si trova già nei loro sobborghi, l '"Armata Rossa" lascerà, senza muovere un dito, schiacciare dall'esercito tedesco le insurrezioni contro quest'ultimo. Stalin quindi affida a Hitler il compito di massacrare decine di migliaia di operai armati che avrebbero potuto contrastare i suoi piani[24].
Non contento di offrire a Stalin i territori ad "alto rischio sociale", la "democratica" borghesia dei paesi vincitori chiama i PC al governo nella maggior parte dei paesi europei (in particolare in Francia e in Italia) affidando loro un posto di prim’ordine nei vari ministeri (Thorez - segretario del Partito comunista francese - in Francia sarà nominato vicepresidente del Consiglio nel 1944).
Nell’immediato dopoguerra, il terrore imposto alla popolazione tedesca
Nella continuità dei massacri preventivi destinati a impedire un sollevamento proletario in Germania alla fine della guerra, quelli che si avranno dopo non saranno meno sanguinosi.
La Germania in effetti è trasformata in un vasto campo di sterminio dalle potenze occupanti russe, britanniche, francesi e americane. A guerra finita saranno morti, a causa dei bombardamenti e nei campi di concentramento, molti più tedeschi di quelli caduti in battaglia,. Secondo James Bacque, autore di "Crimini e misericordie: la sorte dei civili tedeschi sotto occupazione alleata, 1944-1950"[25], oltre 9 milioni di persone sono morte a causa della politica dell'imperialismo alleato tra il 1945 e il 1950.
Solo quando viene raggiunto questo obiettivo omicida l'imperialismo americano si rende conto che la devastazione dell'Europa, dopo la guerra, avrebbe rischiato di portare al potere l'imperialismo russo in tutto il continente e di conseguenza la politica di Potsdam viene cambiata. La ricostruzione dell'Europa occidentale richiede la rinascita dell'economia tedesca. Il ponte aereo di Berlino del 1948 è stato il simbolo di questo cambio di strategia[26]. Proprio come per il bombardamento di Dresda, "... il migliore raid terroristico di tutta la guerra messo in opera dagli Alleati vittoriosi", la borghesia democratica ha fatto il possibile per oscurare la realtà del vero costo della Barbarie ampiamente condivisa nei due campi della guerra mondiale.
Il proletariato non è stato in grado di sollevarsi in una lotta frontale contro la guerra
Nonostante puntuali manifestazioni di lotte in diversi luoghi, specialmente in Italia nel 1943, il proletariato non riesce ad alzare la testa contro la barbarie della Seconda Guerra Mondiale, come aveva fatto con la Prima guerra mondiale.
La prima guerra mondiale aveva conquistato milioni di lavoratori all'internazionalismo, la seconda li ha sprofondati nei bassifondi del più abietto sciovinismo, la caccia ai "boches"[27] e ai "collaborazionisti"[28].
Il proletariato tocca il fondo. Ciò che gli viene presentato, e che interpreta come sua grande "vittoria", il trionfo della democrazia contro il fascismo, costituisce la sua più totale sconfitta storica. Essa permette di erigere i pilastri ideologici dell'ordine capitalista: il sentimento di vittoria e l'euforia che travolge il proletariato, la sua fede nelle "virtù sacre" della democrazia borghese - proprio quella che l'ha portato a due macelli imperialisti e che ha schiacciato la sua rivoluzione nei primi anni 1920. E, dopo, il periodo di ricostruzione, poi il boom economico del dopoguerra, il momentaneo miglioramento delle sue condizioni di vita in Occidente, non gli consentono di misurare la vera sconfitta che ha subito[29].
Nei paesi dell'Europa dell'Est, che non beneficiano della manna americana del piano Marshall, in quanto i partiti stalinisti l'hanno rifiutato su ordine di Mosca, la situazione richiede più tempo per migliorare un po'. La mistificazione che viene presentata ai lavoratori è quella della "costruzione del socialismo". E tale mistificazione riporta un certo successo, come ad esempio in Cecoslovacchia dove il "colpo di Praga" del febbraio 1948, cioè la presa del controllo del governo da parte degli stalinisti, è realizzata con la simpatia di molti operai.
Una volta che questa illusione si è esaurita, cominciano a manifestarsi rivolte operaie, come quella in Ungheria nel 1956, ma esse sono duramente represse dalle truppe russe[30].
Il coinvolgimento delle truppe russe nella repressione è quindi un ulteriore alimento per il nazionalismo nei paesi dell'Europa dell'Est. Allo stesso tempo, tale repressione è ampiamente utilizzata dalla propaganda dei settori "democratici" e filo-americani della borghesia dei paesi dell'Europa occidentale, mentre i partiti stalinisti di questi paesi usano questa stessa propaganda per presentare l'insurrezione dei lavoratori ungheresi come un movimento sciovinista, persino "fascista", al soldo dell'imperialismo USA.
Inoltre, durante la "Guerra fredda", e anche quando essa lascia il posto alla "coesistenza pacifica" dopo il 1956, la divisione del mondo in due blocchi costituirà uno strumento di prim'ordine per ingannare la classe operaia.
Negli anni '50, lo stesso tipo di politica degli anni '30 continua a dividere e a disorientare la classe operaia: una parte di quest'ultima non vuole più sentir parlare di comunismo (identificandolo con l'URSS) mentre un'altra parte continua a subire il dominio ideologico dei partiti stalinisti e dei loro sindacati. Così, dalla Guerra di Corea, lo scontro Est-Ovest viene usato per opporre gli uni contro gli altri i diversi settori della classe operaia e per imbrigliare milioni di operai dietro il campo sovietico nel nome della "lotta contro l'imperialismo". Allo stesso tempo, le guerre coloniali offrono un'ulteriore opportunità per deviare gli operai dal loro terreno di classe nel nome, ancora una volta, della "lotta contro l'imperialismo" (e non della lotta contro il capitalismo) rispetto alla quale l'Unione Sovietica viene presentata come il paladino del "diritto e della libertà dei popoli". Questo tipo di campagna continuerà in molti paesi negli anni '50 e '60, in particolare con la guerra del Vietnam, dove gli Stati Uniti si impegnano in maniera massiccia dal 1961[31].
Un'altra conseguenza di questo lungo e profondo riflusso della classe operaia è stata la rottura organica con le frazioni comuniste del passato[32], imponendo così alle future generazioni di rivoluzionari la necessità di riappropriarsi in modo critico delle acquisizioni del movimento operaio.
Maggio 1968, fine della contro-rivoluzione
La crisi del 1929 e degli anni 1930, ha, nel migliore dei casi, suscitato alcune reazioni di combattività proletarie in Francia e in Spagna, ma, come abbiamo visto sopra, queste sono state deviate dal terreno di classe verso la difesa dell'antifascismo e della democrazia, grazie al lavoro degli stalinisti, dei trotskisti, dei sindacati. E ciò non ha fatto che approfondire ulteriormente la contro-rivoluzione.
Nel 1968, siamo solo all'inizio di una nuova manifestazione della crisi economica mondiale. E saranno gli effetti in Francia di questa crisi economica globale (aumento della disoccupazione, congelamento degli aumenti salariali, intensificazione dei ritmi di lavoro, attacchi alla Sicurezza sociale) a spiegare in gran parte la crescente combattività operaia in questo paese a partire dal 1967. Invece di lasciarsi incanalare dagli stalinisti e dai sindacati, il risveglio della combattività operaia comincia ad allontanarsi dagli "scioperetti" e dalle giornate d'azione sindacale. Già dal 1967, assistiamo a conflitti molto duri, molto determinati di fronte alla violenta repressione padronale e della polizia, e in cui i sindacati vengono più volte messi alle corde. Lo scopo di questo articolo non è quello di tornare su tutti i principali aspetti del Maggio 68 in Francia. Per questo rimandiamo il lettore agli articoli "Maggio 68 e la prospettiva rivoluzionaria" scritti in occasione del 40° anniversario di questi eventi[33].
Tuttavia, il richiamo di alcuni fatti è importante per illustrare il cambiamento della dinamica della lotta di classe avvenuta a Maggio 1968.
A Maggio, l'atmosfera sociale cambia radicalmente. "Il 13 maggio, tutte le città del paese conoscono le più importanti manifestazioni [in solidarietà con gli studenti vittime della repressione] dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La classe operaia è presente in modo massiccio accanto agli studenti (...) Alla fine delle manifestazioni, praticamente tutte le università sono occupate non solo dagli studenti ma anche da molti giovani operai. Ovunque si parla liberamente. Le discussioni non si limitano a questioni universitarie, alla repressione. Esse cominciano ad affrontare tutti i problemi sociali: le condizioni di lavoro, lo sfruttamento, il futuro della società (...) Il 14 maggio, in molte fabbriche, le discussioni continuano. Dopo le grandi dimostrazioni del giorno prima, con l'entusiasmo e il senso di forza emersi, è difficile tornare a lavorare come se niente fosse successo. A Nantes, i lavoratori di Sud-Aviation, coinvolti dai più giovani tra loro, lanciano uno sciopero spontaneo e decidono di occupare la fabbrica. La classe operaia inizia a prendere il sopravvento"[34].
L'apparato classico d’inquadramento della borghese non riesce ad averla vinta sulla spontaneità della classe operaia ad entrare in lotta. Così, nei tre giorni successivi alla manifestazione del 13 maggio, lo sciopero si estende spontaneamente alle fabbriche in tutta la Francia. I sindacati superati e messi da parte non possono che mettersi al rimorchio del movimento seguendone l'esempio. Nessuna richiesta specifica. Una tratto comune: sciopero totale, occupazione illimitata, sequestro della Direzione, bandiera rossa innalzata. Alla fine, la CGT chiede l'estensione, cercando di "salire sul treno in marcia"[35]. Ma ancora prima che l'appello della CGT sia noto, già un milione di lavoratori è sceso in sciopero.
La coscienza crescente della propria forza da parte della classe operaia stimola la discussione al suo interno e la discussione politica in particolare. Ciò ricorda, con le dovute proporzioni, la vita politica che attraversò la classe operaia, come riportato dagli scritti di Trotsky e J. Reed sulla effervescenza rivoluzionaria del 1917.
Il velo di menzogne tessuto per decenni dalla contro-rivoluzione e dai suoi sostenitori stalinisti e democratici sta iniziando a svanire. Video amatoriali girati nella fabbrica occupata Sud-Aviation a Nantes mostrano una appassionata discussione all'interno di un gruppo di lavoratori sul ruolo dei comitati di sciopero nella "dualità del potere". La dualità del potere nel 1917 è stato il prodotto della lotta per il potere reale tra lo Stato borghese e i consigli operai. In molte fabbriche in sciopero nel 1968, gli operai hanno eletto dei comitati di sciopero. Siamo molto lontani dall'essere in una situazione pre-rivoluzionaria, ma quello che sta succedendo è un tentativo da parte della classe operaia di rivendicare la propria esperienza, il suo passato rivoluzionario. Un'altra esperienza lo attesta: "Alcuni operai chiedono a coloro che difendono l'idea della rivoluzione di andare a difendere il loro punto di vista nella loro impresa occupata. Così a Tolosa, dove il piccolo nucleo che fonderà in seguito la sezione della CCI in Francia è invitato ad andare ad esporre l'idea dei consigli operai nella fabbrica JOB (carta e cartone) occupata E la cosa più significativa è che questo invito proviene da militanti ... della CGT e del PCF. Questi ultimi dovranno discutere per un'ora con i funzionari della CGT della grande fabbrica Sud-Aviation che è giunta a "rafforzare" il picchetto della JOB per ottenere l'autorizzazione lasciare entrare dei "gauchiste" in fabbrica. Per più di sei ore, operai e rivoluzionari, seduti su rotoli di cartone, discuteranno della rivoluzione, della storia del movimento operaio, dei soviet e dei tradimenti ... del PCF e della CGT ... "[36].
Una tale riflessione consentirà a migliaia di operai di riscoprire il ruolo storico dei consigli operai, nonché i grandi eventi della lotta della classe operaia, come ad esempio i tentativi rivoluzionari in Germania nel 1919. Allo stesso modo, si sviluppa un critica del ruolo svolto dal PC (che definisce se stesso come un partito dell'ordine) in relazione agli stessi eventi del 1968 ma anche della rivoluzione russa. Questa è stata la prima rimessa in causa di un certo spessore allo stalinismo e al ruolo dei PC come custodi dell'ordine stabilito. La critica colpisce anche i sindacati, che crescerà quando essi si manifesteranno apertamente come gli agenti della divisione della classe operaia per riportarla al lavoro[37].
È un'altra epoca che si sta aprendo, caratterizzata da una "rinascita" nella coscienza di classe nelle vaste masse operaie. Questa rottura con la contro-rivoluzione non significa che quest'ultima non avrebbe continuato a pesare negativamente sull'ulteriore sviluppo della lotta di classe, né che la coscienza dei lavoratori fosse libera da forti illusioni soprattutto nei riguardi degli ostacoli da superare sul cammino della rivoluzione, molto più lontana di come la grande maggioranza l'aveva immaginata all'epoca.
Una tale caratteristica del Maggio 68, come dimostrazione della fine del periodo di contro-rivoluzione, troverà la sua conferma nel fatto che, lungi dall'essere un fenomeno isolato, questi eventi costituiscono piuttosto il punto di partenza per la ripresa della lotta di classe a livello internazionale, stimolata dalla profonda crisi economica e il cui corollario è stato lo sviluppo di un movimento politico proletario internazionale[38]. La fondazione nel 1968 di "Révolution Internationale" ne costituisce un esempio, dal momento che questo gruppo svolgerà un ruolo di primo piano nel processo di raggruppamento che porterà alla fondazione della CCI nel 1975, e di cui "Révolution Internationale" sarà la sezione in Francia. A differenza del periodo buio della contro-rivoluzione, la borghesia ha ora di fronte una classe che non è pronta ad accettare i sacrifici della guerra economica mondiale, e che pertanto costituisce un ostacolo allo scoppio della seconda guerra mondiale, come vedremo più avanti.
La ripresa internazionale della lotta di classe dal 1968
La CCI ha appena dedicato un articolo su questa questione, "Gli avanzamenti e i riflussi della lotta di classe dopo il 1968"[39] che consigliamo ai nostri lettori e da cui prendiamo molti elementi necessari per evidenziare le differenze tra il periodo di contro-rivoluzione e il periodo storico aperto con maggio 1968. In poche parole la differenza fondamentale tra il pe riodo di contro-rivoluzione, iniziato da una profonda sconfitta della classe operaia, e quella aperta con il maggio 68, risiede nel fatto che dalla rinascita della lotta, e nonostante tutte le difficoltà con cui il proletariato si è confrontato, quest'ultimo non ha subito una sconfitta profonda.
L'approfondimento della crisi economica aperta, che agli inizi degli anni '60 era ancora ai suoi inizi, è stata da stimolo per il proletariato per sviluppare il suo spirito combattivo e la sua coscienza.
Tre ondate di lotta si sono sviluppate nei due decenni successivi al 68
La prima, senza dubbio la più spettacolare, ha visto l’autunno caldo italiano nel '69, la violenta rivolta a Cordoba in Argentina nel 69 e in Polonia nel '70, e importanti movimenti in Spagna e in Gran Bretagna nel 1972. C'è stato anche un autunno caldo in Germania nel '69 con numerosi scioperi selvaggi. In Spagna, in particolare, i lavoratori hanno iniziato ad organizzarsi attraverso assemblee di massa, un processo culminato a Vitoria nel 1976. La dimensione internazionale dell'ondata è stata dimostrata dai suoi echi in Israele (1969) e in Egitto (1972) e, in seguito, dalle insurrezioni nelle township (divisioni territoriali costituite dall’apartheid) del Sud Africa dirette da comitati di lotta (i Civics).
Dopo una breve pausa a metà degli anni '70, c'è stata una seconda ondata di scioperi degli operai petroliferi iraniani, degli operai siderurgici in Francia nel 1978, "l'inverno del malcontento" in Gran Bretagna, lo sciopero dei portuali a Rotterdam, guidato da un comitato di sciopero indipendente, e gli scioperi dei lavoratori dell'industria siderurgica in Brasile nel 1979, che hanno anche sfidato il controllo sindacale. In Asia c'è stata la rivolta di Kwangju (Corea del Sud). Questa ondata di lotte è culminata in Polonia nel 1980, certamente l'episodio più importante della lotta di classe dal 1968, e anche dagli anni '20.
Sebbene la severa repressione dei lavoratori polacchi abbia fermato questa ondata, non è passato molto tempo per assistere ad un nuovo movimento di lotte in Belgio nel 1983 e nel 1986, lo sciopero generale in Danimarca nel 1985, lo sciopero dei minatori in Inghilterra nel 1984-85, le lotte dei ferrovieri e degli operatori sanitari in Francia nel 1986 e 1988, e il movimento degli insegnanti in Italia nel 1987. Le lotte in Francia e in Italia, in particolare, come lo sciopero di massa in Polonia, hanno mostrato una reale capacità di auto-organizzazione con assemblee generali e comitati di sciopero.
Questo movimento di ondate di lotte non è girato a vuoto, ha determinato, infatti, veri progressi nella coscienza di classe espressi attraverso le seguenti caratteristiche:
- una perdita di illusioni sulle forze politiche della sinistra del capitale e, prima di tutto, sui sindacati nei cui riguardi le illusioni hanno lasciato il posto alla sfiducia e ad un'ostilità sempre più aperta;
- l'abbandono sempre più marcato di forme di mobilitazione inefficaci, impasse in cui i sindacati hanno tante volte convogliato la combattività operaia: giornate d'azione, dimostrazioni, passeggiate, o scioperi lunghi e isolati ...
Ma l'esperienza di questi 20 anni di lotta non ha solo dato alla classe operaia insegnamenti "negativi" (cosa non fare). Ha anche portato lezioni su come:
- ricercare l'estensione della lotta (in particolare Belgio1986);
- ricercare la presa in mano delle proprie lotte, organizzandosi in assemblee e comitati di sciopero eletti e revocabili (Principalmente in Francia fine 86 ed Italia 1987).
Allo stesso modo, le manovre più sofisticate sviluppate dalla borghesia per affrontare la lotta di classe hanno dimostrato proprio lo sviluppo di quest'ultima durante questo periodo. Per esempio essa ha dovuto affrontare il crescente disincanto di fronte ai sindacati ufficiali e alla minaccia di auto-organizzazione sviluppando un tipo di sindacalismo che potrebbe ricoprire anche forme "al di fuori dei sindacati" (ad esempio, i coordinamenti creati dall'estrema sinistra in Francia).
Il proletariato ostacola la guerra
Alla fine di questi vent'anni dopo il 1968, la borghesia non è riuscita ad infliggere una decisiva sconfitta storica alla classe operaia, e quindi non ha potuto mobilitarla per una nuova guerra mondiale, a differenza degli anni '30 come abbiamo già mostrato in questo articolo.
In effetti, la borghesia non può lanciarsi in una guerra mondiale senza prima essersi assicurata di una certa docilità del proletariato. Infatti, quest’ultima costituisce la condizione essenziale per fargli accettare i sacrifici richiesti dallo stato di guerra, che richiede la mobilitazione di tutte le forze vive della nazione sia nella produzione che al fronte. Intanto, un simile obiettivo è del tutto irrealistico visto che il proletariato non si è dimostrato nemmeno pronto ad accettare con obbedienza cieca le misure di austerità che la borghesia doveva prender per far fronte alle conseguenze della crisi economica. E questo è il motivo per cui la Terza Guerra Mondiale non ha avuto luogo durante questo periodo, nonostante che le tensioni tra i blocchi avevano raggiunto il loro apice e le alleanze erano già state formate attraverso i due blocchi. Inoltre, in nessuna delle concentrazioni storiche del proletariato la borghesia ha cercato di mobilitarlo massicciamente per farlo partecipare come carne da macello nelle varie guerre locali, espressioni della rivalità Est-Ovest, e che anche durante questo periodo hanno insanguinato il mondo.
Ciò è particolarmente vero per la classe operaia in Occidente, ma anche per quella dell'Est, sebbene quest’ultima sia politicamente più debole dato il danno provocato dal rullo compressore dello stalinismo, specialmente in URSS. In effetti, la borghesia staliniana, impantanata in una palude economica, ha avuto di fronte una classe reattiva, che lottava (come illustrato in particolare dagli scioperi in Polonia nel 1980) e quindi era chiaramente impossibile mobilitarla in modo massiccio in una soluzione militare a causa del fallimento della sua economia.
Ciò detto, anche se la classe operaia ha rappresentato un ostacolo alla guerra mondiale fino alla fine degli anni '80, se è stata in grado di sviluppare le sue lotte di resistenza contro gli attacchi del capitale nei due decenni successivi al 1968, senza subire una profonda sconfitta e invertendo una dinamica globale di sviluppo dello scontro tra classi, non ha potuto comunque impedire l’avvicendarsi di guerre su altre parti del pianeta. In effetti, durante questo periodo, le guerre non si sono mai fermate.
Nella maggior parte dei casi, esse, espressione delle rivalità imperialiste tra l’Est e l’Ovest e in mancanza di uno scontro frontale tra questi, sono scoppiate attraverso paesi interposti. E in questi paesi appartenenti al capitalismo periferico, il proletariato non ha avuto una forza in grado di paralizzare il braccio armato della borghesia.
Il proletariato di fronte alla decomposizione del capitalismo
Nonostante questi progressi della lotta di classe, in particolare attraverso importanti sviluppi nella coscienza di classe, e anche perché la borghesia non è stata in grado di mobilitare il proletariato per un nuovo conflitto mondiale, la classe operaia non è riuscita a sviluppare la prospettiva della rivoluzione, di porre la propria alternativa politica alla crisi del sistema.
Quindi, nessuna delle due classi fondamentali è stata in grado di imporre la sua soluzione alla crisi del capitalismo. Privato di ogni via d'uscita ma ancora bloccato da una crisi economica di lunga durata, il capitalismo ha cominciato a marcire e questo putridume ha colpito la società capitalista a tutti i livelli. Il capitalismo è così entrato in una nuova fase della sua decadenza, quella della sua decomposizione sociale. Come abbiamo già spesso messo in evidenza, questa fase è sinonimo di maggiori difficoltà per la lotta del proletariato[40].
Andando indietro negli ultimi tre decenni, possiamo dire che il declino della coscienza si è approfondito, causando una sorta di amnesia nei confronti dei risultati e dei progressi del periodo 1968-1989 e che si spiega fondamentalmente attraverso due fattori:
- L'enorme impatto del crollo del blocco dell'Est nel 1989-91, falsamente fatto identificare dalle campagne della borghesia come il crollo del comunismo;
- Le caratteristiche dello stesso periodo di decomposizione, inaugurato da questo crollo, ed in particolare: l'aumento permanente della criminalità, l'insicurezza, la violenza urbana; lo sviluppo del nichilismo, del suicidio giovanile, della disperazione, dell'odio e della xenofobia; l'ondata di droga; la profusione di sette, il risveglio dello spirito religioso, anche in alcuni paesi avanzati; il rifiuto di un pensiero razionale, coerente, costruito; l'invasione dei media con spettacoli di violenza, orrore, sangue, massacri (...) lo sviluppo del terrorismo, la presa di ostaggi, come mezzi di guerra tra Stati.
Nonostante queste enormi difficoltà della classe operaia dal 1990, per comprendere seriamente l'attuale periodo devono essere presi in considerazione due elementi:
- le crescenti difficoltà e persino le sconfitte parziali non sono ancora sinonimo di una sconfitta storica della classe e della scomparsa della possibilità del comunismo;
- la maturazione sotterranea continua perché, nonostante la decomposizione, il capitalismo continua a sopravvivere e le due classi antagoniste della società si fronteggiano.
In effetti, negli ultimi decenni, ci sono stati una serie di movimenti importanti che forniscono una base per questa analisi:
- Nel 2006, la massiccia mobilitazione degli studenti in Francia contro il CPE[41]. I suoi protagonisti hanno riscoperto forme di lotta che erano apparse nel maggio 1968, in particolare le assemblee generali in cui si sono potute svolgere vere discussioni e dove i giovani partecipanti sono stati pronti ad ascoltare le testimonianze dei compagni più anziani invitati a prendere parte agli eventi. Questo movimento, che ha sopraffatto la leadership sindacale, rischiava seriamente di attrarre dipendenti pubblici ed operai in modo altrettanto "incontrollato", proprio come nel maggio 1968, ed è per questo che il governo ha ritirato il suo progetto di legge CPE.
- Inoltre, nel maggio 2006, 23.000 metallurgici a Vigo, nella provincia della Galizia in Spagna, hanno scioperato contro una riforma del lavoro in questo settore e invece di rimanere chiusi in fabbrica sono andati a cercare solidarietà in altre fabbriche, soprattutto alle porte dei cantieri navali e delle fabbriche Citroën; poi hanno organizzato manifestazioni nella città per radunare l'intera popolazione e soprattutto assemblee pubbliche quotidianamente aperte ad altri lavoratori, occupati, disoccupati o in pensione.
- Nel 2011, l'ondata di rivolte sociali in Medio Oriente e in Grecia, che è culminata nel movimento degli "Indignados" in Spagna. L'elemento proletario in questi movimenti è variato da un paese all'altro, ma è stato più forte in Spagna, dove si é avuto lo sviluppo di assemblee generali; un potente slancio internazionalista che ha salutato con espressioni di solidarietà i partecipanti di tutti gli angoli del mondo e dove lo slogan "rivoluzione mondiale" è stato preso sul serio, forse per la prima volta dall'ondata rivoluzionaria del 1917; un riconoscimento che "il sistema è obsoleto" e una forte volontà di discutere della possibilità di una nuova forma di organizzazione sociale. Nelle molteplici e vivaci discussioni che hanno avuto luogo nelle assemblee e commissioni sulle questioni morali, la scienza e la cultura, nella rimessa in discussione, molto presente, dei dogmi secondo il quale i rapporti di produzione capitalistici sono eterni - abbiamo visto qui di nuovo lo spirito reale di Maggio 68 prendere forma. Ovviamente, questo movimento ha avuto molte debolezze che abbiamo analizzato altrove[42], non ultimo la tendenza da parte delle persone coinvolte a vedere se stessi come "cittadini", piuttosto che come proletari, e quindi una reale vulnerabilità all'ideologia democratica.
Le minacce che la sopravvivenza del capitalismo fa correre all'umanità provano che la rivoluzione è più che mai una necessità per la specie umana: estensione del caos militare, catastrofe ecologica, carestia e malattie su scala mai vista prima. La decadenza del capitalismo e della decomposizione minacciano di distruggere definitivamente la base oggettiva di una nuova società se la decomposizione avanza oltre un certo punto. Ma anche nella sua ultima fase, il capitalismo produce ancora le forze che possono essere utilizzate per rovesciarlo - nei termini del Manifesto comunista del 1848, "ciò che la borghesia soprattutto produce è il suo becchino" (il proletariato).
Così, con l'entrata del capitalismo nella sua fase di decomposizione, anche se ciò comporta maggiori difficoltà per il proletariato, non c'è nulla che indichi che quest'ultimo abbia subito una sconfitta con conseguenze irreversibili e che sia disposto ad accettare ogni sacrificio richiesto sia riguardo alle condizioni di lavoro, che in una marcia verso la guerra imperialista. Non sappiamo quando, né con quale ampiezza si svolgeranno le prossime manifestazioni di tali potenzialità del proletariato. Ciò che sappiamo, tuttavia, è che l'intervento determinato e appropriato della minoranza rivoluzionaria condiziona già da oggi il futuro rafforzamento della lotta di classe.
Silvio (luglio 2018)
[1] Victor Serge è noto soprattutto per la sua famosa narrazione della storia della rivoluzione russa: “L'anno I della Rivoluzione russa”, Einaudi.
[2] "Una nuova era è sorta: il tempo della disintegrazione del capitalismo, del suo crollo interno. L'era della rivoluzione comunista del proletariato". Lettera di invito al primo congresso dell'Internazionale comunista. A tale proposito, leggi il nostro articolo della serie "Il comunismo non è un bell'ideale, esso è all'ordine del giorno della storia", "La Piattaforma dell'Internazionale comunista". Révue internationale n°94.
[3] La Quarta Internazionale, sostenendo la Russia imperialista (dopo la morte di Trotsky), tradì a sua volta l'internazionalismo proletario. Vedi il nostro articolo "Il trotskismo e la seconda guerra mondiale" all'interno della nostra brochure "Il trotskismo contro la classe operaia".
[4] Cosa che porterà alla necessità per il potere in Russia a firmare gli accordi di Brest-Litovsk, al fine di evitare il peggio.
[5] Leggi il nostro articolo “La borghesia mondiale contro la rivoluzione di ottobre” (parte I), su Révue Internationale n°160.
[6] Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner, Jakob Walcher, “Rivoluzione e contro-rivoluzione in Germania 1918-1920”, Edizioni Pantarei.
[7] Per ulteriori informazioni vedere gli articoli dedicati alla Rivoluzione in Germania su Rivoluzione Internazionale nn.158 e 159, sulla Rivista Internazionale n. 30 e su CCI on line 25/01/2019.
[8] Leggi il nostro articolo "L'azione di marzo 1921, il pericolo dell'impazienza piccolo-borghese" della Révue internationale n°93.
[9] "I tentativi di ottenere il sostegno delle masse in una fase di declino dell'attività di queste masse hanno portato a "soluzioni "opportunistiche - la crescente insistenza sul lavoro all'interno del parlamento e dei sindacati, gli appelli ai "Popoli dell'Est" a sollevarsi contro l'imperialismo e, soprattutto, alla politica del fronte unico con i partiti socialista e socialdemocratico gettando fuori bordo tutta la chiarezza acquisita sulla natura capitalista di coloro che erano diventati dei socialpatrioti". "La sinistra comunista e la continuità del marxismo" in "Cos'è la CCI?" sul nostro sito in francese.
[10] Leggi nella serie "Il comunismo non è un bell'ideale, esso è all'ordine del giorno della storia" il nostro articolo "1922-23: frazioni comuniste contro l'ascesa della contro-rivoluzione" dalla Révue internationale n°101.
[11] Anche questi ultimi conosceranno frazioni di sinistra. Su tale argomento, vedi il citato articolo "La Sinistra Comunista e la continuità del marxismo”
[12] Vedere il nostro articolo "Come Stalin ha sterminato i militanti nella rivoluzione di ottobre" in Révolution internationale n° 387.
[13] Per esempio, a partire dal 1925 Stalin riceve il sostegno senza riserve da parte della borghesia mondiale nella sua lotta contro l'opposizione di sinistra che, all’interno del partito bolscevico, cercava di mantenere una politica in-ternazionalista contro la tesi della "costruzione del socialismo in un solo paese". Vedere il nostro articolo "Quando i democratici sostenevano Stalin per schiacciare il proletariato" in Révolution internationale n° 385
[14] Come diceva il nostro compagno Marc Chirik: "Passare questi anni di terribile isolamento, vedere il proletariato francese inalberare il vessillo tricolore, quello dei Versagliesi, e cantare la Marsigliese, tutto questo in nome del comunismo, era, per tutte le generazioni che erano rimaste rivoluzionarie, fonte di una orribile tristezza. Ed è al momento della guerra di Spagna che questo sentimento di isolamento raggiunge uno dei suoi punti culminanti dal momento che numerose delle organizzazioni che erano riuscite a mantenere delle posizioni di classe vengono trascinate nell’ondata antifascista". Vedere il nostro articolo "Marc: De la révolution d'octobre 1917 à la deuxième guerre mondiale", Révue internationale n°65.
[15] Va tuttavia segnalato che una forte minoranza in seno alla CNT si era dichiarata favorevole all’adesione all'Internazionale comunista al momento della sua fondazione.
[16] Vedi “La lezione degli avvenimenti di Spagna” in Bilan n°36 (novembre 1936), ripubblicato nel nostro opuscolo “Fascisme & démocratie, deux expressions de la dictature du capital”.
[17] Vedere in proposito "Lo schiacciamento del proletariato tedesco e l'avvento del fascismo" nel numero 16 della Rivista Bilan (mars 1935), ripubblicato nella Révue internationale n° 71.
[18] Per ulteriori informazioni vedere l’articolo "1936 : Fronti popolari in Francia e in Spagna : come la borghesia ha mobilitato la classe operaia per la guerra", Rivista internazionale n° 28.
[19] Vedere "Le commemorazioni del 1944 : 50 anni di menzogne imperialiste (1a parte)" in Révue internationale n° 78.
[20] Ripubblicato nella Rèvue Internationale n. 59.
[21] Vedere in proposito "I massacri e i crimini delle grandi democrazie`'". Révue internationale n° 66.
[22] Questa è la cifra fornita dagli americani dopo la guerra.
[23] I bombardamenti più sanguinosi per le popolazioni che ebbero luogo precedentemente in Germania sono quelli di Amburgo (50.000 morti e 40.000 feriti nel luglio 1943, essenzialmente in zone residenziali e operaie), Kassel (10.000 morti nell’ ottobre 1943), Darmstadt, Königsberg, Heilbronn (più di 24.000 morti all’inizio del 1944), Braunschweig (23.000 persone carbonizzate o asfissiate), Berlino (25.000 morti).
[24] Leggere l'articolo "Quando le democrazie sostenevano Stalin per schiacciare il proletariato" del nostro opuscolo sul crollo dello stalinismo.
[25] Per questo autore, "Più di 9 milioni di tedeschi sono morti a causa della carestia provocata dagli Alleati dopo la Seconda Guerra mondiale - un quarto del paese è stato annesso e circa 15 milioni di persone sono state espulse nel più grande atto di pulizia etnica che il mondo abbia mai conosciuto. Più di 2 milioni di questi, tra cui un numero incalcolabile di bambini, sono morti negli spostamenti o nei campi di concentramento in Polonia e altrove. I governi occidentali continuano a negare che queste morti siano avvenute."
[26] Vedere il nostro articolo "Berlino 1948 : il ponte aereo di Berlino nasconde i crimini dell’imperialismo alleato" sulla Révue internationale n° 95.
[27] Boche è il termine dispregiativo per indicare un soldato tedesco o una persona di origine tedesca, il cui uso da parte de PCF in particolare aveva lo scopo di attizzare l’odio sciovinista verso i tedeschi.
[28] Termine che indica le persone che, durante la seconda guerra mondiale, hanno "tradito" collaborando con il nemico tedesco.
[29] Leggere in proposito il nostro articolo "All’alba del 21° secolo... perché il proletariato non ha ancora rovesciato il capitalismo (I)" su Révue internationale n° 103.
[30] Per maggiori informazioni leggere il nostro articolo "Lotta di classe nell’Europa dell'est (1920-1970) : la necessità dell’internazionalizzazione delle lotte", Révue internationale n° 27, e, in italiano l’’articolo sull’insurrezione in Ungheria del 1956 su Rivoluzione Internazionale n.148.
[31] Leggere in proposito il nostro articolo "All’alba del 21° secolo...perchè il proletariato non ha ancora rovesciato il capitalismo (II)" su Révue internationale n° 104.
[32] Quelle che si sono staccate dai vecchi partiti operai che erano degenerati dopo la sconfitta del’ondata rivoluzionaria mondiale del 1917-23.
[33] Maggio 68: "Il movimento degli studenti nel mondo negli anni 1960" e "Fine della controrivoluzione, ripresa storica del proletariato mondiale" pubblicati su CCI on line nel 2018.
[34] "Fine della controrivoluzione, ripresa storica del proletariato mondiale" pubblicato su CCI on line nel 2018.
[35] Questo permetterà alla CGT di essere presente al momento dei negoziati e di giocare il ruolo di principale divisore del movimento facendo riprendere il lavoro, settore dopo settore, attraverso negoziati isolati per ciascuno di essi.
[36] "Fine della controrivoluzione, ripresa storica del proletariato mondiale" pubblicato su CCI on line nel 2018.
[37] La nostra insistenza sulla messa in discussione dell’inquadramento del PC e dei sindacati non deve comunque lasciar pensare che questi sono rimasti inattivi. In un buon numero di fabbriche occupate, i sindacati fanno di tutto per isolare gli operai da ogni contatto con l’esterno che poteva esercitare su di essi un’influenza "nefasta" (da parte di quelli che essi chiamavano i "gauchistes"). In più tengono occupati gli operai facendoli giocare tutto il giorno a ping-pong.
[38] Questa questione merita un articolo apposito. Lo faremo successivamente in un articolo dedicato all’evoluzione dell’ambiente politico proletario dopo il 1968.
[39] Articolo presente in questo stesso numero della Rivista Internazionale.
[40] Vedi “La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo” su Rivista Internazionale n. 14
[41] CPE (contratto di primo impiego) : una misura finalizzata ad accrescere la precarietà del lavoro per i giovani. Per un’analisi di questo movimento vedere l’articolo "Tesi sul movimento degli studenti della primavera 2006 in Francia", Rivista Internazionale n° 29.
[42] Vedere "Gli indignati in Spagna, Grecia ed Israele: dall’indignazione alla preparazione della lotta di classe", su Rivoluzione Internazionale n. 173.
Cento anni fa eravamo nel pieno dell’ondata rivoluzionaria mondiale, più precisamente della rivoluzione in Germania, un anno dopo la presa del potere politico da parte del proletariato in Russia, nell’ottobre 1917.
Come in Russia, la classe operaia in Germania aveva fatto nascere dei consigli operai, organi di unificazione di tutti gli operai e della futura presa del potere politico. Quando scoppia nel paese più industrializzato del mondo capitalista, con la classe operaia più numerosa, la rivoluzione in Germania apre la possibilità di rompere l’isolamento del potere proletario in Russia e di estendere la rivoluzione in Europa. La borghesia del resto non si è sbagliata visto che mette fine alla guerra imperialista firmando l’armistizio dell’11 novembre 1918, dato che la sua prosecuzione costituiva un fattore di radicalizzazione delle masse, di demistificazione di tutte le frazioni della borghesia, le più “a sinistra” in particolare, come già era accaduto in Russia nei mesi che seguirono la rivoluzione di febbraio 1917.
Inoltre, quando la maggior parte delle frazioni di destra dell’apparato statale erano in piena disgregazione a causa del disastro militare, la borghesia tedesca ha saputo puntare sulla socialdemocrazia traditrice per indebolire e schiacciare la rivoluzione e la classe operaia in Germania.
È un insegnamento fondamentale per la rivoluzione del futuro, che troverà sul suo cammino tutte le frazioni della sinistra e dell’estrema sinistra del capitale che faranno di tutto per sconfiggere il proletariato.
Rivoluzione in Germania – 100 anni fa il proletariato faceva tremare la borghesia
Un simile titolo può sembrare oggi molto strano visto come questo immenso avvenimento storico è caduto nell’oblio. La borghesia è riuscita a cancellarlo dalla memoria operaia. Ma nel 1918 tutti gli occhi sono ben puntati verso la Germania, sguardi pieni di speranza per il proletariato, di paura per la borghesia.
La classe operaia ha appena preso il potere in Russia; è l’Ottobre 1917, i soviet, i bolscevichi, l’insurrezione… Ora, come scrisse Lenin: “La Rivoluzione russa non è che un distaccamento dell’esercito socialista mondiale, e il successo e il trionfo della rivoluzione che noi abbiamo compiuto dipende dalla azione di questa armata. È un fatto che nessuno di noi dimentica (…). Il proletariato russo ha coscienza del suo isolamento rivoluzionario, e vede chiaramente che la sua vittoria ha come condizione indispensabile e premessa fondamentale l’azione unita degli operai del mondo intero”. (“Rapporto alla Conferenza dei comitati/ consigli di fabbrica della provincia di Mosca”, 23 luglio 1918).
La Germania è la porta tra l’Est e l’Ovest. Una rivoluzione vittoriosa qui apre la porta della lotta di classe nel resto del vecchio continente, la deflagrazione rivoluzionaria in Europa.
Nessuna borghesia vuole vedere questa porta “cadere”. È per questo che la classe dominante concentrerà su di essa tutto il suo odio e le sue trappole più sofisticate: la rivoluzione del proletariato in Germania era la maggiore posta in gioco per la riuscita o il fallimento della rivoluzione mondiale iniziata in Russia.
La forza della classe operaia
1914. Scoppia la guerra mondiale. Seguono quattro anni, durante i quali il proletariato subisce la peggiore carneficina della storia dell’umanità: le trincee, i gas, la fame, i milioni di morti… Quattro anni durante i quali i sindacati e la socialdemocrazia sfruttano il loro glorioso passato proletario – tradito nel 1914 col sostegno allo sforzo bellico della borghesia - e la fiducia che gli accordano gli operai in nome dello stesso passato, per imporgli i peggiori sacrifici e giustificare lo sforzo bellico.
Ma durante questi quattro anni la classe operaia sviluppa anche gradualmente la sua lotta. In tutte le città gli scioperi e i disordini nell’esercito si moltiplicano. Ovviamente la borghesia, dall’altro lato, non resta inerte, e reagisce in modo davvero violento. I leader delle fabbriche, denunciati dai sindacati, vengono arrestati. Soldati sono giustiziati per indisciplina o diserzione.
1916. Il 1°maggio Karl Liebknecht scandisce: “Abbasso la guerra! Abbasso il governo!”. Rosa Luxemburg viene incarcerata, così come altri rivoluzionari: Meyer, Eberlein, Mehring (all’età di 70 anni!)[1]. Karl Liebknecht[2] viene inviato al fronte. Ma questa repressione non bastò a far tacere il malcontento…al contrario! L’agitazione cresce sempre più nelle fabbriche.
1917. I sindacati sono sempre più criticati. Compaiono gli Obleute, delegati di fabbrica, formati essenzialmente da delegati sindacali di “base” che hanno rotto con le direzioni centrali. Soprattutto gli operai tedeschi s’ispirano al coraggio dei loro fratelli di classe dell’Est, il vento della rivoluzione di Ottobre si fa sentire sempre più.
1918. La borghesia tedesca è cosciente del pericolo, sa che la situazione di stallo della guerra deve assolutamente cessare. Ma la parte più arretrata della classe dominante, proveniente dall’aristocrazia, e in particolare dall’aristocrazia militare, non comprende le sue manovre e i suoi obiettivi politici, rifiutando qualsiasi accordo di pace e qualsiasi sconfitta. In particolare, a novembre, gli ufficiali della marina di stanza a Kiel rifiutano la resa senza combattere, preferendo morire “per l’onore”… con i loro soldati ovviamente! I marinai si ammutinano su più navi e su molte sventola la bandiera rossa. Allora è dato l’ordine alle navi “non infettate” di sparare. Gli ammutinati si arrendono rifiutandosi di rivolgere le armi contro i loro fratelle e sorelle di classe. Rischiano così la pena di morte. Per solidarietà con i condannati, un’ondata di scioperi si propaga, e coinvolge i marinai e poi gli operai di Kiel. Ispirandosi alla rivoluzione di Ottobre, la classe operaia prende in mano le proprie lotte e crea i primi consigli di marinai e operai. La borghesia si rivolge allora ad uno dei più fedeli cani da guardia: la socialdemocrazia. Così, Gustav Noske, dirigente del SPD, esperto di questioni militari e della “salvaguardia del morale delle truppe” (sic!), viene inviato sul posto per calmare e soffocare il movimento. Ma arriva troppo tardi, i consigli dei soldati diffondono le loro rivendicazioni: un movimento spontaneo conquista altre città portuali, poi i grandi centri operai della Ruhr e della Baviera. È in moto l’estensione geografica delle lotte. Noske non può più agire apertamente. Il 7 novembre il consiglio operaio di Kiel incita alla rivoluzione proclamando: “Il potere è nelle nostre mani”. L’8 novembre praticamente tutto il nord-ovest è in mano ai consigli operai. Contemporaneamente, in Baviera è in Sassonia, gli avvenimenti provocano le dimissioni dei grandi capi locali. In tutte le città dell’impero, da Metz a Berlino, si diffondono i consigli operai.
È proprio la generalizzazione di questa forma di organizzazione politica, vero motore della lotta di classe, che fa tremare la borghesia. L’organizzazione della classe in consigli operai con dei rappresentanti eletti, che devono rispondere all’assemblea e sono revocabili in ogni momento, è una forma di organizzazione estremamente dinamica. Non è altro che l’espressione di un vero processo rivoluzionario. È il luogo in cui tutta la classe operaia, in modo unitario, discute della sua lotta, della presa in mano della gestione della società, della prospettiva rivoluzionaria. D’altronde, con l’esperienza del 1917, la borghesia lo ha capito fin troppo bene. Perciò si impegnerà per corrompere dall’interno i consigli operai, approfittando delle illusioni ancora grandi della classe operaia nei confronti del suo vecchio partito, il SPD. Noske è eletto a capo del consiglio operaio di Kiel. Questa debolezza della (nostra) classe avrà conseguenze tragiche nelle settimane seguenti.
Ma per il momento, il mattino del 9 novembre 1918, la lotta continua a svilupparsi. A Berlino gli operai si mobilitano e vanno davanti alle caserme per spingere i soldati ad aderire alla loro causa e davanti alle prigioni per liberare i loro fratelli di classe. La borghesia è allora consapevole che la pace deve essere immediata e che il regime del Kaiser deve cadere. Ha imparato dagli errori della borghesia russa. Il 9 novembre 1918 Guglielmo II è destituito. L’11 novembre viene firmato l’armistizio.
La lotta degli operai in Germania ha accelerato la fine della guerra, ma è ancora la borghesia che firma il trattato di pace e che se ne servirà per lavorare contro la rivoluzione.
Il machiavellismo della borghesia
Ecco un breve riassunto sullo stato dei rapporti di forza all’inizio della guerra civile nel novembre 1918:
Il SPD dunque fa propria la parola d’ordine della rivoluzione: “fine della guerra” pur incitando all’“unità del partito” e farà dimenticare il suo ruolo preponderante nel cammino verso la guerra. Firmando il trattato di pace, il SPD sfrutta le debolezze del proletariato, utilizza il veleno democratico e mette da parte ciò che riteneva più insostenibile per gli operai: la guerra e i suoi disastri, la fame. Per rendere ancora più efficace l’obiettivo, la socialdemocrazia trova un capro espiatorio di comodo: l’aristocrazia militare e la monarchia.
Ma il più grande pericolo per la socialdemocrazia restano i consigli e la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet” arrivata dalla Russia. La revocabilità dei delegati poneva un reale problema alla borghesia, perché consentiva ai consigli di rinnovarsi e radicalizzarsi continuamente. I consigli sono dunque assediati dai fedeli rappresentanti del SPD, sulla scia delle illusioni ancora esistenti su questo vecchio partito “operaio”. I consigli sono incancreniti dall’interno, svuotati della loro sostanza, da dirigenti del SPD noti (Noske a Kiel, Ebert a Berlino) e meno noti. Il veleno democratico vi è sparso, in particolare con il sostegno al progetto di elezione di una assemblea costituente. L’obiettivo è chiaro: neutralizzare i consigli operai eliminando la loro natura rivoluzionaria. Il congresso nazionale dei consigli tenuto a Berlino il 16 dicembre 1918 ne è il migliore esempio:
Il sistema dei consigli è un’aggressione al capitalismo e al suo funzionamento democratico. La borghesia ne è pienamente cosciente. Perciò agisce così, dall’interno. Ma sa anche che il tempo non gioca a suo favore e che l’immagine del SPD si indebolisce. La revocabilità dei delegati eletti è un pericolo troppo importante per il SPD che tenta di tenere sotto controllo la situazione. Esso ha dovuto accelerare gli eventi, mentre il proletariato aveva bisogno di maggiore tempo per maturare, per svilupparsi politicamente.
Parallelamente a queste manovre ideologiche, all’indomani del 9 novembre, Ebert e il SPD concludono accordi segreti con l’esercito per schiacciare la rivoluzione. Moltiplicano provocazioni, menzogne e calunnie per arrivare allo scontro militare. Menzogne e calunnie soprattutto nei confronti della Spartakudbund che “ammazza, saccheggia e esorta gli operai a versare ancora il loro sangue…”. Essi incitano all’assassinio di Liebknecht e Luxemburg. Creano una “armata bianca”: i Freikorps, o corpi franchi, formati da soldati distrutti e traumatizzati dalla guerra che non conoscevano altro che l’odio cieco come unico sfogo.
A partire dal 6 dicembre 1918, vengono lanciate vaste offensive controrivoluzionarie:
Ma invece di spaventare il proletariato in marcia, ciò non fa che aumentare la rabbia degli operai e armare le manifestazioni per rispondere alla provocazione. La reazione è: solidarietà di classe, con la conseguente manifestazione del 25 dicembre 1918, la più imponente dal 9 novembre! Cinque giorni dopo a Berlino viene fondato il KPD, Partito comunista tedesco.
Di fronte a questi scacchi, la borghesia impara e si adatta velocemente. Già alla fine del dicembre 1918 capisce che contrastare direttamente le grandi figure rivoluzionarie la discredita e rafforza la solidarietà di classe. Decide allora di intensificare le dicerie e le calunnie, evita gli scontri armati diretti e manovra intorno a personaggi meno noti. Colpisce allora il prefetto di polizia di Berlino Emil Eichhorn che era stato eletto a capo di un comitato di soldati a Berlino. Il governo borghese lo rimuove dalla sua carica il 4 gennaio.
Gli operai della città vivono ciò come un’aggressione. Il proletariato berlinese reagisce in modo compatto il 5 gennaio 1919: 150.000 persone scendono in strada, cosa che sorprende persino la borghesia. Ma ciò non impedirà alla classe operaia di cadere nella trappola dell’insurrezione prematura. Sebbene la protesta non abbia seguito altrove in Germania, dove Eichhorn non è conosciuto, e di fronte all’euforia del momento, il comitato rivoluzionario provvisorio [3], inclusi Pieck e Liebknecht, decide la stessa sera di lanciare l’insurrezione armata, contro le decisioni del congresso del KPD. Le conseguenze di questa improvvisazione sono drammatiche: scesi compatti nelle strade, gli operai restano là, senza istruzioni, senza obiettivi precisi e nella più grande confusione. Cosa peggiore, i soldati si rifiutano di partecipare all’insurrezione, il che significa il suo fallimento. Di fronte a questo errore di analisi e alla situazione molto pericolosa che ne deriva, Rosa Luxemburg e Leo Jogiches difendono la sola posizione valida per evitare un bagno di sangue: continuare la mobilitazione armando il proletariato e invitandolo a circondare le caserme fino a che i soldati non si mobilitino in favore della rivoluzione. Questa posizione è sostenuta dalla giusta analisi che se il rapporto di forza politico non è a favore del proletariato in Germania, all’inizio di gennaio 1919, il rapporto di forza militare è invece a favore della rivoluzione (almeno a Berlino).
Ma piuttosto che cercare di armare gli operai, il “comitato provvisorio” inizia a negoziare con il governo che ha appena dichiarato deposto. Pertanto, il tempo non gioca più a favore del proletariato, ma in favore della controrivoluzione.
Il 10 gennaio 1919, il KPD chiede a Liebknecht e Pieck di dimettersi. Ma il male è fatto. Segue la “settimana di sangue” o “settimana Spartakus”. Il “putsch comunista” è sventato “dagli eroi della libertà e della democrazia”. Si instaura il terrore bianco. I corpi-franchi danno la caccia ai rivoluzionari in tutta la città e le esecuzioni sommarie diventano sistematiche. La sera del 15 gennaio, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht sono rapiti dalla milizia, poi subito assassinati. Nel marzo del 1919 sarà la volta di Leo Jogiches e di centinaia di militanti della sinistra rivoluzionaria.
Le illusioni democratiche della classe operaia e le debolezze del KPD
A cosa è dovuto questo drammatico fallimento? Gli avvenimenti del gennaio 1919 contengono da soli tutti gli elementi che hanno condotto alla sconfitta della rivoluzione: da una parte una borghesia astuta, e dall’altra parte una classe operaia ancora ingannata dalla socialdemocrazia e un partito comunista scarsamente organizzato, malgrado gli sforzi per dargli delle basi programmatiche solide. Effettivamente il KPD è alquanto disorientato, troppo giovane (ci sono molti giovani compagni, i più vecchi sono scomparsi con la guerra o la repressione), senza esperienza, privo di unità, che non riesce a dare indicazioni chiare alla classe operaia.
Al contrario dei bolscevichi che avevano una continuità storica dal 1903 e l’esperienza della rivoluzione del 1905 e dei consigli operai, la sinistra rivoluzionaria tedesca molto minoritaria nel SPD deve fare fronte al tradimento di questo partito nell’agosto del 1914, e quindi costruire in gran fretta un partito, nel pieno degli avvenimenti. Il KPD viene fondato il 30 dicembre 1918 a partire dalla Lega Spartachista (Spartakudbund) e dai Comunisti internazionalisti tedeschi (IKD). In questa conferenza la maggioranza dei delegati si pronuncia molto chiaramente contro la partecipazione alle elezioni borghesi e rifiuta i sindacati. Ma la questione organizzativa è sostanzialmente sottovalutata. La questione del partito non viene compresa in tutta la sua importanza relativamente alla posta in gioco in quel momento.
Questa sottovalutazione porterà alla decisione dell’insurrezione armata da parte di Liebknecht e altri compagni senza aspettare una nuova analisi del partito, senza un metodo di analisi chiara dell’evoluzione dei rapporti di forza. Manca la centralizzazione delle decisioni. In fin dei conti, è proprio la mancanza di un partito mondiale (l’Internazionale Comunista (IC) sarà fondata solo due mesi più tardi, nel marzo del 1919), che si riflette nell’impreparazione del KPD, che porterà a questo dramma. Nel giro di poche ore il rapporto di forza è invertito: è arrivato il tempo per la borghesia di seminare il suo terrore bianco.
Tuttavia gli scioperi non si fermano. Da gennaio a marzo 1919 lo sciopero di massa si sviluppa in modo impressionante. Ma intanto la borghesia continua il suo sporco lavoro: esecuzioni, dicerie, calunnie…il terrore schiaccia il proletariato poco a poco. Mentre a febbraio nascono scioperi imponenti in tutta la Germania, il proletariato berlinese, il nucleo della rivoluzione, non è più capace di proseguire, messo fuori gioco dalla sconfitta di gennaio. Quando, infine, si muove è troppo tardi. Le lotte a Berlino e nel resto della Germania non riusciranno a unirsi. Nello stesso tempo, il KPD “decapitato” è costretto all’illegalità. Così, nell’ondata di scioperi da febbraio ad aprile 1919, non può svolgere il ruolo determinante che gli spetta. La sua voce è praticamente soffocata dal capitale. Se il KPD avesse avuto la possibilità di smascherare la provocazione della borghesia, durante la settimana di gennaio, e di impedire che tutti gli operai cadessero in questa trappola, il movimento avrebbe sicuramente avuto tutt’altro esito. Ovunque si fa la caccia ai “comunisti”. Le comunicazioni tra ciò che resta degli organi centrali e i delegati locali o regionali del KPD sono più volte interrotte. Durante la conferenza nazionale del 29 marzo 1919, si ammette che “le organizzazioni locali sono inondate da agenti provocatori”.
In conclusione
La rivoluzione in Germania è prima di tutto il movimento di sciopero di massa del proletariato, che si è esteso geograficamente, che ha opposto la solidarietà operaia alla barbarie capitalista, che si è riappropriato degli insegnamenti dell’ Ottobre 1917 e che si è organizzato in consigli operai. La rivoluzione in Germania mette anche in luce la necessità di un Partito comunista internazionale centralizzato, con basi organizzative e programmatiche chiare, senza le quali il proletariato non potrà sventare il machiavellismo della borghesia. Ma la rivoluzione in Germania è anche la capacità delle borghesie di unirsi contro il proletariato con il loro arsenale di manovre, menzogne e manipolazioni di ogni tipo. È il tanfo di un mondo in agonia che rifiuta di estinguersi. È la trappola mortale delle illusioni sulla democrazia. È la distruzione accanita dall’interno dei consigli operai. Sebbene gli eventi del 1919 siano stati decisivi, le braci ancora ardenti della rivoluzione in Germania non si spensero per diversi anni. Ma in termini storici, le conseguenze di questa sconfitta furono drammatiche per l’umanità: l’ascesa del nazismo in Germania, dello stalinismo in Russia, il cammino verso la Seconda Guerra mondiale all’insegna dell’antifascismo. Questi avvenimenti da incubo possono essere tutti imputati al fallimento dell’ondata rivoluzionaria, tra il 1917 e il 1923, che aveva minato l’ordine borghese senza poterlo sovvertire una volta per tutte. Ecco cosa rappresenta per noi la rivoluzione in Germania nel 1918, una fonte di ispirazione e di insegnamento per le lotte future del proletariato. Perché come ha scritto Rosa Luxemburg, alla vigilia del suo assassinio da parte della soldatesca della socialdemocrazia:” Cosa ci insegna tutta la storia delle rivoluzioni moderne e del socialismo? Il primo scoppio della lotta di classe in Europa: l’insurrezione dei setaioli lionesi del 1831 è finita con una grave sconfitta. Sconfitta anche per il movimento cartista in Inghilterra. Sconfitta schiacciante per il sollevamento del proletariato parigino durante le giornate di giugno 1848. La Comune di Parigi ha conosciuto una terribile sconfitta. La strada del socialismo (per quel che riguarda le battaglie rivoluzionarie) è lastricata di sconfitte. (…) Dove saremmo oggi senza quelle “sconfitte”, dalle quali abbiamo tratto la nostra esperienza, le nostre conoscenze, la forza e l’idealismo che ci animano? Oggi, (…) noi poggiamo i piedi proprio su quelle sconfitte, a nessuna delle quali possiamo rinunciare, perché da ciascuna traiamo una parte della nostra forza, una parte della nostra lucidità.(…) Le rivoluzioni (…) non ci hanno portato finora che sconfitte, ma esse, nella loro inevitabilità, sono altrettante garanzie della vittoria finale. A una condizione, però! Perché bisogna capire in che modo ogni volta si è arrivati alla sconfitta. (…)
“L’ordine regna a Berlino!”, stupidi sbirri! Il vostro “ordine” è costruito sulla sabbia. Già da domani la rivoluzione “di nuovo si rizzerà in alto con fracasso” e annuncerà al suono delle trombe con il vostro terrore: “Io ero, io sono, io sarò!”. (“L’ordine regna a Barlino”, gennaio 1919)
Corrente Comunista Internazionale, 29 ottobre 2018
[1] Tutti e tre facevano parte della minoranza del SPD che si era opposta ai crediti di guerra ed avevano aderito alla Lega spartachista
[2] Con Rosa Luxemburg, uno dei due dirigenti più noti e perseguitati della Lega spartachista
[3] Il 5 gennaio, i rivoluzionari Obleutes, i membri del USPD (partito nato nel 1917 dalla scissione interna al SPD) di Berlino, Liebknecht e Pieck del Partito comunista si riunirono in prefettura per discutere su come continuare l’azione (…) i rappresentanti degli operai rivoluzionari istituirono un comitato rivoluzionario provvisorio di 52 membri incaricato di dirigere il movimento rivoluzionario e di assumere in caso di necessità tutte le funzioni di governo e amministrative. La decisione di iniziare la lotta per cercare di rovesciare il governo fu presa durante questa riunione, malgrado sei pareri contrari. (da Rivoluzione e controrivoluzione in Germania- Paul Frölich)
Un secolo fa, un vento di speranza soffiava sull'umanità. Dapprima in Russia la classe operaia era riuscita a prendere il potere. Poi in Germania, in Ungheria e in Italia, ha coraggiosamente lottato per continuare il lavoro degli operai russi con una sola parola d'ordine: l'abolizione del modo di produzione capitalista le cui contraddizioni hanno fatto precipitare la civiltà in quattro anni di guerra. Quattro anni di barbarie senza precedenti fino ad allora che testimoniano l'ingresso del capitalismo nella sua fase di decadenza.
In queste condizioni, riconoscendo il fallimento della Seconda Internazionale, facendo affidamento su tutto il lavoro di ricostruzione dell'unità internazionale iniziato a Zimmerwald nel settembre 1915 e a Kiental nell'aprile 1916, la Terza Internazionale fu fondata il 4 marzo 1919 a Mosca.
Già, nelle Tesi di aprile del 1917, Lenin chiamava alla fondazione di un nuovo partito mondiale ma l'immaturità del movimento rivoluzionario aveva necessità di rinviarla. Per Lenin, il passo decisivo fu compiuto durante i terribili giorni di gennaio 1919 in Germania durante i quali fu fondato il Partito Comunista Tedesco (KPD). In una "Lettera ai lavoratori dell'Europa e dell'America" del 26 gennaio, Lenin scrisse: "Nel momento in cui alla Lega di Spartaco è stato dato il nome di Partito Comunista Tedesco, la fondazione della Terza Internazionale è diventata una realtà. Formalmente questa fondazione non è stata ancora sancita, ma in realtà fin da ora la Terza Internazionale esiste". A parte l'eccessivo entusiasmo di un tale giudizio, come vedremo in seguito, i rivoluzionari dell'epoca compresero che oramai era indispensabile forgiare il partito per la vittoria della rivoluzione su scala mondiale. Dopo diverse settimane di preparativi, 51 delegati si incontrarono, dal 2 al 6 marzo 1919, per stabilire le tappe organizzative e programmatiche che avrebbero consentito al proletariato mondiale di proseguire la lotta contro l'insieme delle forze borghesi.
La CCI si richiama ai contributi dell'Internazionale Comunista (IC). Pertanto, questo centenario è un'opportunità per salutare e sottolineare l'inestimabile contributo dell'IC nella storia del movimento rivoluzionario, ma anche per trarre le lezioni da questa esperienza, sottolineando le sue debolezze al fine di armare il proletariato di oggi per le lotte future.
Difendere la lotta della classe operaia nel fuoco rivoluzionario
Come affermava Trotzky nella sua "Lettera di invito al Congresso": "I partiti e le organizzazioni sottoscritti ritengono che la convocazione del primo congresso della nuova Internazionale rivoluzionaria è urgentemente necessaria. (...) L'ascesa molto veloce della rivoluzione mondiale che pone costantemente nuovi problemi, il rischio di soffocamento di questa rivoluzione da parte dell'alleanza degli Stati capitalisti contro la rivoluzione sotto l'ipocrita bandiera della "Società delle Nazioni", i tentativi dei partiti socialtraditori di riunirsi e aiutare ancora i loro governi e la loro borghesia per tradire la classe operaia dopo aver ottenuto una "amnistia" reciproca, infine la ricchissima esperienza rivoluzionaria già acquisita e il carattere mondiale di tutto il movimento rivoluzionario - tutte queste circostanze ci obbligano a mettere all'ordine del giorno della discussione la questione della convocazione di un congresso internazionale dei partiti rivoluzionari".
Come questo primo appello lanciato dai bolscevichi, la fondazione dell'IC esprimeva la volontà di raggruppamento delle forze rivoluzionarie del mondo intero. Ma anche la difesa dell'internazionalismo proletario che era stato calpestato dalla grande maggioranza dei partiti socialdemocratici costituenti la Seconda Internazionale. Dopo quattro anni di guerra atroce che avevano diviso e decimato milioni di proletari sui campi di battaglia, l'emergere di un nuovo partito mondiale testimoniava la volontà di approfondire il lavoro iniziato dalle organizzazioni rimaste fedeli all'internazionalismo. In questo, l'IC è l’espressione della forza politica del proletariato che si stava manifestando dappertutto dopo il profondo riflusso causato dalla guerra, nonché della responsabilità dei rivoluzionari di continuare a difendere gli interessi della classe operaia e della rivoluzione mondiale. È stato detto molte volte durante il congresso di fondazione che l'IC era il partito dell'azione rivoluzionaria. Come affermato nel suo Manifesto, l'IC nasceva quando il capitalismo stava chiaramente dimostrando la sua obsolescenza. L'umanità ora stava entrando nell'"era delle guerre e delle rivoluzioni".
In altre parole, l'abbattimento del capitalismo diveniva estremamente necessario per il futuro della civiltà. È con questa nuova comprensione dell'evoluzione storica del capitalismo che l'IC difende instancabilmente i consigli operai e la dittatura del proletariato: "il nuovo apparato di potere deve rappresentare la dittatura della classe operaia (...) cioè, deve essere lo strumento del rovesciamento sistematico della classe sfruttatrice e della sua espropriazione. Il potere dei consigli operai o delle organizzazioni operaie è la sua forma concreta". (Lettera d'invito al congresso). Questi orientamenti furono difesi durante tutto il congresso. Inoltre, le "Tesi sulla democrazia borghese", scritte da Lenin e adottate dal congresso, si proponevano di denunciare le mistificazioni della democrazia ma soprattutto di mettere in guardia il proletariato sul pericolo che quest'ultime avrebbero esercitato nella sua lotta contro la società borghese. Fin dall'inizio, l'IC si è posta risolutamente nel campo proletario difendendo i principi e i metodi di lotta della classe operaia e ha denunciato in modo energico l'appello della corrente centrista a un'unità impossibile tra i socialtraditori e i comunisti, "l'unità degli operai comunisti con gli assassini dei leader comunisti Liebknecht e Luxemburg", secondo gli stessi termini della "Risoluzione del primo congresso dell'IC sulla posizione verso le correnti socialiste e la conferenza di Berna".
Prova della difesa intransigente dei principi proletari, questa risoluzione, votata all'unanimità dal Congresso, fu una reazione alla recente partecipazione della maggior parte dei partiti socialdemocratici della Seconda Internazionale ad una riunione[1] in cui furono adottati parecchi orientamenti apertamente diretti contro l'ondata rivoluzionaria. La risoluzione si concluse in questi termini: "Il Congresso invita i lavoratori di tutti i paesi ad iniziare la lotta più energica contro l'Internazionale gialla e a preservare le più larghe masse proletarie da questa Internazionale di menzogna e tradimento".
La fondazione dell'IC si rivelò un passo fondamentale per la continuazione della lotta storica del proletariato.
Essa seppe prendere in considerazione i migliori contributi della Seconda Internazionale pur rompendo con quest'ultima su posizioni o analisi che non corrispondevano più al periodo storico appena aperto[2].
Mentre il vecchio partito mondiale aveva tradito l'internazionalismo proletario in nome della Sacra Unione alla vigilia della Prima guerra mondiale, la fondazione del nuovo partito consentiva di rafforzare l'unità della classe operaia e di armarla nella feroce lotta che stava conducendo in molti paesi del pianeta per l'abolizione del modo di produzione capitalista. Pertanto, nonostante le circostanze sfavorevoli e gli errori commessi, come vedremo, salutiamo e sosteniamo una tale impresa. I rivoluzionari dell'epoca si sono presi la loro responsabilità, dovevano farlo e l'hanno fatto!
Una fondazione in circostanze sfavorevoli
I rivoluzionari di fronte alla massiccia spinta del proletariato nel mondo
L'anno 1919 è il punto culminante dell'ondata rivoluzionaria. Dopo la vittoria della rivoluzione in Russia nell'ottobre 1917, l'abdicazione di Guglielmo II e la firma affrettata dell'armistizio di fronte agli ammutinamenti e alla rivolta delle masse operaie in Germania, si videro sorgere insurrezioni operaie, principalmente con l'instaurazione della Repubblica dei Consigli in Baviera e Ungheria. Ci furono anche degli ammutinamenti nella flotta e tra le truppe francesi, così come nelle unità militari britanniche che si rifiutarono di intervenire contro la Russia sovietica, ed anche un'ondata di scioperi, in particolare nei centri di protesta rivoluzionaria (Clyde, Sheffield, nel sud del Galles) nel Regno Unito (1919).
Ma a marzo del 1919, nel momento in cui veniva fondata a Mosca l’IC, la maggior parte di queste insurrezioni venivano soppresse o stavano per esserlo.
Non c'è dubbio che i rivoluzionari dell'epoca si trovarono in una situazione di emergenza e che furono costretti ad agire nel fuoco della lotta rivoluzionaria.
Come lo segnalò la Frazione francese della Sinistra Comunista (FFGC) nel 1946: "I rivoluzionari tentano di colmare il divario esistente tra la maturità della situazione oggettiva e l'immaturità del fattore soggettivo (l'assenza del Partito) attraverso un ampio raggruppamento di gruppi e correnti, politicamente eterogenei, e proclamano questo raggruppamento come il nuovo Partito"[3].
Non si tratta qui di discutere la validità o meno della fondazione del nuovo partito che è l'Internazionale. Era una necessità imperativa. Ma, vogliamo segnalare una serie di errori nell'approccio con cui è stata fondata.
Una sopravvalutazione della situazione in cui è stato fondato il partito
Anche se la maggior parte delle relazioni presentate dai vari delegati sulla situazione della lotta di classe in ciascuno dei paesi teneva conto della risposta della borghesia all'avanzata della rivoluzione (una risoluzione sul Terrore Bianco venne d'altronde votata alla fine del Congresso), è sorprendente constatare quanto questo aspetto sia stato ampiamente sottovalutato durante questi cinque giorni di lavoro.
Già pochi giorni dopo la notizia della fondazione del KPD (Partito Comunista Tedesco), che seguì la fondazione dei partiti comunisti d'Austria (novembre 1918) e della Polonia (dicembre 1918), Lenin considerò che i dadi erano stati lanciati: "Quando la lega Spartakus tedesca, guidata da questi illustri leader, conosciuti in tutto il mondo, questi fedeli sostenitori della classe operaia quali sono Liebknecht, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Franz Mehring, hanno definitivamente rotto qualsiasi legame con i socialisti come Scheidemann, (...) quando la Lega Spartakus è stata chiamata Partito Comunista Tedesco, allora la fondazione della Terza Internazionale, dell'Internazionale Comunista, veramente proletaria, veramente internazionale, veramente rivoluzionaria, è divenuta una realtà. Formalmente, questa fondazione non è stata dichiarata, ma, di fatto, la Terza Internazionale esiste, fin da ora"[4].
La scrittura di questo testo fu terminata il 21 gennaio 1919, data in cui Lenin veniva informato dell'assassinio di K. Liebknecht. Questa certezza incrollabile apparteneva all'intero congresso. Già nel discorso di apertura, Lenin ne aveva annunciato il taglio: "La borghesia può scatenarsi, potrà uccidere ancora milioni di lavoratori, la vittoria è nostra, la vittoria della rivoluzione comunista mondiale è assicurata".
Successivamente, tutti i relatori presenti trasmettevano lo stesso traboccante ottimismo; così il compagno Albert, membro del giovane KPD, il 2 marzo di fronte al congresso si esprimeva in questi termini: "Non credo di essere troppo ottimista nel dire che i partiti Comunisti tedeschi e russi proseguiranno la lotta, sperando fermamente che il proletariato tedesco condurrà la rivoluzione alla vittoria finale e che la dittatura del proletariato possa essere egualmente stabilita in Germania, nonostante tutte le assemblee nazionali, nonostante gli Scheidemann e nonostante il nazionalismo borghese (…). È questo che mi ha spinto ad accettare il vostro invito con gioia, convinto che tra non molto combatteremo fianco a fianco con il proletariato di altri paesi, in particolare d'Inghilterra e Francia per la rivoluzione mondiale per realizzare anche in Germania gli obiettivi della rivoluzione". Pochi giorni dopo, tra il 6 e il 9 marzo, una terribile repressione colpiva Berlino, l'8 marzo vennero uccise 3.000 persone, tra cui 28 marinai fatti prigionieri e poi giustiziati con mitragliatrici nella pura tradizione di Versailles! Il 10 marzo, Leo Jogiches veniva assassinato. Heinrich Dorrenbach[5] subiva la stessa sorte il 19 maggio.
Tuttavia, le ultime parole di Lenin nel discorso conclusivo dimostrarono che il Congresso non si era spostato di una virgola sull'analisi del rapporto di forza. Affermava senza esitazione che "la vittoria della rivoluzione proletaria è assicurata in tutto il mondo. È in corso la fondazione della Repubblica Internazionale dei Consigli".
Ma come osservava Amedeo Bordiga un anno dopo: "Dopo che la parola d'ordine del "regime dei soviet" fu lanciata nel mondo dal proletariato russo e dal proletariato internazionale, abbiamo visto elevarsi per prima l'ondata rivoluzionaria, dopo la fine della guerra, e il proletariato di tutto il mondo mettersi in marcia. Abbiamo visto in tutti i paesi gli ex partiti socialisti dividersi e dare vita a partiti comunisti che hanno ingaggiato la lotta rivoluzionaria contro la borghesia. Sfortunatamente, il periodo che seguì subì un arresto perché le rivoluzioni tedesche, bavaresi e ungheresi furono schiacciate dalla borghesia". In realtà, importanti debolezze della coscienza all'interno del proletariato costituirono un grosso ostacolo allo sviluppo rivoluzionario della situazione:
- una difficoltà di questi movimenti a superare la lotta contro la sola guerra per elevarsi ad un livello superiore, quello della rivoluzione proletaria. Questa ondata rivoluzionaria fu prodotta soprattutto dalla lotta contro la guerra.
- Lo sviluppo dello sciopero di massa per l'unificazione delle rivendicazioni politiche ed economiche restava ancora abbastanza fragile e pertanto improbabile che potesse stimolare un livello superiore di coscienza.
- Il picco rivoluzionario stava per essere raggiunto. Il movimento non ha avuto la stessa dinamica dopo la sconfitta delle lotte in Germania e in Europa centrale. Anche se l'ondata continuava, stava già perdendo forza a partire dal 1919 -1920.
- La Repubblica dei Soviet in Russia rimaneva crudelmente isolata. Essa costituiva l'unico bastione rivoluzionario con tutto ciò che quest'ultimo poteva favorire come regressione della coscienza, sia al suo interno che nel mondo.
Una fondazione in una situazione d'urgenza che apre la porta all'opportunismo.
Il campo rivoluzionario molto indebolito alla fine della guerra
“Il movimento operaio all'indomani della prima guerra imperialista mondiale si trovò in uno stato di estrema divisione. La guerra imperialista aveva rotto l'unità formale delle organizzazioni politiche del proletariato. La crisi del movimento operaio, già esistente da prima, aveva raggiunto, a causa della guerra mondiale e delle posizioni da prendere di fronte a questa guerra, il suo punto culminante. Tutti i partiti ed organizzazioni anarchiche, sindacali e marxiste furono violentemente scossi. Le scissioni si moltiplicarono. Nascevano nuovi gruppi. Si produsse una delimitazione politica. La minoranza rivoluzionaria della II Internazionale rappresentata dai bolscevichi, dalla sinistra tedesca di Luxemburg e dai Tribunisti olandesi, già di per sé non tanto omogenea, non si trovò più davanti ad un blocco opportunista. Tra lei e gli opportunisti un arcobaleno di gruppi e tendenze politiche più o meno confusi, più o meno centristi, più o meno rivoluzionari, che rappresentavano uno spostamento generale delle masse che stavano rompendo con la guerra, con l'unione sacra, con il tradimento dei vecchi partiti della socialdemocrazia. Qui si assistette al processo di liquidazione dei vecchi partiti il cui collasso diede vita a una moltitudine di gruppi. Questi gruppi esprimevano meno il processo di costituzione del nuovo Partito che quello della dislocazione, della liquidazione, della morte del vecchio Partito. Questi gruppi contenevano certamente elementi per la costituzione del nuovo Partito, ma non ne costituivano in alcun modo la base. Queste correnti esprimevano essenzialmente la negazione del passato e non l'affermazione positiva del futuro. La base del nuovo Partito di classe risiedeva solo nella vecchia sinistra, nel lavoro critico e costruttivo, nelle posizioni teoriche, nei principi programmatici che questa Sinistra aveva elaborato durante i 20 anni della SUA ESISTENZA E DELLA SUA LOTTA DI FRAZIONE all'interno del vecchio Partito"[6].
Quindi, il campo rivoluzionario era estremamente frammentato, composto da gruppi privi di chiarezza e che mostravano ancora immaturità. Solo le frazioni di sinistra della Seconda Internazionale (i Bolscevichi, i Tribunisti e gli Spartakisti, solo in maggior parte, perché sono eterogenei o addirittura divisi) furono in grado di impostare un corso e porre solide fondamenta per la fondazione del nuovo partito.
Inoltre, a molti militanti mancava l'esperienza politica. Tra i 43 delegati del congresso fondatore, di cui si conosce l'età, 5 erano ventenni, 24 sulla trentina, solo uno aveva più di 50 anniDei 42 delegati, la cui traiettoria politica può essere rintracciata, 17 si erano uniti ai partiti socialdemocratici prima della rivoluzione russa del 1905, mentre 8 erano diventati socialisti attivi solo dopo il 1914[7].
Nonostante il loro entusiasmo e la loro passione rivoluzionaria, a molti di loro mancava l'esperienza necessaria per questo tipo di circostanze.
Disaccordi tra l'avanguardia del proletariato
Come già segnalato dalla FFGC nel 1946: "È innegabile che una delle cause storiche della vittoria della rivoluzione in Russia e della sua sconfitta in Germania, Ungheria, Italia risieda nell'esistenza del partito rivoluzionario nel momento decisivo in questo primo paese e la sua assenza o incompletezza in altri paesi".
La fondazione della Terza Internazionale è stata per un certo tempo rinviata a causa delle varie insidie che si contrapponevano al campo proletario durante la fase rivoluzionaria. Nel 1918-19, ben consapevole che l'assenza del nuovo partito era una debolezza irrimediabile per la vittoria della rivoluzione mondiale, l'avanguardia del proletariato rimase unanime sull'imperativa necessità di fondare il nuovo partito. Tuttavia, non tutti erano d'accordo sulla data di tale fondazione e soprattutto sull'approccio da adottare.
Mentre la stragrande maggioranza delle organizzazioni e dei gruppi comunisti erano a favore di una fondazione il più presto possibile, il KPD, e in particolare Rosa Luxemburg e Leo Jogiches, optarono per un rinvio, considerando che la situazione fosse prematura, che la coscienza comunista delle masse restasse ancora debole e anche che il campo rivoluzionario mancasse di chiarezza[8]. Il delegato del KPD per la conferenza, il compagno Albert, aveva avuto il mandato di difendere questa posizione e di non votare a favore della fondazione immediata dell'Internazionale Comunista.
"Quando ci viene detto che il proletariato ha bisogno nella sua lotta di un centro politico, possiamo dire che questo centro esiste già e tutti gli elementi che sono alla base del sistema dei consigli hanno già rotto con gli elementi della classe operaia che si appoggiano ancora alla democrazia borghese: costatiamo che la rottura si prepara ovunque e che si sta realizzando. Ma una Terza Internazionale non deve essere solo un centro politico, un'istituzione in cui i teorici si fanno reciprocamente discorsi calorosi, essa deve essere la base di un potere organizzativo. Se vogliamo fare della Terza Internazionale uno strumento efficace di lotta, se vogliamo farne un mezzo di scontro, allora è necessario che esistano anche queste precondizioni. La questione non deve dunque, a nostro avviso, essere discussa e decisa da un punto di vista semplicemente intellettuale, ma è necessario che noi ci chiediamo concretamente se esistano le basi d'organizzazione. Ho sempre la sensazione che i compagni che stanno spingendo in modo energico per la fondazione si lascino fortemente influenzare dall'evoluzione della Seconda Internazionale, e che vogliono, dopo lo svolgimento della conferenza di Berna, imporle una concorrente. Questo ci sembra meno importante, e quando si dice che il chiarimento è necessario, altrimenti gli elementi indecisi raggiungeranno l'Internazionale gialla, dico che la fondazione della Terza Internazionale non manterrà gli elementi che oggi raggiungono la Seconda, e che, se comunque ci vanno, è perché là è il loro posto"[9].
Come abbiamo visto, il delegato tedesco metteva in guardia contro il pericolo di fondare un partito che scendeva a compromessi sui principi e sulla chiarificazione organizzativa e programmatica. Sebbene i bolscevichi prendessero molto seriamente le riserve del KPD, non c'è dubbio che anche loro erano rimasti condizionati da questa corsa contro il tempo. Da Lenin a Zinoviev, passando per Trotzky e Rakovsky, tutti insistevano sull'importanza di far aderire tutti i partiti, organizzazioni, gruppi o individui che si richiamassero da vicino o da lontano al comunismo e ai consigli. Come è segnalato in una biografia di Rosa Luxemburg, "Lenin vedeva nell'Internazionale un mezzo per aiutare i vari partiti comunisti a costituirsi o a rafforzarsi"[10] attraverso la decantazione prodotta dalla lotta contro il centrismo e l'opportunismo. Per il KPD, si trattava innanzitutto di formare dei partiti comunisti "solidi", con le masse dietro di loro, prima di ratificare la creazione del nuovo partito.
Un metodo di fondazione che non arma il nuovo partito
La composizione del congresso era un'illustrazione della precipitazione e delle difficoltà imposte alle organizzazioni rivoluzionarie dell'epoca. Dei 51 delegati che avevano preso parte ai lavori, considerando i ritardi, le partenze prima della fine e le assenze momentanee, circa quaranta erano militanti bolscevichi provenienti dal partito russo, ma anche lettone, lituano, bielorusso, armeno e della Russia orientale. Oltre al partito bolscevico, solo i partiti comunisti tedesco, polacco, austriaco e ungherese avevano un'esistenza propria.
Le altre forze invitate al congresso erano composte da una moltitudine di organizzazioni, gruppi o elementi non apertamente "comunisti", ma tutti prodotti da un processo di decantazione all'interno della socialdemocrazia e del sindacalismo. La lettera di invito al congresso chiamava tutte le forze che, più o meno, sostenevano la Rivoluzione Russa e che erano ben intenzionate a lavorare per la vittoria della rivoluzione mondiale:
- “10. È necessario allearsi con quegli elementi del movimento rivoluzionario che, sebbene non appartenessero precedentemente ai partiti socialisti, oggi si pongono nell'insieme sul terreno della dittatura del proletariato sotto forma del potere dei consigli. Si tratta in primo luogo di elementi sindacali del movimento operaio.
11. È infine necessario conquistare tutti i gruppi o organizzazioni proletarie che, sebbene non si siano mobilitati apertamente con la corrente rivoluzionaria, mostrano tuttavia nella loro evoluzione una tendenza in questa direzione"[11].
Questo approccio produsse parecchie incongruenze che riflettevano la mancanza di rappresentatività di una parte del congresso. Ad esempio, l'americano Boris Reinstein non aveva un mandato dal suo partito, il Socialist Labor Party (Partito socialista laburista). L'olandese S.J. Rutgers rappresentava una lega per la propaganda socialista. Christian Rakovsky[12] avrebbe dovuto rappresentare la Federazione balcanica, la tendenza Tesniaka bulgara e il Partito comunista rumeno. Ma, dal 1915 al 1916 non aveva avuto contatti con queste tre organizzazioni[13]. Pertanto, nonostante le apparenze, questo congresso fondatore rifletteva alla lettera l'insufficienza della coscienza della classe operaia mondiale.
Tutti questi elementi mostravano anche che gran parte dell'avanguardia rivoluzionaria fece prevalere la quantità a scapito di un preliminare chiarimento dei principi organizzativi. Questo approccio voltava le spalle a tutta la concezione che i bolscevichi avevano sviluppato negli ultimi quindici anni. E fu proprio questo che nel 1946 sottolineò la FFGC: "Se il metodo 'stretto' della selezione che pretende precise basi di principio, senza considerare i successi numerici immediati, ha permesso ai bolscevichi l'edificazione del Partito che, nel momento decisivo, ha potuto integrare nei suoi ranghi e assimilare tutte le energie e i militanti rivoluzionari di altre correnti e infine portare il proletariato alla vittoria, il metodo 'largo' invece, preoccupandosi innanzitutto di raggruppare nell’immediato un grande numero di persone a scapito della precisione programmatica e di principio, ha condotto alla costituzione di Partiti di massa, ponendo le basi per la costruzione di veri giganti dai piedi d'argilla, destinati a cadere alla prima sconfitta sotto il dominio dell'opportunismo. La formazione del Partito di classe si rivela infinitamente più difficile nei paesi capitalisti avanzati - dove la borghesia possiede mille mezzi di corruzione della coscienza del proletariato - ciò che non avvenne in Russia".
Accecati dalla certezza di un'imminente vittoria del proletariato, l'avanguardia rivoluzionaria sottovalutò enormemente le difficoltà oggettive che le si presentarono davanti. Questa euforia la portò a transigere sul metodo "stretto" della costruzione dell'organizzazione, difesa soprattutto dai bolscevichi in Russia e in parte dagli spartachisti in Germania. Poiché si doveva dare priorità a un grande raggruppamento rivoluzionario che avrebbe dovuto contrastare anche "l'Internazionale gialla" riformatasi a Berna poche settimane prima, questo metodo "largo" ridusse la chiarificazione dei principi organizzativi a rango secondario. Poco importavano le confusioni che i gruppi integrati nel nuovo partito avrebbero portato, in quanto la lotta si sarebbe dovuta svolgere al suo interno. Per il momento la priorità venne data alla costituzione di un esteso raggruppamento numerico.
Questo metodo "largo" avrebbe avuto come conseguenza una pesante ricaduta poiché avrebbe indebolito l'IC nella futura lotta organizzativa. In effetti, la chiarezza programmatica del primo congresso sarebbe stata calpestata dalla spinta opportunistica in un contesto di indebolimento e degenerazione dell'ondata rivoluzionaria. Fu all'interno dell'IC che emersero frazioni di sinistra che criticarono le insufficienze della rottura con la Seconda Internazionale. Come vedremo in seguito, le posizioni difese ed elaborate da questi gruppi rispondevano ai problemi sollevati nell'IC dal nuovo periodo di decadenza del capitalismo. (A seguire)
Narek, 4 marzo 2019.
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“La nuova epoca è nata! E’ l’epoca della disgregazione del capitalismo, del suo dissolvimento interno, l’epoca della rivoluzione comunista del proletariato. Il sistema imperialistico si sfascia. (…)
Sull’umanità, la cui civiltà è stata oggi abbattuta, incombe la minaccia di una distruzione totale. Una sola forza può salvarla, e quella forza è il proletariato “
(Piattaforma dell’Internazionale Comunista, marzo 1919)
[1] La conferenza di Berna del febbraio 1919 fu "un tentativo di galvanizzare il cadavere della Seconda Internazionale" e alla quale "il Centro" aveva inviato i suoi rappresentanti.
[2] Per uno sviluppo più ampio vedi l'articolo "Marzo 1919: fondazione dell'Internazionale comunista" Rivista internazionale n. 13, febbraio 1990.
[3] Internationalisme, "A proposito del Primo congresso del Partito comunista internazionalista d'Italia", n.7, gennaio-febbraio 1946.
[4] Lenin, Opere, t. XXVIII
[5] Comandante della divisione della marina popolare a Berlino nel 1918. Dopo la sconfitta di gennaio, fuggì a Brunswick e poi ad Eisenach. Fu arrestato e giustiziato nel maggio del 1919.
[6] Internationalisme, "A proposito del Primo Congresso del Partito comunista internazionalista d'Italia", n.7, gennaio-febbraio 1946.
[7] Ibidem.
[8] Questo fu il mandato che essi diedero (nella prima metà di gennaio) al delegato del KPD per il congresso di fondazione. Ciò non significa affatto che Rosa Luxemburg, ad esempio, fosse per principio contraria alla fondazione di un'internazionale. Al contrario.
[9] Intervento del delegato tedesco il 4 marzo 1919, nel Primo Congresso dell'Internazionale Comunista, testi integrali pubblicati sotto la direzione di Pierre Broué, Etudes et documentation internationales [Studi e Documentazioni Internazionali], 1974
[10] Gilbert Badia. Rosa Luxemburg. Giornalista, polemista, rivoluzionaria, Editions sociales, 1975.
[11] "Lettera di invito al congresso", in Op. Cit., Primo congresso dell'Internazionale.
[12] Uno dei delegati più influenti e determinati per una fondazione immediata dell'IC.
[13] Pierre Broué, Storia dell'Internazionale Comunista (1919-1943), Fayard, 1997, pag 79.
Senza gli avvenimenti del maggio 1968, la CCI non esisterebbe. Marc Chirik aveva già contribuito alla formazione di un gruppo in Venezuela, “Internacionalismo”, che dal 1964, e in seguito, aveva difeso tutte le posizioni di base che dovevano essere riprese un decennio dopo dalla CCI. Ma Marc era cosciente sin dall’inizio che solo una ripresa della lotta di classe nei centri del capitalismo mondiale sarebbe stata decisiva per attivare un cambiamento nel corso della storia. È questa comprensione che l’ha spinto a ritornare in Francia e a svolgere un ruolo attivo nel movimento di maggio-giugno, includendo la ricerca di contatti all’interno delle sue avanguardie politiche. Due giovani membri del gruppo venezuelano erano già partiti per la Francia per studiare all’università di Tolosa, e fu con questi compagni e con pochi altri che Marc è diventato un membro fondatore di “Révolution Internationale” nell’ottobre del 1968 - il gruppo che avrebbe svolto un ruolo centrale nella formazione della CCI sette anni dopo.
Da allora, la CCI non ha mai modificato le proprie convinzioni sul significato storico del Maggio 68, e noi siamo più volte ritornati su questo tema. Ogni dieci anni abbiamo pubblicato delle retrospettive nel nostro organo teorico, la Revue Internationale, così come altro materiale nella nostra stampa nazionale. Abbiamo tenuto riunioni pubbliche per celebrare il 40° e il 50° anniversario del Maggio e abbiamo partecipato a eventi promossi da altre organizzazioni[1]. In queste pagine iniziamo col ritornare su uno di questi articoli, scritto per un anniversario che ha poi acquisito un preciso valore simbolico: 1988.
Nella prima parte di questa nuova serie[2], noi diciamo nelle conclusioni che la prima valutazione fatta da “RI”- “Capire maggio”, scritta nel 1969, secondo la quale Maggio 68 ha rappresentato la prima grande reazione della classe operaia mondiale alla ricomparsa della crisi economica storica del capitalismo - è stata interamente confermata: nonostante la capacità spesso sorprendente del capitale di adattarsi alle sue contraddizioni che si acuiscono, la crisi, che alla fine degli anni ’60 non poteva essere avvertita che attraverso i suoi primi sintomi, è diventata al tempo stesso sempre più evidente e a tutti gli effetti, permanente.
Ma che dire della nostra insistenza sul fatto che il Maggio 68 segnava la fine dei decenni precedenti di controrivoluzione e l’apertura di una nuova fase, nella quale una classe operaia non sconfitta sarebbe andata incontro a lotte massicce e decisive; e, in cambio, l’esito di queste lotte avrebbe risolto il dilemma storico posto dalla crisi economica insanabile: guerra mondiale, nel caso di una nuova sconfitta della classe operaia, o rivoluzione mondiale e costruzione di una nuova società comunista?
L’articolo del 1988, “20 anni dopo il 1968 - lotta di classe: la maturazione delle condizioni della rivoluzione proletaria”[3] iniziava dalla critica allo scetticismo dominante dell’epoca – l’idea molto diffusa nei media borghesi e tra una ampia cerchia di intellettuali, che Maggio 68 era stato al massimo una magnifica utopia che la dura realtà ha portato ad appannarsi e a morire. In altri articoli, più o meno nello stesso periodo[4], noi abbiamo anche criticato lo scetticismo che affliggeva gran parte dell’ambiente rivoluzionario, e questo dopo gli avvenimenti stessi del 68 - una tendenza che si esprimeva sostanzialmente con il rifiuto dei principali eredi rimasti della Sinistra comunista italiana, di non vedere nel Maggio 68 niente altro che un’ondata di agitazione piccolo borghese che non ha fatto nulla per sollevare il peso morto della controrivoluzione.
Nello stesso modo hanno reagito le ali bordighiste e dameniste[5] della tradizione della Sinistra italiana del dopoguerra. Entrambe tendono a vedere il partito come qualcosa al di fuori della storia, poiché ritengono che sia possibile mantenerlo qualunque sia il rapporto di forza tra le classi. Vedendo la lotta degli operai essenzialmente circolare per sua stessa natura, poiché non può trasformarsi in senso rivoluzionario senza l’intervento del partito, ci si pone il problema da dove nasca il partito. I bordighisti, in particolare, hanno offerto nel 1968 una caricatura di questa visione, quando facevano uscire volantini che insistevano sul fatto che il movimento non sarebbe andato da nessuna parte senza mettersi sotto la bandiera del Partito (cioè il proprio piccolo gruppo politico). Dall’altra parte, la nostra corrente ha sempre replicato che si tratta di un approccio essenzialmente idealista che separa il partito dalle sue radici materiali nella lotta di classe. Noi riteniamo di basarci sull’esperienza reale della Sinistra comunista italiana, nel suo periodo teoricamente più fruttuoso, il periodo della Frazione negli anni 1930 e 40, quando essa ha riconosciuto che la sua stessa perdita d’influenza dalla fase precedente di partito era un risultato della sconfitta della classe operaia, e che solo una ripresa della lotta di classe poteva fornire le condizioni della trasformazione delle frazioni comuniste esistenti in un reale partito di classe.
D'altronde queste condizioni si sono sviluppate dopo il 1968, non solo a livello delle minoranze politicizzate, che vedevano una fase di crescita importante sulla scia degli avvenimenti del ‘68, e delle rivolte della classe operaia che ne seguirono, ma anche su scala più generale. La lotta di classe che ha fatto irruzione nel maggio 68 non era un fuoco di paglia ma il punto di partenza di un fenomeno importante che sarebbe rapidamente arrivato in primo piano a livello mondiale.
I progressi della lotta di classe tra il 1968 e il 1988
In accordo con la visione marxista che ha da tempo identificato il percorso della lotta di classe analogo a quello di ondate, l’articolo analizza tre ondate differenti di lotte nel corso dei due decenni dopo il 68: la prima, senza dubbio la più spettacolare, ha conosciuto l’autunno caldo italiano nel 69, la violenta rivolta a Cordoba in Argentina nel 69 e in Polonia nel 70, e movimenti importanti in Spagna e in Gran Bretagna nel 1972. In Spagna, in particolare, i lavoratori hanno iniziato ad organizzarsi attraverso assemblee di massa, un processo che giunse al culmine a Vitoria nel 1976. I riflessi dell’ondata di lotte con i suoi echi in Israele (1969) e in Egitto (1972) e, più tardi, le rivolte nelle townships in Sud Africa guidate da comitati di lotta (i “Civics”) ne dimostrano la dimensione internazionale.
Dopo una breve pausa nella metà degli anni 70, c’è stata una seconda ondata che ha riguardato gli scioperi degli operai del petrolio iraniani, i lavoratori delle acciaierie in Francia nel 1978, l’“inverno del malcontento” in Gran Bretagna, lo sciopero dei lavoratori portuali a Rotterdam, guidato da un comitato di lotta indipendente e in seguito gli scioperi dei lavoratori siderurgici in Brasile nel 1979 che hanno anche contestato il controllo dei sindacati. Questa ondata di lotte ha raggiunto il culmine in Polonia nel 1980, certamente l’evento più importante della lotta di classe dal 1968, e anche dagli anni ‘20. E nonostante la severa repressione degli operai polacchi abbia posto fine a questa ondata, non ci volle molto che un nuovo movimento si verificasse con le lotte in Belgio nel 1983 e 1986, lo sciopero generale in Danimarca nel 1985, lo sciopero dei minatori in Inghilterra nel 1984 - 85, le lotte dei ferrovieri e dei lavoratori della sanità in Francia nel 1986 e nel 1988, oltre al movimento dei lavoratori della scuola in Italia nel 1987. Le lotte in Francia e in Italia, in particolare - come lo sciopero di massa in Polonia- hanno dimostrato una reale capacità di auto-organizzazione con assemblee generali e comitati di sciopero.
Non era una semplice lista di scioperi. L’articolo[6] evidenzia il fatto che questo movimento a ondate di lotte non girava in tondo, ma portava a reali progressi nella coscienza di classe:
“Il semplice paragone delle caratteristiche delle lotte di 20 anni fa con quelle di oggi permette di percepire rapidamente l’ampiezza dell’evoluzione che si è lentamente realizzata nella classe. La propria esperienza, aggiunta all’evoluzione catastrofica del sistema capitalista, le ha permesso di sviluppare una visione molto più lucida della realtà della sua lotta. Questo ha comportato:
- una perdita delle illusioni sulle forze politiche della sinistra del capitale e in primo luogo sui sindacati rispetto ai quali le illusioni hanno lasciato il posto alla sfiducia e sempre più un’aperta ostilità;
- l’abbandono sempre più marcato di forme di mobilitazione inefficaci, vicoli ciechi nei quali i sindacati hanno tante volte fuorviato la combattività operaia:
- giornate di azioni, manifestazioni-processione, scioperi lunghi e isolati…
Ma l’esperienza di questi 20 anni di lotta non ha portato alla classe operaia solo insegnamenti “in negativo” (ciò che non si deve fare). Essa si è anche tradotta in insegnamenti su cosa e come si deve fare:
- cercare di estendere la lotta (in particolare in Belgio nel 1986)
- cercare di prendere in mano la lotta, organizzandosi in assemblee e comitati di sciopero eletti e revocabili (Francia alla fine del 1986, e in particolare in Italia nel 1987).
Al tempo stesso, l’articolo non trascurava le risposte della borghesia al crescere della lotta di classe: benché fosse stata sorpresa dallo scoppio del movimento del Maggio 68, rincorrendo a forme brutali di repressione che hanno accelerato l’estensione della lotta, essa ha in seguito davvero imparato molto o di nuovo su come far fronte alla resistenza del suo nemico di classe. Non ha rinunciato a impiegare la repressione, ovviamente, ma ha trovato strumenti più subdoli per proporne e giustificarne l’impiego, come lo spauracchio del terrorismo: nel frattempo ha sviluppato il suo arsenale di mistificazioni democratiche per deviare le lotte verso obiettivi politici borghesi, in particolare nei paesi che erano ancora governati da dittature. Per quanto riguarda le stesse lotte, si è trovata di fronte la disillusione crescente verso i sindacati ufficiali e la minaccia di auto-organizzazione nello sviluppo di forme di sindacalismo, che potevano abbracciare anche forme “al di fuori delle organizzazioni sindacali” (ad esempio l’attività di coordinamento messa in atto dalla estrema sinistra in Francia).
L’articolo cominciava col riconoscere che molte affermazioni ottimistiche sulla “rivoluzione nel 1968” erano state chiaramente utopistiche. In parte perché la discussione sulla possibilità della rivoluzione era stata falsata dalle posizioni gauchiste secondo le quali quelle in Vietnam o a Cuba erano proprio rivoluzioni socialiste che dovevano essere sostenute attivamente dalla classe operaia dei paesi centrali.
Ma anche perché, qualora si fosse compreso che la rivoluzione implicava realmente la trasformazione dei rapporti sociali, le condizioni oggettive del 1968, oltre la crisi economica mondiale, avevano appena iniziato a fornire la base materiale di una sfida rivoluzionaria al capitalismo. Da allora le cose sono diventate più complicate, ma più profonde.
Forse si parla meno facilmente di rivoluzione nel 1988 che nel 1968. Ma quando oggi questa parola è gridata in una manifestazione che denuncia la natura borghese dei sindacati a Roma o in una manifestazione di disoccupati a Bilbao c’è un diverso significato più concreto e profondo che nelle assemblee concitate e piene di false illusioni del 1968.
Il 1968 aveva sottolineato il ritorno dell’obiettivo rivoluzionario. Durante 20 anni le condizioni della sua realizzazione hanno continuato a maturare. Lo sprofondare del capitalismo in un punto morto, la situazione sempre più insostenibile che questo crea per l’insieme delle classi sfruttate, l’esperienza accumulata con la combattività operaia, tutto questo porta alla situazione, di cui parlava Marx, che rende “ogni passo indietro impossibile”.
La svolta del 1989
Ci sono molti aspetti in questa analisi che oggi possiamo sempre condividere. Tuttavia non possiamo che essere colpiti da una frase che sintetizza la valutazione della terza ondata di lotta di questo articolo:
“Infine, la recente mobilitazione dei lavoratori della Ruhr in Germania e la ripresa degli scioperi in Gran Bretagna nel 1988 (vedi l’editoriale di questo numero) confermano che questa terza ondata internazionale di lotte operaie, che dura ora da più di 4 anni, è tutt’altro che conclusa”.
Nei fatti, la terza ondata, e comunque tutto il periodo di lotte dal 1968, doveva arrivare a una fine improvvisa con il crollo del blocco dell’Est nel 1989-91 e la marea di campagne sulla morte del comunismo che l’ha accompagnato. Il cambiamento storico nella situazione mondiale ha segnato l’arrivo definitivo di una nuova fase nel declino del capitalismo: la fase di decomposizione.
La CCI aveva già notato i sintomi di decomposizione in precedenza, negli anni ‘80, e nell’organizzazione era già in corso una discussione sulle sue implicazioni per la lotta di classe. Tuttavia, l’articolo su Maggio 68 nella Revue Internationale n°53 così come l’editoriale nello stesso numero, mostrano chiaramente che non si era colto il suo significato più profondo. L’articolo sul ‘68 ha un sottotitolo “20 anni di decomposizione” senza che sia fornita una spiegazione del termine, mentre l’editoriale si riferisce solo alle sue manifestazioni a livello dei conflitti imperialistici - il fenomeno che in seguito è stato indicato come “libanizzazione” - la tendenza di interi paesi-nazione a disintegrarsi sotto il peso di rivalità imperialiste sempre più irrazionali. È probabile che queste imprecisioni abbiano riflesso le reali differenze che erano comparse all’8° congresso della CCI verso la fine del 1988.
L’atmosfera dominante in questo congresso era stata di un ottimismo e di un’euforia illusoria. Questo rifletteva in parte il comprensibile entusiasmo dovuto all’integrazione di due nuove sezioni della CCI al congresso, in Messico e in India. Ma soprattutto si esprimeva in alcune analisi della lotta di classe che erano state poste in risalto: l’idea che era questione di mesi e le nuove mistificazioni borghesi si sarebbero logorate a loro volta, speranze smisurate nelle lotte che c’erano in Russia, la concezione di una terza ondata che avanzava sempre tra alti e bassi, e oltre tutto, una reticenza ad accettare l’idea che, di fronte alla decomposizione sociale crescente, la lotta di classe sembrava segnare una “battuta di arresto” o arrancare (cosa che, considerata l’importanza della posta in gioco, non poteva che implicare una tendenza al riflusso o alla regressione). Al congresso Marc Chirik e una minoranza di compagni difendevano questa visione che si basava su una chiara coscienza che lo sviluppo della decomposizione esprimeva una sorta di blocco storico tra le classi. La borghesia non aveva inflitto una sconfitta storica decisiva alla classe operaia, e non era capace di mobilitarsi per una nuova guerra mondiale; ma la classe operaia, malgrado i 20 anni di lotta che avevano impedito il cammino verso la guerra, e che tra l’altro avevano visto progressi significativi della coscienza di classe, non era stata capace di sviluppare la prospettiva della rivoluzione, di porre la sua alternativa politica alla crisi del sistema. Privato di ogni via di uscita ma sempre precipitato in una crisi economica di lunga durata, il capitalismo cominciava a decomporsi, e questa putrefazione influenzava la società capitalista a ogni livello[7].
Questa diagnosi ha avuto una decisiva conferma con il crollo del blocco dell’Est. Da un lato, questo importante avvenimento era un prodotto della decomposizione. Metteva in luce l’impasse profonda della borghesia stalinista che si era arenata in una palude economica ma chiaramente incapace di mobilitare i suoi lavoratori in una soluzione militare alla bancarotta della sua economia (le lotte in Polonia nel 1980 lo avevano chiaramente dimostrato alla classe dominante stalinista). Allo stesso tempo, esso mostrava le gravi debolezze politiche di questa parte della classe operaia mondiale. Il proletariato del blocco russo aveva indubbiamente dimostrato la sua capacità di lottare sul piano economico difensivo, ma di fronte a un avvenimento storico enorme che di per sé si esprimeva sul piano decisamente politico, era del tutto incapace di offrire una propria alternativa e, come classe, è stato trascinato nelle rivolte democratiche falsamente descritte come una serie di “rivoluzioni del popolo”.
A loro volta, questi eventi hanno considerevolmente accelerato il processo di decomposizione su scala mondiale. Era più evidente a livello imperialista, quando il crollo repentino del vecchio sistema dei blocchi ha portato la tendenza al “ciascuno per sé” a dominare sempre più spesso le rivalità diplomatiche e militari. Ma era vero anche a proposito dei rapporti di forza tra le classi. A seguito del tracollo del blocco dell’Est, le campagne della borghesia mondiale sulla morte del comunismo, sull’impossibilità di qualsiasi alternativa della classe operaia al capitalismo, hanno inflitto altri colpi alla capacità della classe operaia internazionale, in particolare nei paesi centrali del sistema, di generare una prospettiva politica.
La CCI non aveva previsto gli eventi del 1989-91, ma è stata capace di dare una risposta con una analisi coerente basata sul lavoro teorico precedente. Questo era vero per quanto riguarda sia la comprensione dei fattori economici implicati nella caduta dello stalinismo[8], che la previsione del caos crescente che, in assenza dei blocchi, si sarebbe quindi scatenato nella sfera dei conflitti imperialisti[9] . In merito al livello della lotta di classe, siamo riusciti a vedere che il proletariato si trovava ad affrontare un periodo particolarmente difficile:
“L’identificazione sistematica tra comunismo e stalinismo, la menzogna mille volte ripetuta e martellata oggi ancora più di prima per cui la rivoluzione proletaria non potrebbe condurre che al fallimento, vanno a trovare con il crollo dello stalinismo, e per tutto un periodo di tempo, un impatto accresciuto nei ranghi della classe operaia. È dunque un riflusso momentaneo della coscienza del proletariato, di cui già ora si possono notare le manifestazioni - in particolare con il ritorno in forze del sindacato - che bisogna attendersi. Se gli attacchi incessanti e sempre più brutali che il capitalismo non mancherà di sferrare contro gli operai costringeranno questi a scendere in lotta, in un primo tempo non ne risulterà una maggiore capacità della classe di avanzare nella sua presa di coscienza. In particolare, l’ideologia riformista peserà molto fortemente sulle lotte del prossimo periodo, favorendo grandemente l’azione dei sindacati.
Tenuto conto dell’importanza storica dei fatti che lo determinano, l’attuale riflusso del proletariato, benché non rimetta in causa il corso storico, la prospettiva generale agli scontri fra le classi, si presenta come ben più profondo di quello che aveva accompagnato la sconfitta del 1981 in Polonia. Ciò detto, noi non ne possiamo prevedere né l’ampiezza reale, né la durata. In particolare, il ritmo di sprofondamento del capitalismo occidentale - di cui si può percepire attualmente un’accelerazione con la prospettiva di una nuova recessione aperta - costituisce un fattore determinante del momento in cui il proletariato potrà riprendere la sua marcia verso la coscienza rivoluzionaria”[10]. Questo passaggio è molto chiaro sull’impatto profondamente negativo del crollo dello stalinismo, ma contiene ancora una certa sottostima della profondità del riflusso. La stima secondo la quale “questo sarà momentaneo” attenua già la posizione successiva (che afferma) che il riflusso sarebbe stato “molto più profondo di quello che aveva accompagnato la sconfitta del 1981 in Polonia”, e questo problema si sarebbe manifestato nella nostra analisi nel corso degli anni seguenti, in particolare nell’idea che alcune lotte negli anni ‘90 - nel 92 e di nuovo nel 98 - segnavano la fine dell'arretramento. In realtà, alla luce degli ultimi tre decenni, possiamo affermare che l'arretramento nella coscienza di classe non solo è continuato, ma si è approfondito, causando una sorta di amnesia nei confronti delle conquiste e dei passi avanti del periodo 1968-1989.
Quali sono i principali indicatori di questo percorso?
- L’impatto della crisi economica nell’Ovest non è stato così lineare come presupposto nel passaggio citato prima. Le convulsioni dell’economia hanno certamente sminuito le fanfaronate della classe dominante all’inizio degli anni 90, secondo le quali, con la fine del blocco dell’Est, saremmo entrati in un periodo di prosperità assoluta. Ma la borghesia è stata capace di sviluppare nuove forme di capitalismo di Stato e manipolazioni economiche (contraddistinte dal concetto di “neoliberismo”) che hanno mantenuto almeno un’illusione di crescita, mentre lo sviluppo reale dell’economia cinese in particolare ha convinto molti che il capitalismo può adattarsi all’infinito e trovare sempre nuove vie per uscire dalla sua crisi. E quando le contraddizioni di fondo sarebbero tornate a galla, come accaduto con il grande crollo finanziario del 2008, avrebbero potuto stimolare alcune reazioni proletarie (ad esempio nel periodo 2010-2013); ma allo stesso tempo, la stessa forma che ha preso questa crisi, “una stretta creditizia” che implica una ingente perdita dei risparmi per milioni di lavoratori, rendeva più difficile rispondere sul terreno di classe, perché l’impatto sembrava colpire di più le singole famiglie che una classe associata[11].
- La decomposizione mina questa coscienza del proletariato in quanto forza sociale diversa sotto molti aspetti che aumentano tutti l’atomizzazione e l’individualismo insiti nella società borghese. Possiamo osservarli ad esempio nella tendenza alla formazione di gang nei centri urbani che esprimono allo stesso tempo la mancanza di ogni prospettiva economica per una parte consistente dei giovani proletari, e una ricerca disperata di una comunità alternativa che porta a divisioni mortali tra i giovani, basate su rivalità tra i diversi quartieri e le diverse condizioni sociali, sulla concorrenza per il controllo dell’economia locale della droga, o su differenze razziali e religiose. Ma la politica economica della classe dominante ha anche deliberatamente attaccato ogni senso di identità di classe - sia facendo saltare i vecchi centri industriali di resistenza della classe operaia, sia introducendo forme molto più atomizzate di lavoro, come la cosiddetta “gig economy” (economia dei piccoli lavoretti), in cui gli operai sono regolarmente considerati come degli “imprenditori”.
- Il numero crescente di guerre sanguinose e caotiche che caratterizza questo periodo smentisce decisamente l’affermazione che la fine dello stalinismo avrebbe regalato all’umanità un “dividendo della pace”, ma non fornisce la base per uno sviluppo generale della coscienza di classe, come è accaduto ad esempio nel corso della Prima guerra mondiale, quando il proletariato dei paesi centrali era coinvolto direttamente nella carneficina. La borghesia ha imparato dai conflitti sociali del passato provocati dalla guerra (compresa la resistenza contro la guerra del Vietnam) e, nei paesi chiave in Occidente, ha fatto il possibile per evitare l’impiego di eserciti di leva e per confinare le sue guerre nella periferia del sistema. Ciò non ha impedito che questi scontri militari avessero un impatto molto concreto sui paesi centrali, ma ha assunto principalmente forme tendenti a rinforzare il nazionalismo e a fare leva sulla “protezione” dello Stato: l’enorme crescita del numero di rifugiati che fuggono dalle zone di guerra, e l’azione di gruppi terroristici volta a colpire la popolazione dei paesi più sviluppati[12].
- A livello politico, in mancanza di una chiara prospettiva proletaria, abbiamo visto differenti parti della classe operaia influenzate dalle false critiche del sistema fornite dal populismo da un lato e dal jihadismo dall’altro. L’influenza crescente della “politica identitaria” tra gli strati più istruiti della classe operaia è un’altra espressione di questa dinamica: l’assenza di identità di classe è aggravata dalla tendenza alla frammentazione in identità razziali, sessuali ed altre, accrescendo l’esclusione e la divisione, mentre solo il proletariato che lotta per i propri interessi può essere inclusivo.
- Noi dobbiamo fare i conti con la realtà di tutte queste difficoltà e trarne le conseguenze politiche nella lotta per cambiare la società. Ma, nella nostra visione, anche se il proletariato non può evitare la dura scuola delle sconfitte, le difficoltà crescenti e persino le sconfitte parziali non significano ancora una sconfitta storica della classe e la scomparsa della possibilità del comunismo.
Negli ultimi decenni circa, alcuni movimenti importanti hanno fornito una base a questa conclusione. Nel 2006 abbiamo visto la mobilitazione massiccia degli studenti in Francia contro il CPE[13]. I mass media della classe dominante descrivono spesso le lotte in Francia, anche se sono sotto il controllo dai sindacati, come nell’ultimo caso[14] , agitando lo spettro di un “nuovo Maggio 68”, il modo migliore per deformare la vera esperienza del Maggio. Ma il movimento del 2006 ha fatto rivivere, per certi versi, lo “spirito” autentico del 68: da un lato perché i suoi protagonisti riscoprivano forme di lotta di quell’epoca, in particolare le assemblee generali dove potevano svolgersi reali dibattiti, e dove i giovani partecipanti erano pronti ad ascoltare la testimonianza dei compagni più vecchi che avevano preso parte agli avvenimenti del 68. Ma, allo stesso tempo, questo movimento, che aveva tagliato fuori i quadri sindacali, rischiava realmente di condurre impiegati e operai in una direzione probabilmente “senza controllo”, proprio come nel maggio 68, e perciò il governo ha ritirato il progetto di legge.
Sempre nel maggio 2006, 23 mila operai metallurgici di Vigo, in una provincia della Galizia in Spagna, sono scesi massicciamente in sciopero contro una riforma del lavoro del settore e invece di rimanere chiusi nelle fabbriche hanno cercato la solidarietà di altre industrie, in particolare davanti ai cancelli dei cantieri navali e degli stabilimenti della Citroën, hanno organizzato manifestazioni nella città per coinvolgere tutta la popolazione, e soprattutto quotidiane assemblee generali pubbliche aperte agli altri lavoratori, occupati, disoccupati o pensionati.
Queste assemblee proletarie sono state per una settimana linfa vitale di una lotta che ha impiegato metodi esemplari, finché il movimento non è stato preso nella morsa della repressione violenta e delle manovre dei sindacati nelle trattative con la dirigenza.
Nel 2011 abbiamo visto l’ondata di rivolte sociali in Medio Oriente e in Grecia, che è culminata nel movimento degli “Indignados” in Spagna o “Occupy” negli Stati Uniti. L’elemento proletario in questi movimenti era diverso da un paese all’altro, ma è stato più evidente in Spagna, dove abbiamo visto ampiamente diffusa l’adozione della forma assembleare; un forte slancio internazionalista che plaudeva alle manifestazioni di solidarietà dei partecipanti di tutto il mondo e dove la parola d’ordine “rivoluzione mondiale” era presa sul serio, forse per la prima volta dall’ondata rivoluzionaria del 1917; un riconoscimento che “il sistema è ormai superato” e una grande voglia di discutere la possibilità di una nuova forma di organizzazione sociale. Nelle numerose e intense discussioni che si svolgevano nelle assemblee e nelle commissioni sulla morale, sulla scienza, sulla cultura, nel rimettere sempre in discussione i dogmi secondo i quali i rapporti capitalistici sono eterni – abbiamo visto proprio qui emergere di nuovo il vero spirito del Maggio 68.
Certamente la maggior parte di questi movimenti aveva molti punti deboli che abbiamo analizzato in altri articoli[15], non ultima la tendenza dei partecipanti a vedersi come “cittadini” piuttosto che come proletari, e dunque una reale vulnerabilità all’ideologia democratica che avrebbe consentito ai partiti borghesi come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna di presentarsi come i veri eredi di queste rivolte. E, in un certo senso, come in ogni sconfitta proletaria, più in alto si sale, più in basso si cade: il riflusso di questi movimenti ha ulteriormente diminuito la coscienza di classe. In Egitto, dove il movimento nelle piazze ha ispirato il movimento in Grecia e in Spagna, le illusioni sulla democrazia avevano preparato il terreno alla restaurazione dello stesso tipo di governo autoritario che era stato il catalizzatore iniziale della “primavera araba”; in Israele, dove le manifestazioni di massa hanno lanciato una volta la parola d’ordine internazionalista “Nethanyahu, Moubarak, Assad, stesso nemico”, la brutale politica militarista di Nethanyahu ha ripreso ora il controllo. E, cosa ancor più grave, in Spagna molti dei giovani che avevano partecipato al movimento degli “Indignados” sono stati intrappolati nel vicolo cieco del nazionalismo catalano o spagnolo.
La comparsa di questa nuova generazione di proletari nei movimenti del 2006 e 2011 ha anche dato vita a una nuova ricerca della politica comunista in una minoranza, ma le speranze che ciò avrebbe portato un apporto completamente nuovo di forze rivoluzionarie non si sono, al momento, realizzate. La Sinistra comunista resta decisamente isolata e disunita; tra gli anarchici, tra cui si stavano osservando alcuni nuovi interessanti sviluppi, la ricerca di posizioni di classe è stata minata dall’influenza della politica identitaria e anche dal nazionalismo. In un terzo articolo di questa serie analizzeremo nei dettagli l’evoluzione del campo politico proletario e del suo contesto dopo il 1968.
Ma se Maggio 68 insegna qualcosa, mostra che la classe operaia può riprendersi dalle peggiori sconfitte, risorgere dalle più gravi ritirate. I momenti di rivolta proletaria che ci sono stati nonostante la minaccia crescente della decomposizione del capitalismo rivelano la possibilità che sorgano nuovi movimenti che, riscoprendo la prospettiva della rivoluzione, possano sventare i tanti pericoli che la decomposizione comporta per il futuro della specie.
Questi pericoli - l’espansione del caos militare, della catastrofe ecologica, della fame e delle malattie a livelli mai raggiunti prima - provano che la rivoluzione è più che mai necessaria per la specie umana. Il declino del capitalismo e la decomposizione aumentano certamente il rischio che la base oggettiva di una nuova società possa essere definitivamente spazzata via se la decomposizione avanza oltre un certo limite. Ma anche nella sua ultima fase, il capitalismo produce ancora le forze che possono essere usate per sconfiggerlo - come nel testo del Manifesto Comunista del 1848, “la borghesia, prima di ogni altra cosa, produce i suoi becchini”. Il capitalismo, i suoi modi di produzione e di comunicazione sono più globali che mai - ma anche il proletariato è più internazionale, più capace di comunicare al suo interno a livello mondiale. Il capitalismo è diventato molto più avanzato a livello tecnologico ma deve quindi educare il proletariato all’uso della sua scienza e della sua tecnologia che possono essere utilizzate in una futura società per i bisogni dell’uomo piuttosto che per il profitto. Questo proletariato più istruito, più coinvolto a livello internazionale, è sempre comparso nei movimenti sociali recenti, soprattutto nei paesi centrali del sistema, e svolgerà un ruolo chiave in ogni futura ripresa della lotta di classe, come lo faranno le nuove forze proletarie create dalla vertiginosa ma malaticcia crescita del capitalismo in Asia e nelle altre regioni prima “sottosviluppate”. Noi non abbiamo visto la fine né il funerale dello spirito del Maggio 68.
Amos, giugno 2018
[1] Vedere per esempio World Revolution n°315 “Riunione della CCI su '1968 e tutto il resto': la prospettiva aperta 40 anni fa non non è scomparsa”.
[2] “50 anni fa, maggio 68. Prima parte: lo sprofondamento nella crisi economica. Revue Internationale n°160”.
[3] Rivista Internazionale n°12. L’articolo è firmato RV, uno dei giovani “venezuelani” che ha contribuito a fondare RI nel 1968.
[4] Vedere in particolare: “La confusione dei gruppi comunisti sul periodo attuale: sottovalutazione della lotta di classe” nella Revue Internationale n°54, 3° trimestre 1988.
[5] Vedere in particolare l’articolo “Gli anni 1950 e 60. Damen, Bordiga e la passione del comunismo” nella Revue Internationale n°158.
[6] “20 anni dopo il 1968: lotta di classe: la maturazione delle condizioni della rivoluzione proletaria”. Rivista Internazionale n°12, ottobre 1988.
[7] Per un bilancio più ampio delle lotte di classe degli ultimi decenni, che prende in considerazione le tendenze a sovrastimare il potenziale immediato della lotta di classe nelle nostre analisi, vedi “Rapporto sulla lotta di classe del 21° Congresso della CCI”, https://it.internationalism.org/cci/201603/1358/rapporto-sulla-lotta-di-classe [8], inverno 2016.
[8] Vedere “Tesi sulla crisi politica ed economica nei paesi dell’Est”, Rivista Internazionale n°13, febbraio 1990.
[9] Vedere in particolare “Testo di orientamento: Militarismo e decomposizione”, Rivista Internazionale n°15, https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione [9].
[10] “Tesi sulla crisi politica ed economica nei paesi dell’Est”, Rivista Internazionale n°13.
[11] Vedere il punto 14 della Risoluzione sulla lotta di classe del 22° Congresso della CCI, /content/1410/risoluzione-sulla-lotta-di-classe-internazionale [10]
[12] Vedere i punti 15 e 16 della risoluzione precedente.
[13] CPE: contratto di primo impiego, una misura destinata ad accrescere la precarietà del lavoro per i giovani lavoratori. Per un’analisi di questo movimento, vedere “Tesi sul movimento degli studenti della primavera 2006 in Francia”.
[14] Sciopero a singhiozzo dei ferrovieri: una manovra dei sindacati per dividerci! (volantino).
[15] Vedere “Gli indignati in Spagna, Grecia e Israele: dall’indignazione alla preparazione della lotta di classe”, Rivista Internazionale n°33, gennaio 2012.
1) 30 anni fa, la CCI ha evidenziato che il sistema capitalista era entrato nella fase finale della sua decadenza e della sua esistenza, quella della decomposizione. Quest’analisi si basava su una serie di fatti empirici, ma allo stesso tempo ha fornito un quadro per la comprensione di questi fatti: "in una situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si affrontano tra loro senza riuscire nessuna delle due ad imporre la sua risposta decisiva, la storia non si sarebbe potuta fermare. Ancor meno degli altri modi di produzione che l'hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo "un congelamento", una "stagnazione" della vita sociale. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l'incapacità della borghesia di offrire la minima prospettiva per la società nel suo insieme e l'incapacità del proletariato di affermare apertamente la sua nel futuro immediato non possono che tradursi in un fenomeno di decomposizione diffusa, di imputridimento dell’intera società". ("Decomposizione, fase finale della decadenza del capitalismo", punto 4, Rivista Internazionale n. 14)
La nostra analisi ha avuto cura di chiarire i due significati del termine "decomposizione"; da un lato, si applica a un fenomeno che colpisce la società, soprattutto nel periodo di decadenza del capitalismo e, in secondo luogo, designa una particolare fase storica di quest'ultimo, la sua fase finale:
"... È essenziale evidenziare la differenza fondamentale tra gli elementi di decomposizione che hanno colpito il capitalismo dall'inizio del secolo [XX secolo] e la decomposizione generalizzata in cui attualmente sta sprofondando questo sistema e che non potrà che aggravarsi. Anche qui, al di là dell'aspetto rigorosamente quantitativo, il fenomeno della decomposizione sociale sta ora raggiungendo una tale profondità e una tale ampiezza da acquisire una nuova e singolare qualità che mostra l'ingresso del capitalismo decadente in una fase specifica – la fase finale – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore decisivo nell'evoluzione della società" (Ibid., punto 2)
È soprattutto quest'ultimo punto (il fatto che la decomposizione tende a diventare il fattore decisivo dell'evoluzione della società, e quindi di tutte le componenti della situazione mondiale, un'idea che non è per niente condivisa dagli altri gruppi della Sinistra comunista) a costituire l'asse principale di questa risoluzione.
2) Le tesi di maggio 1990 sulla decomposizione evidenziano tutta una serie di caratteristiche nell'evoluzione della società risultanti dall'ingresso del capitalismo in questa fase finale della sua esistenza. Il rapporto adottato dal 22° Congresso ha costatato il peggioramento di tutte queste caratteristiche, ad esempio:
- “la moltiplicazione delle carestie nei paesi del terzo mondo”;
- la trasformazione dello stesso “terzo mondo” in un enorme bidonville dove centinaia di milioni di esseri umani sopravvivono come ratti nelle fogne;
- lo sviluppo dello stesso fenomeno nel cuore delle principali città dei paesi “avanzati”;
- catastrofi “accidentali” che si sono moltiplicate negli ultimi tempi (...) gli effetti sempre più devastanti di disastri "naturali" sul piano umano, sociale ed economico;
- la degradazione dell'ambiente che raggiunge proporzioni sconcertanti (tesi sulla decomposizione, punto 7).
Questo stesso rapporto del 22° Congresso della CCI ha anche sottolineato la conferma e l'aggravamento delle manifestazioni politiche e ideologiche della decomposizione, come identificato nel 1990:
Il rapporto del 22° Congresso ritorna in particolare sullo sviluppo di un fenomeno già osservato nel 1990 (e che aveva svolto un ruolo importante nel riconoscimento da parte della CCI dell'ingresso del capitalismo decadente nella fase di decomposizione): l’uso del terrorismo nei conflitti imperialisti. Il rapporto rilevava che: “la crescita quantitativa e qualitativa del ruolo del terrorismo ha compiuto un passo decisivo (...) con l'attacco alle torri gemelle (...) Successivamente è stato confermato con gli attacchi a Madrid nel 2004 e Londra nel 2005 (...), la costituzione di Daesh nel 2013-14 (...) gli attacchi in Francia nel 2015-16, Belgio e Germania nel 2016.”
Ancora, il rapporto rilevava, in connessione con questi attacchi e come espressione caratteristica della decomposizione della società, la progressione dell’islamismo radicale che, se inizialmente ha avuto una ispirazione sciita (con l’introduzione nel 1979 del regime degli ayatollah in Iran) è divenuto poi argomento principale del movimento sunnita dal 1996 e dalla presa di Kabul da parte dei talebani e, ancora, dopo il rovesciamento del regime di Saddam Hussein in Iraq da parte delle truppe americane.
3) Oltre a confermare le tendenze già individuate nelle tesi del 1990, il rapporto adottato dal 22° Congresso ha rilevato l'emergenza di due nuovi fenomeni risultanti dal proseguimento della decomposizione e chiamati a svolgere un ruolo importante nella vita politica in molti paesi:
Gli spostamenti di massa delle popolazioni non sono fenomeni specifici della fase di decomposizione. Tuttavia, oggi acquisiscono una dimensione che li rende un elemento singolare di questa decomposizione sia in termini di cause attuali (in particolare il caos guerriero prevalente nei paesi di origine) che rispetto alle loro conseguenze politiche nei paesi di destinazione. In particolare, l'afflusso massiccio di rifugiati nei paesi europei è stato un alimento di prim’ordine per l'ondata populista che si sta sviluppando in Europa, anche se quest’ondata ha cominciato a manifestarsi ben prima (soprattutto in un paese come la Francia con la crescita del Fronte nazionale).
4) Infatti, negli ultimi vent'anni i partiti populisti hanno visto il numero di voti a loro favore triplicarsi in Europa (dal 7% al 25%) con forti progressioni a seguito della crisi finanziaria del 2008 e della crisi migratoria del 2015. In una dozzina di paesi, questi partiti partecipano al governo o alla maggioranza parlamentare: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Austria, Danimarca, Norvegia, Svizzera e Italia. Inoltre, anche quando le formazioni populiste non sono coinvolte nel governo, esse pesano significativamente sulla vita politica della borghesia. Si possono citare tre esempi:
- in Germania, è stata l'ascesa elettorale dell'AfD ad indebolire gravemente Angela Merkel costringendola ad abbandonare la propria leadership nel suo partito;
- in Francia, “l’uomo della provvidenza”, Macron, apostolo di un "nuovo mondo", se è riuscito ad imporsi largamente su Marine Le Pen nelle elezioni del 2017, non è in alcun modo riuscito a ridurre l'influenza del partito di quest'ultima che tallona il suo partito, la République en Marche che, nondimeno, è “sia di destra che di sinistra” con un personale politico recuperato in entrambi i campi (ad esempio un primo ministro della destra e un ministro degli interni del partito socialista);
- in Gran Bretagna, la borghesia tradizionalmente più abile del mondo ci ha dato per più di un anno lo spettacolo di un profondo disordine derivante dalla sua incapacità a gestire la "Brexit" impostale da correnti populiste.
Che le correnti populiste siano nel governo o semplicemente che perturbino il classico gioco politico, ciò non corrisponde a un’opzione razionale di gestione del capitale nazionale o a una carta giocata deliberatamente dai settori dominanti della classe borghese che, in particolare attraverso i loro mezzi di informazione, denunciano costantemente queste correnti. Ciò che realmente esprime l'ascesa del populismo è l'aggravamento di un fenomeno già annunciato nelle tesi del 1990: “tra le principali caratteristiche della decomposizione della società capitalista, dobbiamo sottolineare la crescente difficoltà della borghesia a controllare nel futuro la situazione politica. (Punto 9)”. Un fenomeno che si trova chiaramente nel rapporto del 22° Congresso: “quello che deve essere sottolineato nella situazione attuale è la piena conferma di questo aspetto che abbiamo identificato 25 anni fa: la tendenza a una perdita di controllo crescente dell’apparato politico da parte della classe dominante”.
L’ascesa del populismo costituisce, nelle attuali circostanze, un'espressione della crescente perdita di controllo da parte della borghesia sul funzionamento della società, risultante fondamentalmente da ciò che sta al centro della decomposizione, l’incapacità delle due classi fondamentali della società di rispondere alla crisi insolubile in cui l’economia capitalista sta sprofondando. In altre parole, la decomposizione è fondamentalmente il risultato di un’impotenza da parte della classe dirigente, che trova la sua fonte nell’incapacità di superare la crisi del suo modo di produzione e che tende sempre più a influenzare il suo apparato politico. Tra le cause attuali dell'ondata populista ci sono le principali manifestazioni di decomposizione sociale: la crescita della disperazione, il nichilismo, la violenza, la xenofobia, insieme a un crescente rifiuto delle “élite” (i “ricchi”, i politici, i tecnocrati) e in una situazione in cui la classe operaia non è in grado di presentare, anche in modo embrionale, un'alternativa.
Ovviamente è possibile che il populismo perda in futuro la sua influenza o perché lui stesso avrà mostrato la sua impotenza e corruzione, o perché una rinascita delle lotte dei lavoratori taglierà l’erba sotto i suoi piedi. Questo però non può in alcun modo rimettere in discussione la tendenza storica del naufragio della società nella decomposizione, né le varie manifestazioni della stessa, compresa la perdita di un crescente controllo da parte della borghesia del suo gioco politico. E questo ha conseguenze non solo nella politica interna di ciascuno Stato, ma anche in termini di rapporto globale tra gli Stati e tra le configurazioni imperialiste.
5) Nel 1989-90, di fronte all’implosione del blocco dell’Est, abbiamo analizzato e considerato questo fenomeno senza precedenti nella storia, il crollo di un intero blocco imperialista in assenza di scontri generalizzati, come la prima grande manifestazione del periodo di decomposizione. Allo stesso tempo abbiamo esaminato la nuova configurazione mondiale che derivava da questo evento storico: “la scomparsa del gendarme imperialista russo, e quello che ne conseguirà per il gendarme americano verso i suoi principali "partner" di ieri, aprono la porta allo scatenamento di tutta una serie di rivalità più locali. Queste rivalità e scontri non possono, al momento, degenerare in un conflitto globale (anche supponendo che il proletariato non sia più in grado di opporsi). (...) Finora, nel periodo di decadenza, una tale situazione di dispersione degli antagonismi imperialisti, l'assenza di una spartizione del mondo (o delle sue aree decisive) tra i due blocchi, non si è mai prolungata. La scomparsa delle due costellazioni imperialiste emerse dalla seconda guerra mondiale porta, con essa, la tendenza a ricomporre due nuovi blocchi. Tuttavia, una tale situazione non è ancora all'ordine del giorno, la tendenza a una nuova divisione del mondo tra due blocchi militari è destabilizzata, e può anche essere definitivamente compromessa, dal fenomeno sempre più profondo e generalizzato della decomposizione della società capitalista come abbiamo già evidenziato.
In un tale contesto di perdita di controllo della situazione da parte della borghesia mondiale, non è detto che i settori dominanti di quest’ultima siano ora in grado di attuare l'organizzazione e la disciplina necessaria per la ricostituzione dei blocchi militari.” ("Dopo il crollo del blocco dell’Est, la destabilizzazione e il caos", Revue Internationale n. 61)
Così, il 1989 segna un cambiamento fondamentale nella dinamica generale della società capitalista:
6) Nel paradigma che ha dominato la maggior parte del XX secolo, la nozione di "corso storico" definiva l’esito di una tendenza storica: o la guerra mondiale o gli scontri di classe, e quando il proletariato aveva subito una sconfitta decisiva (come alla vigilia del 1914 o dopo la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria del 1917-23), la guerra mondiale diventava inevitabile. Nel paradigma che definisce la situazione attuale (finché non vengono ricostruiti due nuovi blocchi imperialisti, che possono anche non farsi mai) è anche possibile che il proletariato subisca una sconfitta così profonda da impedirgli definitivamente di risollevarsi, ma è altrettanto possibile che il proletariato subisca una sconfitta profonda senza che ciò abbia una conseguenza decisiva per l'evoluzione generale della società. Ecco perché la nozione di "corso storico" non è più in grado di definire la situazione del mondo attuale e il rapporto di forza tra borghesia e proletariato.
In qualche modo, la situazione storica ha somiglianze con quella del XIX secolo. In effetti, a quel tempo:
Detto questo, è importante sottolineare che la nozione di “corso storico” utilizzata dalla frazione italiana negli anni 1930 e dalla CCI tra il 1968 e il 1989 era perfettamente valida e costituiva il quadro fondamentale per la comprensione della situazione globale. In nessun modo, il fatto che la nostra organizzazione sia stata portata a prendere in considerazione nuovi ed inediti dati di questa situazione dal 1989 in poi può essere interpretato come una messa in discussione del nostro quadro analitico fino a tale data.
7) Già nel 1990, nello stesso momento in cui abbiamo visto la scomparsa dei blocchi imperialisti che dominavano la "guerra fredda", abbiamo insistito sul permanere e perfino sul peggioramento degli scontri guerrieri:
“Nel periodo di decadenza del capitalismo, TUTTI gli Stati sono imperialisti e prendono misure per affrontare questa realtà: economia di guerra, armamenti, ecc. Ecco perché il peggioramento delle convulsioni dell'economia mondiale non potrà che aumentare le lacerazioni tra questi differenti Stati, tra cui, e sempre più, quelle sul piano militare. (...) Queste rivalità e scontri non possono, al momento, degenerare in un conflitto globale (...). D’altra parte, a causa della scomparsa della disciplina imposta dalla presenza dei blocchi, questi conflitti sono suscettibili di essere più violenti e più numerosi, in particolare, naturalmente, nelle aree in cui il proletariato è più debole.” (Revue Internationale n°61, “Dopo il crollo del blocco dell’Est, destabilizzazione e caos”)
“... l'attuale scomparsa dei blocchi imperialisti non può implicare alcuna messa in discussione dell'influenza dell'imperialismo sulla vita della società. La differenza fondamentale è che (...) la fine dei blocchi apre solo la porta a una forma ancora più barbara, aberrante e caotica dell'imperialismo.” (Rivista Internazionale n°15, “Militarismo e decomposizione”)
Da allora, la situazione globale non ha fatto che confermare questa tendenza all'aggravamento del caos, come abbiamo constatato un anno fa:
“Lo sviluppo della decomposizione ha portato a uno scatenamento sanguinoso e caotico dell’imperialismo e del militarismo. L'esplosione della tendenza al ciascuno per sé ha portato all'ascesa delle ambizioni imperialiste delle potenze di secondo e terzo livello, nonché al crescente indebolimento della posizione dominante degli Stati Uniti nel mondo. La situazione attuale è caratterizzata da tensioni imperialiste ovunque e da un caos sempre meno controllabile, ma soprattutto dalla sua natura altamente irrazionale e imprevedibile, legata all'impatto delle pressioni populiste, in particolare ora che la potenza più forte del mondo è guidata da un presidente populista dalle reazioni capricciose”. ("Rapporto sulle tensioni imperialiste - giugno 2018", CCI on line)
8) Il Medio Oriente, dove l’indebolimento della leadership americana è più evidente e dove l’incapacità americana a impegnarsi sul piano militare più intensamente in Siria ha lasciato il campo aperto ad altri imperialismi, offre un concentrato di queste tendenze storiche: in particolare, la Russia si è imposta sul teatro siriano grazie alla sua forza militare e si è affermata come una potenza ineludibile per preservare la sua base navale di Tartus.
L’Iran, grazie alla sua vittoria militare a sostegno del regime alleato di Assad e per garantire un corridoio terrestre Irak-Siria che colleghi l'Iran direttamente al Mediterraneo e agli Hezbollah del Libano, è il principale beneficiario raggiungendo il suo obiettivo di porsi in prima linea in questa regione, soprattutto attraverso il dispiegamento di truppe al di fuori del suo territorio.
La stessa Turchia opera militarmente in Siria, ossessionata com’è dalla paura dell’istituzione di zone autonome curde che la destabilizzerebbero.
Le “vittorie” militari in Iraq e in Siria contro lo Stato islamico e il mantenimento di Assad al potere non offrono alcuna prospettiva di stabilità. In Iraq, la sconfitta militare dell’ISIS non ha eliminato il risentimento della vecchia frazione sunnita creata proprio da S. Hussein: l’esercizio del potere, per la prima volta da parte degli sciiti, non fa che alimentarlo ancora di più. In Siria, la vittoria militare del regime non significa stabilizzazione o pacificazione dello spazio siriano condiviso e sottoposto a imperialismi dagli interessi concorrenti. La Russia e l'Iran sono profondamente divise sul futuro dello Stato siriano e sulla presenza di truppe sul suo territorio.
Né Israele, ostile al rafforzamento di Hezbollah in Libano ed in Siria, né l’Arabia Saudita, che si mobilita contro l’ascesa dell’Iran, possono tollerare questo avanzamento iraniano; mentre la Turchia non può accettare le ambizioni regionali troppo grandi dei suoi due rivali.
Gli Stati Uniti e gli occidentali non possono loro stessi rinunciare alle loro ambizioni in questa zona strategica del mondo.
L’azione centrifuga delle varie potenze, piccole e grandi, i cui appetiti imperialisti divergenti si scontrano costantemente, alimenta solo la persistenza dei conflitti attuali, come nello Yemen, così come la prospettiva di future conflagrazioni e l'estensione del caos.
9) Bisogna considerare anche che, a seguito del crollo dell'URSS nel 1989, la Russia, che sembrava condannata a non poter più svolgere un ruolo di primo piano, ha fatto un ritorno in forza sul piano imperialista. Potenza in declino e priva di capacità economiche per sostenere la concorrenza militare con altre importanti potenze sul lungo termine, dimostra grazie al ripristino delle sue capacità militari dal 2008 la sua importante aggressività militare e la sua forza di disturbo internazionale:
- ha così dato scacco al "contenimento" americano (con l'integrazione dei suoi ex alleati del patto di Varsavia nella NATO) sul continente europeo con l'annessione della Crimea nel 2014 e l'amputazione separatista del Donbass, eliminando qualsiasi possibilità di fare dell’Ucraina un luogo centrale di dispositivo anti-russo.
- ha approfittato delle difficoltà americane per spingersi verso il Mediterraneo: il suo intervento militare in Siria ha permesso di rafforzare la sua presenza militare navale in questo paese e nel bacino dell’Est del Mediterraneo. La Russia è riuscita anche ad avvicinarsi per il momento alla Turchia, un membro della NATO che si allontana dall'orbita americana.
L’attuale riavvicinamento della Russia alla Cina sulla base dell’opposizione alle alleanze americane nella regione asiatica costituisce una fragile prospettiva di alleanza per la notevole divergenza d’interessi tra i due Stati, per cui l’instabilità dei rapporti di forza tra potenze conferisce al continente euroasiatico russo una nuova importanza strategica in vista della sua possibile posizione di contenimento della Cina.
10) Soprattutto, la situazione attuale è segnata dalla rapida ascesa in potenza della Cina. Quest’ultima si dà come prospettiva (investendo massicciamente in nuovi settori tecnologici, in particolare l'intelligenza artificiale) di ergersi a potenza economica leader entro il 2030-50 e di dotarsi da qui al 2050 di un “esercito di livello mondiale capace di vincere qualsiasi guerra moderna”. La manifestazione più visibile delle sue ambizioni è il lancio dal 2013 della “nuova via della seta” (creazione di corridoi di trasporto sul mare e sulla terraferma, accesso al mercato europeo e garanzia delle sue rotte commerciali) concepito come mezzo per rafforzare la sua presenza economica, ma anche come strumento per lo sviluppo del suo potere imperialista nel mondo e nel lungo termine, minacciando direttamente la preminenza americana.
Quest’ascesa della Cina provoca una destabilizzazione generale delle relazioni tra potenze in cui la potenza dominante, gli Stati Uniti, tenta di contenere e s’impegna a contrastare l'ascesa della potenza cinese che li minaccia. La risposta americana iniziata da Obama - ripresa e amplificata da Trump con altri mezzi - rappresenta un punto di svolta nella politica americana. La difesa dei suoi interessi come Stato nazionale è quella del ciascuno per sé che domina le relazioni imperialiste: gli Stati Uniti passano dal ruolo di gendarme dell'ordine mondiale a quello del principale agente moltiplicatore del ciascuno per sé, del caos e della rimessa in causa dell'ordine mondiale stabilito dal 1945 sotto la loro egida.
Questa “battaglia strategica per il nuovo ordine mondiale tra gli Stati Uniti e la Cina”, che si gioca in tutti i settori contemporaneamente, aumenta ulteriormente l'incertezza e l'imprevedibilità già sancite dalla situazione particolarmente complessa, instabile e mutevole di decomposizione: questo grande conflitto obbliga tutti gli Stati a riconsiderare le loro opzioni imperialiste in piena evoluzione.
11) I passi dell’ascesa della Cina sono inseparabili dalla storia dei blocchi imperialisti e dalla loro scomparsa nel 1989: la posizione della Sinistra comunista, che affermava “l’impossibilità di qualsiasi apparizione di nuove nazioni industrializzate nel periodo di decadenza e la condanna degli Stati che non sono riusciti a decollare industrialmente prima della prima guerra mondiale a ristagnare nel sottosviluppo, o a conservare un’arretratezza cronica rispetto ai paesi che avevano primeggiato”, era perfettamente valida nel periodo dal 1914 al 1989. Era l’imbrigliamento forzato dell'organizzazione del mondo in due blocchi imperialisti opposti (permanenti tra 1945 e 1989) in vista della preparazione della guerra mondiale ad impedire qualsiasi sconvolgimento della gerarchia tra potenze. L'ascesa della Cina è iniziata con l'aiuto americano che pagava il suo cambio di campo imperialista a favore degli Stati Uniti nel 1972. Fondamentalmente è continuato dopo la scomparsa dei blocchi nel 1989. La Cina appariva come il principale beneficiario della “globalizzazione” a seguito della sua adesione all’OMC nel 2001, quando è diventata l’atelier del mondo e il destinatario delle delocalizzazioni e degli investimenti occidentali, raggiungendo infine il rango di seconda potenza economica mondiale. Sono sopraggiunte circostanze senza precedenti del periodo storico di decomposizione per consentire l’ascesa della Cina, senza le quali essa non avrebbe avuto luogo.
Tuttavia la potenza cinese porta tutte le stigmate del capitalismo in fase terminale: essa si basa sul sovra-sfruttamento della forza lavoro proletaria, sullo sviluppo sfrenato dell’economia bellica attraverso il programma nazionale di “fusione militare-civile” e si accompagna a una catastrofica distruzione dell’ambiente, mentre la “coesione nazionale” si basa sul controllo poliziesco delle masse assoggettate all'educazione politica del partito unico e dalla feroce repressione delle minoranze etniche dello Xinjiang musulmano e dei tibetani. In effetti, la Cina è solo una gigantesca metastasi del cancro militaristico generalizzato dell'intero sistema capitalista: la sua produzione militare sta crescendo a un ritmo veloce, il suo budget per la difesa si è moltiplicato per sei in 20 anni e occupa dal 2010 il 2° posto mondiale.
12) La creazione della "nuova via della seta" e l’avanzamento graduale, persistente e a lungo termine della Cina (l'instaurazione di accordi economici o di partenariati inter-statali in tutto il mondo - con l'Italia, l'acquisizione del porto di Atene nel Mediterraneo, in America Latina; la creazione di una base militare a Gibuti - ingresso alla sua crescente influenza sul continente africano) - colpisce tutti gli Stati e rende altalenanti tutti gli “equilibri" esistenti.
In Asia, la Cina ha già alterato l'equilibrio delle forze imperialiste a scapito degli Stati Uniti. Tuttavia, non è possibile per lei colmare automaticamente il "vuoto" lasciato dal declino della leadership americana in ragione anche del ciascuno per sé imperialista e della sottostima che la sua potenza ispira. Importanti tensioni imperialiste si cristallizzano in particolare con:
L’ostilità di questi due stati verso la Cina favorisce la loro convergenza e il ravvicinamento con gli Stati Uniti. Quest'ultimi lanciano un'alleanza quadripartita tra Giappone, Stati Uniti, Australia e India, fornendo un quadro per il riavvicinamento diplomatico, ma anche militare, tra i diversi Stati che si opponevano all'ascesa della Cina.
In questa fase di “recupero” del potere degli Stati Uniti sulla Cina, quest’ultima tenta di mascherare le sue ambizioni egemoniche al fine di evitare il confronto diretto con il suo sfidante che risulterebbe dannoso per i suoi progetti a lungo termine, mentre gli Stati Uniti prendono l’iniziativa di far barriera fin da ora e di riconcentrare la maggior parte della loro attenzione imperialista nello spazio Indopacifico.
13) Nonostante il populismo di Trump, nonostante i disaccordi all'interno della borghesia americana su come difendere la loro leadership e in particolare le divisioni per quanto riguarda la Russia, l'amministrazione Trump adotta una politica imperialista in continuità e in coerenza con gli interessi imperialisti fondamentali dello Stato americano, con ampio consenso nei settori di maggioranza della borghesia americana: difendere il rango di prima potenza mondiale indiscussa degli Stati Uniti. Di fronte al gioco cinese, gli Stati Uniti stanno attuando un’importante mutazione della loro strategia imperialista globale. Questa svolta si basa sull'osservazione che il quadro della “globalizzazione” non ha garantito la posizione degli Stati Uniti, ma la ha addirittura indebolita.
L’ufficializzazione da parte dell'amministrazione Trump di far prevalere su qualsiasi altro principio quello della difesa dei loro soli interessi come Stato nazionale e l'imposizione di rapporti di forza favorevoli agli Stati Uniti come base principale delle relazioni con altri Stati, conferma e trae le implicazioni del fallimento della politica degli ultimi 25 anni di lotta contro il ciascuno per sé e come gendarme del mondo e della difesa dell'ordine mondiale ereditato dal 1945. La svolta degli Stati Uniti si concretizza attraverso:
Il comportamento da vandalo di un Trump che può rinnegare dall’oggi al domani gli impegni internazionali americani sfidando regole consolidate rappresenta un nuovo e potente fattore d’incertezza e impulso del ciascuno per sé. Ciò costituisce un ulteriore indice della nuova tappa che il sistema capitalista attraversa nello sprofondamento nella barbarie e nell’abisso del militarismo senza limiti.
14) Il cambiamento di strategia americana è evidente su alcuni dei principali teatri imperialisti:
- in Medio Oriente, l'obiettivo dichiarato degli Stati Uniti verso l'Iran (e le sanzioni contro di esso) è di destabilizzare e rovesciare il regime giocando sulle sue divisioni interne. Mentre cercano di eseguire il loro graduale disimpegno militare dai pantani dell'Afghanistan e della Siria, gli Stati Uniti ora si affidano unilateralmente ai loro alleati, Israele e soprattutto l’Arabia Saudita (facendola diventare la principale potenza militare regionale), come spina dorsale della politica di contenimento dell'Iran. In questa prospettiva forniscono a ciascuno di questi due Stati e ai loro rispettivi leader un sostegno indefettibile su tutti i fronti (fornitura di attrezzature militari all’avanguardia e sostegno di Trump all’Arabia nello scandalo dell'assassinio dell’oppositore Khashoggi, riconoscimento di Gerusalemme est come capitale e sovranità israeliana sull'altopiano siriano del Golan per Israele) per garantirsi la loro alleanza. La priorità del contenimento dell'Iran è accompagnata dalla prospettiva di abbandonare gli accordi di Oslo sulla soluzione dei "due Stati" (israeliano e palestinese) per la questione palestinese. La cessazione degli aiuti americani ai palestinesi e all'OLP e la proposta del "grande affare" (abbandonando qualsiasi pretesa di creazione di uno Stato palestinese in cambio di un "gigantesco" aiuto economico americano) mirano a tentare di assorbire la mela della discordia strumentalizzata da tutti gli imperialismi regionali contro gli Stati Uniti per facilitare il riavvicinamento de facto tra gli alleati arabi e israeliani;
- in America Latina, gli Stati Uniti sono impegnati in una controffensiva per garantire un migliore controllo imperialista nella sua tradizionale area d’influenza. La salita al potere di Bolsonaro in Brasile non è solo il risultato di una semplice spinta populista, ma è il risultato di una vasta operazione di pressione americana sulla borghesia brasiliana tramata dallo Stato americano con l'obiettivo, raggiunto, di riportare questo Stato nel suo grembo imperialista. Prologo di un piano generale per rovesciare i regimi anti-americani della "troika della tirannia" (Cuba, Venezuela e Nicaragua), è stato il tentativo, per il momento abortito, di respingere la clicca chavista del regime di Maduro in Venezuela.
Washington, tuttavia, sta infliggendo chiaramente una battuta d'arresto alla Cina, che aveva reso il Venezuela un alleato politico di prima scelta per ampliare la sua influenza e che si rivela impotente ad opporsi alla pressione americana. Non è impossibile che questa offensiva americana della riconquista imperialista del suo cortile latino-americano inauguri un'offensiva più sistematica contro la Cina in altri continenti. Per il momento, essa solleva la prospettiva della precipitazione del Venezuela nel caos di uno scontro a morte, così come una maggiore destabilizzazione di tutta questa zona sudamericana.
15) L'attuale peggioramento generale delle tensioni imperialiste si riflette sul rilancio della corsa agli armamenti e della supremazia tecnologica militare, non solo dove le tensioni sono più evidenti (in Asia e in Medio Oriente), ma per tutti gli Stati, grandi potenze in testa. Tutto ciò indica che c'è una nuova tappa negli scontri inter-imperialisti e nell'affondamento del sistema nella barbarie guerriera.
In questo contesto, l'Unione europea, a causa di questa situazione imperialista, continuerà ad affrontare la tendenza alla frammentazione, come evidenziato nel rapporto sulle tensioni imperialiste del giugno 2018 (In italiano sul sito web).
16) Sul piano economico, la situazione del capitalismo è stata, dall'inizio del 2018, segnata da un brusco rallentamento della crescita globale (dal 4% nel 2017 al 3,3% nel 2019), che la borghesia prevede duraturo e che peggiorerà nel 2019-20. Questo rallentamento è stato più veloce del previsto nel 2018, con il FMI che ha dovuto rivedere al ribasso le sue previsioni nei prossimi due anni, e tocca quasi simultaneamente le diverse parti del capitalismo: la Cina, gli Stati Uniti e l'area dell'euro. Nel 2019 il 70% dell'economia mondiale ha rallentato e in particolare nei paesi "avanzati" (Germania, Regno Unito). Alcuni dei paesi emergenti sono già in recessione (Brasile, Argentina, Turchia) mentre la Cina, rallentando dal 2017 e con una crescita valutata del 6,2% per il 2019 incassa i suoi dati di crescita più bassi degli ultimi trent'anni.
Il valore della maggior parte delle valute dei paesi emergenti si è indebolito, a volte con forza, come in Argentina e Turchia. Alla fine del 2018, il commercio mondiale ha registrato una crescita zero, mentre sul piano finanziario Wall Street ha conosciuto nel 2018 le più estese "correzioni" degli ultimi 10 anni. La maggior parte degli indicatori lampeggia e annuncia la prospettiva di un nuovo sprofondamento dell'economia capitalista.
17) La classe capitalista non ha futuro da offrire, il suo sistema è stato condannato dalla storia. Dalla crisi del 1929, la prima grande crisi del tempo della decadenza del capitalismo, la borghesia non ha cessato di sofisticare l’economia attraverso l'intervento dello Stato per esercitare il controllo generale su quest’ultima. Sempre più confrontato alla crescente riduzione dei mercati extra-capitalisti, sempre più minacciato dalla diffusa sovrapproduzione "il capitalismo è così rimasto vivo grazie all'intervento cosciente della borghesia che non può più permettersi di poter contare sulla mano invisibile del mercato. Anche se è vero che le soluzioni diventano esse stesse parti del problema:
- il ricorso all’indebitamento accumula chiaramente enormi problemi per il futuro
- l’ipertrofia dello Stato e del settore degli armamenti generano terribili pressioni inflazionistiche.
Fin dagli anni 70, questi problemi hanno generato diverse politiche economiche, alternando il "keynesianesimo" o il "neoliberalismo", ma poiché nessuna politica può affrontare le vere cause della crisi, nessuna procedura sarà in grado di riportare una soluzione vittoriosa. Ciò che è rimarchevole è la determinazione della borghesia a mantenere ad ogni costo tutta la sua economia in marcia e la sua capacità di frenare la tendenza al crollo attraverso un debito gigantesco". (Risoluzione situazione internazionale del 16° Congresso della CCI, in Rivista Internazionale n. 27)
Prodotto delle contraddizioni della decadenza e dell'impasse storica del sistema capitalistico, il capitalismo di Stato istituito a livello di ogni capitale nazionale, non obbedisce però a un rigido determinismo economico; al contrario, la sua azione, essenzialmente di natura politica, integra e contemporaneamente unisce nella sua organizzazione e nelle sue opzioni i piani economici e sociali (come far fronte al suo nemico di classe secondo il rapporto di forza tra classi) e imperialiste (la necessità di mantenere un enorme settore d’armamenti al centro di qualsiasi attività economica) per preservare e difendere il sistema di sfruttamento borghese su tutti i piani vitali. Così il capitalismo di Stato ha sperimentato diverse fasi e modalità di organizzazione durante la storia della decadenza.
18) Negli anni 1980, sotto l'impulso delle grandi potenze economiche, è stata inaugurata una nuova fase: quella della "globalizzazione". In un primo momento, ha preso la forma della Reaganomics, rapidamente associata ad una seconda, che ha approfittato della situazione storica inedita della caduta del blocco dell’Est, per ampliare e approfondire una vasta riorganizzazione della produzione capitalista globale tra il 1990 e il 2008. Il mantenimento della cooperazione tra gli Stati, utilizzando in particolare le vecchie strutture del blocco occidentale, e la conservazione di un certo ordine nel commercio, erano modi per far fronte al peggioramento della crisi (le recessioni del 1987 e 1991-93) ma anche ai primi effetti della decomposizione, che, in campo economico, sono stati quindi largamente attenuati.
Sul modello di riferimento dell'UE che elimina le barriere doganali tra gli Stati membri, l'integrazione di molti rami della produzione mondiale è stata rafforzata sviluppando catene di produzione reali su scala globale. Combinando la logistica, l'informatica e le telecomunicazioni, ottenendo economie di scala, il maggiore sfruttamento della forza lavoro del proletariato (attraverso una maggiore produttività, l'introduzione della concorrenza internazionale, la libera circolazione della forza lavoro per imporre salari più bassi), la sottomissione della produzione alla logica finanziaria della massima redditività, il commercio mondiale ha continuato ad aumentare, anche se più debolmente, fornendo all'economia globale un "secondo" respiro e prolungando l'esistenza del sistema capitalista.
19) La crisi del 2007-09 ha segnato una pietra miliare nello sprofondamento del sistema capitalista nella sua crisi irreversibile: dopo quattro decenni di ricorso al credito e al debito per contrastare la crescente tendenza alla sovrapproduzione, scandita da recessioni sempre più profonde e riprese sempre più limitate, la recessione del 2009 è stata la più importante dopo la grande depressione. È stato l'intervento massiccio degli Stati e delle loro banche centrali a salvare il sistema bancario dal fallimento completo di un debito pubblico sconcertante, riscattando i debiti che non potevano più essere rimborsati. Il capitale cinese, anch'esso gravemente colpito dalla crisi, ha svolto un ruolo importante nella stabilizzazione dell'economia globale attraverso l'attuazione di piani di rilancio nel 2009, 2015 e 2019 basati su massicci debiti statali. Non solo le cause della crisi 2007-2011 non sono state risolte o superate, ma la serietà e le contraddizioni della crisi si sono spostate in una fase più alta: ora sono gli stessi Stati che si confrontano con il peso schiacciante del loro indebitamento ("debito sovrano") che incide ulteriormente sulla loro capacità di intervenire per rilanciare le rispettive economie nazionali. "l’indebitamento è stato un mezzo per compensare l'insufficienza dei mercati solvibili, ma esso non può essere aumentato a tempo indeterminato, come l’ha evidenziato la crisi finanziaria a partire dal 2007. Tuttavia, tutte le misure che possono essere adottate per limitare l'indebitamento riposizionano il capitalismo di fronte alla sua crisi di sovrapproduzione, in un contesto economico internazionale che limita sempre più il suo margine di manovra". (Risoluzione della situazione internazionale 20° Congresso della CCI, su CCI on line 2014).
20) L'attuale sviluppo della crisi con le crescenti perturbazioni che esso provoca nell’organizzazione della produzione in una costruzione multilaterale unificata attraverso regole comuni internazionali mostra i limiti della “globalizzazione”: il bisogno sempre maggiore di unità (che non ha mai significato altro che l'imposizione della legge del più forte sui più deboli) a causa dell’interconnessione “transnazionale” della produzione altamente segmentata paese per paese (in cui ogni prodotto è concepito qui, assemblato là con l'ausilio di elementi prodotti altrove) si scontra con la natura nazionale di ogni capitale, con i limiti stessi del capitalismo, irrimediabilmente diviso in nazioni concorrenti e rivali, che è il massimo grado di unità che il mondo borghese può raggiungere. Il peggioramento della crisi (così come le esigenze delle rivalità imperialiste) ha gravemente eroso le istituzioni e i meccanismi multilaterali.
Ciò è illustrato dall'atteggiamento attuale delle due principali potenze che competono per l'egemonia globale:
21) L’influenza della decomposizione rappresenta un ulteriore fattore di destabilizzazione. In particolare, lo sviluppo del populismo va ad aggravare ulteriormente la situazione economica introducendo un fattore d’incertezza e d’imprevedibilità di fronte alla tormenta della crisi. L’arrivo al potere dei governi populisti, con programmi poco realistici per il capitale nazionale, che indeboliscono il funzionamento dell'economia mondiale e il commercio, è un disastro, solleva il rischio di indebolire i mezzi imposti dal capitalismo dal 1929-1945 per evitare qualsiasi ripiegamento autarchico sul quadro nazionale e il contagio incontrollato della crisi economica. Il pasticcio della Brexit e l'uscita spinosa dalla UE forniscono un'altra illustrazione: l'incapacità dei partiti della classe dirigente britannica di pronunciarsi sulle condizioni della separazione e sulla natura delle relazioni future con l'Unione europea, le incertezze intorno al "ridisegno" delle frontiere, in particolare tra l’Irlanda del Nord e l’Eire, il destino incerto della Scozia pro-europea che minaccia di separarsi dal Regno Unito colpendo l'economia inglese (destabilizzando il valore della sterlina), nonché quella degli ex partner dell'UE, privati della stabilità regolamentare necessaria per portare a termine gli affari. I disaccordi sulla politica economica in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e altrove mostrano l’esistenza di divisioni crescenti su questo piano non solo tra nazioni rivali, ma anche all’interno di ogni borghesia nazionale tra ‘multilateralisti’ e ‘unilateralisti’ e anche all’interno di ognuna di queste opzioni (ad esempio tra “soft” e “hard” brexiters nel Regno Unito). Non solo non c'è più un consenso minimo sulla politica economica, anche tra i paesi dell'ex blocco occidentale, ma questa questione è anche sempre più conflittuale all'interno della borghesia nazionale.
22) L'accumulazione di tutte queste contraddizioni nel contesto attuale della crisi economica, nonché la fragilità del sistema monetario e finanziario e il massiccio indebitamento degli Stati a livello internazionale dopo il 2008 aprono un periodo di gravi convulsioni nel prossimo futuro e pongono nuovamente il sistema capitalista davanti alla prospettiva di un nuovo tonfo. Tuttavia, non dobbiamo perdere di vista il fatto che il capitalismo non ha certamente esaurito tutte le risorse per accompagnare lo sprofondamento nella crisi ed evitare situazioni incontrollate, soprattutto nei paesi centrali. La situazione di sovra indebitamento degli Stati, che assorbe una buona parte della ricchezza nazionale per il pagamento degli interessi, ha un forte impatto sui bilanci nazionali e riduce notevolmente il loro margine di manovra di fronte alla crisi. Tuttavia, è certo che questa situazione:
- non porrà fine alla politica di indebitamento, come principale palliativo alla crisi di sovrapproduzione e mezzo per posticipare le scadenze, nella fuga in avanti per preservare il suo sistema, al prezzo di future convulsioni sempre più gravi;
- né porrà alcun ostacolo alla folle corsa agli armamenti a cui ogni Stato è irrimediabilmente condannato. Quest’ultima prende sempre più una forma manifestamente irrazionale attraverso il peso crescente dell’economia di guerra e della produzione di armi, con il peso crescente di queste spese sul PIL (che ora raggiunge il suo più alto livello dal 1988, epoca del confronto tra blocchi imperialisti).
23) Per quanto riguarda il proletariato, queste nuove convulsioni possono portare solo ad attacchi ancora più forti ed estesi contro le sue condizioni di vita e di lavoro su tutti i fronti e in tutto il mondo, in particolare:
- rafforzando lo sfruttamento della forza lavoro, continuando ad abbassare i salari e aumentando i tassi e la produttività in tutti i settori;
- il proseguimento dello smantellamento di quel che resta dello stato sociale (ulteriori restrizioni ai vari sistemi di indennizzo concessi ai disoccupati, all'assistenza sociale e ai regimi pensionistici); e più in generale l'abbandono "morbido" del finanziamento di tutte le forme di aiuto o di sostegno sociale nei settori associativi o para pubblici;
- la riduzione da parte degli Stati dei costi dell'istruzione e della salute nella produzione e nel mantenimento della forza lavoro del proletariato (e quindi gravi attacchi contro i proletari di questi settori pubblici);
- il peggioramento e lo sviluppo ancora maggiore della precarizzazione come mezzo per imporre e far pesare lo sviluppo della disoccupazione di massa in tutte le parti della classe.
- attacchi camuffati dietro le transazioni finanziarie, come i tassi d’interesse negativi che erodono i piccoli conti di risparmio e piani pensionistici. E benché i tassi d’inflazione ufficiali per i beni di consumo siano bassi in molti paesi, le bolle speculative hanno contribuito a una vera esplosione del costo dell'alloggio.
- l’aumento del costo della vita, comprese le tasse e il prezzo dei beni di prima necessità.
Ciononostante, anche se la borghesia di tutti i paesi è sempre più costretta a rafforzare i suoi attacchi contro la classe operaia, il suo margine politico è tutt'altro che esaurito. Si può essere certi che farà tutto il possibile per impedire al proletariato di rispondere sul suo terreno di classe contro il crescente deterioramento delle condizioni di vita imposte dalle convulsioni dell'economia mondiale.
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1968-maggio-francese
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/4/71/germania
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/storia-del-movimento-operaio/1919-rivoluzione-tedesca
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/2/37/ondata-rivoluzionaria-1917-1923
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/5/102/prima-guerra-mondiale
[7] https://it.internationalism.org/en/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/terza-internazionale
[8] https://it.internationalism.org/cci/201603/1358/rapporto-sulla-lotta-di-classe
[9] https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[10] https://it.internationalism.org/content/1410/risoluzione-sulla-lotta-di-classe-internazionale
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/4/70/francia
[12] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[13] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/risoluzioni-del-congresso
[14] https://it.internationalism.org/en/tag/3/46/decomposizione
[15] https://it.internationalism.org/en/tag/3/49/imperialismo