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Fin dalle sue origini, la CCI ha sempre cercato di analizzare la lotta di classe nel suo contesto storico. La stessa esistenza della nostra organizzazione è dovuta non solo agli sforzi dei rivoluzionari del passato e di quelli che si sono assunti il compito di ponte tra una generazione di rivoluzionari e l'altra ma, anche, al cambiamento del corso storico, apertosi con il riemergere del proletariato a livello mondiale dopo 1968 e che ha messo fine ai "quarant’anni di controrivoluzione", iniziata con la fine delle ultime lotte della grande ondata rivoluzionaria del 1917-27. Ma oggi, dopo quaranta anni dalla sua fondazione, la CCI si trova di fronte al compito di riesaminare tutto il corpus del lavoro considerevole che ha condotto rispetto alla ricomparsa storica della classe operaia ed alle immense difficoltà che quest’ultima incontra sulla via della sua emancipazione.
Questo rapporto non costituisce che l'inizio di questo esame. Non è possibile ritornare nei dettagli sulle stesse lotte né sulle differenti analisi che sono state fatte dagli storici o da altri elementi del campo proletario. Dobbiamo limitarci a quello che è già un compito abbastanza importante: esaminare come la stessa CCI ha analizzato lo sviluppo della lotta di classe nelle sue pubblicazioni, principalmente nel suo organo teorico internazionale, la Revue Internationale, che globalmente contiene la sintesi delle discussioni e dei dibattiti che hanno animato la nostra organizzazione durante la sua esistenza.
La ripresa storica del proletariato
Prima della CCI, prima di Maggio 1968, erano già apparsi i segni di una crisi della società capitalista: sul piano economico, i problemi delle valute americana e britannica; sul piano socio-politico, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e contro la segregazione razziale negli Stati Uniti; nella lotta di classe, gli operai cinesi si ribellavano contro la pretesa "rivoluzione culturale", gli scioperi selvaggi esplodevano nelle fabbriche automobilistiche americane, ecc. (vedere per esempio l'articolo di Accion Proletaria pubblicato da World Revolution n°15 e 16 che parla di un'ondata di lotte iniziata in realtà nel 1965). Tale è il contesto in cui Marc Chirik (MC)[1] ed i suoi giovani compagni in Venezuela formularono il pronostico spesso citato (almeno da noi): "Non siamo dei profeti, e non pretendiamo indovinare quando ed in che modo si svolgeranno gli avvenimenti futuri. Ma ciò di cui siamo effettivamente coscienti e sicuri, che riguarda il processo in cui è immerso attualmente il capitalismo, è che non è possibile fermarlo con le riforme, con certe svalutazioni né con alcun tipo di misure economiche capitaliste e che conduce direttamente alla crisi". "E noi siamo ancora sicuri che il processo inverso di sviluppo della combattività della classe, che attualmente si vive in modo generale, condurrà la classe operaia ad una lotta sanguinosa e diretta alla distruzione dello Stato borghese". (Internacionalismo n°8, "1968: inizia una nuova convulsione del capitalismo").
Qui risiede tutta la forza del metodo marxista ereditato dalla Sinistra comunista: una capacità a discernere i cambiamenti maggiori nella traiettoria della società capitalista, molto prima che siano diventati troppo evidenti per potere essere negati. E così MC che aveva trascorso grande parte della sua vita militante nell'ombra della controrivoluzione, fu capace di annunciare il cambiamento del corso storico: la controrivoluzione era finita, il boom del dopoguerra stava terminando e s'affacciava la prospettiva di una nuova crisi del sistema capitalista mondiale e la rinascita della lotta di classe proletaria.
Ma c'era una debolezza-chiave nella formulazione utilizzata per caratterizzare questo cambiamento di corso storico perché poteva dare l'impressione che si stesse già entrando in un periodo rivoluzionario - in altri termini in un periodo in cui la rivoluzione mondiale fosse all'ordine del giorno a breve termine, come lo fu nel 1917. L'articolo sicuramente non diceva che la rivoluzione fosse dietro l'angolo di strada e MC aveva appreso la virtù della pazienza nelle più dure delle circostanze. Sicuramente non commise lo stesso errore dei Situazionisti che pensavano che Maggio 1968 costituisse veramente l'inizio della rivoluzione. Ma questa ambiguità stava per avere delle conseguenze per la nuova generazione di rivoluzionari che stavano per costituire la CCI. In seguito, per la grande parte della sua storia, anche dopo avere riconosciuto l'inadeguatezza della formulazione "corso alla rivoluzione" sostituita con "corso agli scontri di classe" all'epoca del suo 5 Congresso[2], la CCI avrebbe continuato a patire in permanenza della tendenza a sottovalutare sia la capacità del capitalismo a sostenere se stesso malgrado la sua decadenza e la sua crisi aperta, e sia la difficoltà per la classe operaia di superare il peso dell'ideologia dominante, di costituirsi in quanto classe sociale con la sua propria prospettiva.
La CCI si è costituita nel 1975 sulla base dell'analisi secondo la quale una nuova era di lotte operaie si era aperta, generando anche una nuova generazione di rivoluzionari il cui primo compito era di riappropriarsi delle esperienze politiche ed organizzative della Sinistra comunista e lavorare al raggruppamento su scala mondiale. La CCI era convinta di essere la sola ad avere un tale ruolo da giocare in questo processo, definendosi come "l'asse" del futuro partito comunista mondiale. ("Rapporto sulla questione dell'organizzazione della nostra corrente internazionale", Revue Internationale n°1).
Tuttavia, l'ondata di lotte inaugurate dal movimento di massa in Francia nel maggio-giugno 1968 era finita più o meno quando la CCI si era formata, in generale si sviluppò dal 1968 al 1974, sebbene importanti lotte avranno luogo in Spagna, in Portogallo, in Olanda, ecc. nel 1976-77. Poiché non c'è un legame meccanico tra la lotta immediata e gli sviluppi dell'organizzazione rivoluzionaria, la crescita relativamente veloce all'inizio della CCI proseguì malgrado il riflusso. Ma questo sviluppo era influenzato sempre profondamente dall'atmosfera di Maggio 1968 quando agli occhi di molti la rivoluzione sembrava quasi a portata di mano. Raggiungere un'organizzazione che era apertamente per la rivoluzione mondiale non sembrava all'epoca una scommessa perdente.
Questo sentimento che già si vivesse negli ultimi giorni del capitalismo, che la classe operaia sviluppava la sua forza in modo quasi esponenziale, era rafforzato da una caratteristica del movimento della classe all'epoca in cui non c’erano che brevi pause con quelle che si identificavano come "ondate" di lotta di classe internazionale.
La seconda ondata, 1978-81
Tra i fattori che la CCI ha analizzato nel riflusso della prima ondata, c'è la controffensiva della borghesia che, se era stata sorpresa nel 1968, successivamente aveva sviluppato velocemente una strategia politica allo scopo di deviare la classe su una falsa prospettiva. Ciò fu riassunto nella strategia de "la sinistra al potere" che prometteva la fine veloce delle difficoltà economiche che all'epoca erano ancora relativamente leggere.
La fine della prima ondata coincise, in effetti, più o meno con lo sviluppo più aperto della crisi economica dopo il 1973, ma fu questa evoluzione che creò le condizioni di nuove esplosioni di movimenti di classe. La CCI analizzò l'inizio de "la seconda ondata" nel 1978, con lo sciopero degli autotrasportatori, il Winter of Discontent ("l'inverno del malcontento"), quello dei siderurgici in Gran Bretagna, la lotta degli operai del petrolio in Iran organizzata negli shoras ("consigli"), dei vasti movimenti di sciopero in Brasile e dei portuali di Rotterdam col suo comitato di sciopero indipendente, il movimento combattivo degli operai siderurgici a Longwy e Denain in Francia e, soprattutto, l'enorme movimento di sciopero in Polonia nel 1980.
Questo movimento che partì dai cantieri navali di Danzica fu un'espressione chiara del fenomeno dello sciopero di massa e ci permise di approfondire la nostra comprensione di questo fenomeno ritornando sull'analisi fatta da Rosa Luxemburg dopo gli scioperi di massa in Russia culminati nella rivoluzione del 1905 (vedere per esempio l’articolo "Note sullo sciopero di massa" Revue internationale n°27). Abbiamo visto nella riapparizione dello sciopero di massa il punto più alto della lotta dal 1968 che rispondeva a molte domande che erano state poste nelle lotte precedenti, in particolare sull'autorganizzazione e l'estensione. Allora difendevamo - contro la visione di un movimento di classe condannato a girare a vuoto finché "il partito" non fosse stato capace di dirigerlo verso il capovolgimento rivoluzionario - che le lotte operaie seguivano una traiettoria, che tendevano ad avanzare, a tirare delle lezioni, a rispondere alle domande poste nelle lotte precedenti. Peraltro, fummo capaci di vedere che la coscienza politica degli operai polacchi era in ritardo rispetto al livello di combattività della lotta. Formulavano delle rivendicazioni generali che andavano al di là di semplici questioni economiche, ma la presa del sindacalismo, della democrazia e della religione era molto forte e tendeva a deformare ogni tentativo di avanzamento sul campo esplicitamente politico. Abbiamo visto anche la capacità della borghesia mondiale ad unirsi contro lo sciopero di massa in Polonia, in particolare attraverso la creazione di Solidarinosc.
Ma i nostri sforzi per analizzare le manovre della borghesia contro la classe operaia hanno anche dato nascita ad una tendenza fortemente empirica, contrassegnata dal "comune buonsenso", chiaramente espressa dal "clan" Chénier (vedere nota 3). Quando abbiamo osservato la strategia politica della borghesia alla fine degli anni 1970 - strategia della destra al potere e della sinistra all'opposizione nei paesi centrali del capitalismo - abbiamo dovuto approfondire la questione del machiavellismo della borghesia. Nell'articolo della Revue Internationale n°31 sulla coscienza e l'organizzazione della borghesia, si esaminava come l'evoluzione del capitalismo di Stato abbia permesso a questa classe di sviluppare attivamente delle strategie contro la classe operaia. In gran parte, la maggioranza del movimento rivoluzionario aveva dimenticato che l'analisi marxista della lotta di classe è un'analisi delle due classi principali della società, non solamente degli avanzamenti e dei riflussi del proletariato. Quest’ultimo non è impegnato in una facile battaglia ma si scontra con la più sofisticata classe della storia, la quale, malgrado la sua falsa coscienza, ha mostrato una capacità a tirare delle lezioni dagli avvenimenti storici, soprattutto quando si tratta del suo nemico mortale, ed è capace di manipolazioni e di inganni senza fine. L'esame delle strategie della borghesia era evidente per Marx ed Engels, ma i nostri tentativi di perseguire questa tradizione sono stati spesso rigettati da molti elementi come fatti che sollevavano la "teoria del complotto" trovandosi loro stessi "ammaliati" dalle apparenze delle libertà democratiche.
Analizzare "il rapporto di forza" tra le classi ci porta di conseguenza alla questione del corso storico. Nella stessa Revue Internationale dove è stato pubblicato il primo testo più importante sulla sinistra all'opposizione (Revue n°18, 2 trimestre 1979, che contiene i testi del 3° Congresso della CCI), ed in risposta alle confusioni delle Conferenze internazionali e nei nostri ranghi (per esempio la tendenza RC/GCI[3] che annunciava un corso alla guerra), abbiamo pubblicato un contributo cruciale sulla questione del corso storico che era un'espressione della nostra capacità a proseguire e sviluppare l'eredità della Sinistra comunista. Questo testo si impegnava a confutare alcune false idee tra le più comuni nel campo rivoluzionario, in particolare l'idea empirica che non è possibile per il rivoluzionario fare delle previsioni generali sul corso della lotta di classe. Contro ciò, il testo riafferma che la capacità di definire una prospettiva per il futuro - e non solamente l'alternativa generale socialismo o barbarie - è una delle caratteristiche del marxismo, e lo è sempre stata. Ed in particolare il testo insiste sul fatto che i marxisti hanno sempre fondato il loro lavoro sulla loro capacità di comprendere il particolare rapporto di forze tra le classi in un dato periodo, come abbiamo visto precedentemente nella prima parte di questo rapporto. Allo stesso modo, il testo mostra che l'incapacità a comprendere la natura del corso storico aveva portato nel passato dei rivoluzionari a commettere seri errori (per esempio, le disastrose avventure di Trotsky negli anni 1930).
Un'estensione di questa visione agnostica del corso storico è stato il concetto, difeso in particolare dal BIPR (Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario che diventerà successivamente la TCI - Tendenza Comunista Internazionalista - di cui si parlerà nel seguito di questo articolo), di un corso "parallelo" verso la guerra e verso la rivoluzione: "Recentemente sono sorte altre teorie secondo le quali ''con l'aggravamento della crisi del capitalismo, saranno i due termini della contraddizione a rafforzarsi contemporaneamente: guerra e rivoluzione non si escluderebbero reciprocamente ma avanzerebbero in modo simultaneo e parallelo senza che si possa sapere quale delle due arriverà al suo termine prima dell'altra'.” “L'errore maggiore di una tale concezione è che essa trascura totalmente il fattore lotta di classe nella vita sociale, proprio come la concezione sviluppata dalla Sinistra italiana [la teoria dell'economia di guerra] peccava per una sopravvalutazione dell'impatto di questo fattore. Partendo dalla frase de Il Manifesto comunista secondo la quale 'la storia di ogni società fino ai nostri giorni è la storia della lotta di classi', essa ne faceva un’implicazione meccanica all'analisi del problema della guerra imperialista considerando quest’ultima come una risposta alla lotta di classe senza vedere, al contrario, che non poteva avere luogo che nell'assenza di questa o grazie alla sua debolezza. Ma per falsa che fosse, questa concezione si basava su uno schema corretto, l'errore che proviene da una delimitazione scorretta del suo campo di applicazione. Invece, la tesi del 'parallelismo e della simultaneità del corso verso la guerra e la rivoluzione' fanno decisamente fede a questo schema di base del marxismo perché suppone che le due principali classi antagoniste della società possano preparare le loro risposte rispettive alla crisi del sistema - la guerra imperialistica per una e la rivoluzione per l'altra - in modo completamente indipendente l’una dall'altra, dal rapporto tra le loro rispettive forze, dei loro scontri. Se non può applicarsi anche a ciò che determina tutta l'alternativa storica della vita della società, lo schema de Il Manifesto comunista non ha più ragione di esistere e può essere riposto con tutto il marxismo in un museo nel settore delle invenzioni 'strampalate' dell'immaginazione umana" [4].
Sebbene siano stati necessari quattro anni prima che cambiassimo in modo formale la formulazione "corso alla rivoluzione", innanzitutto perché conteneva l'implicazione di un tipo di progresso inevitabile ed anche lineare verso gli scontri rivoluzionari, avevamo compreso che il corso storico non era né statico né predeterminato, ma che era assoggettato ai cambiamenti nell'evoluzione del rapporto di forze tra le classi. Da cui il nostro "slogan" all'inizio degli anni 1980 in risposta all'accelerazione tangibile delle tensioni imperialistiche (in particolare l'invasione dell'Afghanistan da parte della Russia e la risposta che aveva provocato da parte dell'Occidente): gli Anni della Verità. Verità non solo nel linguaggio brutale della borghesia e delle sue nuove equipe di governo di destra ma anche nei termini in cui si sarebbe deciso lo stesso avvenire dell'umanità. Certamente ci sono degli errori in questo testo, in particolare l'idea de "il fallimento totale" dell'economia e di una "offensiva" proletaria già esistente, quando le lotte operaie erano ancora necessariamente su un terreno fondamentalmente difensivo. Ma il testo mostrava una reale capacità di previsione, non solo perché gli operai polacchi ci avevano offerto velocemente una chiara prova che il corso alla guerra non era aperto e che il proletariato era capace di fornire un'alternativa ma, anche, perché gli avvenimenti del 1980 si sono rivelati decisivi, pur se non nel modo con cui li avevamo considerati all’inizio. Le lotte in Polonia sono state un momento chiave nel processo che avrebbe determinato il crollo del blocco dell'Est e l'apertura definitiva della fase di decomposizione, espressione del vicolo cieco sociale in cui nessuna classe era capace di attuare la sua alternativa storica.
La "seconda ondata" è stata anche il periodo durante il quale MC ci ha esortati a "scendere dal balcone" ed a sviluppare la capacità a partecipare alle lotte ed a sostenere proposte concrete per l'autorganizzazione e l'estensione come, per esempio, durante lo sciopero dei siderurgici in Francia. Ciò ha dato adito ad un certo numero di incomprensioni, per esempio la proposta di distribuire un volantino che chiamava gli operai di altri settori a raggiungere il corteo dei siderurgici a Parigi è stata considerata come una concessione al sindacalismo perché questa marcia era organizzata dai sindacati. Ma la domanda da porsi non era astratta - denunciare in generale i sindacati - bisognava mostrare come, nella pratica, i sindacati si opponevano all'estensione della lotta e spingere avanti le tendenze a rimettere in causa i sindacati ed a prendere in mano l'organizzazione della lotta. Che ciò fosse una possibilità reale, lo dimostra l'eco che certi nostri interventi, nelle riunioni di massa formalmente chiamate dai sindacati, hanno ricevuto, come a Dunkerque. Fu posta anche la questione dei "gruppi operai" che nascevano da queste lotte[5]. Ma tutto questo sforzo di intervento attivo nelle lotte ha avuto anche un aspetto "negativo", la comparsa di tendenze immediatiste ed attiviste che riducevano il ruolo dell'organizzazione rivoluzionaria a portare un'assistenza pratica agli operai. Nello sciopero dei portuali di Rotterdam, abbiamo sostenuto il ruolo di "portatori d’acqua" per il comitato di sciopero, ciò che diede adito ad un contributo estremamente importante di MC[6] che stabiliva in modo sistematico come il passaggio dall’ascendenza alla decadenza aveva portato dei profondi cambiamenti nella dinamica della lotta di classe proletaria e dunque alla funzione primaria dell'organizzazione rivoluzionaria che non poteva più considerarsi come "l'organizzatrice" della classe, ma solo una minoranza lucida che fornisce una direzione politica. Malgrado questo vitale chiarimento, una minoranza dell'organizzazione cadde ancora più nell'operaismo e l'attivismo, caratterizzati dall'opportunismo verso il sindacalismo manifestato nel clan Chénier che vedeva i comitati di sciopero sindacali dello sciopero della siderurgia in Gran Bretagna come organi di classe, pure negando allo stesso tempo di riconoscere il significato storico del movimento della Polonia. Il testo della Conferenza straordinaria del 1982 sulla funzione dell'organizzazione identificava molto di questi errori[7].
La seconda ondata di lotte ha conosciuto la sua fine con la repressione in Polonia e ciò ha accelerato anche una crisi nel campo rivoluzionario, la rottura delle conferenze internazionali, la scissione nella CCI[8], il crollo del PCInt: vedere la Revue Internationale n°28 e 32. Comunque abbiamo continuato a sviluppare la nostra comprensione teorica, in particolare sollevando la questione della generalizzazione internazionale come prossima tappa della lotta, ed attraverso il dibattito sulla critica della teoria dell'anello debole (vedere Revue n°31 e 37). Queste due questioni connesse tra loro fanno parte dello sforzo per comprendere il significato della sconfitta in Polonia. Attraverso queste discussioni abbiamo visto che la chiave di nuovi e maggiori sviluppi della lotta di classe mondiale - che noi definivavamo non solo in termini di autorganizzazione e di estensione, ma di generalizzazione e di politicizzazione internazionale - risiedeva in Europa occidentale. I testi sulla generalizzazione ed altre polemiche riaffermavano anche che non era la guerra che costituiva le migliori condizioni per la rivoluzione proletaria come continuavano a sostenere la maggior parte dei gruppi della tradizione della Sinistra italiana, ma la crisi economica aperta; e fu precisamente questa prospettiva che venne aperta dopo il 1968. Alla fine, sull'ondata della sconfitta in Polonia, certe analisi chiaroveggenti sulla rigidità di base dei regimi stalinisti furono anticipate negli articoli come "La crisi economica nell'Europa dell'Est e le armi della borghesia contro il proletariato" nella Revue Internationale n°34. Queste analisi furono la base della nostra comprensione dei meccanismi del crollo del blocco dell'Est dopo 1989.
1983-1988: La terza ondata
Una nuova ondata di lotte fu annunciata dagli scioperi del settore pubblico in Belgio e fu confermata negli anni seguenti dallo sciopero dei minatori in Gran Bretagna, dalle lotte dei ferrovieri e della sanità in Francia, delle ferrovie e della scuola in Italia, da lotte massicce in Scandinavia, e di nuovo in Belgio nel 1986, ecc. Quasi ogni numero della Revue Internationale di questo periodo conteneva un articolo editoriale sulla lotta di classe ed abbiamo pubblicato le differenti risoluzioni dei congressi sulla questione. Sicuramente abbiamo sempre tentato di localizzare queste lotte in un contesto storico più largo. Nella Revue Internationale n°39 e 41, abbiamo pubblicato degli articoli sul metodo necessario per analizzare la lotta di classe, cercando di rispondere all'empirismo ed alla mancanza di quadro dominante nel campo proletario che poteva passare da una grande sottovalutazione ad improvvise ed assurde esagerazioni. Il testo della Revue n°41 riaffermava in particolare certi elementi fondamentali sulla dinamica della lotta di classe - il suo carattere irregolare, fatto di "ondate", derivante dal fatto che la classe operaia è la prima classe rivoluzionaria ad essere una classe sfruttata e che non può avanzare di vittoria in vittoria come la borghesia, ma deve passare attraverso un processo di sconfitte che possono essere il trampolino di nuovi avanzamenti della coscienza. Questo avanzamento irregolare, con degli alti e bassi della lotta di classe, è ancora più marcato nel periodo di decadenza così che, per comprendere il significato di un'esplosione particolare di lotta di classe, non possiamo esaminarla all’istante come una "fotografia": dobbiamo localizzarla in una traiettoria più generale che ci riporti alla questione del rapporto di forze tra le classi e del corso storico.
Allo stesso tempo si sviluppava il dibattito sul centrismo rispetto al consiliarismo che è apparso per prima sul piano teorico - il rapporto tra la coscienza e la lotta e la questione della maturazione sotterranea della coscienza (vedere l'articolo nella Revue Internationale n°43). Questi dibattiti permisero alla CCI di effettuare un'importante critica della visione consiliarista, secondo la quale la coscienza si sviluppa solo nei momenti delle lotte aperte, e di elaborare la distinzione tra le dimensioni di estensione e di profondità ("la coscienza della - o nella - classe e la coscienza di classe", una distinzione che fu considerata immediatamente come "leninista" da quella che in futuro diventerà la tendenza FECCI). Nella polemica con la CWO sulla questione della maturazione sotterranea si notavano delle similarità tra le visioni consiliariste della nostra "tendenza" con chi, in quel momento, difendeva apertamente la teoria kautskyana della coscienza di classe, secondo la quale quest’ultima sarebbe inculcata dall'esterno e cioè da intellettuali borghesi alla classe operaia. L'articolo cercava di avanzare nella visione marxista dei rapporti tra l'inconscio ed il conscio pur criticando la visione del "buonsenso" comune della CWO.
C'è un altro campo in cui la lotta contro il consiliarismo non è stata condotta fino alla fine: pur riconoscendo in teoria che la coscienza di classe può svilupparsi all'infuori dei periodi di lotta aperta, c'era una tendenza già da tempo in voga nello sperare che, non vivendo più in un periodo di controrivoluzione, la crisi economica apporterebbe salti improvvisi nella lotta di classe e nella coscienza di classe. Ciò faceva rientrare dalla finestra la concezione consiliarista attraverso un legame automatico tra le crisi e la lotta di classe, e spesso è tornata a perseguitarci, anche nel periodo che è seguito al crash del 2008.
Un proletariato all'offensiva? Le difficoltà della politicizzazione
Applicando l'analisi che avevamo sviluppato nel dibattito sull'anello debole, i nostri principali testi sulla lotta di classe in questo periodo riconoscono l'importanza di un nuovo sviluppo della lotta di classe nei paesi centrali dell'Europa. Le "Tesi sulla lotta di classe" (1984) pubblicate nella Revue Internationale n°37 sottolineano le caratteristiche di questa ondata:
"Le caratteristiche della presente ondata, come si sono già manifestate e che vanno a delinearsi sempre più, sono le seguenti:
- tendenza a movimenti di notevole ampiezza che implicano un numero elevato di operai, toccando simultaneamente settori interi o parecchi settori in uno stesso paese, ponendo in tal modo le basi dell'estensione geografica delle lotte, tendenza all'apparizione di movimenti spontanei che manifestano, in particolare al loro inizio, un certo straripamento dai sindacati,
- crescente simultaneità delle lotte a livello internazionale, che gettano le fondamenta per la futura generalizzazione mondiale delle lotte,
- sviluppo progressivo, in seno all'insieme del proletariato, della sua fiducia in se stesso, della coscienza della sua forza, della sua capacità di opporsi come classe agli attacchi capitalisti,
- ritmo lento dello sviluppo delle lotte nei paesi centrali e particolarmente dell'attitudine alla loro autorganizzazione, fenomeno che risulta dallo spiegamento da parte della borghesia di questi paesi di tutto il suo arsenale di trappole e mistificazioni e che si è realizzato ancora una volta negli scontri di questi ultimi mesi". (Tesi sull'attuale ripresa della lotta di classe)
La più importante di queste "trappole e mistificazioni" è stata l’utilizzazione del sindacalismo di base contro le vere tendenze all'autorganizzazione degli operai, una tattica abbastanza sofisticata capace di creare dei falsi coordinamenti antisindicali che, in realtà, servivano da ultimo baluardo di difesa del sindacalismo. Ma pure non essendo affatto ciechi nei confronti dei pericoli ai quali era confrontata la lotta di classe, le Tesi, come il testo sugli Anni della Verità, contenevano sempre la nozione di un'offensiva del proletariato e prevedevano che la terza ondata avrebbe raggiunto un livello superiore alle precedenti, e ciò significava che essa necessariamente avrebbe raggiunto lo stadio della generalizzazione internazionale.
Il fatto che il corso fosse verso scontri di classe non significava che il proletariato fosse già all'offensiva: fino alla vigilia della rivoluzione, le sue lotte saranno essenzialmente difensive di fronte agli incessanti attacchi della classe dominante. Tali errori erano il prodotto di una tendenza di lunga data a sopravvalutare il livello di quel momento della lotta di classe. Era spesso in reazione all'incapacità del campo proletario a vedere più lontano della punta del suo naso, tema spesso sviluppato nelle nostre polemiche e, anche, nella Risoluzione sulla situazione internazionale del 6° Congresso della CCI nel 1985, pubblicate nella Revue Internationale n°44 che contiene un lungo passo sulla lotta di classe. Questa parte è un'eccellente dimostrazione del metodo storico della CCI per analizzare la lotta di classe, una critica dello scetticismo e dell'empirismo che dominava il campo, ed essa identificò anche la perdita delle tradizioni storiche e la rottura tra la classe e le sue organizzazioni politiche come debolezze chiave del proletariato. Ma, retrospettivamente, essa insisteva troppo sulla disillusione verso la sinistra ed in particolare verso i sindacati, e sulla crescita della disoccupazione come fattori potenziali di radicalizzazione della lotta di classe. Non ignorava gli aspetti negativi di questi fenomeni ma non riusciva a vedere che, con l'arrivo della fase di decomposizione, il disincanto passivo nei confronti delle vecchie organizzazioni operaie e la generalizzazione della disoccupazione, in particolare tra i giovani, sarebbero diventati potenti fattori di demoralizzazione del proletariato e destabilizzatori della sua identità di classe. Anche nel 1988 (Revue Internationale n°54), per esempio, continuavamo a pubblicare una polemica sulla sottovalutazione della lotta di classe nel campo proletario. Gli argomenti sono in generale corretti ma mostrano anche la mancanza di coscienza di ciò che si profilava - il crollo dei blocchi ed il riflusso più lungo che abbiamo conosciuto.
Ma verso la fine degli anni 1980, diventava chiaro, almeno per una nostra minoranza, che la spinta in avanti della lotta di classe che era stata analizzata in tanti articoli e risoluzioni durante questo periodo, si arenava. Ci fu un dibattito su questo argomento all’8° Congresso della CCI (Revue Internationale n°59), in particolare rispetto alla questione della decomposizione e dei suoi effetti negativi sulla lotta di classe. Una parte considerevole dell'organizzazione vedeva la "terza ondata" rafforzarsi e sottovalutava l'impatto di certe sconfitte. Come per esempio lo sciopero dei minatori in GB la cui sconfitta non fermò l'ondata ma ebbe un effetto a lungo termine sulla fiducia della classe operaia in se stessa e non solamente in GB, il tutto rafforzando l'impegno della borghesia nello smantellamento delle "vecchie" industrie. L’8° Congresso fu anche quello in cui fu formulata l'idea che le mistificazioni borghesi duravano oramai non più di tre settimane.
La discussione sul centrismo verso il consiliarismo aveva sollevato il problema della fuga del proletariato nei confronti della politica ma non fummo capaci di applicare questa questione alla dinamica del movimento di classe, in particolare a quella della sua mancanza di politicizzazione, della sua difficoltà a sviluppare una prospettiva anche quando le lotte erano autorganizzate e mostravano una tendenza all’estensione. Possiamo anche dire che la CCI non ha sviluppato mai una critica adeguata dell'impatto dell'economicismo e dell'operaismo nelle sue righe, che l’hanno portata a sottovalutare l'importanza dei fattori che spingono il proletariato al di là dei limiti del posto di lavoro e delle rivendicazioni economiche immediate.
È solamente con il crollo del blocco dell'Est che abbiamo potuto veramente comprendere tutto il peso della decomposizione e che allora abbiamo previsto un periodo di nuove difficoltà per il proletariato (Revue Internationale n°60). Queste difficoltà derivavano precisamente dall'incapacità della classe operaia a sviluppare la sua prospettiva, ma che sarebbero state attivamente rafforzate dalla vasta campagna ideologica della classe dominante sul tema de "la morte del comunismo” e della fine della lotta di classe.
Il periodo di decomposizione
In seguito all'affondamento del blocco dell'Est, confrontata al peso della decomposizione e delle campagne anticomuniste della classe dominante, la lotta di classe ha subito un riflusso che è stato molto profondo.
Sebbene ci siano state alcune espressioni di combattività all'inizio degli anni 1990 e di nuovo alla fine del decennio, il riflusso doveva persistere nel secolo successivo, mentre la decomposizione avanzava in modo visibile, espressa chiaramente nell'attacco alle Twin Towers e nelle successive invasioni dell'Afghanistan e dell'Iraq. Di fronte all'avanzata della decomposizione, siamo stati obbligati a riesaminare tutta la questione del corso storico in un Rapporto per il 14° Congresso, pubblicato nella Revue Internationale n°107. Altri notevoli testi su questo tema sono "Perché il proletariato non ha ancora rovesciato il capitalismo" nelle Revue n°103 e 104 e la Risoluzione sulla situazione internazionale del 15° Congresso della CCI (2003), Revue n°113.
Il Rapporto sul corso storico del 2001 dopo avere riaffermato le acquisizioni teoriche dei rivoluzionari del passato ed il nostro quadro come sviluppato nel documento del 3° Congresso, è incentrato sulle modifiche portate dall'entrata del capitalismo nella sua fase di decomposizione, dove la tendenza alla guerra mondiale è contrastata non solo dall'incapacità della borghesia a mobilitare il proletariato ma, anche, dalla dinamica centrifuga del "ciascuno per sé", e ciò avrebbe significato che la riformazione di blocchi imperialisti avrebbe incontrato crescenti difficoltà. Tuttavia, poiché la decomposizione contiene rischi di una discesa graduale nel caos e la distruzione irrazionale, essa crea enormi pericoli per la classe operaia ed il testo riafferma il punto di vista delle Tesi di origine secondo cui la classe gradualmente potrebbe essere schiacciata dall'insieme del processo al punto di non essere più capace di insorgere contro la marea della barbarie. Il testo tenta anche di distinguere tra gli avvenimenti materiali ed ideologici implicati nel processo di "stritolamento": gli elementi ideologici che emergono spontaneamente dal terreno del capitalismo in declino e le campagne consapevolmente orchestrate dalla classe dominante, come la propaganda incessante sulla morte del comunismo. Nello stesso tempo, il testo identificava certi elementi materiali più diretti come lo smantellamento dei vecchi centri industriali che spesso erano stati il cuore della combattività operaia durante le precedenti ondate di lotte (le miniere, la siderurgia, i portuali, le fabbriche automobilistiche, ecc.). Pur non cercando di mascherare le difficoltà che la classe affrontava, questo nuovo rapporto esaminava anche i segni di ripresa della combattività e le difficoltà persistenti della classe dominante a trascinare la classe operaia nelle sue campagne guerriere e concludeva che le potenzialità di rivitalizzazione della lotta di classe erano sempre intatte; e ciò si sarebbe confermato due anni dopo, con i movimenti sulle "riforme delle pensioni" in Austria ed in Francia (2003).
Nel rapporto sulla lotta di classe nella Revue Internationale n°117, identifichiamo una svolta, una ripresa della lotta manifestata in questi movimenti sulle pensioni ed in altre espressioni. Ciò si confermò nei nuovi movimenti nel 2006 e nel 2007 come all'epoca del movimento contro il CPE in Francia e nelle lotte massicce nell'industria tessile ed in altri settori in Egitto. Il movimento degli studenti in Francia fu in particolare una testimonianza eloquente di una nuova generazione di proletari confrontati ad un avvenire molto incerto (vedere le "Tesi sul movimento degli studenti in Francia" nel Revue n°125 ed anche l'editoriale di questo stesso numero). Questa tendenza fu in seguito confermata dalla "gioventù" in Grecia nel 2008-2009, dalla rivolta studentesca in Gran Bretagna nel 2010 e, soprattutto, dalla primavera araba e dai movimenti degli Indignados e di Occupy nel 2011-2013 che hanno dato luogo a parecchi articoli della Revue Internationale, in particolare quello della Revue n°147. Chiaramente in questi movimenti ci furono delle acquisizioni - l'affermazione della forma assembleare, un impegno più diretto verso le questioni politiche e morali, un chiaro senso internazionalista, elementi sul significato dei quali noi vi ritorneremo. Nel nostro rapporto al BI plenario di ottobre 2013 abbiamo criticato il rigetto economista ed operaista di questi movimenti ed il tentativo di vedere il cuore della lotta di classe mondiale nelle nuove concentrazioni industriali dell'Estremo Oriente. Ma non abbiamo nascosto il problema fondamentale rivelato in queste rivolte: la difficoltà per i loro giovani protagonisti di concepirsi come parte della classe operaia, l'enorme peso dell'ideologia della cittadinanza e dunque del democraticismo. La fragilità di questi movimenti fu indicata chiaramente in Medio Oriente dove abbiamo potuto vedere chiare regressioni della coscienza (come in Egitto ed in Israele) ed in Libia ed in Siria una caduta quasi immediata nella guerra imperialista. Ci sono state autentiche tendenze alla politicizzazione in questi movimenti poiché hanno posto delle questioni profonde sulla natura stessa del sistema sociale esistente e, come all'epoca delle precedenti apparizioni negli anni 2000, essi diedero adito ad una minuscola minoranza di elementi alla ricerca ma, in seno a questa minoranza, c'è stata un'immensa difficoltà ad andare verso un impegno militante rivoluzionario. Anche quando queste minoranze sembravano essere sfuggite alle catene più evidenti dell'ideologia borghese in decomposizione, esse le hanno ritrovate spesso sotto le forme più sottili e più radicali che sono cristallizzate nell'anarchismo, la teoria della "comunizzazione" ed altre tendenze simili, fornendo tutte una prova supplementare sul fatto che avevamo perfettamente ragione nel vedere "il consiliarismo come il pericolo maggiore" negli anni 1980 poiché tutte queste correnti falliscono precisamente sulla questione degli strumenti politici della lotta di classe e, innanzitutto, l'organizzazione rivoluzionaria.
Un bilancio completo di questi movimenti, e delle nostre discussioni su questo argomento, non è stato ancora fatto e nè possiamo farlo qui. Ma sembra che il ciclo del 2003-2013 tocchi la sua fine e che siamo di fronte ad un nuovo periodo di difficoltà[9]. Ciò è particolarmente evidente in Medio Oriente dove le proteste sociali hanno incontrato la più rude repressione e la barbarie imperialistica; e questa orribile involuzione non può che avere un effetto deprimente sugli operai del mondo intero. In ogni modo, se ci ricordiamo della nostra analisi sullo sviluppo irregolare della lotta di classe, è inevitabile il riflusso dopo queste esplosioni e, per qualche tempo, ciò tenderà ad esporre di più la classe all'impatto nocivo della decomposizione.
La sottovalutazione del nemico
"... Secondo i rapporti, avete detto che avevo previsto il crollo della società borghese nel 1898. C'è un leggero errore da qualche parte. Tutto ciò che ho detto, è che potremmo prendere forse il potere da qui al 1898. Se ciò non accade, la vecchia società borghese potrebbe ancora vegetare un momento, purché una spinta dell'esterno non faccia crollare tutto il vecchio edificio putrefatto. Un vecchio imballaggio ammuffito come questo può anche sopravvivere alla sua morte essenziale interna ancora alcuni decenni se l'atmosfera non è turbata" (Engels a Bebel, 24-26 ottobre 1891).
In questo breve passo, l'errore è così evidente che non è necessario commentarlo: l'idea che la classe operaia arrivasse al potere nel 1898 era un'illusione probabilmente generata dalla crescita veloce del partito socialdemocratico in Germania. Una deriva riformista si mescola ad un ottimismo esagerato e ad un'impazienza che, nel Manifesto comunista, aveva dato adito alla formulazione secondo cui "la caduta della borghesia e la vittoria del proletariato sono inevitabili" e forse non così lontano. Ma accanto a ciò, c'è un'idea molto valida: una società condannata dalla storia può anche mantenere per molto tempo il suo "vecchio imballaggio ammuffito" dopo di che sorge il bisogno di sostituirlo. In effetti, non decenni ma un secolo dopo la Prima guerra mondiale, vediamo la sinistra determinazione della borghesia di mantenere il suo sistema in vita qualunque ne sia il prezzo per l'avvenire dell'umanità.
La maggior parte dei nostri errori in questi ultimi quarant’anni sembra risiedere nella sottovalutazione della borghesia, della capacità di questa classe a mantenere il suo sistema putrefatto e dunque dell'immensità di ostacoli contro cui la classe operaia deve scontrarsi per assumere i suoi compiti rivoluzionari. Per fare il bilancio delle lotte di 2003-2013, questo deve essere un elemento chiave.
Il rapporto per il 21° Congresso della sezione in Francia (Révolution Internationale) nel 2014 riafferma l'analisi della svolta: le lotte del 2003 hanno sollevato la questione chiave della solidarietà ed il movimento del 2006 contro il CPE in Francia è stato un movimento profondo che prese la borghesia di sorpresa e la costrinse ad arretrare perché poneva il reale pericolo di un'estensione ai lavoratori attivi. Ma di seguito si è avuta una tendenza a dimenticare la capacità della classe dominante a recuperare tali shock ed a rinnovare la sua offensiva ideologica e le sue manovre, in particolare restaurare l'influenza dei sindacati. Abbiamo visto ciò in Francia negli anni 1980 con lo sviluppo dei coordinamenti e l'abbiamo visto di nuovo nel 1995 ma, come sottolinea il rapporto dell'ultimo Congresso di Révolution Internationale, abbiamo dimenticato nelle nostre analisi i movimenti in Guadalupa e nelle lotte sulle pensioni nel 2010 che hanno effettivamente sfinito il proletariato francese, impedendogli di essere ricettivo al movimento dell'anno seguente in Spagna. E di nuovo, malgrado la nostra insistenza sull'enorme impatto delle campagne anticomuniste, il rapporto di questo congresso suggerisce anche che abbiamo velocemente dimenticato che le campagne contro il marxismo e contro il comunismo hanno sempre un peso considerevole sulla nuova generazione che è apparsa durante il precedente decennio.
Altre debolezze durante questo periodo cominciano ad essere riconosciute.
Nelle nostre critiche dell'ideologia degli "anticapitalisti" degli anni 1990, con la loro insistenza sulla mondializzazione come una fase totalmente nuova nella vita del capitalismo - e delle concessioni fatte nel movimento proletario a questa ideologia, in particolare da parte del BIPR che sembrava mettere in questione la decadenza - non abbiamo riconosciuto elementi di verità al centro di questa mitologia: che la nuova strategia della "mondializzazione" ed il neoliberismo abbiano permesso alla classe dominante di resistere alle recessioni degli anni 1980 ed anche di aprire vere possibilità di espansione nelle zone dove le vecchie divisioni tra blocchi ed i modelli economici semiautarchici avevano eretto considerevoli barriere al movimento del capitale. L'esempio più evidente di questo sviluppo è evidentemente la Cina di cui non abbiamo anticipato pienamente l’ascesa allo statuto di "superpotenza", sebbene dagli anni 1970 e dalla rottura tra Russia e Cina abbiamo sempre riconosciuto che questa era una specie di eccezione alla regola dell'impossibile "indipendenza" rispetto al dominio dei due blocchi. Abbiamo dunque ritardato nel comprendere l'impatto che sarebbe stato prodotto da queste enormi concentrazioni industriali in alcune di queste regioni, sullo sviluppo globale della lotta di classe. Le ragioni teoriche che stavano alla base della nostra incapacità a prevedere l’ascesa della Nuova Cina dovranno essere ricercate più in profondità nelle discussioni sulla nostra analisi della crisi economica.
In un modo forse più significativo, non abbiamo investigato adeguatamente il ruolo giocato dall'affossamento di molti antichi centri di combattività di classe nei paesi centrali nel sabotare l'identità di classe. Abbiamo avuto ragione di essere scettici verso le analisi puramente sociologiche della coscienza di classe ma il cambiamento di composizione della classe operaia nei paesi centrali, la perdita delle tradizioni di lotta, lo sviluppo delle forme di lavoro più atomizzato, tutto ha certamente contribuito all'apparizione di generazioni di proletari che non si vedono più come parte della classe operaia, anche quando intraprendono la lotta contro gli attacchi dello Stato, come abbiamo visto durante i movimenti degli Occupy e degli Indignados nel 2011-2013. Particolarmente importante è il fatto che l'entità delle "delocalizzazioni", che hanno avuto luogo nei paesi occidentali, risultava spesso da sconfitte maggiori – come per esempio i minatori in GB, i siderurgici in Francia. Queste questioni, sebbene poste nel rapporto del 2001 sul corso storico, non sono state veramente trattate e sono state riaffermate nel rapporto del 2013 sulla lotta di classe. È là un ritardo molto importante e non sempre abbiamo incorporato questo fenomeno nel nostro quadro, ciò che richiederebbe certamente una risposta ai tentativi erronei di correnti come gli autonomi e la TCI per teorizzare la "ricomposizione" della classe operaia.
Nello stesso tempo, la prevalenza della disoccupazione a lungo termine o dell'impiego precario hanno inasprito la tendenza all'atomizzazione ed alla perdita d'identità di classe. Le lotte autonome dei disoccupati, capaci di ricollegarsi alle lotte degli operai attivi, furono ben meno significative di quanto noi avessimo previsto negli anni 1970 e 1980 (cf. Le "Tesi sulla disoccupazione" nella Revue internationale n°14 o la Risoluzione sulla situazione internazionale del 6° Congresso della CCI di cui si parla sopra), e numerosi disoccupati ed impiegati precari sono caduti in una condizione sottoproletaria, nella cultura di bande o ideologie politiche reazionarie. I movimenti degli studenti in Francia nel 2006 e le rivolte sociali verso la fine del decennio del nuovo secolo cominciarono a portare delle risposte a questi problemi, offrendo la possibilità di integrare i disoccupati nelle manifestazioni di massa e le assemblee di strada, ma era sempre un contesto dove l'identità di classe era ancora molto debole.
La nostra principale insistenza per spiegare la perdita dell'identità di classe si è spostata sul piano ideologico, sia come prodotto immediato della decomposizione (ciascuno per sé, cultura di banda, fuga nell'irrazionalità, ecc.) sia per l'utilizzazione deliberata degli effetti della decomposizione da parte della classe dominante - in modo più evidente, le campagne sulla morte del comunismo ma, anche, l'assalto ideologico giornaliero dei media e della pubblicità intorno a false rivolte, l'ossessione del consumismo e delle celebrità, ecc. Ciò è evidentemente di vitale importanza ma, in un certo modo, siamo solo all’inizio di una investigazione su come questi meccanismi ideologici operano a livello più profondo - un compito teorico chiaramente posto dalle "Tesi sulla morale"[10] e nei nostri sforzi per sviluppare ed applicare la teoria marxista dell'alienazione.
L'identità di classe non è, come l'ha difesa talvolta la TCI, una specie di semplice sentimento istintivo o semicosciente che avrebbero gli operai, che andrebbe distinto dalla vera coscienza di classe preservata dal partito. È essa stessa una parte integrante della coscienza di classe, fa parte del processo in cui il proletariato si riconosce in quanto classe distinta con un ruolo ed un potenziale unici nella società capitalista. Inoltre, non è limitata al campo puramente economico ma fin dall'inizio comporta un potente elemento culturale e morale: come Rosa Luxemburg scriveva, il movimento operaio non si limita ad una questione di "coltello e forchetta" ma è "un grande movimento culturale". Il movimento operaio del diciannovesimo secolo ha incorporato dunque non solo le lotte per le rivendicazioni economiche e politiche immediate ma anche l'organizzazione dell'educazione, dei dibattiti sull'arte e sulla scienza, delle attività sportive e di tempo libero, ecc. Il movimento forniva tutto un ambiente in cui i proletari e le loro famiglie potevano associarsi all'infuori dei posti di lavoro, rafforzando la convinzione che la classe operaia era la vera erede di tutto ciò che era sano nelle precedenti espressioni della cultura umana. Questo genere di movimento della classe operaia ha raggiunto il suo culmine nel periodo della socialdemocrazia ma in quest’ultimo c’erano anche le premesse della sua caduta. Ciò che venne perso nel grande tradimento del 1914, non fu solo l'Internazionale e le vecchie forme di organizzazione politica ed economica ma, anche, un terreno culturale più vasto che sopravvisse solamente nella caricatura costituita dalle "feste" dei partiti stalinisti e gauchisti. Il 1914 costituì dunque il primo di tutta una serie di colpi contro l'identità di classe durante il secolo passato: la diluizione politica della classe nella democrazia e nell'antifascismo negli anni 1930 e 1940, l'assimilazione del comunismo con lo stalinismo, la rottura della continuità organica con le organizzazioni e le tradizioni del passato portata dalla controrivoluzione: molto prima dell’inizio della fase di decomposizione, questi traumi già pesavano insistentemente sulla capacità del proletariato a costituirsi in classe con un reale senso di sé in quanto forza sociale che porta con lei "l’annullamento di tutte le classi". Così, ogni investigazione sul problema della perdita dell'identità di classe dovrà ritornare sull'insieme della storia del movimento operaio e non restringersi agli ultimi decenni. Anche se in questi ultimi decenni il problema è diventato così acuto e minaccioso per l'avvenire della lotta di classe, esso non è che l'espressione concentrata di un processo che ha una storia ben più lunga.
Per ritornare al problema dalla nostra sottovalutazione della classe dominante: il culmine della nostra sottovalutazione di lunga data del nemico - e che costituisce anche la maggiore delle debolezze delle nostre analisi - è stato raggiunto dopo il crash finanziario del 2007-08, al seguito di una vecchia tendenza a considerare che la classe dominante al centro del sistema avrebbe esaurito tutte le opzioni, che l'economia si sarebbe infilata in un vicolo cieco totale. Ciò non poteva che aumentare i sentimenti di panico, inasprire l'idea spesso non espressa e tacita secondo la quale la classe operaia ed il minuscolo movimento rivoluzionario si confrontavano con la loro ultima opportunità, o che avevano "già mancato la buona occasione". Certe formulazioni sulla dinamica dello sciopero di massa avevano nutrito questo immediatismo. In realtà, non avevamo torto nel vedere dei "germi" dello sciopero di massa nel movimento degli studenti in Francia nel 2006, o in altri come quello dei siderurgici in Spagna lo stesso anno, quello dell'Egitto nel 2007, in Bangladesh o altrove. Il nostro errore risiedeva nel fatto di avere preso il seme per il fiore e di non avere compreso che il periodo di germinazione non poteva che essere lungo. È chiaro che questi errori di analisi erano legati molto alle deformazioni attiviste ed opportuniste del nostro intervento durante questo periodo, tuttavia essi devono essere compresi anche nella discussione più larga del nostro ruolo come organizzazione (vedere il testo sul lavoro della frazione).
La dimensione morale della coscienza di classe
"Se il proprietario della forza-lavoro ha lavorato oggi, deve potere ricominciare domani nelle stesse condizioni di vigore e di salute. Occorre dunque che la somma dei mezzi di sussistenza basti per intrattenerlo nel suo stato di vita normale. I bisogni naturali, come cibo, vestiti, riscaldamento, abitazione, ecc., differiscono secondo il clima ed altre particolarità fisiche di un paese. Sotto un altro aspetto lo stesso numero dei sedicenti bisogni naturali, ed anche il modo di soddisfarli, è un prodotto storico e dipende così, in grande parte, dal grado di civiltà raggiunto. Le origini della classe salariata in ogni paese, l'ambiente storico in cui si è formata, continuano per molto tempo ad esercitare la massima influenza sulle abitudini, le esigenze e per contraccolpo i bisogni che essa apporta nella vita. La forza lavoro racchiude dunque, dal punto di vista del valore, un elemento storico e morale, ciò che la distingue dalle altre merci". (Marx, Il Capitale, volume I, capitolo 6).
Leggere Il Capitale senza veramente cogliere che Marx cerca di comprendere il funzionamento di particolari rapporti sociali che sono il prodotto di migliaia di anni di storia e che, come altri rapporti sociali, sono condannati a sparire, significa trovarsi ammaliati dalla visione reificata del mondo che lo studio di Marx ha per scopo di combattere. Questo è un atteggiamento di tutti gli intellettuali studiosi di Marx, che si considerano come professori rassicuranti o dei comunisti ultraradicali che tendono ad analizzare il capitalismo come un sistema autosufficiente, dalle leggi eterne, operante allo stesso modo in tutte le condizioni storiche, durante la decadenza di un sistema come nella sua ascendenza. Ma le osservazioni di Marx sul valore della forza lavoro ci aprono gli occhi su questo punto di vista puramente economico del capitalismo e mostrano in che cosa i fattori "storici e morali" sostengono un ruolo cruciale nella determinazione di un fondamento "economico" di questa società: il valore della forza lavoro. In altri termini, contrariamente alle affermazioni di Paul Cardan (alias Castoriadis, il fondatore del gruppo Socialismo o Barbarie) per il quale Il Capitale è un libro senza lotta di classe, Marx sostiene che l'affermazione della dignità umana da parte della classe sfruttata - la dimensione morale per eccellenza - non può, per definizione, essere detratta da un esame scientifico del modo con cui opera il sistema capitalista. Nella stessa frase, Marx risponde anche a coloro che lo considerano come un relativistico morale, come un pensatore che rigetta ogni morale come un insieme di frasi vuote ed ipocrite provenenienti da una qualsiasi classe dominante.
Oggi, la CCI è obbligata ad approfondire la sua comprensione "dell’elemento storico e morale" nella situazione della classe operaia - storico non solo nel senso delle lotte degli ultimi 40 anni, 80 o 100 anni, o anche di tutti i primi movimenti operai all'alba del capitalismo, ma nel senso della continuità e della rottura tra le lotte della classe operaia e quelle delle precedenti classi sfruttate e, al di là di ciò, la loro continuità e la loro rottura con tutti i tentativi precedenti della specie umana per superare le barriere per la realizzazione delle sue vere potenzialità, liberare le "sue facoltà che sonnecchiano", come Marx definisce la caratteristica centrale del lavoro umano in sé. È là che la storia e l'antropologia si congiungono, e parlare di antropologia è parlare della storia della morale. Da cui l’importanza delle "Tesi sulla morale" e della loro discussione.
Estrapolando dalle Tesi, possiamo notare certi momenti chiave che segnano la tendenza all'unificazione della specie umana: il passaggio dall'orda al comunismo primitivo, l'avvento del "Periodo assiale" collegato alla nascente generalizzazione dei rapporti commerciali che hanno visto la nascita della maggior parte delle religioni del mondo, espressioni nel "senso" dell'unificazione di un'umanità che tuttavia non poteva essere unita in realtà; l'espansione globale del capitalismo ascendente che, per la prima volta, tendeva ad unificare l'umanità sotto il regno, anche se brutale, di un solo modo di produzione; la prima ondata rivoluzionaria che conteneva la promessa di una comunità umana materiale. Questa tendenza ha ricevuto un terribile colpo con il trionfo della controrivoluzione e non è a caso se, alla vigilia della guerra più barbara della storia, Trotsky nel 1938 poteva parlare già di "crisi dell'umanità". È chiaro che aveva in mente come prova di questa crisi la Prima guerra mondiale, la Russia stalinista, la Grande Depressione e la marcia verso la Seconda guerra mondiale, ma era forse soprattutto l'immagine della Germania nazista (anche se non è vissuto per essere testimone delle più orribili espressioni di questo barbaro regime) che confermava questa idea, quella che la stessa umanità era sottomessa ad un test, perché qui aveva luogo un processo senza precedenti di regressione in seno ad uno delle culle della civiltà borghese: la cultura nazionale che aveva dato nascita a Hegel, Beethoven, Goethe adesso soccombeva al dominio di teppisti, di occultisti e di nichilisti, motivati da un programma che cercava di mettere un punto finale ad ogni possibilità di una umanità unificata.
Nella decomposizione, questa tendenza alla regressione, questi segnali di un collasso su se stessi dell'insieme dei progressi dell'umanità fatti finora, sono diventati “normalità” sul pianeta. Ciò viene espresso innanzitutto nel processo di frammentazione e del ciascuno per sé: ad uno stadio in cui la produzione e la comunicazione sono più unificate che mai, l'umanità sta correndo il pericolo di dividersi e suddividersi in nazioni, regioni, religioni, razze, gang, tutto ciò corredato da una regressione altrettanto distruttrice a livello intellettuale con l’ascesa di numerose forme di fondamentalismo religioso, di nazionalismo e di razzismo. L’ascesa dello Stato islamico fornisce una sintesi di questo processo a scala storica: là dove in passato l'Islam fu il prodotto di un avanzamento morale ed intellettuale attraverso ed al di là di tutta la regione, oggi l'islamismo, sotto la sua forma sunnita o anche sciita, è una pura espressione di negazione dell'umanità, di pogromismo, di misoginia e di adorazione della morte.
Chiaramente, questo pericolo di regressione contamina lo stesso proletariato. Per esempio, certe parti della classe operaia europea, che hanno visto la disfatta di tutte le lotte degli anni 1970 e 1980 contro la decimazione dell'industria e degli impieghi, sono entrate con successo nelle mire di partiti razzisti che hanno trovato dei nuovi capri espiatori da biasimare per la loro miseria - le ondate verso i paesi centrali degli immigranti che fuggono dal disastro economico, ecologico, militare delle loro regioni. Questi immigranti sono generalmente più "visibili" rispetto agli ebrei nell'Europa degli anni 1930, e coloro fra loro che adottano la religione musulmana possono legarsi direttamente alle forze impegnate nei conflitti imperialisti dei loro paesi di "accoglienza". Questa capacità della destra piuttosto che della sinistra a penetrare delle parti della classe operaia (in Francia per esempio, vecchi "bastioni" del Partito comunista sono caduti nel Fronte Nazionale) è un'espressione significativa di una perdita di identità di classe: là dove si potevano vedere in passato gli operai perdere le loro illusioni nella sinistra avendo fatto esperienza sul ruolo che quest’ultima sosteneva nel sabotaggio delle loro lotte, oggi l'influenza declinante di questa sinistra è più un riflesso del fatto che la borghesia ha meno bisogno di forze di mistificazione che pretendono di agire in nome della classe operaia perché questa ultima è decisamente meno capace di vedersi come una classe. Ciò riflette anche uno dei prodotti più significativi del processo globale di decomposizione e dello sviluppo impari della crisi economica mondiale: la tendenza dell'Europa e del Nord America a diventare isolette di "salvezza" relativa in un mondo diventato folle. L'Europa somiglia in particolare sempre più ad un bunker provvisto di scorte da difendere contro le masse disperate che cercano rifugio contro un'apocalisse generale. La risposta di "buonsenso comune" di tutti gli assediati, qualunque sia la durezza del regime in seno al bunker, è di stringere le righe ed assicurarsi che le porte del bunker vengano chiuse accuratamente. L'istinto di sopravvivenza diventa allora totalmente separato da ogni sentimento o da ogni impulso morale.
Le crisi de "l'avanguardia" devono essere localizzate anche in seno a questo processo di insieme: l'influenza dell'anarchismo sulle minoranze politicizzate generate dalle lotte del 2003-13, con la sua fissazione sull'immediato, il posto di lavoro, la "comunità"; la crescita dell'operaismo come il Movimento comunista e al suo polo opposto, la tendenza "comunizzatrice" che rigetta la classe operaia come soggetto della rivoluzione; lo scivolamento verso la bancarotta morale in seno alla stessa Sinistra comunista che analizzeremo in altri rapporti. In breve, l'incapacità dell'avanguardia rivoluzionaria di cogliere la realtà della regressione al tempo stesso morale ed intellettuale che sta imperversando nel mondo, e di lottare contro.
Il corso storico
In realtà, la situazione sembra molto grave. Pertanto ha ancora un senso parlare di un corso storico verso gli scontri di classe? Oggi, la classe operaia è anche lontana dal 1968 quanto il 1968 lo era dagli inizi della controrivoluzione e, di più, la sua perdita di identità di classe significa che la capacità a riappropriarsi delle lezioni delle lotte che si sono avute durante i decenni precedenti è diminuita. Allo stesso tempo, i pericoli inerenti al processo di decomposizione - di uno sfinimento graduale della capacità del proletariato a resistere alla barbarie del capitalismo - non restano statici ma tendono ad amplificarsi man mano che il sistema sociale capitalista affonda più profondamente nel declino.
Il corso storico non è mai per sempre stabilito e la possibilità di scontri di classe massicci nei paesi-chiave del capitalismo non è una tappa prestabilita nel viaggio verso il futuro.
Tuttavia, continuiamo a pensare che il proletariato non abbia detto la sua ultima parola, anche quando quelli che prendono la parola non hanno talmente consapevolezza di parlare per il proletariato.
Nella nostra analisi dei movimenti di classe del 1968-89, avevamo notato l'esistenza di alcuni momenti alti che fornivano un'ispirazione per le lotte future ed uno strumento per misurare il loro progresso. Così l'importanza del 1968 in Francia che solleva la questione di una nuova società; delle lotte in Polonia nel 1980 che riaffermavano i metodi dello sciopero di massa; dell'estensione e dell'autorganizzazione delle lotte, ecc. In grande misura, queste sono domande restate senza risposta. Ma possiamo dire che le lotte dell'ultimo decennio hanno conosciuto anche dei punti alti, innanzitutto perché hanno cominciato a porre la questione-chiave della politicizzazione identificata da noi come una debolezza centrale delle lotte del ciclo precedente. In più, ciò che c'è di più importante in questi movimenti - come quello degli studenti in Francia nel 2006 o la rivolta degli Indignados in Spagna - è di avere posto molte domande mostrando che, per il proletariato, la politica non è "sapere se bisogna tenersi o cacciare i membri del governo", ma il cambiamento dei rapporti sociali, che la politica del proletariato porta alla creazione di una nuova morale opposta alla visione del mondo del capitalismo dove l'uomo è un lupo per l'uomo.
Nella loro "indignazione" contro lo scempio di potenziale umano ed il carattere distruttore del sistema attuale, nei loro sforzi per guadagnare i settori più alienati della classe operaia (l’appello degli studenti francesi ai giovani delle periferie), attraverso il ruolo di avanguardia giocato dalle ragazze, per il loro atteggiamento verso la questione della violenza e la provocazione poliziesca, nel desiderio per il dibattito appassionato nelle assemblee e l'internazionalismo nascente in tanti slogan del movimento[11], questi movimenti hanno portato un colpo all'avanzamento della decomposizione e hanno affermato che cedere passivamente non era la sola possibilità, che era sempre possibile rispondere al no-future della borghesia con i suoi attacchi incessanti contro la prospettiva del proletariato per la riflessione ed il dibattito sulla possibilità di un altro tipo di rapporti sociali. E, nella misura in cui questi movimenti erano costretti ad elevarsi da soli ad un livello generale, di porre delle domande su tutti gli aspetti della società capitalista - economici, politici, artistici, scientifici ed ambientalisti - ci hanno dato un'idea del modo con cui un nuovo "grande movimento culturale" potrebbe riapparire nei fuochi della rivolta contro il sistema capitalista.
Certamente ci sono stati dei momenti in cui abbiamo avuto una tendenza ad essere coinvolti dall'entusiasmo di questi movimenti ed a perdere di vista le loro debolezze, rafforzando le nostre tendenze all'attivismo ed a forme di intervento che non erano guidate da un chiaro punto di partenza teorico. Ma non abbiamo avuto torto, nel 2006 per esempio, a vedere elementi dello sciopero di massa nel movimento contro il CPE. Sicuramente abbiamo visto quest’ultimo in modo immediatista piuttosto che in una prospettiva a lungo termine, ma non c'era da mettere in questione il fatto che queste rivolte stavano riaffermando la natura di base della lotta di classe in decadenza: lotte che non sono organizzate prima dagli organi permanenti ma che tendono ad estendersi a tutta la società, che pongono il problema di nuove forme di autorganizzazione, che tendono ad integrare la dimensione politica con la dimensione economica.
Evidentemente la grande debolezza di queste lotte fu che, per la gran parte di esse, non si consideravano come proletarie, come espressioni della guerra di classe. E se questa debolezza non viene superata, i punti forti di tali movimenti tenderanno a diventare punti deboli: le preoccupazioni morali declineranno in una forma vaga di umanesimo piccolo-borghese che cade facilmente nelle politiche democratiche e "cittadine", e cioè apertamente borghesi; le assemblee diventeranno semplici parlamenti di strada dove i dibattiti aperti sulle questioni fondamentali sono sostituiti dalle manipolazioni delle élite politiche e di rivendicazioni che limitano il movimento all'orizzonte della politica borghese. E questo evidentemente è stato il destino delle rivolte sociali del 2011-2013.
È necessario collegare la rivolta di strada alla resistenza dei lavoratori attivi, ai diversi prodotti del movimento della classe operaia, e di comprendere che questa sintesi può basarsi solamente su una prospettiva proletaria per l'avvenire della società che, a sua volta, implica che l'unificazione del proletariato deve includere la restaurazione del legame tra la classe operaia e le organizzazioni dei rivoluzionari. Tale è la domanda senza risposta, la prospettiva insoddisfatta, posta non solo dalle lotte degli ultimi anni ma anche da tutte le espressioni della lotta di classe dal 1968.
Contro il buonsenso comune dell'empirismo che riesce a vedere il proletariato solo quando quest’ultimo appare in superficie, i marxisti riconoscono che il proletariato è come Albion, il gigante addormentato di Blake il cui risveglio metterà sottosopra il mondo. Sulla base della teoria della maturazione sotterranea della coscienza, che la CCI è, più o meno, la sola a difendere, riconosciamo che il vasto potenziale della classe operaia resta per la sua maggior parte nascosto ed anche i rivoluzionari più lucidi possono dimenticare facilmente che questa "facoltà che sonnecchia" può avere un impatto enorme sulla realtà sociale anche quando, apparentemente, si è ritirata della scena. Marx fu capace di vedere nella classe operaia la nuovo forza rivoluzionaria nella società sulla base di quelle che potevano sembrare prove molto deboli, come alcune lotte dei tessitori in Francia che non avevano ancora completamente superato lo stadio artigianale dello sviluppo. E malgrado le immense difficoltà alle quali è confrontato il proletariato, malgrado tutte le nostre sopravvalutazioni delle lotte e le nostre sottovalutazioni del nemico, la CCI vede ancora abbastanza elementi nei movimenti di classe durante questi ultimi 40 anni per concludere che la classe operaia non ha perso la sua capacità di offrire all'umanità, una nuova società, una nuova cultura ed una nuova morale.
Porre le questioni in profondità
Questo Rapporto è già molto più lungo del previsto e si è limitato spesso a porre delle domande piuttosto che a rispondere. Ma non cerchiamo delle risposte immediate; il nostro scopo è di sviluppare una cultura teorica dove ogni domanda è esaminata con profondità, collegandola al prezioso patrimonio intellettuale della CCI, alla storia del movimento operaio ed ai classici del marxismo come guide indispensabili nell'esplorazione di nuovi problemi sollevati dalla fase finale del declino del capitalismo. Una domanda-chiave implicitamente sollevata in questo Rapporto - nella sua riflessione sull'identità di classe o sul corso storico - è la nozione stessa di classe sociale ed il concetto di proletariato come classe rivoluzionaria di questa epoca. La CCI ha dato importanti contributi in questo campo, in particolare "Il proletariato è sempre la classe rivoluzionaria" nella Revue n°73 e 74 e "Perché il proletariato non ha rovesciato ancora il capitalismo" nella Revue n°103 e 104, due articoli che cercano di rispondere ai dubbi in seno al movimento politico proletario sulla stessa possibilità della rivoluzione. È necessario ritornare a questi articoli ma, anche, ai testi ed alle tradizioni marxiste su cui si basano, pure saggiando contemporaneamente i nostri argomenti alla luce dell'evoluzione reale del capitalismo e della lotta di classe negli ultimi decenni. È chiaro che un tale progetto non può essere intrapreso che a lungo termine. Ne va parimenti per altri aspetti del Rapporto che abbiamo potuto solamente sfiorare, come la dimensione morale della coscienza di classe ed il suo ruolo essenziale nella capacità della classe operaia a superare il nichilismo e la mancanza di prospettiva inerente al capitalismo nella sua fase di decomposizione, o la necessità di una critica molto dettagliata delle differenti forme di opportunismo che hanno colpito sia l'analisi della lotta di classe da parte della CCI e del suo intervento, in particolare le concessioni al consiliarismo, all'operaismo ed all'economicismo.
Può essere che una delle debolezze che appare chiaramente nel Rapporto sia la nostra tendenza a sottovalutare le capacità della classe dominante a mantenere il suo sistema in declino, sia sul piano economico (elemento che deve essere sviluppato nel Rapporto sulla crisi economica), sia sul piano politico attraverso la sua capacità ad anticipare ed a deviare lo sviluppo della coscienza nella classe attraverso tutta una panoplia di manovre e di stratagemmi. Il corollario di questa debolezza da parte nostra è che siamo stati troppo ottimisti sulla capacità della classe operaia a bloccare gli attacchi della borghesia e ad avanzare verso una chiara comprensione della sua missione storica, una difficoltà che è anche riflessa spesso nello sviluppo estremamente lento e tortuoso dell'avanguardia rivoluzionaria. È una caratteristica dei rivoluzionari essere impazienti nel vedere la rivoluzione: Marx ed Engels consideravano che le rivoluzioni borghesi della loro epoca "avrebbero potuto essere trasformate" velocemente in rivoluzione proletaria; i rivoluzionari che hanno costituito l'IC erano fiduciosi che i giorni del capitalismo erano contati; anche il nostro compagno MC sperava che avrebbe vissuto abbastanza per vedere l'inizio della rivoluzione. Per i cinici ed i venditori ambulanti del buon vecchio senso comune, ciò sarebbe dovuto al fatto che la rivoluzione e la società senza classe sono nella migliore delle ipotesi illusioni ed utopie, che si possono anche aspettare il giorno dopo o fra cent’anni. D’altro canto, per i rivoluzionari questa impazienza di vedere l'alba della nuova società è il prodotto della loro passione per il comunismo, una passione che non "si basa per niente su delle idee, dei principi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo" ma che è semplicemente "l'espressione generale delle condizioni reali di una lotta di classe esistente, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi" (Il Manifesto comunista). Evidentemente la passione deve anche essere guidata e talvolta temperata dalla più rigorosa delle analisi, dalla capacità più seria nel testare, verificare ed autocriticare; ed è questo, in primo luogo, che cerchiamo di fare per il 21° Congresso della CCI. Ma, per citare ancora una volta Marx, una tale autocritica "non è una passione della testa ma la testa della passione".
[1] Per una presentazione del militante MC vedere l'articolo "Che bilancio e quali prospettive per la nostra attività"? Nel presente numero della Revue Internationale.
[2] "La stessa esistenza di un corso allo 'scontro di classi' significa che la borghesia non ha le mani libere per scatenare una nuova carneficina mondiale; prima, dovrà affrontare e sconfiggere la classe operaia. Ma ciò non pregiudica la sorte di questo scontro, né in un senso, né nell'altro. È per tale motivo che è preferibile utilizzare questo termine piuttosto che quello di 'corso alla rivoluzione'”. (Risoluzione sulla situazione internazionale; pubblicata nella Revue Internationale n°35)
[3] Per ulteriori informazioni su questa tendenza, leggere il nostro articolo della Revue Internationale n° 109 "La questione del funzionamento dell'organizzazione nella CCI" (https://fr.internationalism.org/rinte109/fonctionnement.htm)
[4] "Il corso storico", nella Revue Internationale n°18.
[5] Cf. "L'organizzazione del proletariato all'infuori dei periodi di lotte aperte (gruppi, nuclei, circoli, ecc.") nella Revue Internationale n°21.
[6] Cf. "La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo" nella Revue Internationale n°23.
[7] Cf. "Rapporto sulla funzione dell'organizzazione rivoluzionaria" nella Revue Internationale n°29.
[8] Per maggiori informazioni su questa scissione vedere il nostro articolo della Revue internationale n°109, "La questione del funzionamento dell'organizzazione nella CCI" da cui è estratto il seguente passo: "All'epoca della crisi del 1981, si era sviluppata (col contributo dell'elemento torbido Chénier, ma non solo), una visione che considerava che ogni sezione locale potesse (SI) (ai quali si rimproverava particolarmente la loro posizione sulla sinistra all'opposizione e di provocare una avere una sua specifica politica in materia di intervento, contestando violentemente il Bureau International(BI) ed il suo Segretariato degenerazione stalinista), e che, pur riconoscendo la necessità degli organi centrali, attribuiva loro un ruolo di semplice cassetta postale".
[9] Questa questione è ancora in discussione nella CCI.
[10] Un documento interno ancora in discussione nell'organizzazione.
[11] Possiamo parlare di una espressione aperta di solidarietà tra le lotte negli Stati Uniti ed in Europa e quelle del Medio Oriente, in particolare in Egitto o gli slogan del movimento in Israele che definiscono Netanyahou, Moubarak ed Assad come un unico nemico.