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Continuiamo la pubblicazione dei principali rapporti sulla situazione mondiale adottati dal 24° Congresso della CCI. Questo rapporto esamina alcune delle questioni principali a cui è confrontata la lotta di classe internazionale nella fase di decomposizione del capitalismo: il problema della politicizzazione dei movimenti di classe, i pericoli connessi all’interclassismo, la maturazione della coscienza e il significato delle sconfitte in questo periodo.
Parte 1: Costruire sulla base del lavoro del nostro 23° Congresso
Al suo 23° Congresso Internazionale, la CCI ha chiarito che bisogna distinguere tra il concetto di rapporto di forza tra le classi e il concetto di corso storico. Il primo si applica a tutte le fasi della lotta di classe, sia nel periodo ascendente del capitalismo che in quello decadente, mentre il secondo si applica solo alla decadenza, e solo nel periodo tra l'avvicinarsi della prima guerra mondiale e il crollo del blocco dell’est nel 1989. L'idea di un corso storico ha senso solo in quelle fasi in cui diventa possibile prevedere il movimento generale della società capitalista verso la guerra mondiale o verso decisivi scontri di classe. Così, negli anni '30, la sinistra italiana fu in grado di riconoscere che la sconfitta del proletariato mondiale avvenuta negli anni '20 aveva aperto la strada alla seconda guerra mondiale, mentre dopo il 1968 la CCI aveva ragione a sostenere che, senza una sconfitta frontale di una classe operaia in ripresa, il capitalismo non sarebbe stato in grado di arruolare il proletariato per una terza guerra mondiale. D'altra parte, nella fase di decomposizione, prodotto di un'impasse storica tra le classi, anche se la guerra mondiale non è all’ordine del giorno per il prossimo futuro a causa della disintegrazione del sistema dei blocchi, il sistema può scivolare in altre forme di barbarie irreversibile senza uno scontro frontale con la classe operaia. In una tale situazione, diventa molto più difficile riconoscere quando un "punto di non ritorno" è stato raggiunto e la possibilità della rivoluzione proletaria è stata sepolta una volta per tutte.
Ma l'"imprevedibilità" della decomposizione non significa che i rivoluzionari non si preoccupino più di valutare l'equilibrio generale del rapporto di forza tra le classi. Questo punto è affermato dal titolo della risoluzione del 23° Congresso sulla lotta di classe: "Risoluzione sul rapporto di forza tra le classi". Ci sono due elementi chiave di questa risoluzione che dobbiamo sottolineare qui:
- “Nei rapporti di forza tra la borghesia e il proletariato è sempre la classe dominante che sferra l’attacco, salvo nel caso di una situazione rivoluzionaria." (punto 11). A volte, le lotte difensive della classe operaia possono respingere gli attacchi della borghesia, ma, nella decadenza, la tendenza è che tali vittorie siano sempre più limitate e di breve durata: questo è un fattore centrale nel rendere la rivoluzione proletaria una necessità oltre che una possibilità in quest'epoca;
- Il primo modo di "misurare" il rapporto di forza è osservare la tendenza della classe operaia a sviluppare la sua autonomia di classe e a presentare la propria soluzione alla crisi storica del sistema. In breve, la tendenza alla politicizzazione - lo sviluppo della coscienza di classe fino al punto in cui la classe operaia comprende la necessità di affrontare e rovesciare l'apparato politico della classe dominante e sostituirlo con la propria dittatura di classe.
Questi temi costituiscono il “filo rosso” della risoluzione, come detto al suo inizio:
“Alla fine degli anni ’60, con l’esaurirsi del boom economico del dopoguerra, la classe operaia era ritornata sulla scena sociale in risposta alla degradazione delle sue condizioni di vita. Le lotte operaie sviluppatesi su scala internazionale avevano così messo fine al periodo più lungo di controrivoluzione della storia. Esse avevano aperto un nuovo corso storico verso scontri di classe, impedendo così alla classe dominante di rispondere alla sua maniera alla crisi acuta del capitalismo: una 3a guerra mondiale. Questo nuovo corso storico era stato segnato dallo svilupparsi di lotte di massa, in particolare nei paesi centrali dell’Europa occidentale con il movimento del Maggio 68 in Francia, seguito da quello dell’“autunno caldo” in Italia nel 1969 e molte altre ancora, come in Argentina nel 1969 e in Polonia nell’inverno 1970-71. In questi movimenti di massa, vasti settori della nuova generazione che non aveva conosciuto la guerra avevano posto di nuovo la questione della prospettiva del comunismo come possibilità.
In rapporto con questo movimento generale della classe operaia alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, si deve segnalare anche il risveglio internazionale, su scala molto piccola ma comunque significativa, della Sinistra Comunista organizzata: la tradizione che era rimasta fedele alla bandiera della rivoluzione proletaria mondiale durante la lunga notte della controrivoluzione. In questo risveglio la costituzione della CCI ha significato un rinnovamento ed un impulso importante per la Sinistra Comunista nel suo insieme.
Di fronte a una dinamica che tende alla politicizzazione delle lotte operaie, la borghesia (che si era lasciata sorprendere dal movimento del maggio 68) ha immediatamente sviluppato una controffensiva di grande ampiezza e di lungo termine, al fine di impedire alla classe operaia di rispondere alla crisi storica dell’economia capitalista con la rivoluzione proletaria."[1]
Successivamente la risoluzione ritraccia le grandi linee di come la borghesia, classe machiavellica per eccellenza, ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per bloccare questa dinamica:
“Nel primo periodo, offrendo alla classe operaia un'alternativa politica puramente borghese. Alla fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, deviando le sue aspirazioni verso la falsa prospettiva di governi di sinistra capaci di umanizzare il capitalismo e persino di stabilire una società socialista, e dalla fine degli anni '70 in poi, con la divisione del lavoro tra una destra dura al potere che portava avanti i brutali tagli agli standard di vita della classe operaia richiesti dalla crisi economica, e una "sinistra all'opposizione" meglio posizionata per assorbire la minaccia posta dalle ondate di lotta che hanno caratterizzato questo periodo;
- L'uso massiccio dell'estrema sinistra del capitale (maoisti, trotskisti, ecc.) per recuperare la crescente ricerca di risposte politiche da parte di una minoranza significativa della nuova generazione;
- L'uso del sindacalismo radicale e persino di forme di organizzazione "extra-sindacale" manipolate dall'estrema sinistra per sconfiggere il crescente disincanto dei lavoratori nei confronti dei sindacati e il pericolo che i lavoratori arrivassero a una comprensione politica del ruolo dei sindacati nell'epoca della decadenza;
- L'uso dell'ideologia corporativista e nazionalista per isolare importanti lotte operaie e, se necessario, per schiacciarle attraverso la repressione diretta dello Stato (cfr. lo sciopero dei minatori in Gran Bretagna e, su scala molto più ampia, lo sciopero di massa in Polonia nel 1980).
- La cosciente riorganizzazione della produzione e del commercio globale che prese piede a partire dagli anni '80: la politica della "globalizzazione", pur essendo fondamentalmente determinata dalla necessità di rispondere alla crisi economica, conteneva anche un elemento direttamente antioperaio in quanto cercava di abbattere i tradizionali centri di combattività proletaria e minare l'identità di classe;
- Rivolgendo la decomposizione stessa della società capitalista contro la classe operaia. Così, la tendenza all’"ognuno per sé", amplificata in questa nuova fase, è stata utilizzata per rafforzare l'atomizzazione sociale e le divisioni corporativiste. Soprattutto, il crollo del "socialismo reale" nel blocco orientale è stato il trampolino di lancio per una gigantesca campagna intorno alla morte del comunismo, che ha approfondito ed esteso le difficoltà della classe operaia a sviluppare la propria prospettiva rivoluzionaria.”
Se queste difficoltà erano già aumentate negli anni '80 - ed erano all'origine dell'impasse tra le classi - gli eventi del 1989 non solo aprirono definitivamente la fase di decomposizione ma portarono ad un profondo arretramento della classe a tutti i livelli: nella sua combattività, nella sua coscienza, nella sua stessa capacità di riconoscersi come classe specifica nella società borghese. Inoltre, ha accelerato tutte le tendenze negative di decomposizione sociale che avevano già iniziato a giocare un ruolo nel periodo precedente: la crescita cancerosa dell'egoismo, del nichilismo e dell'irrazionalità che sono i prodotti naturali di un ordine sociale che non può più offrire all'umanità alcuna prospettiva per il futuro[2]. Da notare che la risoluzione del XXIII Congresso riafferma anche che, nonostante tutti i fattori negativi della fase di decomposizione che pesano sulla bilancia, ci sono ancora segni di una controtendenza proletaria. In particolare, il movimento degli studenti contro il CPE in Francia nel 2006, e il movimento degli "Indignados" in Spagna nel 2011, così come la ricomparsa di nuovi elementi alla ricerca di posizioni autenticamente comuniste, forniscono prove concrete che il fenomeno della maturazione sotterranea della coscienza, lo scavo della "Vecchia Talpa", è ancora operativo nella nuova fase. La voglia di una nuova generazione di proletari di comprendere l'impasse della società capitalista, la rinascita dell'interesse per i movimenti precedenti che avevano sollevato la possibilità di un'alternativa rivoluzionaria (1917-23, maggio 68 ecc.) confermano che la prospettiva di una futura politicizzazione non è stata annegata nel fango della decomposizione. Ma prima di procedere verso una migliore comprensione del rapporto di forze tra le classi negli ultimi dieci anni, e soprattutto sulla scia della pandemia di Covid, è necessario approfondire cosa intendiamo esattamente con il termine politicizzazione.
Parte 2: Il significato della politicizzazione
Nel corso della sua storia, l'avanguardia marxista del movimento operaio ha lottato per chiarire l'interrelazione tra i diversi aspetti della lotta di classe: economico e politico, pratico e teorico, difensivo e offensivo. Il profondo legame tra la dimensione economica e quella politica fu sottolineato da Marx nella sua prima polemica con Proudhon:
“Non si dica che il movimento sociale esclude il movimento politico. Non vi è mai un movimento politico che non sia sociale nello stesso tempo.
Solo in un ordine di cose in cui non vi saranno più classi né antagonismi di classi le evoluzioni sociali cesseranno di essere rivoluzioni politiche”[3]
Questa polemica continuò nel periodo della Prima Internazionale nella lotta contro le dottrine di Bakunin. A quel tempo, la necessità di affermare la dimensione politica della lotta di classe era principalmente legata alla lotta per le riforme, e quindi all'intervento nell'arena parlamentare della borghesia. Ma il conflitto con gli anarchici, così come l'esperienza pratica della classe operaia, sollevò anche questioni sulla fase offensiva della lotta, specialmente gli eventi della Comune di Parigi, il primo esempio di potere politico della classe operaia.
Durante il periodo della Seconda Internazionale, soprattutto nella sua fase di degenerazione, fu lanciata una nuova battaglia: la lotta delle correnti di sinistra contro la crescente tendenza a separare rigorosamente la dimensione economica, considerata la specialità dei sindacati, e la dimensione politica, sempre più ridotta agli sforzi del partito per conquistare seggi nei parlamenti borghesi e nei comuni.
All'alba dell'era decadente del capitalismo, la spettacolare apparizione dello sciopero di massa nel 1905 in Russia, e l'emergere dei soviet, riaffermarono l'unità essenziale della dimensione economica e politica, e la necessità di organi di classe indipendenti che combinassero i due aspetti. Come disse la Luxemburg nel suo pamphlet sullo sciopero di massa, che era essenzialmente una polemica contro le concezioni superate della destra e del centro socialdemocratico:
«Non ci sono due lotte di classe differenti della classe operaia, una economica e una politica, ma una sola lotta di classe, che mira allo stesso tempo alla limitazione dello sfruttamento capitalista in seno alla società borghese e all’abolizione dello sfruttamento insieme alla società borghese stessa.»[4] Tuttavia, è necessario ricordare che queste due dimensioni, pur facendo parte di un'unità, non sono identiche, e la loro unità spesso non viene colta dai lavoratori impegnati nelle lotte reali. Così, anche quando uno sciopero intorno a rivendicazioni economiche può rapidamente confrontarsi con l'opposizione attiva degli organi dello stato borghese (governo, polizia, sindacati, ecc.), il contesto politico "oggettivo" della lotta può restare visibile solo a una minoranza combattiva dei lavoratori coinvolti.
Inoltre, ciò significa che nel movimento di presa di coscienza della posta in gioco politica della lotta, sono in atto due diverse dinamiche: da un lato, quella che potremmo chiamare la politicizzazione delle lotte, e dall'altro, l'emergere di minoranze politicizzate che possono o meno essere legate all'immediata ascesa della lotta aperta.
E di nuovo, nel primo caso, siamo di fronte a un processo che passa attraverso diverse fasi. Nella decadenza, se non ci può più essere un intervento proletario nella sfera politica borghese, ci possono ancora essere richieste politiche difensive e dibattiti che non pongono ancora la questione del potere politico o di una nuova società, come, per esempio, quando i proletari discutono su come rispondere alla violenza della polizia, come durante gli scioperi di massa in Polonia nel 1980 o il movimento "anti-CPE" nel 2006. È solo in una fase molto avanzata della lotta che i lavoratori possono considerare la presa del potere politico come un obiettivo reale del loro movimento. Tuttavia, ciò che generalmente caratterizza la politicizzazione delle lotte è lo sviluppo di una massiccia cultura del dibattito, dove il posto di lavoro, l'angolo della strada, la piazza pubblica, le università e le scuole sono lo scenario di discussioni appassionate su come portare avanti la lotta, sui nemici della lotta, sui suoi metodi organizzativi e sugli obiettivi generali, come Trotsky e John Reed hanno descritto nei loro libri sulla rivoluzione russa del 1917, e che furono forse il principale "segnale d'allarme" per la borghesia sui pericoli posti dagli eventi del maggio-giugno 1968 in Francia.
Per il marxismo, la minoranza comunista è un'emanazione della classe operaia, ma della classe operaia come forza storica nella società borghese; non è un prodotto meccanico delle sue lotte immediate. Certamente, l'esperienza di un aspro conflitto di classe può spingere singoli lavoratori a conclusioni rivoluzionarie, ma i comunisti possono anche essere "formati" dalla riflessione sulle condizioni generali del proletariato e del capitalismo in generale, e possono anche avere le loro origini sociologiche in strati esterni al proletariato. Marx lo esprime così ne L'ideologia tedesca:
“Nello sviluppo delle forze produttive si presenta uno stadio nel quale vengono fatte sorgere forze produttive e mezzi di relazione che nelle situazioni esistenti fanno solo del male, che non sono più forze produttive ma forze distruttive (macchine e denaro) e, in connessione con tutto ciò, viene fatta sorgere una classe che deve sopportare tutti i pesi della società, forzata al più deciso antagonismo contro le altre classi ; una classe che forma la maggioranza di tutti i membri della società e dalla quale prende le mosse la coscienza della necessità di una rivoluzione che vada al fondo, la coscienza comunista, la quale naturalmente si può formare anche fra le altre classi, in virtù della considerazione della posizione di questa classe” (Libro primo, I Feuerbach)
Ovviamente, la convergenza delle due dinamiche - la politicizzazione delle lotte e lo sviluppo della minoranza rivoluzionaria - è essenziale per l'emergere di una situazione rivoluzionaria; e possiamo anche dire che tale convergenza, come notato all'inizio della risoluzione a proposito del maggio '68 in Francia, può anche essere l'espressione di un cambiamento nel corso della storia verso grandi scontri di classe. Allo stesso modo, i progressi nella lotta generale della classe operaia e l'emergere di minoranze politicizzate sono entrambi, alla base, prodotti della maturazione sotterranea della coscienza, che può continuare anche quando la lotta aperta è scomparsa dalla vista. Ma mescolare le due dinamiche può anche portare a conclusioni errate, compresa una sopravvalutazione del potenziale immediato della lotta di classe. Come dice il proverbio, "una rondine non fa primavera".
La risoluzione (punto 6) ci avverte anche delle notevoli difficoltà che impediscono alla classe operaia di prendere coscienza del fatto che essa è "rivoluzionaria o niente". Parla della natura della classe operaia come una classe sfruttata soggetta a tutte le pressioni dell'ideologia dominante, per cui “la coscienza di classe non può avanzare di vittoria in vittoria, ma può unicamente svilupparsi in modo ineguale verso la vittoria attraverso una serie di sconfitte”. Rileva anche che la classe affronta ulteriori difficoltà nella decadenza, per esempio la non permanenza di organizzazioni di massa in cui i lavoratori possano mantenere e sviluppare una cultura politica; l'inesistenza di un programma minimo, il che significa che la lotta di classe deve raggiungere le altezze vertiginose del programma massimo; l'uso dei vecchi strumenti delle organizzazioni operaie contro la lotta di classe che -nel caso dello stalinismo in particolare- ha contribuito a creare un fossato tra le organizzazioni comuniste genuine e la massa della classe operaia. Altrove, la risoluzione, facendo eco alle nostre Tesi sulla Decomposizione, evidenzia le nuove difficoltà imposte dalle condizioni particolari della fase finale del declino capitalista.
Una di queste difficoltà è trattata a lungo nella risoluzione: il pericolo rappresentato dalle lotte interclassiste come quella dei Gilet Gialli in Francia o le rivolte popolari provocate dal crescente impoverimento delle masse nei paesi meno "sviluppati". In tutti questi movimenti, in una situazione in cui la classe operaia ha un livello molto basso di identità di classe, ed è ancora lontana dal raccogliere le sue forze al punto di poter dare una prospettiva alla rabbia e al malcontento che si sta accumulando in tutta la società, i proletari partecipano non come una forza sociale e politica indipendente ma come una massa di individui. In alcuni casi, questi movimenti non sono semplicemente interclassisti, mescolando le richieste proletarie con le aspirazioni di altri strati sociali (come nel caso dei Gilet Gialli), ma sposano obiettivi apertamente borghesi, come le proteste per la democrazia a Hong Kong, o l'illusione dello sviluppo sostenibile o l'uguaglianza razziale all'interno del capitalismo, come nel caso delle marce per il clima dei giovani e le proteste di Black Lives Matter. La risoluzione non è del tutto chiara sulla distinzione da fare qui, riflettendo problemi più ampi nelle analisi della CCI su questi eventi: da qui la necessità di una sezione specifica di questo rapporto per chiarire queste questioni.
Parte 3 : il pericolo centrale dell’interclassismo
“A causa della grande difficoltà attuale della classe operaia a sviluppare le sue lotte, della incapacità al momento di ritrovare la sua identità di classe e ad aprire una prospettiva per l’intera società, il terreno sociale è stato occupato da lotte interclassiste particolarmente influenzate dalla piccola borghesia.(…) Questi movimenti interclassisti sono il prodotto dell’assenza di ogni prospettiva che riguardi oggi la società nel suo insieme, compresa una parte importante della stessa classe dirigente. (…) In questa situazione imposta dall’aggravarsi della decomposizione del capitalismo la lotta per l’autonomia di classe del proletariato è cruciale:
- contro le lotte interclassiste;
- contro le lotte settoriali portate avanti da ogni categoria sociale che danno una falsa illusione di “comunità protettiva”
- contro le mobilitazioni sul terreno viziato dal nazionalismo, dal pacifismo, dalla riforma ‘ecologica’, ecc.” (Risoluzione sul rapporto di forza fra le classi, 23° Congresso della CCI)
Difficoltà ricorrenti nell'analisi della natura dei movimenti sociali emersi negli ultimi anni
Le lotte interclassiste e le lotte parcellari sono ostacoli allo sviluppo della lotta dei lavoratori. Abbiamo visto recentemente quanto duramente la CCI ha lottato per padroneggiare queste due questioni:
- Nel caso dei Gilets Jaunes, il movimento è stato inizialmente visto come avente elementi positivi per la lotta di classe (attraverso la questione del rifiuto dei sindacati).
- Nel movimento giovanile intorno alla questione del clima, che è una lotta parcellare, la mobilitazione giovanile è stata vista come qualcosa di positivo, dimenticando il punto 12 della piattaforma.
- Sull'assassinio di George Floyd, ci sono state tendenze a vederlo come un movimento interclassista, mentre l'indignazione che ha provocato ha portato a una mobilitazione su un terreno direttamente borghese, con la richiesta di un sistema di polizia e giudiziario più democratico.
Difficoltà che continuano
La valutazione dei movimenti in Medio Oriente: una questione da chiarire
La presentazione sulla lotta di classe al 23° Congresso ha ricordato che l'analisi dei movimenti della primavera araba non era stata inclusa nel bilancio critico che abbiamo fatto dopo il 21° Congresso, nonostante l'esistenza di differenze irrisolte, comprese "le questioni degli scivolamenti opportunisti che abbiamo fatto in passato verso, ad esempio, i movimenti interclassisti della primavera araba e altri."[5]
Torniamo alla nostra analisi dei movimenti del 2011.
Se l'organizzazione, nel suo intervento, non ha usato il termine "interclassismo" per descrivere questi movimenti, li ha descritti in un modo che sviluppava tutte le caratteristiche di un movimento interclassista, mostrando che non era totalmente ignorante della loro natura: "La classe operaia non vi si è mai presentata [in queste lotte] come una forza autonoma capace di assumere la direzione di lotte che hanno spesso assunto la forma di una rivolta dell'insieme delle classi non sfruttatrici, dai contadini in rovina agli strati medi in via di proletarizzazione."[6]
La posizione esposta: "In generale, la classe operaia non è stata a capo di queste ribellioni, ma ha certamente avuto una presenza e un'influenza considerevole che si può vedere sia nei metodi e nelle forme di organizzazione adottate dal movimento, sia, in alcuni casi, dallo sviluppo specifico delle lotte operaie, come gli scioperi in Algeria e soprattutto la grande ondata di scioperi in Egitto"[7], non è riuscita a localizzare con precisione il terreno di classe su cui si sono sviluppati o a identificare la dinamica della componente operaia che si poteva trovare in questi movimenti; La nostra analisi si è basata su un approccio empirico: il paragone con l'Iran del 1979, pur essendo stimolante, è stato utilizzato senza inserirlo nella nuova situazione, senza contestualizzarlo nel nostro quadro: "Quando cerchiamo di capire la natura di classe di queste ribellioni, dobbiamo quindi evitare due errori simmetrici: da un lato, un'identificazione generale di tutte le masse in lotta con il proletariato (la posizione più caratteristica di questa visione è quella del Gruppo Comunista Internazionalista), e dall'altro, un rifiuto di ciò che può essere positivo nelle rivolte che non sono esplicitamente quelle della classe operaia."[8] La seconda parte della citazione fa delle concessioni a un approccio che considera i lati "positivi" e i lati "negativi" senza basarsi sulla loro natura di classe.
Una sopravvalutazione di questi movimenti: "Tutte queste esperienze sono veri e propri trampolini di lancio per lo sviluppo di una coscienza veramente rivoluzionaria. Ma la strada in questa direzione è ancora lunga, è disseminata di molte innegabili illusioni e debolezze ideologiche"[9]; "L'insieme di queste rivolte costituisce una formidabile esperienza sulla strada che conduce alla coscienza rivoluzionaria"[10]
Debolezze nell'applicazione del nostro quadro politico
Dimenticato il quadro della critica dell'anello debole
Se l'organizzazione aveva ragione a sottolineare che il movimento degli "Indignados" e le rivolte delle classi sfruttate, specialmente la classe operaia del Medio Oriente, hanno un'origine comune negli effetti della crisi economica globale, lo ha fatto equiparando, o raggruppando, tutti i movimenti, sia che provengano da paesi centrali che periferici. Cioè, senza collocarli nel quadro della critica della teoria dell'anello debole (vedi la risoluzione sulla situazione internazionale del XX Congresso)[11].
La CCI ha definito il movimento degli Indignados[12] come un movimento proletario segnato:
- Da una perdita di identità di classe: "Questo spiega in parte perché la partecipazione del proletariato come classe non è stata dominante, ma che è stato presente attraverso la partecipazione individuale di lavoratori (salariati, disoccupati, studenti, pensionati) che cercano di chiarificarsi, di implicarsi secondo il loro istinto, ma a cui mancano la forza, la coesione e la chiarezza che dà il fatto di agire collettivamente come classe."
- Da una "forte presenza di strati sociali non proletari, in particolare di un ceto medio in via di proletarizzazione". "Benché il movimento sembri vago e mal definito, questo non può mettere in dubbio il suo carattere di classe, soprattutto se consideriamo le cose nella loro dinamica, nella prospettiva del futuro... La presenza del proletariato non è visibile come forza dirigente del movimento e nemmeno attraverso una mobilitazione a partire dai luoghi di lavoro. Essa sta invece nella dinamica di ricerca, chiarificazione, preparazione del terreno sociale, riconoscimento della lotta che si prepara. Qui sta tutta la sua importanza, nonostante il fatto che resta un piccolo passo avanti estremamente fragile.”
I nostri testi di questo periodo non distinguono tra il movimento degli Indignados in Spagna e le rivolte nei paesi arabi. Eppure ci sono differenze molto importanti: in Spagna, anche se l'ala proletaria non ha dominato il movimento degli Indignados, ha lottato per la propria autonomia di fronte agli sforzi di "Democracia Ya" per distruggerla. Nei paesi arabi, il proletariato, nel migliore dei casi, non è stato in grado di reggere sul proprio terreno, né di utilizzare i propri metodi di lotta per sviluppare la propria coscienza, lasciandosi mobilitare dietro le fazioni nazionaliste e democratiche[13].
Assenza del quadro della decomposizione
Senza mai negare la sua esistenza o il peso delle difficoltà profonde di questi movimenti, e sottolineando gli "aspetti positivi" delle rivolte sociali[14], l'analisi di questi movimenti nei paesi arabi non è stata collocata nel quadro della decomposizione[15]. Questo portò ad un indebolimento della ferma denuncia del veleno democratico e nazionalista così forte in questi paesi, e del pericolo che rappresentava soprattutto in queste parti del mondo, ma anche e soprattutto di fronte alla propaganda delle borghesie occidentali verso il proletariato europeo, che insisteva sulla necessità della democrazia nei paesi arabi.
Delle debolezze più generali dell’organizzazione che condizionano le sue analisi e prese di posizione
L’impazienza di vedere dappertutto e rapidamente l’uscita dal riflusso cominciato nel 1989 in seguito al rilancio delle lotte del 2003 ha costituito un pesante fardello: “L’attuale ondata internazionale di rivolte contro l’austerità capitalista sta aprendo la porta a tutt’altra soluzione: la solidarietà di tutti gli sfruttati al di là di ogni divisione religiosa o nazionale; la lotta di classe in tutti i paesi con l’obiettivo finale di un mondo nuovo che sarà la negazione dei confini nazionali e degli Stati. Uno o due anni fa una tale prospettiva sarebbe sembrata completamente utopica ai più. Oggi, un numero crescente di persone si rende conto che una rivoluzione globale costituisce un’alternativa realistica al collasso dell’ordine del capitalista globale.”[16]
La posizione della CCI è stata marcata non solo da una sopravvalutazione generale della situazione, ma anche da una sopravvalutazione dell’importanza dei movimenti nei paesi arabi per lo sviluppo di una prospettiva proletaria. Ancora, la tendenza a dimenticare l’importanza del dibattito nell’ambiente politico proletario ha avuto ugualmente un’influenza negativa: mentre il contributo del Nucleo Comunista Internazionalista d’Argentina all’analisi del movimento dei Piqueteros nel 2002-2004 era stato molto importante, la CCI non è stata capace di prendere altrettanto in conto le critiche formulate nei suoi confronti, nel 2011, da Internationalist Voice.
Abbiamo fatto errori opportunisti nell’analisi dei movimenti arabi?
Da quanto detto possiamo concludere che la CCI, sulla questione dell’analisi dei movimenti nei paesi arabi nel 2011, dove il loro carattere di massa, la loro simultaneità con altri movimenti nei paesi occidentali, le forme prese da questi movimenti (assemblee, ecc.), la presenza della classe operaia (diversa dal carattere caotico di un certo numero di rivolte interclassiste o dominate da gruppi gauchistes, come fu con i Piqueteros per esempio) sono stati esaminati senza prenderla da lontano e senza avere una visione lucida di quello che essi rappresentavano veramente, in un contesto in cui le parti più esperte del proletariato mondiale non erano in grado di fornire una prospettiva e una direzione. Questo approccio corrisponde all’immediatismo.
Nel contesto generale che favoriva l’impazienza e la precipitazione che esisteva nell’organizzazione, credendo che il proletariato mondiale era già vicino a superare il riflusso post-89, questo immediatismo era certamente l’anticamera dell’opportunismo, il punto di partenza di uno scivolamento verso l’opportunismo e l’abbandono delle posizioni di classe, come si può verificare esaminando le diverse maniere in cui questo immediatismo si è manifestato:
- Il carattere piuttosto contraddittorio delle nostre prese di posizione sulle rivolte in Medio Oriente;
- L’assenza di coerenza e di articolazione rispetto alle posizioni di base dell’organizzazione che sottendono le nostre analisi politiche, se non la loro dimenticanza o il loro abbandono (per esempio sostituendo il concetto di lotte interclassiste con quello di rivolete sociali, senza spiegare veramente cosa intendevamo per “rivolte sociali”);
- L’approccio piuttosto empirico e superficiale tendente a restare alla superficie delle cose invece che rifarsi al nostro quadro politico;
- Il ruolo giocato dalla nostra visione dell’indignazione come fattore unilateralmente positivo per lo sviluppo della coscienza proletaria (o anche come indice della natura positiva di un movimento, per qualsiasi movimento si trattasse);
- La tendenza a vedere elementi positivi laddove la situazione era dominata dai più grandi pericoli per la classe, il che porta a un indebolimento della denuncia dell’ideologia borghese.
Se tutti questi elementi riuniscono le condizioni per delle posizioni apertamente opportuniste – se la chiarezza proletaria e la difesa delle posizioni di classe da parte della CCI non costituiscono una barriera a queste tendenze deleterie – bisogna anche dire che la CCI non ha preso delle posizioni che contraddicevano apertamente la sua piattaforma e le posizioni di classe. Bisogna situare queste difficoltà al livello di ciò che esse realmente rappresentavano (il che non significa relativizzare la loro importanza o la loro pericolosità). L’analisi e l’intervento della CCI sono stati indeboliti dall’immediatismo (con tutto ciò che questo implica a livello dell’ambiguità, della superficialità, della mancanza di rigore, della dimenticanza della difesa del nostro quadro e delle nostre posizioni politiche, e di una dinamica che apre la porta all’opportunismo), ma non si può concludere che essa ha preso delle posizioni direttamente opportuniste (cosa che invece si è verificato nel caso del movimento dei giovani sull’ecologia).
La relazione tra lotte parcellari e interclassismo
La deriva relativamente al movimento giovanile contro i disastri ecologici significa una dimenticanza del punto 12 della nostra Piattaforma: “La questione ecologica, come tutte le questioni sociali, (che si tratti della scuola, delle relazioni familiari e sessuali o altre) sono destinate a giocare un ruolo enorme in ogni presa di coscienza futura e ogni lotta comunista. Il proletariato, e solo lui, ha la capacità di integrare queste questioni nella sua coscienza rivoluzionaria. Ciò facendo, il proletariato allargherà ed approfondirà questa coscienza. Così potrà dirigere tutte le “lotte parziali” e dare loro una prospettiva. La rivoluzione proletaria dovrà affrontare in maniera molto concreta tutti questi problemi nella lotta per il comunismo. Ma essi non possono essere il punto di partenza per lo sviluppo di una prospettiva di classe rivoluzionaria. In assenza del proletariato essi sono nel caso peggiore il punto di partenza di nuovi cicli di barbarie. Il volantino e l’articolo della CCI in Belgio sono degli esempi flagranti di opportunismo. Questa volta non si tratta di opportunismo in materia di organizzazione, ma di opportunismo rispetto alle posizioni di classe esposte nella nostra piattaforma. (Contributo del compagno S. in un bollettino interno del 2019)
Possiamo dire che il rapporto sulla lotta di classe del 23° Congresso non mancava di ambiguità in proposito. Ha adottato una posizione ambigua sulla natura di questi movimenti e lasciava la porta aperta all’idea che questi movimenti potevano giocare un ruolo positivo nello sviluppo della coscienza.[17]
Abbiamo avuto difficoltà a vedere quello che distingue questi due tipi di movimenti, con una tendenza ad amalgamarli, a metterli sullo stesso piano. Cosa distingue dunque le lotte interclassiste e le lotte parcellari? Nei movimenti interclassisti le rivendicazioni operaie sono diluite e mescolate con delle rivendicazioni piccolo-borghesi (vedi ad esempio i Gilet gialli). Non è così nel caso delle lotte parcellari, che si manifestano essenzialmente a livello delle sovrastrutture; le loro rivendicazioni si concentrano su temi che mettono da parte le fondamenta della società capitalista, anche se esse possono indicare il capitalismo come responsabile, come possiamo vedere con la questione del clima o dell’oppressione delle donne che è imputato al patriarcato capitalista. Esse sono anche dei fattori di divisione in seno alla classe operaia, divisioni con i lavoratori impiegati nel settore dell’energia nel primo caso, o rafforzando le divisioni fra i sessi. I lavoratori possono essere coinvolti nelle lotte parcellari, ma questo non le rende interclassiste. Si tratta di chiarire la differenza tra le lotte parcellari e le lotte interclassiste e cosa possono avere in comune.
Sull’indignazione
Negli anni del secondo decennio del 21° secolo la CCI ha riconosciuto l’indignazione come una componente importante della lotta di classe del proletariato e un fattore della sua presa di coscienza. Tuttavia la CCI ha avuto tendenza a definire la sua importanza “in sé”, in una maniera un po’ metafisica. Una delle radici delle nostre difficoltà risiede nell’utilizzazione inappropriata e unilaterale del concetto dell’indignazione, come qualcosa di necessariamente positiva, una indicazione della riflessione e anche dello sviluppo della coscienza di classe, senza tenere conto della natura di classe che la ha originata, o del terreno di classe su cui si esprime. Con il prosieguo dell’approfondirsi della decomposizione ci saranno numerosi movimenti spinti dall’indignazione, dal disgusto, dalla collera in larghi strati della società contro i fenomeni che caratterizzano questo periodo.
Il rapporto sulla lotta di classe del 23° Congresso della CCI contiene una sezione sull’indignazione sociale contro la natura distruttrice della società capitalista (per esempio in reazione all’assassinio di neri, la questione climatica o l’oppressione delle donne). Ma affermando che la collera espressa da questi movimenti possa essere recuperata dal proletariato quando questo avrà ritrovato la sua identità di classe e lotterà sul suo terreno, si introduce la falsa idea che il proletariato potrà “assumere” la direzione di tali movimenti nella loro forma attuale. In realtà questi movimenti dovranno “dissolversi” prima che gli elementi che vi partecipano possano raggiungere la lotta proletaria. Questo dice la Piattaforma nel suo punto 12: “La lotta contro i fondamenti economici del sistema contiene la lotta contro gli aspetti sovrastrutturali della società capitalistica, ma il contrario è falso.”. Inoltre tali lotte parcellari tendono ad ostacolare la lotta della classe operaia, la sua autonomia, ed è perciò che la borghesia sa molto bene come recuperarli per preservare l’ordine capitalista. In questo senso, l’indignazione non è in sé un fattore di sviluppo della coscienza di classe: tutto dipende dal terreno su cui essa si esprime. Questa reazione emotiva che può provenire da differenti classi non conduce automaticamente a una riflessione che possa contribuire allo sviluppo della coscienza di classe.
L’organizzazione deve chiarire quali sarebbero le condizioni, su scala storica, perché un movimento proletario autonomo possa dare un orientamento e una direzione completamente nuovi a tutte le diverse sofferenze ed oppressioni imposte dalla società capitalista, e che oggi, in assenza di una direzione proletaria, trovano il loro solo esito sul terreno delle mobilitazioni interclassiste o borghesi.
L’impatto della crisi capitalista sull’insieme della società impone la chiarificazione di un’altra questione: quale è il rapporto della lotta del proletariato con le altre classi, strati intermedi o non sfruttati, che esistono ancora nel capitalismo e capaci di sviluppare le loro mobilitazioni contro la politica dello Stato (come i movimenti contadini).
Parte 4. Cosa è cambiato dopo il 23° Congresso?
Dal movimento degli Indignados è passato quasi un decennio. Per quanto importante esso sia stato non ha comunque segnato la fine del riflusso aperto nel 1989. Noi sappiamo anche che la borghesia – soprattutto in Francia dove il pericolo di contagio era più evidente – ha preso delle contromisure per impedire che potesse scoppiare un movimento simile, o più avanzato, nel focolaio tradizionale delle rivoluzioni.
Per certi versi, il riflusso della classe si è accentuato dopo l’esaurimento dei movimenti del 2011. Le illusioni che hanno predominato nelle Primavere arabe, data l’incapacità della classe operaia a fornire una leadership alle diverse rivolte, sono state annegate nella barbarie, nella guerra, nel terrorismo e nella repressione feroce. In Europa e negli Stati Uniti la marea populista, in parte alimentata dai barbari sviluppi in Africa e nel Medio oriente che hanno provocato la crisi dei rifugiati e il ritorno del terrorismo islamico, ha toccato una parte della classe operaia. Nel “Terzo Mondo” la crescita della miseria economica ha provocato delle rivolte popolari in cui la classe operaia è stata di nuovo incapace di manifestarsi sul terreno che gli è proprio; in maniera ancora più significativa la tendenza del malcontento sociale a prendere un carattere interclassista si è chiaramente espressa in un paese centrale come la Francia, con le manifestazioni dei Gilet gialli che si sono protratte per tutto un anno. A partire dal 2016, con l’arrivo al potere di Trump e il voto per la Brexit in Gran Bretagna, lo sviluppo del populismo ha raggiunto dei livelli spettacolari, coinvolgendo una parte della classe operaia nelle sue campagne contro le “élite”. E nel 2020 tutto questo processo di decomposizione si è accentuato in maniera ancora più spettacolare con la pandemia. Il clima di paura generato dalla pandemia e il blocco che ne risulta hanno accresciuto ancora di più l’atomizzazione della classe operaia e creato profonde difficoltà per una risposta di classe alle conseguenze economiche devastatrici della crisi del Covid-19.
Ciononostante, poco prima che la pandemia scoppiasse, abbiamo assistito a un nuovo sviluppo di movimenti di classe: lo sciopero degli insegnanti e degli operai della General Motors negli Stati Uniti; gli scioperi generalizzati in Iran nel 2018 che hanno posto la questione dell’auto-organizzazione, anche se, contrariamente alle esagerazioni di una parte dell’ambiente politico proletario, si era ancora ben lontani dalla formazione dei soviet. Questi ultimi scioperi hanno in particolare posto la questione della solidarietà di classe di fronte alla repressione statale.
Soprattutto abbiamo avuto le lotte in Francia alla fine del 2019, dove battaglioni chiave della classe operaia hanno manifestato con rivendicazioni di classe, evitando il movimento dei Gilet gialli che era ridotto a una presenza simbolica alla coda dei cortei.
Altre espressioni di combattività hanno toccato altri paesi, per esempio la Finlandia. Ma la pandemia ha colpito il cuore dell’Europa, paralizzando in larga misura la possibilità per le lotte in Francia di prendere una dimensione internazionale. Cionondimeno, in diversi luoghi del mondo ci sono stati scioperi di lavoratori per la difesa delle loro condizioni di lavoro di fronte alle misure sanitarie completamente inadatte prese dallo Stato e dal padronato.[18] Questi movimenti non hanno potuto svilupparsi ulteriormente a causa delle restrizioni imposte col primo confinamento, benché il ruolo centrale della classe operaia nel permettere che la vita della società continuasse sia stato messo in evidenza dai settori che non hanno avuto altra scelta che continuare a lavorare durante il confinamento: sanità, trasporti, alimentazione, ecc. La classe dirigente ha fatto grossi sforzi per presentare questi lavoratori come degli eroi al servizio della nazione, ma l’ipocrisia dei governi – e quindi la base di classe dei «sacrifici» di questi lavoratori – era evidente per molti. In Gran Bretagna, per esempio, i lavoratori della sanità hanno manifestato la loro collera quando è risultato che il loro « eroismo » non valeva un aumento di salario.[19]
Oltre alla pandemia la classe operaia è rapidamente stata confrontata ad altri ostacoli allo sviluppo della coscienza di classe, soprattutto negli Stati Uniti, dove le manifestazioni di «Black Lives Matter» si sono polarizzate su una mobilitazione settoriale, quella della razza, seguite rapidamente dall’enorme campagna elettorale che ha dato un nuovo slancio alle illusioni democratiche. Queste due campagne hanno avuto un impatto internazionale importante. In particolare negli Stati Uniti il pericolo che la classe operaia sia coinvolta, attraverso le politiche identitarie di destra e di sinistra, in scontri violenti dietro frazioni borghesi concorrenti resta molto reale: il drammatico assalto al Capitol da parte dei partigiani di Trump dimostra che anche se Trump è stato estromesso dal governo, il trumpismo resta una forza potente a livello delle mobilitazioni di piazza. Infine, i lavoratori sono ora confrontati a una seconda ondata della pandemia e a una nuova serie di restrizioni che non solo rinnovano l’atomizzazione della classe da parte dello Stato, ma hanno anche portato allo sviluppo di una frustrazione contro le restrizioni che ha trascinato certe parti della classe in proteste reazionarie alimentate dalle teorie complottiste e dall’ideologia de «l’individuo sovrano».
Per il momento, la combinazione di tutti questi elementi, ma soprattutto le condizioni imposte dalla pandemia, hanno agito come un freno importante alla fragile ripresa della lotta di classe tra il 2018 e il 2020. È difficile prevedere quando durerà questa situazione e quindi non possiamo individuare delle prospettive concrete per lo sviluppo della lotta nel corso del futuro periodo. Quello che noi possiamo dire, tuttavia, è che la classe operaia sarà confrontata a degli attacchi brutali alle sue condizioni di vita. Una cosa che è già cominciata in un certo numero di settori in cui gli imprenditori hanno ridotto drasticamente i posti di lavoro. I governi dei paesi centrali del capitalismo mantengono ancora una certa prudenza nei confronti della classe, sovvenzionando le imprese per permettere loro di conservare i loro effettivi, mettendo in cassa integrazione i lavoratori che non possono lavorare a domicilio per evitare una caduta immediata nella pauperizzazione, prendendo delle misure per evitare gli sfratti degli inquilini che non riescono a pagare gli affitti, e così via. Queste misure costano molto care ai governi e appesantiscono considerevolmente il peso del debito statale. Noi sappiamo che prima o poi i lavoratori saranno chiamati a pagare tutto questo.
Parte 5. Dibattito sul rapporto di forza fra le classi
La drammatica evoluzione della situazione mondiale dopo l’ultimo congresso della CCI ha inevitabilmente dato luogo a dei dibattiti tanto in seno all’organizzazione che tra i nostri contatti e simpatizzanti. Questi dibatti hanno riguardato l’importanza della pandemia e dell’accelerazione della decomposizione, ma essi hanno anche posto nuove questioni sul rapporto di forze tra le classi. Al congresso della sezione in Francia dell’estate 2020 sono state avanzate alcune critiche al rapporto sulla lotta di classe, in particolare sulla sua valutazione del movimento contro la riforma delle pensioni in Francia di inizio 2019. Un contributo nel bollettino interno (della compagna M, 2021) in particolare faceva notare – noi pensiamo a giusto titolo – che il rapporto pretendeva che il movimento avesse raggiunto un certo livello di politicizzazione senza fornire prove sufficienti per una tale tesi; allo stresso tempo che nel rapporto c’era una mancanza di chiarezza rispetto alla distinzione tra politicizzazione delle lotte e politicizzazione delle minoranze –una distinzione che questo rapporto cerca di chiarire. Questo contributo mette in guardia contro une sovrastima del livello attuale della lotta di classe (un errore che nel passato abbiamo commesso spesso – vedi il rapporto del 21° congresso):
- "La tendenza alla politicizzazione delle lotte non si è rivelata nel movimento contro la riforma delle pensioni in Francia. Non ci sono stati spazi di dibattito proletario, nessuna assemblea generale. La politicizzazione della classe operaia sul suo terreno di classe sarà inseparabile dall’uscita dal profondo riflusso che essa ha subito dopo il 1989.Il proletariato in Francia, come in tutti i paesi, non ha ancora ritrovato il cammino della sua prospettiva rivoluzionaria, cammino bloccato dal crollo del blocco dell’est. Con l’aggravarsi della crisi e degli attacchi contro le proprie condizioni di vita è evidente che oggi la classe prende sempre più coscienza che il capitalismo non ha nessun avvenire da offrirle. La classe cerca una prospettiva, ma essa non sa ancora che è tra le sue mani e nelle sue lotte che questa prospettiva è nascosta. Questa coscienza della realtà mostruosa del mondo attuale non significa una politicizzazione sul suo terreno di classe, cioè al di fuori del quadro della democrazia borghese. Malgrado il suo enorme potenziale di combattività (che non è stata cancellata dall’irruzione della pandemia) il proletariato in Francia non pone ancora la questione della rivoluzione proletaria. Anche se la parola “rivoluzione” è ritornata su certi cartelli, che contenuto aveva? Non credo che si trattasse della rivoluzione “proletaria”. La classe operaia in Francia non ha ancora ritrovato la sua identità di classe (che era molto embrionaria nel movimento contro la riforma delle pensioni). C’è ancora nel suo seno un rigetto o comunque una diffidenza rispetto alla parola “comunismo”.
Ed aggiunge che questa sovrastima della tendenza alla politicizzazione può aprire la porta a una visione consiliarista: “La politicizzazione delle lotte non può verificarsi che quando l’avanguardia rivoluzionaria comincia ad avere una certa influenza nelle lotte operaie (in particolare nelle assemblee generali). Non è questa la situazione oggi. Il rapporto del congresso di RI apre dunque la porta a una visione consiliarista affermando che già esistono ‘dei segni di una politicizzazione della lotta.”
Il pericolo di una visione consiliarista si può rilevare anche nelle divergenze sollevate dal compagno S. durante e dopo il 23° Congresso, anche se non partendo dallo stesso punto. Queste divergenze si sono in seguito approfondite e hanno dato luogo a un dibattito pubblico che, a sua volta, ha avuto un certo impatto su alcuni dei nostri contatti. Giacchè queste divergenze riguardano il problema del rapporto di forze fra le classi, esse toccano tre punti essenziali:
- Il potenziale e i limiti delle lotte economiche
- La questione della maturazione sotterranea della coscienza
- La questione delle “sconfitte politiche”. A questo proposito la pubblicazione del primo giro del dibattito su queste divergenze ha portato alcuni nostri contatti ad interrogarsi su cosa è successo negli anni ’80.
Lotte economiche e maturazione sotterranea
Nella sua replica alla nostra risposta (Bollettino interno 2021) il compagno S. afferma che lui è d’accordo con la CCI sulla necessità della lotta economica perché i lavoratori devono difendere la loro esistenza fisica contro lo sfruttamento capitalista; perché i lavoratori devono lottare per “avere una vita” al di là della giornata di lavoro al fine di avere accesso alla cultura, ai dibattiti politici, e così via; e perché, come dice Marx, una classe che non può lottare per i suoi interessi a questo livello non può certo presentarsi come una forza capace di trasformare la società. Ma allo stesso tempo, dice il compagno S., nelle condizioni di decomposizione, in particolare a causa dell’indebolimento della prospettiva di una rivoluzione sociale dovuto all’impatto del crollo del blocco dell’Est, i legami storici tra le dimensioni economiche e politiche della lotta sono stati rotti al punto che questa unità non può essere ritrovata attraverso lo sviluppo delle sole lotte economiche. E qui egli cita Rosa Luxemburg in Riforme e Rivoluzione per mettere in guardia la CCI contro ogni ricaduta in una visione consiliarista in cui i «lavoratori di per sè stessi», senza il ruolo indispensabile dell’organizzazione rivoluzionaria, possano ritrovare la loro prospettiva rivoluzionaria: "Il socialismo non consegue dunque spontaneamente e sotto qualunque circostanza dalla lotta quotidiana della classe operaia. Esso scaturisce soltanto dal sempre maggiore inasprimento delle contraddizioni dell’economia capitalista e dall’apprendimento da parte della classe operaia della irremissibile necessità della loro eliminazione attraverso un rivolgimento sociale."
La conclusione del compagno S. è che il principale pericolo a cui è confrontata la CCI è una deviazione consiliarista per cui l’organizzazione lascia al risorgere delle lotte economiche il compito di politicizzarsi “spontaneamente”, dimenticando così quello che dovrebbe essere il suo compito principale: realizzare l’approfondimento teorico necessario che permetterebbe alla classe di riprendere fiducia nel marxismo e nella possibilità di una società comunista.
Come abbiamo visto il pericolo del conciliarismo non può essere scartato quando si tratta di comprendere il processo di politicizzazione: abbiamo imparato a nostre spese che il pericolo di diventare troppo entusiasti rispetto alle possibilità e alla profondità delle lotte immediate è sempre presente. Siamo anche d’accordo con Luxemburg - e Lenin - per dire che la coscienza socialista non è il prodotto meccanico della lotta quotidiana, ma che essa è il prodotto del movimento storico della classe, che include certamente l’elaborazione teorica e l’intervento dell’organizzazione rivoluzionaria. Ma quello che manca nell’argomentazione di S. è una spiegazione del processo reale attraverso il quale la teoria rivoluzionaria può di nuovo “impadronirsi delle masse”. Secondo noi questo è legato a un disaccordo sulla questione della maturazione sotterranea.
Nel suo testo, il compagno dice: "La risposta mi chiede se considero la situazione attuale peggiore di quella degli anni '30 (quando gruppi come Bilan contribuirono ad una 'maturazione sotterranea' politica e teorica della coscienza nonostante la sconfitta della classe), giacché nego l'esistenza di una tale maturazione al momento attuale. Sì, a livello di maturazione sotterranea, la situazione è effettivamente peggiore che negli anni '30, perché oggi la tendenza dei rivoluzionari è piuttosto verso la regressione politica e teorica.”
Per rispondere a questo è necessario tornare al nostro dibattito iniziale sulla questione della maturazione sotterranea – in polemica con la posizione consiliarista secondo cui la coscienza di classe non si sviluppa che nelle fasi di lotta aperta.
Così, l'argomento del compagno MC[20] nel testo "Sulla maturazione sotterranea" (Bollettino Interno1983) era che il rifiuto della maturazione sotterranea sottovalutava profondamente il ruolo dell'organizzazione rivoluzionaria nello sviluppo della coscienza di classe: "La lotta di classe del proletariato conosce alti e bassi, ma questo non è il caso della coscienza di classe: l'idea di una regressione della coscienza con il riflusso della lotta di classe è contraddetta da tutta la storia del movimento operaio, una storia in cui l'elaborazione e l'approfondimento della teoria continua in un periodo di riflusso. È vero che il campo, l'estensione della sua azione si sta restringendo, ma non la sua elaborazione in profondità".
S. evidentemente non nega il ruolo dell’organizzazione rivoluzionaria nell’elaborazione della teoria. Così quando egli parla di “regressione sotterranea”, vuol dire che l’avanguardia politica comunista (e quindi anche la CCI) non arriva a fare il lavoro teorico necessario per restaurare la fiducia della classe operaia nella sua prospettiva rivoluzionaria, e che quindi essa regredisce teoricamente e politicamente.
Ma ricordiamo che il testo di MC non limita la maturazione sotterranea al lavoro dell'organizzazione rivoluzionaria:
- “Il lavoro di riflessione continua nella testa dei lavoratori e si manifesterà nella recrudescenza di nuove lotte. C'è una memoria collettiva della classe, e questa memoria contribuisce anche allo sviluppo della coscienza e alla sua estensione nella classe". O ancora: "Questo processo di sviluppo della coscienza non è riservato solo ai comunisti per la semplice ragione che l'organizzazione comunista non è l'unica sede della coscienza. Questo processo è anche il prodotto di altri elementi della classe che rimangono saldamente su un terreno di classe o tendono in quella direzione".
Questo punto è importante perché S. sembra limitare la maturazione sotterranea proprio all'organizzazione rivoluzionaria. Se capiamo bene, dato che la CCI tende alla regressione teorica e politica, questa sarebbe la prova della "regressione sotterranea" di cui parla. Naturalmente, non siamo d'accordo con questa valutazione della situazione attuale della CCI, ma questa è un'altra discussione. Il punto su cui concentrarsi qui è che l'organizzazione comunista e l'ambiente politico proletario sono solo la punta dell'iceberg di un processo più profondo che sta avvenendo nella classe:
in una polemica con il CWO nella Révue Internationale n. 43 sul problema della maturazione sotterranea, abbiamo definito questo processo come segue:
- "al livello più basso della coscienza, così come negli strati più ampi della classe, questa (maturazione sotterranea) prende la forma di una contraddizione crescente tra l'essere storico, i bisogni reali della classe, e l'adesione superficiale dei lavoratori alle idee borghesi. Questo scontro può rimanere in gran parte non riconosciuto, sepolto o represso per molto tempo, o può iniziare ad emergere sotto forma di disillusione e distacco rispetto a i temi principali dell'ideologia borghese;
- in un settore più piccolo della classe, tra gli operai che rimangono fondamentalmente sul terreno proletario, prende la forma della riflessione sulle lotte passate; discussioni più o meno formali sulle lotte future; l'emergere di nuclei combattivi nelle fabbriche e tra i disoccupati. Recentemente, la manifestazione più spettacolare di questo aspetto del fenomeno della maturazione sotterranea è stata data dagli scioperi di massa in Polonia nel 1980, in cui i metodi di lotta utilizzati dai lavoratori hanno mostrato che c'era stata una reale assimilazione di molte delle lezioni delle lotte del 1956, 1970 e 1976 ......
- in una frazione della classe, ancora più limitata nelle dimensioni, ma destinata a crescere con l'avanzare della lotta, questo prende la forma di una difesa esplicita del programma comunista, e quindi di un raggruppamento in un'avanguardia marxista organizzata. L'emergere delle organizzazioni comuniste, lungi dall'essere una confutazione della nozione di maturazione sotterranea, ne è al contempo un prodotto e un fattore attivo.”[21]
Quello che manca in questo modello è un altro strato costituito da quegli elementi che spesso non sono prodotti diretti dei movimenti di classe, ma che sono alla ricerca di posizioni comuniste; essi costituiscono la "palude" (o quella parte di essa che è il prodotto di un avanzamento politico, anche se confuso, e non quegli elementi che esprimono una regressione da un livello superiore di chiarezza), e anche quelli che si muovono più esplicitamente verso le organizzazioni rivoluzionarie.
L'emergere di un tale strato non è l'unica indicazione della maturazione sotterranea, ma è certamente la più evidente. S. ha sostenuto che l'emergere di questo strato può essere spiegato semplicemente facendo riferimento alla natura rivoluzionaria della classe operaia. Dato che intendiamo la classe non come una forza statica, ma come una forza dinamica, è più accurato vedere questo strato come il prodotto di un movimento verso la coscienza all'interno della classe. Ed è certamente necessario studiare la dinamica all'interno del movimento: capire se c'è un processo di maturazione in atto in questo strato - in altre parole, questo ambiente di elementi di ricerca mostra segni di sviluppo? E se confrontiamo le due "ondate" di minoranze politicizzate che sono emerse dal 2003 circa, ci sono effettivamente indicazioni che un tale sviluppo ha avuto luogo.
La prima ondata ha avuto luogo a metà degli anni 2000 e ha coinciso con quella che abbiamo chiamato una nuova generazione della classe operaia, che si è manifestata nel movimento "anti-CPE" e negli "Indignados". Una piccola parte di questo milieu gravitava verso la sinistra comunista e si unì anche alla CCI, il che fece nascere la speranza di incontrare una nuova generazione di rivoluzionari (vedi il testo di orientamento sulla cultura del dibattito[22]). In realtà, si trattava di un "movimento" ampiamente presente nella palude e che si dimostrò molto permeabile all'influenza dell'anarchismo, del modernismo e del parassitismo. Uno dei tratti distintivi di questo movimento fu, accanto a una sfiducia nell'organizzazione politica, una profonda resistenza al concetto di decadenza e quindi ai gruppi della sinistra comunista, percepiti come settari e apocalittici, soprattutto la CCI. Alcuni degli elementi di questa ondata erano stati coinvolti nell'ultra-attivismo del movimento anticapitalista negli anni '90, e sebbene abbiano fatto un primo passo nel vedere la centralità della classe operaia nel rovesciamento del capitalismo, hanno mantenuto la loro inclinazione attivista, spingendo alcuni di loro (per esempio la maggioranza del collettivo organizzatore di Libcom) verso un anarco-sindacalismo rinnovato, verso idee di "organizzazione" sui luoghi di lavoro, che prosperano sulla possibilità di ottenere piccole vittorie e si allontanano da qualsiasi nozione che lo svolgimento oggettivo e storico della crisi sia esso stesso un fattore di sviluppo della lotta di classe.
La seconde vague d'éléments en recherche, dont nous avons pris conscience ces dernières années, bien que peut-être de moindre ampleur que la précédente, se situe certainement à un niveau plus profond : elle tend à considérer la décadence et même la décomposition comme une évidence ; elle contourne souvent l'anarchisme, qu'elle considère comme dépourvu des outils théoriques permettant de comprendre la période actuelle, et craint moins de contacter directement les groupes de la gauche communiste. Souvent très jeunes et sans expérience directe de la lutte des classes, leur souci premier est d'approfondir, de donner un sens au monde chaotique qui leur fait face en assimilant la méthode marxiste. Il s'agit ici, à notre avis, d'une concrétisation claire de la conscience communiste résultant, selon les termes de Rosa Luxemburg, de "l'acuité des contradictions objectives de l'économie capitaliste d'une part, (et) de la compréhension subjective du caractère indispensable de son dépassement par une transformation socialiste d'autre part".
La seconda ondata di elementi di ricerca, di cui siamo venuti a conoscenza negli ultimi anni, anche se forse di minore entità della precedente, si situa certamente a un livello più profondo: tende a considerare la decadenza e persino la decomposizione come una evidenza; spesso aggira l'anarchismo, che considera privo degli strumenti teorici per comprendere il periodo attuale, e ha meno paura di contattare direttamente i gruppi della sinistra comunista. Spesso molto giovani e senza esperienza diretta della lotta di classe, la loro prima preoccupazione è quella di approfondire la comprensione del mondo caotico che hanno di fronte assimilando il metodo marxista. A nostro avviso, si tratta di una chiara concretizzazione della coscienza comunista risultato, come dice Rosa Luxemburg, del "sempre maggiore inasprimento delle contraddizioni dell’economia capitalista e dall’apprendimento da parte della classe operaia della irremissibile necessità della loro eliminazione attraverso un rivolgimento sociale".
Per quanto riguarda questo strato emergente di elementi politicizzati, la CCI ha una doppia responsabilità come organizzazione di tipo "frazione". Da un lato, certo, l'elaborazione teorica vitale necessaria per fornire un'analisi chiara di una situazione mondiale in continua evoluzione e per arricchire la prospettiva comunista[23] Ma anche un paziente lavoro di costruzione organizzativa: un lavoro di "formazione di quadri", come diceva la GCF dopo la seconda guerra mondiale, di sviluppo di nuovi militanti che manterranno la rotta; di difesa contro l’influenza dell'ideologia borghese, le calunnie del parassitismo, ecc. Questo lavoro di costruzione organizzativa non appare affatto nella risposta di S., eppure è certamente uno degli elementi principali della lotta reale contro il consiliarismo.
Inoltre, se questo processo di maturazione sotterranea è reale, se è la punta dell'iceberg degli sviluppi che avvengono in strati molto più ampi della classe, la CCI ha ragione a prevedere la possibilità di una futura riconnessione tra le lotte difensive e il crescente riconoscimento che il capitalismo non ha futuro da offrire all'umanità. In altre parole, preannuncia il potenziale intatto della politicizzazione delle lotte e la loro convergenza con l'emergere di nuove minoranze rivoluzionarie e il crescente impatto dell'organizzazione comunista.
Sulle "sconfitte politiche”
La pubblicazione di un primo giro di discussione sui rapporti di forza tra le classi ha portato alla luce diverse divergenze nel nostro ambiente di simpatizzanti stretti. Sul forum della CCI, in particolare alla voce "Dibattito interno alla CCI sulla situazione internazionale "(Internal debate in the ICC on the international situation), in uno scambio di contributi con MH; e sul “Dibattito sul bilancio di forze tra le classi” (Debate on the balance of class force), nelle nostre riunioni di contatto, e sul blog di MH stesso[24]. Il compagno MH in particolare è diventato sempre più critico nei confronti della nostra visione che è stato essenzialmente il crollo del blocco orientale nel 1989 a causare il lungo riflusso della classe dal quale dobbiamo ancora emergere. Per MH, è stata in gran parte un'offensiva politico/economica della classe dominante dopo il 1980, guidata in particolare dalla borghesia britannica, che ha messo fine alla terza ondata di lotte (anzi: l'ha strangolata alla nascita). Da questo punto di vista, è stata la sconfitta dello sciopero dei minatori nel 1985 nel Regno Unito che ha segnato la sconfitta delle lotte degli anni '80. Questa conclusione sta attualmente portando MH a rivalutare la nostra visione delle lotte dopo il 1968 e persino a mettere in discussione la nozione di decomposizione, anche se le sue divergenze sembrano talvolta implicare che "la decomposizione ha vinto", e che ci troviamo di fronte alla realtà di una grave sconfitta storica della classe operaia. Il compagno Baboon è ampiamente d'accordo con MH sull'importanza fondamentale della sconfitta dello sciopero dei minatori, ma non lo ha seguito fino al punto di mettere in discussione la decomposizione, o di concludere che il riflusso della classe operaia può aver fatto un passo qualitativo verso una sorta di sconfitta storica[25].
Il compagno S. sembra ora essere sempre più esplicito sul fatto che è proprio così. Come ha detto in una recente lettera all’organo centrale:
“C'è o non c'è una divergenza fondamentale sui rapporti di forza tra le classi? La posizione dell'organizzazione è che la classe operaia non è battuta. Esiste anche nelle nostre file la posizione opposta, che la classe operaia negli ultimi cinque anni ha subito una sconfitta politica, il cui sintomo principale è l'esplosione dell’identitarismo di ogni tipo, che deriva soprattutto dall'incapacità della classe di recuperare la propria identità di classe. La posizione dell'organizzazione è che la situazione della classe è migliore di quella degli anni '90 sotto lo shock della "morte del comunismo", mentre l'altra posizione dice che la situazione della classe oggi è peggiore di quella degli anni '90, che il proletariato mondiale è oggi sull'orlo di una sconfitta politica di tale portata che potrebbe richiedere una generazione per recuperare.”
Come abbiamo segnalato all'inizio di questo rapporto, il riconoscimento da parte della CCI che il concetto di corso storico non si applica più nella fase di decomposizione significa che diventa molto più difficile valutare la dinamica globale degli eventi, e in particolare giungere alla conclusione che la porta di un futuro rivoluzionario è definitivamente chiusa, poiché la decomposizione può travolgere il proletariato in un processo graduale, senza che la borghesia debba sconfiggerlo direttamente, in una lotta frontale, come ha fatto nel periodo dell'ondata rivoluzionaria. È quindi difficile sapere cosa intenda S. per una "sconfitta politica di tale portata che potrebbe richiedere una generazione per essere recuperata". Se il proletariato non ha ancora affrontato il nemico di classe in una lotta politica aperta, come fece nel 1917-23, con quali criteri giudichiamo che l'arretramento della lotta di classe negli ultimi tre decenni ha raggiunto tale punto? Inoltre, poiché una tale sconfitta sarebbe probabilmente seguita da una grande accelerazione della barbarie, e - secondo S. - una guerra mondiale, o almeno un olocausto nucleare "limitato" - quali possibilità di "recupero" rimarrebbero per la prossima generazione?
Un ultimo punto: S. sostiene che noi consideriamo la situazione attuale della classe "migliore" di quella che era dopo il crollo dei blocchi. Questo è inesatto. Abbiamo certamente detto che le condizioni per i futuri scontri di classe stanno inevitabilmente maturando, e, come ha sottolineato il rapporto sulla lotta di classe al Congresso di Révolution Internationale, questo avviene in un contesto molto diverso dalla situazione all'inizio della fase di decomposizione:
- Mentre il 1989 potrebbe essere presentato come la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo, la pandemia non può essere presentata come una prova della superiorità del sistema attuale. Al contrario, nonostante tutte le mistificazioni che circondano le origini e la natura della pandemia, essa fornisce ulteriori prove che il sistema capitalista è diventato un pericolo per l'umanità, anche se per il momento solo una piccola minoranza lo ha capito chiaramente;
- Se gli eventi del 1989 sono stati un colpo alla combattività e alla coscienza di classe, e lo sviluppo della decomposizione ha teso ad aggravare la perdita di identità di classe, la pandemia è avvenuta nel contesto di una certa rinascita della lotta di classe: la volontà della borghesia di sacrificare la salute e la vita nell'interesse del profitto, così come la sua gestione caotica della pandemia, tende a provocare la consapevolezza che non siamo "tutti insieme" - che la classe operaia e i poveri sono le prime vittime della pandemia e della negligenza criminale della classe dirigente.
Ma tutti questi aspetti positivi si aggiungono a 30 anni di decomposizione - un periodo in cui il tempo non è più dalla parte del proletariato, che continua a soffrire le ferite accumulate da una società che sta marcendo in piedi. Per alcuni aspetti, siamo d'accordo che la situazione è "peggiore" di quella degli anni '80. Ma falliremmo nel nostro compito di minoranza rivoluzionaria se ignorassimo i segni che indicano una rinascita della lotta di classe - di un movimento proletario che contiene la possibilità di impedire che la società precipiti definitivamente nell'abisso.
[1] Risoluzione sul rapporto di forza fra le classi, Rivista Internazionale n. 35, RISOLUZIONE SUL RAPPORTO di FORZA TRA LE CLASSI (2019)
[2] Nel suo primo articolo che espone i suoi disaccordi con le risoluzioni del 23° Congresso sulla situazione internazionale, il compagno S. sostiene che la risoluzione sul rapporto di forza tra le classi dimostra che la CCI sta abbandonando la sua posizione secondo cui l'incapacità del proletariato di sviluppare la sua prospettiva rivoluzionaria nel periodo 1968-89 è stata una causa primaria della fase di decomposizione. Nella nostra risposta abbiamo già sottolineato ciò che ripetiamo in questo rapporto: la risoluzione sul rapporto di forze tra le classi pone la questione della politicizzazione - in altre parole, lo sviluppo di un'alternativa proletaria per il futuro della società - al centro stesso della sua comprensione dell'attuale impasse tra le due grandi classi. È vero che la risoluzione avrebbe potuto essere più esplicita sul fatto che l'impasse è il prodotto non solo dell'incapacità della borghesia di mobilitare la società per la guerra mondiale, ma anche dell'incapacità della classe operaia - soprattutto dei suoi battaglioni centrali sulla scia dello sciopero di massa polacco - di comprendere e assumere gli obiettivi politici della sua lotta. Crediamo che questo punto - che è semplicemente l'elemento base della nostra analisi della decomposizione - sia stato chiarito nella nostra risposta a S (pubblicata). Vedere: Dibattito interno alla CCI sulla situazione internazionale.
[3] Marx: Miseria della filosofia, Editori Riuniti, collana Le idee, 1998, pag. 121
[4] Rosa Luxemburg: Sciopero di massa, partito e sindacati, 1906.
[5] Da un contributo (J.) nel bollettino internazionale nel 2011.
[6] "Rivolte sociali in Africa del nord e in Medio Oriente, catastrofe nucleare in Giappone, guerra in Libia: solo la rivoluzione proletaria può salvare l’umanità dal disastro del capitalismo", in Révue Internationale n° 145. La risoluzione del 21° Congresso mantiene ancora delle ambiguità sui movimenti in Medio Oriente, qualificati come "marcati dall’interclassismo".
[7] “Che succede in Medio Oriente?”, in Révue Internationale n. 145.
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] "Rivolte sociali in Africa del nord e in Medio Oriente, catastrofe nucleare in Giappone, guerra in Libia: solo la rivoluzione proletaria può salvare l’umanità dal disastro del capitalismo", in Révue Internationale n° 145.
[11] “la metafora dei 5 corsi:
• Movimenti sociali della gioventù precaria, disoccupata o ancora studentesca, che cominciano con la lotta contro il CPE in Francia nel 2006, e che proseguono attraverso le rivolte della gioventù in Grecia nel 2008, culminando nei movimenti degli Indignati e di Occupy nel 2011;
• Movimenti di massa ma ben inquadrati dalla borghesia che aveva preparato in anticipo il campo, come in Francia nel 2007, in Francia ed in Gran Bretagna nel 2010, in Grecia nel 2010-2012, ecc.;
• Movimenti che subiscono il peso dell'interclassismo come in Tunisia ed in Egitto in 2011;
• Embrioni di scioperi di massa in Egitto nel 2007, Vigo (Spagna) nel 2006, Cina nel 2009;
• Il susseguirsi di movimenti nelle fabbriche o in settori industriali localizzati, ma contenenti germi promettenti come Lindsay nel 2009, Tekel nel 2010, elettrici in Gran Bretagna nel 2011.
Questi 5 corsi appartengono alla classe operaia perché, malgrado le loro differenze, esprimono ciascuno a suo livello lo sforzo del proletariato per ritrovarsi come classe, nonostante le difficoltà e gli ostacoli seminati dalla borghesia; ciascuno a suo livello ha portato una dinamica di ricerca, di chiarimento, di preparazione del campo sociale. A differenti livelli, essi si inscrivono nella ricerca "della parola che ci porterà fino al socialismo" (come scrive Rosa Luxemburg parlando dei consigli operai) per mezzo delle assemblee generali.” (Risoluzione sulla situazione Internazionale del 20° Congresso della CCI)
[12] Movimento degli indignati in Spagna, Grecia e Israele: dall’indignazione alla preparazione delle battaglie di classe, in Rivista internazionale n. 33.
[13] Come lo stesso titolo dell’articolo della Rivista Internazionale n. 33 indica, i movimenti in Grecia ed in Israele del 2011 (ma anche le proteste in Turchia e Brasile del 2013) sono sati analizzati in maniera molto simile agli Indignados in Spagna. Dunque si impone una revisione critica di tutti i nostri articoli di quel periodo.
[14] Un’altra questione da riesaminare è l’esistenza di ambiguità e di confusioni relativamente all’impatto positivo delle rivolte per la fame sullo sviluppo della coscienza di classe. (cf. “Crisi alimentare, rivolte della fame: solo la lotta di classe del proletariato può mettere fine alla miseria”, in Révue Internationale n°134.
[15] Il capitolo “Lotte contro l’economia di guerra in Medio Oriente” nel Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso internazionale della CCI (2019). Formazione, perdita e riconquista dell’identità di classe del proletariato (pubblicato nella Rivista Internazionale n. 35) non è stato discusso in profondità. Il rapporto parla dell’esistenza di movimenti proletari in diversi paesi, ed è necessario rivalutare questi movimenti su una base più solida e approfondita, cercando di situare l’analisi di questi movimenti nel quadro della “critica dell’anello debole della catena”, così come nel contesto della decomposizione (cosa che il rapporto non sembra fare esplicitamente, adottando l’approccio applicato ai movimenti del 2011) al fine di esaminare la natura di questi movimenti e i loro punti di forza e debolezza.
[16] “Proteste in Israele: Mubarak, Assad, Netaniau, sono tutti uguali” su Rivoluzione Internazionale n. 172, https://it.internationalism.org/content/proteste-israele-mubarak-assad-netanyahu-sono-tutti-uguali
[17] "Il fatto che non si tratta di movimenti specificamente proletari li rende certamente vulnerabili alle mistificazioni sulla politica identitaria e del riformismo, e alla manipolazione diretta da parte delle frazioni borghesi di sinistra e democratiche".
[20] Per la storia del nostro compagno, vecchio membro di Bilan e della Sinistra Comunista di Francia (GCF), membro fondatore della CCI e morto nel 1991, vedere i nostri articoli a lui dedicati: Trent'anni fa moriva il nostro compagno Marc Chirik
[21] "Risposta alla CWO : sulla maturazione sotterranea della coscienza di classe"; Révue internationale n° 43.
[23] Come è stato sottolineato durante una discussione all’interno di una riunione dell’organo centrale della CCI nel 2021, la CCI non può essere accusata di trascurare lo sforzo di approfondimento della nostra comprensione del programma comunista. L’esistenza di trenta anni di pubblicazioni sul comunismo prova abbastanza che non partiamo certo da zero su questo…
[25] Non ci dilungheremo su queste discussioni qui, se non per dire che esse sembrano essere basate su una sottostima delle importanti lotte che hanno avuto luogo dopo il 1985, dove la messa in discussione dei sindacati in paesi come la Francia e l’Italia ha costretto la classe dirigente a radicalizzare il suo apparato sindacale, e soprattutto una sottostima dell’impatto del crollo del blocco dell'Est sulla combattività e la coscienza di classe.