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Questo mito nasce dal fatto che l’Italia ha uno scarso passato coloniale, limitato a qualche fallito tentativo di fine secolo diciannovesimo e alle avventure del fascismo in Africa e in Albania.
Ma questo non è il frutto di una scarsa propensione all’espansionismo, giacché nell’epoca dell’imperialismo tutti i paesi sono imperialisti, perché chi non lo fosse si autoescluderebbe dal novero delle nazioni che contano. L’impossibilità di crearsi un proprio impero coloniale prima e una zona di influenza con la decolonizzazione dopo, deriva dal ritardo con cui è stata realizzata in Italia l’unità nazionale, e di conseguenza la formazione di un capitale di dimensioni tali da competere sul piano imperialista, in una situazione peraltro in cui gli spazi liberi da conquistare erano ormai pochi.
Ma, come dicevamo, anche se l’impresa era disperata, l’imperialismo italiano non poteva rinunciare a provarci e questo non solo nel diciannovesimo secolo o sotto il fascismo, ma ha continuato a giocare il proprio ruolo imperialista fino ai nostri giorni.
Durante il periodo della guerra fredda, lo scontro imperialista era regolato dalle rigide regole dei blocchi che si erano formati all’uscita della seconda guerra mondiale. In particolare l’Italia, nella divisione decisa a Yalta dai vincitori della guerra, era rimasta legata al blocco occidentale, capitanato dagli Stati Uniti. Ed è alla difesa di questo blocco che l’imperialismo italiano si è dedicato per più di quaranta anni, ritagliandosi solo un po’ di libertà nei rapporti con i paesi arabi, per poter avere qualche vantaggio personale anche all’interno delle rigide regole degli interessi di blocco. Già in questi anni l’Italia partecipa a diverse missioni militari, in particolare in Medio oriente e in Africa.
Ma è a partire dal crollo del blocco sovietico, nel 1989, che si aprono nuove prospettive e possibilità per l’imperialismo italiano. Questo crollo, come abbiamo più volte ricordato, ha avuto come corollario il disfacimento del blocco avversario, che ora non era costretto a permanere, venuto a mancare il suo nemico principale. Questo dissolvimento dei blocchi, lungi dal significare l’apertura di un periodo di “pace e prosperità”, come aveva annunciato all’epoca Bush padre, ha dato la stura a nuovi appetiti imperialisti in quanto tutti gli ex alleati degli USA si sono messi a giocare in proprio, compresa l’Italia.
Ed infatti da allora l’impegno militare dell’Italia è aumentato, invece che diminuire: prima in Bosnia e poi in Kossovo, per proseguire in Afganistan e in Iraq, ed infine in Libano, per non citare che le situazioni maggiori; non c’è una guerra o una situazione di tensione importante che non abbia visto la partecipazione di truppe italiane.
Questo attivismo ha fatto sì che oggi l’Italia sia il terzo paese al mondo per presenza di truppe in altri paesi. Attualmente si contano 33 missioni militari italiane in 21 paesi, con un totale di 9.108 soldati impegnati (fonte Ministero della Difesa). E naturalmente le missioni costano. Ed infatti nel 2009 si sono spesi 1 miliardo e 350 milioni di euro (1), con un aumento di circa il 30% rispetto al 2007 (2), il che, in tempo di crisi, costituisce un aumento notevole, visto che per curare il bilancio statale si licenziano 47.000 lavoratori nella scuola, si tagliano le spese per l’Università, per la sanità, ecc.
Ma, ci dirà il solito mistificatore di turno, le missioni militari italiane all’estero sono tutte missioni fatte per difendere la legalità e la pace, che è la solfa di tutti gli imperialismi del mondo e della storia. Solo che poi a guardare da vicino si scopre che anche le truppe italiane uccidono, torturano e opprimono anche le popolazioni civili, oltre ai militari. Che pericolo per la pace costituivano le popolazioni della Serbia e del Kossovo massacrate durante i bombardamenti della NATO che vedevano gli aerei italiani in prima linea? Che pericolo per la pace costituiva la bambina afgana uccisa dai proiettili di una pattuglia italiana lo scorso 3 maggio? (3)
Solo la spudoratezza e il cinismo della borghesia può cercare di sostenere che questi interventi militari siano fatti per difendere un qualche interesse delle popolazioni locali e non quelli dell’imperialismo che li compie. E solo un atto di fede può far credere che quello che è vero per gli USA, la Gran Bretagna o la Russia non sia vero anche per l’Italia.
Nonostante tutti i posti persi nelle classifiche della competitività, del PIL pro capite e di altri dati economici, l’imperialismo italiano resta in prima fila in quella competizione internazionale che si è acuita dopo il crollo del blocco dell’est.
E questa difesa degli interessi del capitale nazionale ha visto accomunati tutti i governi che si sono succeduti dal 1989 ad oggi, senza differenza fra destra e sinistra, perché quando sono in gioco gli interessi del capitale nazionale nessuna forza politica borghese può tirarsi indietro.
Se c’è stata una divisione fra queste forze non è stato certo sul fatto se bisognava imbarcarsi in avventure militari, ma solo su come si potevano meglio difendere questi interessi, con la destra (in particolare Berlusconi) convinta che solo un’alleanza stretta con gli USA può essere utile all’Italia, mentre la sinistra è per una maggiore autonomia di scelta. E’ solo questo che spiega la famosa polemica sulla partecipazione alla guerra in Iraq, con Berlusconi convinto sostenitore dell’intervento, e la sinistra che pensava che fosse un errore, per cui, arrivata al potere nel 2006 ha provveduto al ritiro delle truppe, ma solo per poterle poi dispiegare in Libano meno di un anno dopo. In questo la sinistra ha solo avuto più lungimiranza della destra di Berlusconi: la guerra in Iraq era un’avventura senza prospettive, tant’è vero che anche il nuovo governo Berlusconi non si è nemmeno sognato di offrire agli USA un ritorno in Iraq. Mentre la sinistra non ha avuto nessun ritegno a volere i bombardamenti sulla Serbia ai tempi della guerra del Kossovo, o a continuare a sostenere l’avventura in Afganistan, che dura ormai da 8 anni e non solo non ha portato a nessuna “pace”, ma è riuscita solo a destabilizzare anche il Pakistan, paese in possesso dell’arma nucleare.
Se è vero che i sacrifici che vengono imposti ai proletari sono il frutto del fallimento storico di questo sistema, è vero anche che questo fallimento significa in aggiunta una accresciuta corsa alla competizione imperialista internazionale, con la doppia conseguenza di morte e miseria per un numero sempre maggiore di persone nel mondo e di ulteriori sacrifici imposti ai proletari dei principali paesi capitalisti per sostenere la crescita degli impegni guerrieri.
La presa di coscienza di questa realtà non potrà che rafforzare la presa di distanza dei proletari dalla propria borghesia.
Helios
1. Il decreto del consiglio dei ministri del 18 dicembre 2008 stanziava 675 milioni di euro per il primo semestre; non abbiamo il dato successivo, ma poiché non è stato richiamato in patria un solo soldato, non è difficile concludere che la spesa per il secondo semestre sia rimasta al minimo uguale a quella del primo semestre, per un totale annuo quindi di almeno 1 miliardo e 350 milioni.
2. Secondo il SIPRI, Istituto Internazionale per le ricerche sulla Pace, le missioni italiane all’estero costavano, nel 2007, 1 miliardo di euro.
3. Naturalmente l’esercito ha parlato di un errore, causato dal mancato arresto dell’auto all’alt proclamato dalla pattuglia. Si dà però il caso che l’auto su cui viaggiava la bambina con la propria famiglia avesse il lunotto posteriore rotto, segno che i colpi sono stati sparati dopo che l’auto aveva superato il posto di blocco, cioè quando non poteva più costituire un pericolo per i militari impegnati nel posto di blocco. Gli stessi giornali hanno espresso dei dubbi (vedi Repubblica del 4 maggio scorso) sulla dinamica raccontata dai soldati, peccato però che questa vicenda sia in seguito scomparsa dagli stessi giornali.